ALTAI
Il nuovo romanzo di Wu Ming

Slavoj Žižek su antisemitismo e fondamentalismo islamico

Written on 15/02/2010 – 12:00 am by Wu Ming

[Una tantum, un post che, almeno in apparenza, "la prende alla larga".
Nel suo ultimo saggio First As Tragedy, Then As Farce (Verso Books, 2009, l'edizione italiana uscirà a marzo per le edizioni Ponte alle Grazie), il filosofo e psicanalista sloveno Slavoj Žižek scrive alcune cose molto sensate sull'antisemitismo nel mondo arabo e su chi predica "alleanze tattiche" anti-imperialiste con organizzazioni e movimenti del fondamentalismo islamico. Poiché anche nel commentarium di questo blog, partendo da Altai, si sono dibattute simili posizioni (con le quali siamo in totale disaccordo), abbiamo tradotto stralci della riflessione di Žižek (pagg. 68-73 dell'edizione paperback) e le offriamo ai lettori come anticipazione del libro. Un'altra anteprima, stavolta dell'introduzione, è apparsa nei giorni scorsi sul blog Nazione Indiana.]

[...] Nel caso dell’Ebreo come feticcio fascista, la demistificazione interpretativa è molto più difficile (a conferma dell’intuizione clinica sull’impossibilità di scalzare un feticismo interpretando il “significato” del feticcio: i feticisti sono soddisfatti dei loro feticci, non sentono alcun bisogno di liberarsene). In pratica, in termini politici, ciò significa che è quasi impossibile “aprire gli occhi” a un lavoratore sfruttato che incolpa gli “ebrei” della propria miseria – ergo: spiegargli che l’ebreo è il “falso nemico” usato dal “vero nemico” (la classe dominante) per nascondere la lotta reale – e dirigere la sua attenzione non più sugli “ebrei” bensì sui “capitalisti” [...]
Allora, con riferimento alla lotta ideologica, dovremmo come minimo essere molto sospettosi nei confronti di quei militanti di sinistra secondo cui i movimenti fondamentalisti-populisti musulmani, in quanto emancipatori e antimperialisti, sarebbero in fondo “dalla nostra parte”, e il fatto che formulino i loro programmi in termini direttamente anti-illuministici e anti-universalistici – a volte arrivando a un esplicito antisemitismo – non sarebbe altro che confusione derivante dall’essere intrappolati nell’immediatezza della lotta (“Quando dicono di essere contro gli Ebrei, in realtà stanno dicendo di essere contro il colonialismo sionista”). Dovremmo opporre un’incondizionata resistenza alla tentazione di “comprendere” l’antisemitismo arabo (quando davvero lo incontriamo) in quanto reazione “naturale” alle sofferenze dei palestinesi. Non dovrebbe esserci alcuna “comprensione” per il fatto che in diversi paesi arabi Hitler sia ancora considerato da molti un eroe, che nei libri di testo delle elementari vengano riciclati tutti i tradizionali miti antisemiti, dal celebre falso dei Protocolli degli Anziani Savi di Sion all’idea che gli Ebrei utilizzino il sangue di bambini cristiani (o arabi) a scopi sacrificali. Affermare che tale antisemitismo articola in modo sviato una forma di resistenza al capitalismo non lo può giustificare in nessun modo: qui lo sviamento non è un’operazione secondaria, ma il gesto fondamentale della mistificazione ideologica. Ciò che quest’affermazione davvero implica, tuttavia, è l’idea che sul lungo periodo l’unico modo di combattere l’antisemitismo non sia predicare la tolleranza liberale e cose del genere, bensì articolarne la latente motivazione anticapitalistica in maniera diretta e non sviata. Accettare la logica erronea del fondamentalismo sarebbe invece il primo passo verso l’alquanto “logica” conclusione che, poiché anche Hitler “intendeva dire” i capitalisti quando parlava degli “ebrei”, sarebbe dovuto essere un nostro alleato strategico nella lotta antimperialista globale, con l’impero anglo-americano come nemico principale.
(Questa linea di ragionamento non è un mero esercizio retorico: i nazisti promossero davvero lotte anti-coloniali nei paesi arabi e in India, e molti neo-nazisti simpatizzano con la lotta araba contro lo stato d’Israele.)
Sarebbe un errore fatale pensare che, in un imprecisato futuro, convinceremo i fascisti che il loro “vero” nemico è il capitale, e quelli lasceranno perdere la particolare forma religiosa/etnica/razzista della loro ideologia per unirsi alle forze dell’universalismo egualitario.
Ragion per cui, dev’essere netto il rifiuto del motto “Il nemico del mio nemico è mio amico”, che ci porta a discernere un potenziale antimperialista “progressista” nei movimenti fondamentalisti islamici. L’universo ideologico di organizzazioni come Hezbollah si fonda sulla perdita delle distinzioni tra neo-imperialismo capitalistico ed emancipazione laica progressista. Nello spazio ideologico di Hezbollah l’emancipazione delle donne, i diritti dei gay etc. sono soltanto aspetti morali “decadenti” dell’imperialismo occidentale… [Alain] Badiou riconosce che “vi è un limite intrinseco in questi movimenti, legati come sono al particolarismo religioso”. Il punto è: questo limite è solo temporaneo, come sembra sostenere Badiou, un limite che quei movimenti supereranno (dovranno superare) nella proverbiale “fase più avanzata” del loro sviluppo, quando dovranno universalizzarsi? Badiou ha ragione quando fa notare che qui il problema non è la religione in quanto tale, bensì il suo particolarismo – ma non è forse questo particolarismo, adesso, un limite fatale di quei movimenti, la cui ideologia è direttamente anti-illuministica?
Detto in termini più precisi: andrebbe specificato che il limite intrinseco ha a che fare non con il loro carattere religioso in quanto tale, non importa quanto “fondamentalistico” esso sia, ma con il loro atteggiamento pratico-ideologico nei confronti del progetto di emancipazione universalista basato sull’assioma dell’uguaglianza. Per chiarire questo punto, faccio il tragico esempio della comunità dei Canudos nel Brasile del diciannovesimo secolo: era una comunità “fondamentalista” quant’altre mai, diretta da un fanatico “Consigliere” che predicava la teocrazia e il ritorno della monarchia. Eppure, al contempo, i Canudos cercarono di creare un’utopia comunistica, con la proprietà messa in comune, piena solidarietà ed uguaglianza, parità tra uomo e donna, diritto di divorziare etc. E’ questa dimensione a mancare nel “fondamentalismo” musulmano, per quanto “antimperialista” finga di essere.
[...] Quello che dimostrano fenomeni come l’ascesa dei Talebani è che la vecchia tesi di Walter Benjamin secondo cui “ogni ascesa del fascismo testimonia di una rivoluzione fallita” non solo è ancora vera al giorno d’oggi, ma è forse più pertinente che mai. Ai liberali piace sottolineare le somiglianze tra gli “estremismi” di destra e di sinistra: il terrore hitleriano e i campi di sterminio imitavano il terrore bolscevico e i gulag; la forma del partito leninista oggi è tenuta viva da Al Qaeda etc. Va bene, ma tutto questo cosa significa? Può anche essere letto come un’indicazione di come il fascismo letteralmente rimpiazzi la rivoluzione: la sua ascesa è la sconfitta della sinistra, ma allo stesso tempo è la prova che c’era un potenziale rivoluzionario, un’insoddisfazione che la sinistra non è stata in grado di mobilitare. Ciò non vale forse anche per il cosiddetto “islamo-fascismo”? L’ascesa dell’islamismo radicale non è forse esattamente correlata alla scomparsa di una sinistra laica nei paesi arabi? Oggi, quando l’Afghanistan è descritto come l’epitome del paese fondamentalista islamico, nessuno ricorda che, appena trent’anni fa, era un paese a forte tradizione laica, ivi incluso un partito comunista che prese il potere di propria iniziativa, senza l’Unione Sovietica. Quella tradizione laica dov’è finita? In Europa, è accaduto lo stesso in Bosnia: negli anni Settanta e Ottanta, la Bosnia-Erzegovina era la più interessante, vivace e multiculturale delle repubbliche jugoslave, con un cinema noto a livello internazionale e un peculiare stile di musica rock. Nella Bosnia di oggi, all’inverso, è forte la presenza di correnti fondamentaliste, come la folla musulmana che attaccò con violenza la manifestazione dei gay a Sarajevo, nel settembre 2008 [...]

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