I Satanisti ammazzano al sabato – di Selene Pascarella, terza e ultima puntata

[Nella terza e ultima puntata della sua inchiesta (qui → la prima e la seconda), Selene Pascarella si interroga su quali siano i vizi di procedura, oltreché di mentalità degli inquirenti, che trasformano la «pista satanica» in un dispositivo – questo sì – diabolico, nel senso etimologico del termine.
L’origine di «diabolico» è infatti nel verbo greco διαβάλλω, che significa «mettersi in mezzo», «interferire», «separare», «seminare zizzania», ma anche «diffamare» o «ingannare». Di interferenze, seminagioni di zizzanie e diffamazioni queste storie sono piene zeppe, come di azioni tese pervicacemente a separare (διαβάλλειν) l’impianto accusatorio da qualunque realtà fattuale.
Ma come smontare il dispositivo, unendo ciò che viene a forza separato e al contempo separando ciò che viene a forza unito? Un esempio di efficace “contronarrazione” viene fornito nell’ultimo paragrafo. E sulle risposte da dare ai complottismi noi, Selene e, in generale, l’intera Wu Ming Foundation continueremo a lavorare. Buona lettura. WM]

di Selene Pascarella *

INDICE DELLA TERZA E ULTIMA PUNTATA

1. Avvocati del diavolo

2. Lo spin-off diabolico del «dottore di Perugia»

3. Rossella, Meredith e la Rosa Rossa

4. Doppi livelli e panico satanico

5. Il veleno e la medicina collettiva

1. Avvocati del diavolo

Giuliano Mignini

«Al processo c’era una signora che mi ha dato del demonio: “You are evil“. Posso dire che avrò sbagliato in certi casi, sicuramente ho fatto cose che ho dovuto confessare ma siamo tutti in mezzo al bene e al male, è insito nella nostra natura umana. Amanda e Sollecito? Se sono innocenti auguro loro di poter dimenticare la sofferenza che hanno passato. Se invece sono colpevoli e la giustizia terrena non li ha raggiunti, di riconoscere le proprie colpe perché, appunto, da credente, so che la vita finisce in un processo che però non ha appelli, non ha ricorsi per Cassazione né revisioni».

(Giuliano Mignini nel docufilm Amanda Knox, 2016)

L’ombra satanista è impalpabile, tradurla a ogni costo in una strategia processuale impone una sospensione del metodo scientifico e dell’incredulità, strappa i protocolli, sacrifica le buone pratiche, trasforma imputati e testimoni in capri espiatori chiamati a versare il loro sangue – un piccolo male trascurabile – sull’altare della lotta al grande Male.

Nel caso del Mostro di Firenze la migrazione delle narrazioni tossiche dall’immaginario mediatico al dibattito processuale ha creato una reazione a catena destinata a investire altre procure, nuove indagini, delitti distanti nel tempo e nello spazio.

Come negli spin-off tra serie televisive, queste narrazioni extra condividono alcuni personaggi con quella principale. Ed è così che ritrovo, in prima linea, Gabriella Carlizzi: «Un bel giorno con tutto il bagaglio di quanto andavo scoprendo sull’agire del Mostro lontano da Firenze, piombai alla Procura della Repubblica di Perugia e lì chiesi di poter incontrare il Pm di turno».

A trovarsi faccia a faccia con la Carlizzi – l’episodio è raccontato in Un caso di Schola, cit. p. 188 – è la dottoressa Manuela Comodi. Di fronte al solito fiume in piena di «rivelazioni» la Comodi, evidentemente poco propensa a inforcare gli occhiali esoterici, cerca una rapida via di fuga: «Quanto mi sta riferendo è molto interessante, se permette la accompagno da un mio collega, il dottor Giuliano Mignini».

La Carlizzi racconta che Mignini ha preso le distanze da lei e dalle sue rivelazioni, ma non ha dubbi sul proprio ruolo nel riaccendere «una vicenda che era come una brace che, nella memoria di tanti e agli atti nei cassetti di diversi inquirenti, continuava a covare varie storie».

Francesco Narducci

La vicenda di cui si parla è la morte del medico perugino Francesco Narducci e offre allo stesso tempo una trama ingarbugliatissima e una dimostrazione lineare di come gli errori procedurali di un’inchiesta – il credito dato alle testimonianze di Giancarlo Lotti – possano intossicarne un’altra.
Il medico e criminologo Fabio Colaiuda, conosciuto nella puntata precedente, la ricostruisce in maniera chiara, senza tralasciare nulla.

«Dopo aver individuato gli esecutori materiali dei duplici delitti – Pacciani e i suoi «compagni di merende» –, le investigazioni presero in considerazione l’ipotesi che dietro la serie omicidiaria ci fosse un livello superiore di responsabili, quello dei mandanti, tra cui anche Francesco Narducci, gastroenterologo perugino, il cui cadavere venne rinvenuto nelle acque del lago Trasimeno il 13 ottobre 1985. La Procura di Perugia iniziò ad interessarsi a Narducci nel corso di un’indagine riguardante il reato di usura, tra la fine del 2000 e il 2001: durante alcune intercettazioni telefoniche, una donna veniva minacciata di fare “la stessa fine del medico morto al Trasimeno”. Inoltre, sulla base di alcune lettere anonime ricevute dagli investigatori nei mesi successivi, il medico perugino veniva collegato agli omicidi attribuiti al Mostro di Firenze nella qualità di mandante. Fu successivamente intercettata un’altra telefonata minatoria, sempre rivolta alla stessa donna, nella quale si faceva riferimento, oltre al presunto omicidio di Narducci, anche all’omicidio di Pietro Pacciani: secondo la voce al telefono, entrambi gli omicidi erano stati commessi dagli appartenenti a una setta satanica, perché le vittime avevano tradito la setta. Infine, le dichiarazioni di Lotti, il quale dichiarò che Pacciani aveva ricevuto, nel corso degli anni, somme di denaro da un “dottore” in cambio dei “feticci”, ovvero le parti anatomiche escisse dai cadaveri femminili in alcuni delitti».

2. Lo spin-off diabolico del «dottore di Perugia»

L’affaire Narducci si innesta sul giallo dei gialli e la brace diventa incendio. Nel 2002 la Procura di Perugia apre un’inchiesta riesumando il cadavere del medico ed effettuando l’autopsia, dalla quale emergono «lesioni compatibili con lo strozzamento e tracce di narcotizzanti nei tessuti», come racconta un altro esperto citato spesso in queste pagine, il criminologo e studioso di crimini satanisti Luigi Cavallo, che sottolinea i «particolari» della vicenda che hanno contribuito ad alimentare la fiamma esoterica: «La famiglia di Narducci, molto facoltosa, ha espresso la volontà di non voler procedere all’esame autoptico, e non v’è dubbio che sia una richiesta molto strana per dei genitori che hanno perso tragicamente il figlio». Inoltre «il padre di Narducci era un famoso medico massone».

Da notare che Narducci è già stato segnalato come possibile Mostro negli anni ottanta ma le indagini lo hanno depennato dalla lista dei sospettati, perché in almeno due degli otto duplici delitti si trovava all’estero. Ed è qui che l’ombra esoterica torna a influenzare il clima delle indagini: se la tesi di partenza è che esista un «team Mostro», diviso gerarchicamente tra esecutori di bassa lega e mandanti altolocati, l’alibi di Narducci non prova la sua innocenza.

Si apre una fase dell’inchiesta tumultuosa e, mi sia consentito di dirlo, a tratti delirante. Si mette in dubbio che Narducci si sia tolto la vita – sarebbe stato ucciso – e viene sostenuta una complicata ricostruzione che vede in atto un complotto per sostituire il suo cadavere con un altro compatibile con l’ipotesi suicidiaria. Si sghemba in un incredibile paradosso: perché qualcuno, allo scopo di nascondere un omicidio, avrebbe dovuto sostituire il vero Narducci con un cadavere che presentava «chiari» segni di strozzamento e quindi era perfettamente inutile allo scopo?

Passano gli anni, la procura va avanti e nel 2008 Mignini chiede il rinvio a giudizio per ventidue persone, tra cui i familiari di Narducci – quelli che non avrebbero voluto l’autopsia – e il padre in particolare, i funzionari presenti al ripescaggio del cadavere del medico e il giornalista Mario Spezi. Una vera e propria associazione a delinquere, finalizzata a nascondere la vera dinamica della morte del medico perugino e il suo esoterico movente.

Lo schema dei livelli, portato alla sua estrema conseguenza, crolla in aula. Nel 2010 il giudice Paolo Micheli proscioglie tutti: non c’è stata associazione né sostituzione del corpo. Ma la Procura non getta la spugna e nel 2013 si torna in tribunale con gli imputati ridotti a sette e il reato associativo sostituito da più lievi imputazioni per calunnia, intralcio alla giustizia, minaccia a pubblico ufficiale. Solo nel 2014 il gup Carla Giambini mette fuori gioco per sempre il teorema Mignini sul caso Narducci/Mostro di Firenze.

3. Rossella, Meredith e la Rosa Rossa

Angelo Izzo.

Ovviamente in questi casi la parola fine non esiste e nel 2018 Angelo Izzo, uno dei responsabili del massacro del Circeo e di altri due omicidi, collega Carducci allo stupro e all’uccisione di Rossella Corazzin, delitto compiuto nel 1975, a suo dire, nella villa del medico perugino sul Trasimeno. Un plot twist che rimette in connessione Narducci al Mostro di Firenze e Firenze al Circeo, ripescando in extremis la pista satanica.

Ecco cosa racconta Izzo secondo La Repubblica: «Nella casa sul lago Trasimeno venne inscenato un vero e proprio rito satanico: la ragazza – completamente vestita di bianco – sarebbe stata legata a un tavolo, seviziata e violentata da dieci persone incappucciate, tra le quali lo stesso Izzo. Quest’ultimo ha detto però di non aver preso parte all’assassinio. “Non ho visto l’omicidio – ha raccontato – ma sapevo che doveva essere soppressa”».

Uno degli incappucciati sarebbe stato Narducci, nell’ennesima narrazione in cui si sa che qualcuno ha detto di aver saputo a sua volta che qualcun altro ha sostenuto…

Ma all’interno dei confini di Perugia la guerra contro i delitti esoterici si combatte su più fronti.

Nel secondo episodio si è parlato dell’interpretazione esoterica dell’omicidio di Meredith Kercher. Tra i suoi più accesi sostenitori figura l’instancabile Gabriella Carlizzi, che legge dietro alla morte della giovane inglese la mano della Rosa Rossa. La stessa organizzazione a due livelli cha ha agito indisturbata per anni a Firenze e che con la morte della Kercher intende mandare un messaggio: «Siamo ormai pronti a ricominciare!» (Un caso di Schola, p. 205). Un’organizzazione che per i suoi scopi non esita a manipolare, soggiogare e armare studenti universitari, proprio come Amanda Knox.

A Perugia sul caso Kercher lavora Giuliano Mignini. A lui si deve “l’intuizione” del gioco erotico finito male, dello strampalato pseudo-rituale sfociato nel sangue. Non si individuano caproni, tralci di vite e simboli esoterici, ma la struttura narrativa resta immutata: c’è un gruppo dominato dalla esuberante personalità di Amanda, che incarna tutto ciò che non è la povera Meredith, spavalda, sensuale, manipolatrice. Lei, anche se nessuno la chiama apertamente così, è la sacerdotessa del rituale di morte, l’incarnazione dell’ombra satanista.

Nella docufiction di Netflix Amanda Knox (2016) Mignini rievoca il suo incontro con la Knox.

«Amanda era una ragazza molto disinibita, portava i ragazzi in casa, l’ascolto delle amiche di Meredith mi ha convinto che se si può immaginare una ragazza più antitetica di Amanda doveva essere Meredith. Quella sera immaginiamo Meredith che si vede all’improvviso capitare in casa Amanda, e va bene, ma anche Sollecito e Rudy. Ma come? Meredith non ne poteva più, ha espresso sicuramente e in maniera abbastanza esplicita un giudizio morale negativo nei confronti di Amanda che si deve essere sentita umiliata, urtata. “Ah, tu, dai dei giudizi così severi sul piano morale nei miei confronti? adesso ti faccio vedere io che ti succede…” È una ragazza molto orgogliosa. C’è un primo scontro e poi c’è un crescendo di attacchi. Sono convinto che Sollecito e Rudy abbiano un po’ cercato di assecondare in tutti i modi Amanda quella sera. Al fondo della gran parte dei reati c’è questo».

Raffaele Sollecito, Amanda Knox e Rudy Guede. Stranamente, l’unico rimasto in galera è il terzo…

Così il Pm che si definisce cattolico e appassionato di Sherlock Holmes costruisce un teorema che porta in carcere Rudy Guede, Amanda Knox e Raffaele Sollecito. Gli ultimi due verranno assolti definitivamente, a prezzo di una vicenda processuale che ha segnato per sempre le loro vite. Rudy sta ancora scontando la sua pena.

Mignini, però, non ha rimpianti: «Mi guardo allo specchio e ho la fortuna di non vergognarmi perché non c’è il minimo dubbio sulla responsabilità dei due».

Gabriella Carlizzi non ha potuto vedere la conclusione processuale del giallo di Perugia, ma fino all’ultimo si è detta convinta che fosse stata viziata dalle ingerenze della Rosa Rossa, cominciate proprio con l’affidare a Mignini l’inchiesta, per poterlo screditare, accusare di dar retta alle strampalate teorie complottiste pubblicate sul blog di Gabriella. Proprio lui che l’aveva rinnegata,arrivando a chiederne gli arresti domiciliari per calunnia. E quando la stampa internazionale fa a pezzi la credibilità degli inquirenti italiani sul caso Kercher, la giornalista non ha dubbi su quale siano le motivazioni alla base di tale “macchinazione”:

«Basta leggere i nomi dei 22 imputati nel processo Narducci, basta leggere le connessioni di certi nomi con i delitti del Mostro di Firenze, e basta riconoscere questi stessi nomi in coloro che gridano l’innocenza di Amanda, puntando il dito contro il Pm che sta per smascherare il vero volto del Mostro e di chi ammazzò Francesco Narducci!»

Una sciarada di complotti che si innesca quando viene tralasciato il dato fattuale, all’inseguimento di ipotesi non verificabili e “verificate” sulla scorta di particolari decontestualizzati, incollati tra loro in ordine sparso. Nessuno fa una colpa a Mignini di aver tracciato un’ipotesi investigativa che si è dimostrata fallace in aula, la criticità è a monte.

«Prima di chiedersi perché, da taluni, siano stati considerati i collegamenti con la notte di Halloween e con un ipotetico rito esoterico/satanico» sostiene Fabio Colaiuda, «sarebbe opportuno domandarsi per quale motivo si è assistito, a Perugia, al mancato rispetto dei protocolli d’indagine, ormai accreditati a livello internazionale, i quali rendono possibile l’esecuzione e la validazione di una serie di analisi tecniche in gran parte risolutive, con la tecnologia attuale, dei casi di omicidio. Se tutte queste condizioni fossero state rispettate, forse l’esito sarebbe stato diverso e non si sarebbe avvertita la necessità di scomodare l’esoterismo».

In merito si è espressa chiaramente la Cassazione già nel 2015 scrivendo nelle motivazioni di annullamento della sentenza di Appello del 2014 che il processo Knox-Sollecito ha avuto un

«iter obiettivamente ondivago, le cui oscillazioni sono, però, la risultante anche di clamorose defaillance o “amnesie” investigative e di colpevoli omissioni di attività di indagine».

Per la Cassazione, non incorrere in queste defaillances avrebbe «con ogni probabilità, consentito, sin da subito, di delineare un quadro, se non di certezza, quanto meno di tranquillante affidabilità, nella prospettiva vuoi della colpevolezza vuoi dell’estraneità».

L’amnesia indicata dai giudici della Cassazione è cruciale per capire come una pista investigativa esoterica, sia nella forma “classica” legata al caso Narducci sia in quella “atipica” del festino sessuale di Perugia, si poggi su una visione selettiva degli indizi e delle prove, portando gli inquirenti che la sposano a dimenticare o sottostimare gli elementi che la mettono in discussione e a sovrastimare quelli che le sono funzionali. E se questi ultimi non si trovano, si finisce per fare il salto finale che allontana dal dato fattuale, ovvero ipotizzare che siano stati sottratti, contraffatti e nascosti, come nel caso del corpo del medico perugino e degli occulti mandanti del Mostro di Firenze.

Minore è il grado di accuratezza tecnica nel corso delle indagini e dei sopralluoghi sulla scena del crimine – per esempio nella repertazione delle tracce biologiche (contaminate con grande probabilità nel caso Kercher) o nella stesura dei verbali autoptici (vedi l’analisi sul corpo di Narducci) – maggiore è la debolezza degli elementi di prova, la loro univocità. La certezza diventa mera “affidabilità” e quest’ultima comincia a mostrare buchi e falle che spingono, complice la pressione mediatica, a creare riempitivi prima verosimili, poi quando non basta più, sempre più ipotetici se non fantasiosi. Toppe per voragini talmente estese da portare ad assoluzioni o a condanne che lasciano un profondo senso di incompiutezza, dispositivi giuridici che alimentano sghembature infinite, scenari in cui l’ombra satanista non tramonta mai.

Succede a Perugia e non solo. Ed è per questo che il viaggio prosegue a Bologna.

4. Doppi livelli e panico satanico

Lettura consigliata: Antonella Beccaria, Bambini di Satana. Processo al Diavolo: i reati mai commessi da Marco Dimitri (Stampa Alternativa, 2006, prefazione di Carlo Lucarelli). Opera rilasciata in Creative Commons, clicca per aprire/scaricare il pdf.

Il format dell’altro livello imperversa anche nel caso dei Bambini di Satana. Il 24 gennaio del 1996 vengono arrestati Marco Dimitri, Gennaro Luongo e Piergiorgio Bonora. Dimitri è un personaggio conosciuto al vasto pubblico come leader del gruppo «Bambini di Satana», un’associazione regolarmente registrata. Ospite ai talk show, intervistato da settimanali come Panorama, Dimitri ha fino a quel momento l’allure dell’eccentrico più che lo stigma del mostro. Ma l’accusa a carico suo, di Luongo – ex iscritto ai BdS – e Bonora – il più stretto collaboratore di Dimitri – è pesante: lo stupro, aggravato dall’uso di sostanze narcotizzanti, della minorenne Elisabetta Dozza (16 anni, ex fidanzata di Luongo), avvenuto nel corso di una messa nera. Ma è solo l’inizio: nelle carte spunteranno anche i reati di violazione di sepolcro e profanazione di cadavere.

Elisabetta fa rivelazioni che sbigottiscono gli inquirenti: parla di un forno crematorio per eliminare i cadaveri, allude all’esistenza di un «terzo livello» di insospettabili che sono ai vertici di quella che, all’improvviso, è diventata una setta super-segreta. La Procura di Bologna avvia un filone d’indagine su presunti sacrifici umani.

L’attenzione della stampa diventa spasmodica. Come scrive il collettivo Luther Blissett, che segue da vicino ogni fase dell’inchiesta fino alla sentenza finale, alle accuse della “pentita” Elisabetta

«si aggiungono i pareri “tecnici” di tre esorcisti (!), le pressioni della Curia di Bologna tramite il famigerato GRIS (Gruppo di Ricerca e Informazione sulle Sette) e la presunta testimonianza di un bimbo di nemmeno tre anni, figlio di una psicologa cattolica in contatto col Gris».

Nel 2007 il Consiglio d’Europa ha approvato la Convenzione di Lanzarote per la protezione dei bambini da sfruttamento e abusi sessuali, entrata con ratifica nel nostro sistema penale nel 2012. La Carta di Lanzarote stabilisce anche linee guida per l’audizione di minori vittime di reato. Regole per proteggere i bambini nel processo e dal processo, per scongiurare che le indagini e gli interrogatori aggiungano un trauma al trauma subito, ma anche per sottrarli alle manipolazioni di chi vorrebbe spingerli a confessare traumi che non hanno subito.

A Bologna Lanzarote non si vede nemmeno all’orizzonte. Fabio Sanvitale su cronacanera.it descrive così l’audizione del bambino di tre anni che “testimonia” per l’accusa e le conseguenti reazioni mediatiche:

«Il Pm Lucia Musti non sente mai direttamente il bambino, ma sempre tramite terzi. Mentre un’amica di famiglia disegna per “Federico” […] La stampa, nel frattempo, cavalca la storia: il mix di pedofilia e satanismo è irresistibile. Intanto, Dimitri si becca un’altra denuncia a Pompei, da parte di un ragazzo psicolabile. Il Resto del Carlino non esita a scrivere che i Bds sono ramificati in 35 città.»

Lucia Musti

I Bambini di Satana diventano un brand criminale, si straparla di un racket della pedofilia che farebbe capo all’organizzazione. Nessuna verifica, ovviamente, né sui “numeri” del satanismo criminale né su come avvengano tali crimini. Ricorda ancora Sanvitale:

«La Musti arriverà a scrivere un articolo sull’Osservatore Romano (8 febbraio 1997), nel bel mezzo delle indagini, in cui scrive che “l’uso del cadavere è essenziale nel rito satanico”. Inutile dire che in Italia non sono mai state trovate tracce, né prima, né dopo, di satanisti che facessero riti con cadaveri».

Nel 1997 arriva la piena assoluzione per tutti gli imputati. Luther Blissett pubblica per la casa editrice Castelvecchi l’intera storia del processo e intorno al processo ai Bambini di Satana. Titolo: Lasciate che i bimbi. Pedofilia: un pretesto per la caccia alle streghe. Lucia Musti querela gli autori e l’editore, e nel 2001 ottiene una sentenza favorevole. Oltre al risarcimento economico dovuto, il libro dovrà essere distrutto e cancellato dalla rete, dove circola libero da copyright.

A oltre diciassette anni di distanza, Lasciate che i bimbi è ancora in giro, «inestirpabile», come la verità sul processo ai Bds, che non è solo la storia di un errore giudiziario. Nel 2004 a Dimitri e Luongo viene riconosciuto un risarcimento per l’ingiusta detenzione, rispettivamente di centomila e cinquantamila euro. Dimitri ha passato in carcere quattrocento giorni.

Ancora oggi, ogni tanto, Dimitri viene intervistato dai giornalisti che si stupiscono – e un po’ rimangono delusi – della sua grande «normalità».

Sia il clima di moral panic che il coinvolgimento di minori avvicinano la vicenda bolognese a quella, successiva di un decennio, di Rignano Flaminio, dove i genitori di alcuni bambini iscritti alla scuola Olga Rovere denunciano ai carabinieri presunti abusi subiti tra le mura dell’istituto. In pochi mesi le vittime arrivano a ventuno, nell’aprile del 2007 vengono arrestati tre mastre, il marito di una di loro, una bidella e un benzinaio. A Rignano si materializza «l’asilo degli orrori» e non c’è nefandezza che i seviziatori di piccoli angeli non abbiano compiuto al suo interno e in fantomatici luoghi segreti, il tutto sotto la soffocante «ombra dei riti satanici». Si concretizza l’accusa di associazione a delinquere, atti osceni in luogo pubblico, maltrattamenti in famiglia, sottrazione di minore, sequestro di persona e violenza sessuale. Rignano si divide in due tra innocentisti e colpevolisti, l’effetto scia porta a denunce in altre parti d’Italia, si apre un processo seguito con il cuore in gola dai genitori di tutto il paese.

Nel 2012 gli imputati sono tutti assolti e i giudici parlano di una «forte contaminazione» delle testimonianze dei bambini. Contaminazione prodotta dall’ansia dei genitori, che hanno finito per istillare nei loro figli violenze mai vissute. Due anni dopo l’assoluzione è confermata in appello: «il fatto non sussiste».


La caccia alle streghe di Rignano è finita, lasciando uno strascico pesantissimo sia per gli imputati che per i bambini coinvolti e le loro famiglie. Eppure, paragonati alle mamme e ai papà di Finale Emilia e ad altri genitori e insegnanti annientati dalla giustizia al servizio del moral panic, sono stati perfino fortunati.

Sulla costruzione della narrazione mediatica e giudiziaria incentrata sull’«abuso rituale satanico» a danno di minori in Europa e negli Usa, anche attraverso la fiction, nonché sul suo uso politico nello scontro Trump vs Clinton, ha scritto Wu Ming 1. Un reportage che va letto per capire come il costo dell’ombra tossica non riguardi solo le vittime dirette della caccia alle streghe, ma ricada su tutti noi e da tutti debba essere affrontato.

Perciò ritorno al 1997, l’anno in cui il caso dei Bambini di Satana cambia format, passando da «emergenza satanista» a «clamoroso errore giudiziario».

5. Il veleno e la medicina collettiva

A Massa Finalese, frazione di Finale Emilia, provincia di Modena, un bambino e una bambina seguiti dai servizi sociali fanno scattare una denuncia per pedofilia. I ragazzini, per volere della Asl, sono da tempo affidati ad altre famiglie e tornano a casa loro per brevi periodi. Il piccolo racconta alla madre affidataria che nella casa dei genitori biologici il fratello maggiore «fa dei dispetti sotto le lenzuola alla sorella». La donna si rivolge alla psicologa del servizio sociale, Valeria Donati, che ascolta il medesimo racconto e poi inizia una serie di audizioni che la convincono che lui e la sorella siano vittime di abusi. Il padre e il fratello vengono arrestati, si mette in moto un meccanismo, una contaminazione, per citare la sentenza di Rignano, che sconvolge l’intero paese.

Dopo le confessioni, via via più inquietanti, del «bambino zero», l’inchiesta si allarga, coinvolgendo altre famiglie, toccando persino l’amatissimo parroco, Don Giorgio Govoni. L’escalation degli orrori è incredibile. I bambini che denunciano aumentano e parlano di rituali di sangue nei cimiteri, neonati smembrati e fatti sparire, abusi sessuali di ogni genere. Le persone fermate dichiarano la loro innocenza, ma è inutile.

«Chi si mette contro la procura» confessa atterrito Govoni a chi lo circonda «diventa un pedofilo». Perciò l’unica strada è la delazione, anche senza prove concrete.

Andrea Claudiani

Il 16 maggio 2000 il pm che segue il caso dei «Diavoli della Bassa», Andrea Claudiani, teorizza l’esistenza di una rete di pedofili dediti all’esoterismo, al cui vertice è Don Govoni, per il quale chiede quattordici anni di carcere. Govoni non sconta neanche un giorno. Muore fulminato da un infarto due giorni dopo, da innocente, anche se ci vorranno anni per riabilitarlo.

Arrivano le condanne. Tredici minori sono sottratti alle famiglie. Alcuni, nonostante l’assoluzione dei genitori, non faranno più ritorno nelle loro case. Una madre si toglie la vita, sette altre persone accusate non reggono al dolore, come don Govoni.

Nel 2017 Pablo Trincia e Alessia Rafanelli pubblicano su Repubblica.it l’audio-inchiesta a puntate Veleno. Ricostruiscono passo passo la genesi dell’indagine, incontrano i genitori accusati, i bambini, ormai adulti, che hanno avuto il ruolo di grandi accusatori. Veleno fa emergere in maniera impietosa l’inconsistenza delle imputazioni e le storture dell’inchiesta.

Trincia trova nell’armadio di una donna ormai morta – che ha sostenuto lìinnocenza degli imputati, effettuando, da completa autodidatta, un’indagine autonoma – le registrazioni video degli interrogatori “modello Donati” che diventano parte del podcast.

Nel 2018, a quasi un anno dalla prima puntata, Trincia rilascia un episodio speciale di Veleno.

Dopo aver ascoltato il podcast, una delle ex-bambine coinvolte pronuncia una verità che si porta dietro da anni: non ha mai subito abusi. La sua confessione di allora è frutto della tecnica dello «svelamento progressivo» messa in pratica dalla Donati. Tecnica che si riassume in un’estenuante pressione per confermare gli abusi suggeriti, attraverso un tornare e ritornare sulle dichiarazioni che non si conformano all’idea delle psicologhe.

Non è la sola. Un’altra ragazza si fa avanti. Ha sempre negato gli abusi, ma da bambina non è mai stata creduta.

Veleno riesce in una missione quasi impossibile: dissolvere l’ombra satanista. Grazie allo straordinario lavoro investigativo di Trincia e Rafanelli emerge, tra le altre cose, il conflitto di interessi che ha visto “esperti” come la Donati – che, come fatto notare più volte in Veleno, prima del bambino zero non aveva maturato alcuna esperienza nell’audizione di minori abusati – dare vita a enti privati quali il Cab, Centro aiuto per il Bambino, con cui avere un doppio ruolo: “riconoscere” i bambini abusati e ricevere denaro dalla Asl per accertarne gli abusi e offrire sostegno psicologico. Un giro di consulenze che ha fruttato, tra il 2002 e il 2013, 2.200.000 euro.

Il 15 novembre 2018 il sito di informazione sulpanaro.net pubblica la seguente notizia:

«L’Unione Comuni Area Nord, nel consiglio straordinario convocato mercoledì sera a Medolla per discutere del “caso pedofili” scoppiato vent’anni fa e riportato in auge dall’inchiesta Veleno, ha deciso di non rinnovare la propria quota associativa al Cismai (il Coordinamento nazionale servizi contro l’abuso all’infanzia) e di convocare in Commissione Servizi Sociali i funzionari di Ucman, Ausl e Comune in servizio all’epoca. Fra i convocati, Marcello Burgoni (ex responsabile dei Servizi sociali di
Mirandola) e Valeria Donati, la psicologa che interrogò i bambini. Nel consiglio si è poi anche discusso delle spese sostenute per l’affido dei bambini».

Il 16 dicembre 2018 dal suo profilo Facebook Paolo Trincia scrive che «la psicologa Valeria Donati non si è presentata all’appuntamento con la commissione dei comuni Area Nord di Modena per rispondere alle domande sul suo operato. Oltre a lei non sono venute le altre professioniste che erano state interpellate, tra cui la responsabile del Servizio Minori, Monica Benati. L’unico a presentarsi è stato l’ex responsabile dei Servizi Sociali di Mirandola, Marcello Burgoni – che prima di entrare ha atteso a lungo chiuso in macchina nel parcheggio accanto alla sala comunale».

Trincia elenca le domande cui la commissione riunita a Medolla si attendeva risposta, tra cui la conferma o la smentita delle dichiarazioni dei genitori «di aver subito ricatti da parte dello stesso psicologo dei Servizi Sociali (che avrebbe detto loro: “se non confessa, non rivedrà più i suoi figli”)» e le motivazioni che avevano spinto il responsabile del servizio ad affidare «un caso così delicato a professioniste giovani e senza alcuna esperienza precedente in materia». Burgoni, conclude Trincia, «ha scelto di rispondere, ma non subito e solo in forma scritta, di fatto impedendo un confronto diretto con chi lo voleva interpellare».

Il 4 gennaio 2018, a vent’anni di distanza dall’evocazione dei diavoli della Bassa, a Finale si tiene una discussione pubblica a partire da Veleno, in una sala gremitissima (qui il video della serata). La comunità si chiede: «In che paese abbiamo vissuto?», e per una volta la cronaca assolve alla sua funzione: allargare il campo, aumentare il livello di complessità, disintossicare i pozzi dell’informazione.

L’Associazione Nazionale Magistrati critica fortemente sia l’inchiesta sia il dibattito aperto a Finale:

«L’accertamento della commissione dei reati si compie nelle aule di giustizia» scrive in un comunicato ufficiale, «e non può essere rielaborato in contrasto con giudicati penali di condanna e, soprattutto, dando voce, senza alcun contraddittorio, ad alcuni testi e protagonisti della vicenda, alcuni dei quali anche condannati in via definitiva per delitti gravissimi».

Chiunque abbia ascoltato Veleno sa che non c’è traccia di populismo giustizialista o di sensazionalismo in alcuna delle sue puntate. Condannati o assolti, i genitori coinvolti, i loro familiari e amici hanno tutto il diritto a rielaborare l’inchiesta e il processo attraverso un confronto collettivo e pubblico.

E se, come sembra, verranno nuovi processi, si spera che un vento di razionalità e responsabilità spazzi via l’ombra del satanismo. Perché – la frase è di Luigi Corvaglia, ma la sento mia – i fatti di Finale Emilia dimostrano che «la puzza di zolfo orienta più facilmente al giudizio colpevolista».

Fine / 3 di 3.

* Selene Pascarella è giornalista e criminologa. Si occupa di cronaca giudiziaria ed è una grande appassionata di fiction gialla e horror. È autrice di Tabloid Inferno. Confessioni di una cronista di nera, uscito nella collana Quinto Tipo diretta da Wu Ming 1 per le Edizioni Alegre. Nel 2018 ha lanciato sul blog di Quinto Tipo (e su Medium) la serie ibrida Pozzi. Il diavolo a Bitonto.

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8 commenti su “I Satanisti ammazzano al sabato – di Selene Pascarella, terza e ultima puntata

  1. Poiché sono uno dei protagonisti di questa inchiesta voglio puntualizzare alcune cose per evitare fraintendimenti e strumentalizzazioni. Metto quindi immediatamente in chiaro la mia posizione sull’allarme satanismo in modo che non ci siano ambiguità. Per ciò che mi riguarda l’allarme satanismo è un panico morale privo di qualunque fondamento e i crimini rituali collegati all’adorazione del demonio un mito.

    Ciò promesso, ritengo che alcuni virgolettati che mi riguardano nella prima puntata di questa inchiesta, estrapolati da contesti più ampi e mondati da premesse fondamentali per comprenderne il senso, rischiano di fornire di una immagine deformata del mio pensiero. Quando descrivevo gli indizi del rituale satanico rispondevo a precisa richiesta della autrice che voleva che le dessi una serie di segni. Date le premesse che le avevo espresso e che qui ripeto, mi sono quindi limitato – e non con piacere – a darle ciò che mi chiedeva utilizzando quanto riportato in letteratura. Questo non vuol dire che ritengo che i satanisti compiano realmente sacrifici e lascino realmente quei segni. Capisco che l’autrice intendeva prendersi gioco di una certa paranoia, ma rischia di farmi passare per uno che contribuisce a diffondere il mito del sacrificio rituale. Lo fa, ad esempio, quando estrapola mie dichiarazioni sul cannibalismo nella mafia nigeriana o sugli omicidi legati al culto della Santa Muerte. In entrambi i casi spostare il focus su altri contesti aveva lo scopo di sminuire il fenomeno dell’omicidio rituale satanico. Nel primo caso, non certo affermando – come illustri “tronisti” della criminologia nostrana fanno – che la mafia nigeriana in Italia compia simili sacrifici. Mi riferivo a quanto in Africa rimane di certe credenze che sono confluite nel patrimonio di organizzazioni criminali che operano in Nigeria e di cui ho avuto testimonianze di prima mano. Nel caso della Santa Muerte, poi, non ho mai detto che il culto messicano sia esclusivo dei narcos o che tutti gli omicidi commessi in quell’ambito siano connessi al culto. Mi limitavo a segnalare che esistono vari casi, che mi pare siano accertati, di crimini commessi anche in onore della Santa Muerte. Che poi anche quello sia un panico gonfiato ad arte è più che probabile, ma di certo, facendo il confronto fra crimini di pseudosatanisti e pseudosantamuertisti, di questi ultimi esiste perfino qualche evidenza in più. Era sottolineare questo il fine del mio esempio che, invece, mi sembra sia stato utilizzato per dipingermi come invasato credente nella setta omicida. No, non credo nemmeno a quella. Sono uno scettico impenitente. Sorry.

    • Buongiorno Luigi, mi dispiace per qualunque fraintendimento possa essere derivato dal mio uso dei tuoi virgolettati, anche perché il tuo scetticismo a mio parere si evince chiaramente quando parli di casi gonfiati, esperti alla moda che lanciano allarmi, quando metti in guardia dal costruire teorie sataniste create artificiosamente incollando elementi numerici disparati. Del resto non avrei citato un invasato per chiudere il mio viaggio…
      Se lo ritieni opportuno posso mettere a disposizione il testo integrale del nostro scambio per completezza e trasparenza.
      Grazie ancora per aver dato il tuo contributo pur sapendo di essere inserito in una cornice fortemente critica. Gli scettici veri si riconoscono anche da questo.
      Selene.

    • @Luigi Corvaglia: mi interesso poco di cronaca nera e sette sataniche, ho letto quindi le tre puntate senza quasi nessun background, ma posso assicurare che la tua posizione scettica emerge chiaramente dal contesto ricreato da Selene intorno ai virgolettati. Mi sembra davvero molto difficile che qualcuno leggendo possa essersi fatto l’idea di un fanatico di sette e complottismi :)

      • Grazie. So bene che una persona priva di pregiudizi e di cattiva coscienza non ha difficoltà a comprendere la mia posizione. La precisazione serviva per prevenire l’utilizzo strumentale delle mie parole che persone di ben altro genere usano fare.

  2. Sciascia!
    Ho scritto Sciascia così chi cerca su Google il racconto dello scrittore di Racalmuto “Apocrifi sul caso Crowley” presente in Il mare colore del vino vedrà spuntare anche questa bella inchiesta, ricchissima di spunti e che mi piace soprattutto perché corredata da interviste a esperti e protagonisti, come ad esempio Massimo Introvigne che è davvero fra le persone più indicate da intervistare su questi argomenti.
    Vista la vastità dei temi trattati mi soffermo solo sulle cose che mi hanno colpito maggiormente:
    sui rituali in Nigeria di cui si parla nella prima parte, questo tipo di pratiche facevano parte di rituali presenti nella tradizione Yoruba e avevano un senso all’interno di una vita comunitaria a scopi propiziatori e apotropaici; una volta che i britannici crearono lo stato nazionale della Nigeria, questa vita comunitaria e rituale venne meno, e ora a praticare questo tipo di rituali sono singoli in cerca di fortuna, e sono visti con disprezzo dalla stragrande maggioranza dei nigeriani. ma questi rituali esistono ancora, per avere un riferimento scientifico qua il link ad un articolo di Samuel Oyewole.
    https://www.academia.edu/9192626/Domestic_Terrorism_and_National_Security_in_Nigeria_A_Critical_Analysis_of_Hostage-Taking_and_Kidnapping
    riporto la parte che può servire alla mia argomentazione:
    For instance, Adefila and Opeola (1998) observed that the Yoruba in South-western Nigeria have a ritual tradition that included human sacrifice (mostly the enslaved) before any military expeditions between the 11th and 19th centuries. Human beings were mostly offered not out of lack of respect for human life, but rather because a personal philosophy of life maintains that it is better to sacrifice individual life for the good of the community than for all to perish (Ayegboyin 2009:584). Notwithstanding, there has never been a general acceptance of human sacrifice in Africa and there are some situations where this kind of ritual has been offered to the deities in a defiled form of African religion (Ashanti 2009:127). Human sacrifice by private individuals or a group of individuals outside the communal ritual is never approved in African tradition.

    Non so se Pamela Mastropietro fu vittima di un tale rituale, nè credo sia importante.

    Concludo con una mia riflessione sul tema degli esorcisti e degli angelologi, che nella mia Palermo sono particolarmente attivi con vari convegni e gruppi carismatici. Innanzitutto vi consiglio lo straordinario ‘documentario’ Liberami, realizzato da Federica Di Giacomo, sulla scena di esorcisti a Palermo, qui il trailer che vi dà un’idea del film che comunque credo si trovi su RaiPlay:

    https://www.youtube.com/watch?v=vbBLh5mCxvc

    In un certo senso io la penso come Furio Jesi in Mitologie intorno all’Illuminismo, quando dice che uno dei deficit della religione cristiana cattolica post concilio rispetto ad altre religioni come l’ebraismo (ma anche il cristianesimo ortodosso) sia stato quello di non aver raggiunto ‘per esaurimento’ il proprio potenziale mistico, rinunciando ai miracoli e agli esorcismi e in generale al soprannaturale, spingendo quindi molti cristiani a ricercare all’infuori del cristianesimo un soddisfacimento delle pulsioni mistiche, e quindi cercandolo nelle religioni orientali, nei rituali gnostici e massonici, nello stesso ebraismo. insomma, Ex Oriente Lux, Luxus e Luxuria come da titolo di un bel libro del professore Federico Squarcini che insegna Religioni e Filosofie dell’India a Ca’ Foscari, qui il link
    http://www.sefeditrice.it/catalogo/ex-oriente-lux-luxus-luxuria/137

    Poi ovviamente le gerarchie devono tronare indietro e arrendersi alle preferenze del popolo, vedi padre Gemelli su Padre Pio, i cui dubbi non hanno impedito la diffusione di massa e popolare del culto del santo con le stimmate. In questo senso, è comprensibile la foga, descritta in questa inchiesta, degli ambienti più misticheggianti del cattolicesimo nel cercare il diavolo ovunque visto che, lo sappiamo, si annida nei dettagli ;) . Sappiamo anche che questa foga spesso non si basa solo su motivi dottrinali ma ha dietro interessi politici e mediatici, e soprattutto spesso investe la vita di persone innocenti con accuse pubbliche, procedimenti giudiziari e cose anche peggiori.

    Insomma, complimenti all’autrice dell’inchiesta, i miei vogliono essere contributi costruttivi ad un bellissimo lavoro di ricerca.

    • scusate ho sbagliato il link all’articolo di Oyewole, ecco il link corretto:
      https://www.academia.edu/30173085/Kidnapping_for_Rituals_Article_of_Faith_and_Insecurity_in_Nigeria

    • Grazie per i contributi. Mi permetto di ricordare però che l’inconsistenza del movente rituale nel caso di Pamela Mastropietro è stato escluso non da me ma dagli inquirenti. Come riportato da gran parte degli organi di informazione il 15 febbraio 2018, il Procuratore di Macerata Giovanni Giorgio in un comunicato ha escluso «ipotesi di antropofagia e di riti voodoo connessi al decesso» e «interferenze di organizzazioni criminali extracomunitarie nella vicenda criminosa».
      Nei giorni scorsi, in udienza, presentando la documentazione fotografica relativa all’autopsia sulla vittima, si è chiaramente parlato di depezzamento per nascondere eventuale contatto sessuale. Purtroppo la campagna di disinformazione da parte di alcuni quotidiani, che commentando l’udienza hanno parlato, in maniera generica e impropria, di “magia nera” ci impone di ricordare questo particolare come fortemente rilevante.

  3. L’ombra satanista non riposa mai, non c’è delitto ad alta esposizione mediatica che le sfugga. Mentre l’informazione italiana va in fibrillazione per la confessione di Said Machaouat, in cui il 27enne avrebbe dichiarato di aver ucciso Stefano Leo, il 23 febbraio scorso, «perché era troppo felice», ecco spuntare “particolari” che non tornano e riferimenti rituali nel “delitto dei Murazzi”.
    Intervistata da Il Giornale, la psicologa psicologa Vera Slepoj parla di un delitto preparato con cognizione, di arma bianca scelta con cura e vittima puntata per determinate caratteristiche. Secondo la Slepoj, Machaouat «ha voluto punire la società che non si accorge di lui e l’arma usata non è casuale. Lo sgozzamento è un rito, un sacrificio, una punizione in cui si ribadisce la sottomissione dell’altro che lui riteneva di dover punire. Ha visto la sua preda, lo ha aspettato e lo ha sacrificato, gli ha preso l’anima, non i soldi».
    E se nella valutazione della Slepoj il sacrificio è genericamente rituale, già impazzano (ancora sul Giornale, che ha ripreso l’intervista da La stampa, come su altre testate) le “rivelazioni shock” dell’ex compagno di stanza di Machaouat, Patrik, che racconta di averlo allontanato dopo un’esplosione di violenza in cui ha massacrato di botte il suo cane: «Secondo me è cambiato dopo che ha letto un paio di libri sul satanismo. Diceva frasi strampalate. Era cattivo, davvero».
    Del resto cosa c’è di più diabolico del voler punire la felicità altrui? Da Macerata a Torino il passo è compiuto, caduto il velo, la pezza di appoggio, del voodoo nigeriano, si punta direttamente al satanismo all’occidentale, strategia, ancora una volta assiimilabile a quella terroristica, per punire “i nostri valori”.