La vera storia della banda Hood: ecco il booktrailer

Quella di Robin Hood è senz’altro una delle leggende più longeve di ogni tempo. È intramontabile, perché la sua figura richiama subito la riparazione dei torti sociali, la vendetta di classe, la ridistribuzione della ricchezza, la reazione dei poveracci al dominio dei potenti, la creazione di una microsocietà autarchica, basata su regole proprie.

Robin Hood non è un eroe aristocratico come quelli dei poemi classici (Achille, Odisseo, Enea, ecc.), e non è nemmeno un cavaliere come i paladini di Francia della Chanson de Geste o i cavalieri della Tavola Rotonda nel ciclo arturiano. Tant’è che la tradizione moderna, dal Rinascimento in poi, ha voluto recuperare e ripulire la sua figura, facendone un nobile decaduto, il celeberrimo Robin di Locksley conte di Huntington, ripresa poi da romanzieri come Scott e Dumas e in tanti film. Ma nelle ballate medievali non c’è niente di tutto questo: Robin Hood è un uomo del popolo, uno yeoman, la cui arma prediletta è l’arco, un’arma leggera, da fantaccino. Ed è un bandito assai poco gentiluomo, che non si fa scrupolo di taglieggiare o uccidere i rappresentanti del potere costituito, anche con una certa spietatezza.

Il segreto della sua longevità è proprio questo: Robin Hood è il primo e sicuramente il più famoso eroe popolare sovversivo della letteratura. Ecco perché è una figura che non può tramontare. Per quanto sia stata raccontata in mille salse, affascinerà sempre.

Va aggiunto che la sua è una figura complessa già nei tratti originari. Robin Hood è al tempo stesso un bandito che si è dato alla macchia (cioè il prototipo del ribelle, secondo la celebre definizione di Ernst Jünger); ma anche un trickster, un imbroglione e maestro di travestimenti, cioè un archetipo narrativo; ed è anche uno spirito dei boschi, una personificazione del Green Man, dal punto di vista folklorico. Il romanzo di Wu Ming 4 tiene assieme i vari aspetti, immaginando la convergenza di storia, poesia e folklore, per raccontare una versione verosimile della nascita della leggenda.

Il booktrailer de La vera storia della banda Hood è stato ideato e realizzato da Alberto Merlin, con testi di Wu Ming 4, e musiche tratte da Bensound.com, license code: QYBHAERUCQ6ESN7H.

Grafico e illustratore di professione, Merlin è anche l’autore delle illustrazioni del romanzo a mosaico Cronache dalla polvere (Bompiani, 2019), opera collettiva sul colonialismo italiano in Africa, firmata Zoya Barontini.

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4 commenti su “La vera storia della banda Hood: ecco il booktrailer

  1. Non chiedere a una pendolare economica di cercare la liberia indipendente: i libri si comprano di corsa alla stazione e si leggono in un paio di viaggi.
    Così è stato per questo.
    La prima sensazione trasmessa alla lettrice è la paura, la paura costante dei braccati umani e magari anche no, ma questa seconda prospettiva non c’è nel testo. In questo senso il secondo capitolo è riuscitissimo. Pian piano però la banda resta sullo sfondo e la caratterizzazione e il racconto della loro vita si interrompono. Ci si focalizza sugli andirivieni di un personaggio esterno, del resto conformemente al tipo di letteratura da cui questi proviene, mentre prende il sopravvento un clima quasi da romanzo di spionaggio dove il conflitto è fra i poveri, i signori e lo stato, mentre chi può raccontare collega e trasmette informazioni e crea simboli. Conflitto di classe, con spiccate caratteristiche etniche, e solidarietà di genere, che talvolta gioca senza volerlo qualche brutto tiro al primo. Tutto ne esce demitizzato, a partire dalla foresta, da dove ovviamente chi si è da penultimo addentrato tornerà un dì sotto forma di leggenda. Conflitto che si trasforma in successione di stragi, il mondo descritto è violentissimo, ma le descrizioni non sono compiaciute.
    Forse favorito dalla “cortezza” complessiva il ritmo del libro è molto rapido, la tensione salvaguardata. La descrizione della foresta ha naturalmente qualche accento tolkeniano, senza esagerare. Magari un 150 p. in più avrebbero permesso di sviluppare meglio sia questo aspetto sia la descrizione della banda – in soldoni: preferivo quando facevate i romanzi più lunghi.

  2. Tra i vari carnefici il più crudele è il guardiacaccia del proprietario privato a guardia dei beni del padrone, forse perché rompe anche il confine tra animali umani e no: il suo ultimo ferimento quando non uccide ma immobilizza sembra il gesto compiuto sulla preda. È la seconda figura a attraversare istituzionalmente il confine fra mondo umano e foresta, ma in modo esclusivamente distruttivo verso chiunque altro lo faccia.
    Al confronto, il rappresentante dello “stato” (monarca) agisce con spregiudicatezza tentando comunque la salvaguardia di un equilibrio di più lungo termine.
    I temi della letteratura cortese sono rappresentati e rielaborati in modo naturale e non forzato.
    Non dettaglio oltre per non raccontare troppo.

  3. È un romanzo pieno di faglie, costruito intorno a segregazioni e misteri costanti: i gruppi di quel mondo comunicano pochissimo tra loro, al limite si indovinano e si spiano, ma non si capiscono e rimangono estranei, a partire dai due sessi. Ciascun gruppo segue una traiettoia vuota di incontri quanto piena di scontri (in questo è agli antipodi di Tolkien). L’eccezione è appena la banda. I monaci da fabliaux fanno proseliti mercanteggiando asilo e pane, riassorbono e uniformano; alla fine l’indipendenza più nutriente e meno rischiosa rimane sempre quella intellettuale e artistica dei cantastorie – che sono poche eccezioni.

    La leggenda la conoscevo e amavo da bambina, ma ho letto pochissime versioni, mai visto Disney e supremamente detestato Lester, impostomi dai genitori quando ero troppo giovane e mai più voluto rivedere: decisamente TROPPI lagni, conventi e pure gli avvelenamenti da parte di Marian. Così non ho molti termini di paragone.

  4. Ottimo assólo.

    L’ho letto “agilmente”. Nonostante ciò ne esco con le stesse sensazioni che si potrebbero provare al termine di una non altrettanto agile, but nonetheless pleasant, walk through the mud.

    La foresta è il personaggio che mi porterò dentro per un po’. Uno dei pochi ai quali, ahimè, non è dato di pronunciare parola.

    Trovo poi che il sovrano sia molto *virtuale*, quasi un avatar dei tempi moderni, in altra epoca e setting.

    Tra i vari conflitti poi, a me sembra di averne riconosciuto espresso anche uno tra i vari personaggi umani ed i loro rapporti di cura. Devo però ancora sviluppare la riflessione prima di poterla condividere. Per ora dico della bella storia e della compagnía.

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