Barcellona, Minniti, aviatori neri, Bus de la Lum. La Wu Ming Foundation prosegue il lavoro antifascista

Barcellona oggi e cinquant'anni fa

di Wu Ming 1

Barcellona resiste di nuovo, in massa, a una violenza poliziesca, militare, di derivazione chiaramente franchista e con espliciti elementi di fascismo. In questo modo torna a essere, come ottant’anni fa, centrale per le sorti d’Europa. Barcellona ci chiama a gran voce e ci chiede di prendere posizione.

Faccio notare questo prima di e a prescindere da qualunque valutazione sul referendum dell’1 ottobre, su tattiche e strategie dell’indipendentismo catalano ecc. Prima ci si schiera contro la violenza di stato che soltanto ieri ha lasciato per le strade quasi un migliaio di feriti, poi si discuterà del resto. Mi limito a far notare che l’indipendentismo catalano ha precise ragioni storiche e ha al proprio interno rilevanti forze internazionaliste, antifasciste, antirazziste, che hanno già rigettato più volte la finta solidarietà dei nostri Salvini, e dunque – al netto delle legittime perplessità – non meritano improvvidi paragoni con le miserie di casa nostra.

Ironia della sorte: più o meno nello stesso momento in cui la Guardia Civil cominciava a irrompere nei seggi elettorali, nelle edicole d’Italia arrivava il Corriere della Sera, con dentro un’intervista al ministro degli interni Marco Minniti.

Minniti era fresco reduce dalla festa di Fratelli d’Italia, dove aveva fatto il piacione ricordando di aver lavorato dietro le scrivanie di Mussolini e Italo Balbo, nonché lodando un celebre motto machista di quest’ultimo.

Nell’intervista, si poteva e si può leggere questo scambio (le sottolineature sono mie):

«Lei viene da una famiglia di destra?
Vengo da una famiglia di militari. Mio padre ebbe otto fratelli: tutti e nove fecero i militari.

Combatterono la Seconda guerra mondiale?
Molti sì. Nell’aeronautica mio padre servì la patria in tutti i modi e i luoghi in cui poteva farlo: Dodecaneso, Spagna, Africa settentrionale, Russia; e, dopo l’8 settembre, con gli Alleati. Mio zio era nei diavoli rossi, la pattuglia acrobatica.»

Tralasciamo, per il momento, le altre invasioni e guerre coloniali elencate con evidente fierezza da Minniti Jr., e concentriamoci sulla Spagna.

Minniti gongolante ad Atreju

Minniti gongolante in buona compagnia.

Quale patria servirono, di grazia, gli aviatori fascisti che – in missione clandestina, senza numeri di riconoscimento sulle carlinghe – spalancarono la via alla carneficina franchista bombardando a tappeto le città repubblicane, in primis Barcellona, sterminando migliaia di civili?

In Catalogna non hanno dubbi: quei bombardamenti furono crimini di guerra, e quegli aviatori italiani erano criminali di guerra. Infatti la giustizia catalana vuole processarli. Il Tribunale di Barcellona ha dichiarato quelle missioni

«[atti] indiscriminati contro civili, che avevano come unico scopo bombardare quartieri densamente popolati della città di Barcellona […] servendo così da prova generale per futuri bombardamenti contro civili, la qual cosa implica la  messa in opera simultanea di vari reati punibili dalla legge, da qualunque legge, in ogni tempo e luogo;  in concreto  erano proibiti dall’allora vigente Convenzione dell’Aia, e per la loro natura di lesa umanità e crimini di guerra non sono caduti in prescrizione […]»

Su come fu ridotta la città, si veda la mostra Catalogna bombardata.

Non è la prima volta che un ministro del PD esalta quegli aviatori. Il 5 marzo 2014 la ministra della difesa Roberta Pinotti affidò ai suoi profili social questo messaggio:

«Tanti auguri all’aviatore pluridecorato Luigi Gnecchi, classe 1914, cent’anni portati con invidiabile energia».

Pinotti e Napolitano

Pinotti e Napolitano.

In concomitanza con gli auguri di Pinotti, il generale Pasquale Preziosa (capo di stato maggiore dell’Aeronautica Militare) definì Gnecchi portatore di «valori cui è fondamentale continuare a riferirsi negli impegni di oggi e nelle sfide di domani».

Gnecchi – poi morto nel 2016 – aveva bombardato Barcellona e, insieme ai camerati nazisti, l’Inghilterra.

Ci sarebbe poi quel che sta accadendo a Fidenza, dove l’amministrazione PD ha appena dedicato un monumento all’aviatore repubblichino Luigi Gorrini.

Sui come e i perché del fascino che gli aviatori neri esercitano sull’aspirante Partito della Nazione (al netto dei motivi di famiglia di questo o quell’esponente), rimando all’inchiesta CasaP(oun)D, in particolare al paragrafo «Appunti sugli ultimi vent’anni e passa». In questa sede taglio corto, il giudizio definitivo lo ha già espresso un altro aviatore, Porco Rosso:


Quando osserviamo e pretendiamo di commentare ciò che avviene in questi giorni in Catalogna, dovremmo sempre tenere presente il nostro pregresso, e chiederci quanto il non aver affrontato tale pregresso condizioni il nostro sguardo.

In Italia si usa la parola «orrore» quando si ricorda il bombardamento di Guernica da parte degli aerei nazisti. Pablo Picasso dedicò all’episodio il suo quadro più famoso. Se l’avesse dedicato a uno dei bombardamenti – non meno orrorifici – perpetrati dagli aerei fascisti italiani, forse l’Italia avrebbe avvolto la sua opera nel silenzio e nell’oblio, o ne avrebbe parlato facendo mille pelosi distinguo.

L’ideologia borghese italiana, che ha avuto nel fascismo la sua sintesi più coesa e weaponized, è in gran parte fondata sul vittimismo, ergo nella nostra autorappresentazione non possiamo essere carnefici.
Pochi giorni fa lo ha scritto papale papale, sempre sul Corriere, Antonio Ferrari:

«L’italiano non è e non sarà mai un carnefice.»

Ferrari lo ha scritto a conclusione di un articolo raccapricciante, farcito di clichés e ridicoli falsi storici, ad esempio questo:

«le leggi razziali furono suggerite e caldeggiate da Hitler, e in realtà Mussolini vi si adeguò con qualche mal di pancia».

È una nota bubbola. Basterebbe leggere una delle testimonianze più famose sul tema, quella di Galeazzo Ciano, che nel suo diario scrive:

«4 SETTEMBRE. Il Duce è molto montato contro gli ebrei. Mi fa cenno ai provvedimenti che intende far adottare dal prossimo Gran Consiglio e che costituiranno, nel loro complesso, la Carta della Razza. In realtà è già redatto di pugno del Duce. Il Gran Consiglio non farà che sanzionarla con la sua deliberazione […]

5 SETTEMBRE. Borelli mi dice che a Milano c’è un’atmosfera pesante. I provvedimenti antisemiti, e quelli demografici hanno colpito troppe persone per essere popolari. Ma il Duce, quando lo crede necessario, ha il coraggio della impopolarità, e finisce per avere ragione lui […]

6 OTTOBRE […] Il Duce, negli intervalli [del Gran Consiglio], mi dice: “le discriminazioni non contano. Bisogna sollevare il problema. Ora l’antisemitismo è inoculato nel sangue degli italiani. Continuerà da solo a circolare e a svilupparsi. Poi, se anche stasera sono conciliante, sarò durissimo nella preparazione delle leggi.”»

E potrei continuare.
Un puntuale commento all’articolo di Ferrari lo ha scritto Gadi Luzzatto Voghera e si può leggere sul sito Moked.

Cronache di un mal di pancia.

Il Corriere: 80 anni di «mal di pancia».

L’italiano non può essere carnefice. Per sottrarlo di forza a questo ruolo, non soltanto – nei casi in cui c’è – si nega l’evidenza, ma addirittura la si rovescia, come è accaduto con la foto dei fucilati di Dane, il più noto e ricorrente falso fotografico sulle foibe.

Più o meno in contemporanea con l’articolo di Ferrari, su La Stampa è uscita a tutta pagina, a firma di Andrea Cionci, una riprovevole sviolinata all’associazione A.R.I.D.O., fondata a Bologna dal medico Daniele Moretto.

L’articolo spoliticizzava A.R.I.D.O. e la presentava – tra esotismo e lacrimucce – come realtà dedita alla misericordia, impegnata a dar giusta sepoltura ai «nostri caduti», «fautrice di una grande opera di documentazione, ma soprattutto, di pietà».

A dirla tutta e senza perifrasi, A.R.I.D.O. è un sodalizio di apologeti del colonialismo fascista.
Del resto, basta una rapida occhiata ai loro profili social per trovarli in gita indovinate dove?

ARIDO a Predappio

Questi sono solo gli esempi più recenti ed eclatanti. La classe politica e i mezzi di informazione mainstream italiani si crogiolano sempre più in una tiepida melma revisionista, revanscista, nazionalista, neocolonialista.

Non parlo dei politici esplicitamente fascisti, né dei giornali espressamente orientati come Libero, Il Giornale o La Verità, ma di uno schieramento politico trasversale, che accomuna tutti i maggiori partiti, e dei giornali presuntamente «di centro», gli organi della borghesia «liberale»: il Corriere della Sera, La Stampa… Solo pochi giorni fa sul Corriere si proponeva senza giri di parole un nuovo colonialismo, ovviamente con la foglia di fico dell’aggettivo «solidale».

Questo mentre nei talk show televisivi e radiofonici, e ovviamente nel carnaio dei social media, tira innanzi un sempre più lercio spettacolo xenofobo e razzista, che si nutre anche della mancata «decolonizzazione del pensiero». Decolonizzazione più che mai urgente e necessaria, perché, come ha scritto di recente lo storico Gabriele Proglio:

«La decolonizzazione del pensiero […] riguarda tanto il passato, e lo studio storico degli spostamenti di memoria relativi all’oltremare, quanto il presente, ossia l’immaginario xenofobo, islamofobo, razzista e sessita che recupera, in modo incessante, immagini da quell’archivio ancora funzionante per inventare sempre nuovi nemici, interni ed esterni.»

Per questo il lavoro di soggetti come Nicoletta Bourbaki – che smonta i falsi storici su Resistenza e fascismo – e Resistenze in Cirenaica – che affronta la cattiva memoria e i nodi irrisolti del colonialismo italiano – risulterà sempre più necessario.

Ecco. Questa carrellata su varie schifezze storico-politico-giornalistiche è servita anche da lungo preambolo a quanto sto per segnalare.

Nel 2016, qui su Giap, Nicoletta Bourbaki e Lorenzo Filipaz hanno ricostruito (in due puntate: 12) la genesi di uno dei falsi storici più assurdi in tema di «violenze partigiane», quello incentrato sul Bus de la Lum, cavità carsica sull’altipiano del Cansiglio, tra Alto Veneto e Friuli.

Quello sul Bus de la Lum è il falso storico cruciale per capire una genesi più ampia: la nascita della moderna “foibologia”.
La storia della storia degli (inesistenti) «infoibati nel Bus de la Lum» ci riporta direttamente al ruolo che ebbe la X Mas nel porre le premesse di una narrazione altamente tossica, poi rigenerata e ricodificata negli anni Novanta da alcuni personaggi del sottobosco neofascista, in primis tale Marco Pirina.

Alpinismo Bourbaki

Alpinismo Bourbaki

Qualche settimana fa, membri di due collettivi della Wu Ming Foundation, Alpinismo Molotov e Nicoletta Bourbaki, si sono uniti e recati in missione al Bus de la Lum. Lo hanno fatto alla vigilia di una commemorazione neofascista. Il giorno dopo, sono saliti alla Cima Manera, detta anche Monte Cavallo. Insieme, hanno scritto un utilissimo resoconto, che ora si può leggere sul blog di Alpinismo Molotov. Si intitola Dall’abisso alla vetta: come Alpinismo Molotov incontrò Nicoletta Bourbaki al Bus del la Lum. Buona lettura.


N.d.R.
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49 commenti su “Barcellona, Minniti, aviatori neri, Bus de la Lum. La Wu Ming Foundation prosegue il lavoro antifascista

  1. Questo è un post che ci voleva, per aiutarci a mettere a fuoco la ribellione contro la monarchia spagnola in corso in questi giorni in Catalogna. Il catalanismo repubblicano è da sempre in simbiosi con l’antifascismo, perché due nessi sono sempre rimasti abbastanza chiari nella sinistra e nei movimenti di lotta in Spagna:

    1. il nesso tra il franchismo e i fasti passati dell’imperialismo spagnolo (del resto la rivolta contro la Repubblica è iniziata in una colonia: il Marocco) e

    2. il nesso tra i miti decaduti della Spagna imperiale e “l’imperialismo interno” contro i baschi, i catalani e i galiziani.

    In Italia questa consapevolezza è parecchio debole, anche in ambiti antifascisti si parla di rado di Libia, Africa Orientale, Balcani, Grecia, e della persecuzione linguistica lungo i confini. Ci sono anche motivi oggettivi: il rimosso coloniale, per un imperialismo relativamente sfigato come il nostro, è più facile che per la Spagna che ha invaso mezzo pianeta; la quasi-coincidenza (con l’unica eccezione rilevante degli svizzeri ticinesi) tra lingua e appartenenza nazionale, nonostante i corrugamenti dati dai dialetti e dalla miriade di varietà locali, ci rende poco sensibili alle questioni nazionali altrui.

    Stanotte qualcuno su Twitter mi ha deriso perché ho detto che non esistono fascisti catalani. Ma è vero! Esistono catalani fascisti, cioè catalani che sono fascisti, ma non esistono fascisti catalani perché il fascismo in Spagna è sempre spagnolista. I catalani fascisti non sono fascisti catalani, sono fascisti spagnoli, gridano «Viva la Spagna» in castigliano o anche in catalano, ma usando il mito della macronazione spagnola, madre premurosa ma soprattutto padre severo delle micronazioni costituenti. Allo stesso modo gli austriaci nazisti non sono nazisti austriaci, sono nazisti tedeschi, parlano di «Patria Tedesca» ecc.

    Lo spagnolismo non è una forma di internazionalismo proletario e nemmeno di “sovranazionalismo” borghese, perché vede una cultura nazionale specifica come egemone e “riassuntiva” delle altre. Si tratta di una forma moderna e ripulita, post-franchista e in qualche misura anche più politicamente corretta, della visione nazionalista tradizionale per cui in Spagna si parla spagnolo e le altre lingue e culture vanno bandite ed eventualmente assimilate in forma di varianti folkloristiche.

    Questo discorso ovviamente non risolve il tema complesso dell’indipendentismo, coacervo di tendenze politiche ed espressione di classi sociali diversissime tra loro. Puigdemont è un liberale di destra, indipendentista per opportunismo, e il suo partito ha promosso politiche di austerità analoghe a quelle del PP. Del resto un movimento nazionale è per sua natura interclassista, anche se l’esperienza insegna (cfr. Irlanda, Kurdistan, whatever) che le divisioni politiche e di classe emergono sempre, e spesso sono proprio i primi successi a farli scoppiare; guardatevi “Il vento che accarezza l’erba” di Ken Loach, un regista tra l’altro che ha fatto un filmone sulla Catalogna che ci ricorda che la Catalogna è uno dei pochi posti in Europa occidentale dove per qualche tempo nel Novecento la classe operaia ha preso il potere. O più semplicemente leggete i giornali nei prossimi giorni perché è quello che succederà.

    Di fronte alla violenza monarchica centralista esercitata dalle forze di polizia al servizio di un governo reazionario, il primo dovere a me sembra sempre quello di difendere il diritto all’autodeterminazione. La democrazia, rappresentativa o plebiscitaria, è un concetto inventato dalla borghesia ma che si è sempre (fin dalla rivoluzione inglese o da quella francese) sorretto sulla mobilitazione delle masse plebee e sanculotte. Ai giorni nostri, parlare di «borghesia catalana» commentando centinaia di persone del popolo (proletari e piccola borghesia) che sfidano la polizia per andare a votare, costituendo Comitati di Difesa del Referendum che ora si stanno trasformando in organi assembleari permanenti come Comitati di Difesa della Repubblica, mi sembra un po’ riduttivo o addirittura complottista. La borghesia catalana reale (e non la sua ombra “impazzita” che si chiama Puigdemont), che ha giocherellato sempre con l’autonomismo ma si trova a disagio con l’idea di fare una repubblica indipendente, ha denunciato il referendum come un golpe e guarda con speranza alla Guardia Civil e all’esercito inviati da Madrid.

    Se lo scontro tra il Regno di Spagna e la Repubblica Catalana, che si intreccia inevitabilmente con la lotta di classe, riproporrà violenze poliziesche o addirittura sfocerà in scontri militari veri e propri, non possiamo permetterci un atteggiamento di indifferenza o peggio di difesa dello status quo. Questa può diventare una questione enorme in Occidente per l’antifascismo e per la lotta contro la repressione e per i diritti dei popoli. Ovviamente il nazionalismo è un nemico anche quando è “il nazionalismo dei piccoli” e si combatte in primo luogo stando dentro i movimenti di massa a promuovere l’unità al di sopra delle divisioni etniche e linguistiche.

    Per fortuna mi pare che nello stesso movimento indipendentista la rilevante componente di sinistra e anticapitalista abbia chiara questa necessità e si sforzi di coinvolgere gli spagnoli e collegarsi alle lotte in corso nel resto della penisola. In tutta la Spagna c’è chi vede in questa situazione l’occasione per far crollare «il regime del ’78» cioè l’assetto monarchico post-franchista e ci sono state numerose manifestazioni contro la repressione del 1° ottobre e per il diritto ad autodeterminarsi. Dall’Italia, anche per il nostro passato fascista e interventista in Catalogna, può aiutare molto mostrare affetto e solidarietà per le lotte al di qua e al di là dell’Ebro, nonché rispetto per le aspirazioni nazionali anche quando fatichiamo a capirle o ci sembrano strane fissazioni (facile giudicare con sufficienza le oppressioni altrui…).

    • Ottimo il commento di @maurovanetti.
      Aggiungerei alcune cose per cercare anche di smontare una parte di un discorso che da sinistra si sta facendo da piú di due anni.
      Un discorso che idolatra in maniera acritica Podemos e En Comú, Ada Colau, e queste nuove confluenze riformiste di sinistra che hanno vinto in alcuni comuni, e che contemporaneamente invisibilizza il lavoro fatto dal movimento anticapitalista indipendentista fino ad ora.

      Spesso si parla di CiU-PDeCat, Puigdemont e la destra neoliberale catalana, legandola in qualche modo alla borghesia catalana, e sintentizzando il fatto che sono l’espressione della borghesia. Chi ne parla ha una scarsa conoscenza storica della questione catalana e non sa che chi ha iniziato il reale “procés” era Artur Mas, sempre dello stesso partito. Ma perchè ora non se ne parla e nessuno lo ricorda? Perchè in realtà è stato eliminato politicamente non da questioni interne al partito, ma da una forza, indipendentista e anticapitalista, che entrando nello scenario politico, con solo 10 parlamentari, è riuscita a escluderlo, anche grazie alla congiunzione politica-elettorale.

      La Cup, la candidatura di unità popolare, che viene dal movimento indipendentista, marxista, socialista, femminista, che per anni ha lavorato solo ed esclusivamente a livello di movimento, nei quartieri, in molti anni è riuscita a costruire un piccolo partito con una capacità di azione importante nell’arco istituzionale e nel processo indipendentista. É stata lei che ha imposto il discorso della “disobbedienza” al tribunale costituzionale e alle istituzioni spagnole, é stata lei che ha fatto riprendere di tematiche sociali a partiti come ERC che da anni, dopo le alleanze con il Partito Socialista Catalano e poi con CiU, sembrava disinteressata a miglioramenti sociali nel territorio. É stato il lavoro di 10 piccoli parlamentari che hanno impedito l’elezione di Artur Mas, che “morir matando” ha deciso di mettere Puigdemont, il suo delfino, e di chiedere la testa di alcuni parlamentari della CUP per poter iniziare a sviluppare il processo che ha portato al referendum.
      Questo piccolo partito riesce, con un lavoro di egemonia culturale potentissimo, a imporre un discorso che mai nessuno ci si sarebbe aspettato. Ad esempio: il 20 settembre Junqueras, vicepresidente della Generalitat, di ERC, afferma “sols el poble salva el poble”, solo il popolo salva il popolo, una frase della Sinistra Indipendentista, cantanta anche da gruppi politicizzati come KOP; Il 2 ottobre i lavoratori della Caixa, la banca di risparmio catalana per eccellenza, scesero in strada, tagliando la Diagonal, una arteria stradale importante di Barcellona, scendendo slogan come “Els Carrers saran sempre nostres”, le strade saranno sempre nostre. Frasi che sono sempre state in bocca all’area anticapitalista, al movimento, a chi già manifestava contro la costituzione del 78 negli anni 90, mentre si costruiva la Barcellona Olimpica.
      Questo attore politico è sempre stato negato a livello informativo agli italiani che non hai mai visto un riferimento internazionale interessante, tanto per metodologie e pratiche di lotta, quanto a risultati ottenuti. Ed è un peccato, osservando i resultati.

      La seconda cosa che mi preme spiegare è il posizionamento di Podemos e EnComú rispetto a tutta la questione. Partiamo da una base fondamentale. Questi partiti entrano nell’area della sinistra spagnola. Quindi già di per sé entra in una contraddizione importante. Essere di sinistra, ma incorporare tutto l’insieme dei valori di una costruzione nazionale principalmente franchista, come è il concetto stesso di Spagna (Una,grande e libera). Questa contraddizione si traduce nella incapacità storica di accettare i processi di autodeterminazione dei popoli, che si vengono difesi a parole, ma nella pratica vengono osteggiati. Spesso con proposte poco ragionevoli come fare un referendum quando ci sarà una maggioranza spagnola a favore di un referendum (cosa che neppure è certa nel lungo termine) o di parlare di qualche struttura plurinazionale dove possa stare dentro la monarchia spagnola, la repubblica catalana (che già di per sé, suona a contraddizione).
      Infatti, molte persone affini o membri di questo partito o ampio “movimento riformista” non si sente comoda per molte ragioni con una divisione territoriale dello stato spagnolo, e cercano continuamente di non posizionarsi in nessun modo sulla questione, anche con ragioni molto tatticiste.
      Basti pensare a cioè che ha fatto Ada Colau, sindaca di Barcellona. Avendo la possibilità di fare un governo con forze realmente di sinistra (CUP e ERC), partiti che non avevno responsabilità rispetto ai processi di gentrificazione e turistificazione della capitale catalana, ha deciso di allearsi con il partito socialista, responsabile della “legge anti degrado” del 2006, della Barcellona delle olimpiadi del 1992. Un partito federato con quello che fino a poco tempo prima chiamava “la mafia”. Perchè? Per non accettare le istanze di un possibile cambio territoriale, in parte spaventata di perdere potere nelle periferie dove c’è una forte presenza di migranti dello stato spagnolo, quindi probabilmente non a favore dell’indipendenza. Da li a poco abbiamo iniziato a vedere una deriva verso il dentro abbastanza preoccupante, come quando chiedeva ai lavoratori del metro e dei trasporti pubblici di annullare lo sciopero per poter iniziare un tavolo di negoziazioni, o cercado di imporre servizi minimi tra l’80% al 100%. Il tutto condito con una buona propaganda, in cui si parlava delle molteplici multe che l’alcaldessa aveva dato a Airbnb o alle Banche, le responsabili dell’emergenza abitativa in italia. Dico propoaganda perchè, attualmente, non è stato recuperato neppure un euro di quelle multe.

      Aggiungo anche un piccolo dettaglio. Per molta sinistra, per molti italiani che vivono qui, il catalano è un problema, un fastidio. E quindi si genera un rifiuto culturale totale a tutto cioè che è catalano. Processi politici inclusi. Sembra una cazzata, ma non piú di tanto. Lo shock culturale di trovari una realtà diversa dell’agognata spagna politicamente e socialmente avanzata di Zapatero, della vesta eterna dell'”albergo spagnolo”, genera rifiuti a tutte le componenti culturali che non erano prese in considerazione. Se Barcellona viene venduta come la capitale della festa, del divertimento, del costo basso, vedere una realtà diversa, un problema abitativo, una lingua differente, porta molti a dover rifiutare questa componente e, contamporaneamente, colpevolizzarla di tutti i problemi di difficoltà d’integrazione che possono accadere.

    • Francamente tutto questo suona davvero strano visto da La Coruña…
      Nel proces, l’antifascismo si é visto poco, cosa invece é sempre stato evidente é un certo autoritarismo identitario di destra che purtroppo sta flagellando mezzo mondo. Tra Rajoy e Puidgemont hanno fatto a gara di esternazioni seguendo la solita lotta tra galli ormai tristemente normale: muro contro muro si creano solo macerie.

      • Ma in che senso “l’antifascismo si è visto poco”? Se intendi dire: si è visto poco nei media spagnoli(sti), beh, mi sembra più che normale. Infatti, come dici, i media mainstream – spagnoli e italiani – hanno focalizzato sulle “personalità”, sui singoli capi, Rajoy e Puidgemont, attivando il frame del “duello”.

        Invece, avrai notato che nei resoconti presenti qui, e nelle analisi basate sul confronto di fonti più diversificate, Puidgemont rasenta l’irrilevanza.

        Io ho cercato di informarmi da qui dando per scontato
        1) che i media mainstream italiani coprono la politica estera in modo generalmente vergognoso e non bisogna MAI E POI MAI fidarsi di quel che scrivono ma verificare sempre;
        2) che i media mainstream spagnoli hanno un ovvio bias centralista e sono ancora impregnati di ideologia della “transizione”.

        Informandomi guardando video, leggendo testimonianze dirette, approfondendo per quanto potevo (soprattutto il ruolo della CUP), devo dire che di antifascismo ne ho visto davvero tanto. Chiaro, esplicito, combattivo.
        Avercene.

        • Autoritarismo identitario direi proprio no. Una delle particolarità della riconquista catalanista negli ultimi quarant’anni è stata invece l’inclusività. Molti indipendentisti catalani di oggi hanno cognomi chiaramente non catalani. Sono catalani di recente immigrazione o di seconda generazione.
          In ogni caso, la variabile etnica (diciamo così) è sempre rimasta molto sullo sfondo nel Procés. Sono emersi invece altri temi, in primo luogo il “diritto a decidere” e il richiamo costante ala sovranità popolare.
          Temi che, nell’azione della CUP, per esempio, si sono saldati a una forte presa di posizione teorica e pragmatica anti-capitalista, laica, femminista.

          Dice bene WM1, lasciamo perdere i frame interessati e i resoconti dei media mainstream. Ci sono innumerevoli testimonianze, anche video, sui fatti del 1-O e sui giorni successivi. L’antifascismo in Catalogna è un sentimento diffusissimo, in modo capillare. È facile farne esperienza diretta anche in circostanze normali. Ci sono molte famiglie che sotto Franco hanno patito l’esilio o il carcere di qualche nonno o genitore e ne conservano una memoria vivissima.
          Non solo. Durante le manifestazioni, prima durante e dopo il 1-O, la componente esplicitamente antifascista era evidente, e non solo tra le file della CUP o di ERC.

          Quel che mi è stato risposto, a precisa domanda, da alcuni portavoce di partiti autonomisti e indipendentisti, lì, a Barcellona, è stato che la forza del processo di autodeterminazione (quale che ne sia alla fine l’esito giuridico) non si muove dall’alto in basso, ma viceversa è un processo popolare che “spinge” la politica istituzionale. E devo dire che ne ho visto anche qualche dimostrazione. Basti pensare al lavoro della ANC.

          Insomma, mi sembra un’obiezione poco aderente alla realtà storica in corso.

        • La TV neanche la stavo considerando (stan passando certe cose su RTe che manco La7)… Io mi riferivo a commenti e pareri di colleghi, amici, parenti e attivisti di qui: per molti la questione catalana é una cosa fuori dal tempo: cancellata dalla UE e da Schengen. In un anno in cui persino l’ETA si é disarmata questo riavvamparsi della fiamma indipendentista da cosa é causato? Non ci sono state a monte decisioni nazionali alle quali opporsi e non c’é nel proces nemmeno un programma politico preciso o strutturato: le richieste di Puidgemont sfioravano il ridicolo (ricordavano quelle di Boris “cake” Johnson) era CHIARO che fossero solo provocazioni incendiarie.

          Anche questa dichiarazione di Mauro che in catalogna “i fascisti non esistono” mi sembra una bella iperbole: in Spagna non c’é solo il fascismo franchista; ogni comunitá autonoma ha le sue frange di fascismo “autonomo” con la sua bella iconografia e organizzazione. Qui in Galizia ad esempio un certo “orgoglio identitario” attinge a casaccio da Breoghan a Amancio Ortega passando per Viriato e Pelagio… Dubito che in Catalogna non ci sia qualcosa di simile dietro tante proteste indipendentiste.

          L’impressione “di strada” qui é che tutto questo sia una manovra alla ricerca di consensi: piú ne guadagna Puidgemont a dichiarare l’impossibile, piú me guadagna Rajoy mandando picchiatori. Una win-win di criminali di destra fatta sul sangue delle persone Per caritá: belle le immagini di vigili del fuoco e volontari che fanno scudo ma quando la polvere si sará abbassata che cosa rimarrá?

          • Ma come ricordava Omar qui sopra, il Procés non è partito da Puigdemont, e non è nemmeno stato guidato da Puigdemont. La mia impressione, per quel che vale, è che le miriadi di persone che hanno animato il referendum dell’1 ottobre, hanno sostenuto la repressione nei seggi e nelle strade, sono scese in piazza, hanno fatto lo sciopero generale, continuano la mobilitazione, non lo stiano affatto facendo per Puigdemont. In questo momento, Barcellona mi sembra la città dello stato spagnolo dove Puigdemont è meno nominato in assoluto…

          • @opellullo.
            Tu scrivi:
            “In un anno in cui persino l’ETA si é disarmata questo riavvamparsi della fiamma indipendentista da cosa é causato? Non ci sono state a monte decisioni nazionali alle quali opporsi e non c’é nel proces nemmeno un programma politico preciso o strutturato[…].”

            Intanto l’ETA si è disarmata per una scelta strategica che non implica affatto la rinuncia all’indipendenza di Euskal Herria. Si tratta di prendere atto che la lotta armata è del tutto inutile, se non dannosa, in questo processo (oltre che largamente fuori tempo massimo, storicamente parlando).

            Se dici che non ci sono state “decisioni nazionali [immagino significhi “da parte delle istituzioni centrali spagnole”] alle quali opporsi”, vuol dire che ti sfugge tutto il pregresso della situazione odierna.

            Copio-incollo qui una parte del migliore resoconto che abbia letto finora in giro. Riguarda gli aspetti costituzionali e politici che hanno causato la radicalizzazione recente della dialettica Madrid-Barcellona. Non è tutto qui, naturalmente, ma è giusto per mettere in fila i fatti.

            “1-Il conflitto Costituzionale.
            Il primo punto da chiarire è che il conflitto istituzionale tra la Catalogna e la Spagna risale al 28 giugno del 2010, quando il Tribunale Costituzionale deroga una serie di articoli del nuovo Statuto catalano, che erano stati denunciati dal PP (Partido Popular) dopo la sua approvazione da tutte le istanze previste.
            Ricostruiamo i fatti.
            La scrittura di un nuovo Statuto per la Catalogna, capace di accogliere le inquietudini di autogoverno della società catalana, venne lanciata da Pasqual Maragall, e culminò in una approvazione per assolutissima maggioranza al Parlamento catalano (120 voti a favore, di tutte le forze politiche, tranne i 15 voti contrari del PP). Il testo venne poi portato alle Cortes di Madrid, dove soffrì un importante ridimensionamento, nonostante la promessa di Zapatero di approvarlo così come il Parlamento catalano l’avesse consensuato. Fu una prima umiliazione, ma alla fine il nuovo Statuto, in questa versione “ritagliata” (con il 50% degli articoli ritoccati), venne approvato prima dalla Camera (marzo 2006) e poi dal senato (maggio 2006). Questo testo, che non era certo quello che i catalani avrebbero voluto, venne poi sottoposto a un referendum il 18 giugno del 2006, per entrare poi in vigore a partire dal mese di agosto. Si era dunque seguita la trafila stabilita dalla Costituzione per rinnovare i testi Statutari delle autonomie previste dalla Carta. Ma ecco che vennero presentati al testo numerosi ricorsi di incostituzionalità, in particolare da parte del PP, che raccolse quattro milioni di firme (e molti consensi “di pancia”) in una campagna catalanofobica da fare rabbrividire. Per farla breve (perché il processo è stato lungo), il 28 giugno del 2010 il Tribunale Costituzionale revoca 13 articoli, lasciando lo Statuto praticamente allo stesso punto in cui era prima della riforma. Ecco il vulnus costituzionale, che ha reso inservibile quella Carta a cui tanto si appellano, oggi, le forze della conservazione. Tutti le legittime aspirazioni di miglioramento dell’autogoverno dei catalani sono state frustrate non solo dalle politiche chiaramente sfavorevoli dei vari governi, sia del PSOE che del PP, che si sono avvicendati a Madrid, ma dallo stesso procedimento di riforma statutaria prevista dalla Costituzione. Teniamo presente che, pochi giorni dopo la decisione del TC, ci fu a Barcellona una manifestazione autoconvocata dalla “Piattaforma per il diritto a decidere” che raccolse più di un milione di persone, segnando l’inizio della stagione delle mobilizzazioni, durata ininterrottamente dal 2010 fino a oggi.”

            A questo si somma, nel corso degli ultimissimi anni, l’impugnazione sistematica da parte soprattutto del PP di leggi approvate dal parlamento catalano su materie a contenuto sociale, welfare, diritti civili, ecc.

            Direi che parlare di mancanza di un “casus belli” (con tutte le virgolette del caso) è quanto meno inesatto. Senza contare le ragioni più profonde sedimentate nel corso dei decenni, almeno dalla repressione della Repubblica catalana in poi (lasciando stare le epoche più lontane).

          • Credo sia un errore semplificare la realtà galiziana con la realtà catalana perchè alla fine “sono vicine”. Culturalmente ci sono processi differenti, politicamente anche.
            Anche guardando il posizionamento delle grosse imprese, guardate cosa sta succedendo in sti giorni. Stanno cambiando tutti le sedi sociali (che poi è una farsa) ma mandano il messaggio che non vogliono stare in un territorio perchè non sicuro economicamente, ossia dove non ci sia la possibilità di arricchirsi in tranquillità (con una visione di classe). E parlo di banche (la caixa e sabadell) e altre aziende ne parlano (albertis, etc).

            Inoltre quale è il fascismo autonomo o autonomista catalano? Suonano a cose abbastanza strane, o meglio, suona al discorso di giornali come El Pais che parla del governo Xenofobo di Puigdemont. Ricordiamo la grande e unica manifestazione a Barcellona per i rifugiati, il fatto che le aggressioni razziste vengono fatte da persone che si collocano nello spettro dello spagnolismo e non dell’indipendentismo, che non esistono gruppi di estrema destra catalana, etc.

            E aggiungo il paradossale posizionamento di Rajoy di un paio di giorni fa. Rajoy a favore dell’autonomismo degli anni 80 catalano, quello di Pujol, quello che ha generato la corruzione in catalogna e la distruzione di molti servizi basici (come la sanità), che alla fine ha generato il famoso 3%, che è stata utilizzata da partiti di destra per screditare l’indipendentismo nella sua totalità. Quindi è sempre la questione nazionale che viene toccata, sul fatto che spagna non si puó rompere.

          • @opellulo

            Non ho ben capito le tue osservazioni: stai dicendo che i tuoi colleghi che abitano alla Coruña (una città che dista più di 1000 km da Barcellona) non vedono l’antifascismo nel processo catalano e non ne capiscono le motivazioni? Boh, anche qua a Pavia, che siamo ancora più vicini (solo 964 km), un sacco di gente non ci capisce un granché… :-)

            L’antifascismo è evidente in tutto il processo e in tutta la sua storia, ovviamente proprio come l’antifascismo in Italia viene declinato in modi molto diversi dalle istituzioni borghesi e dai movimenti di massa. Sarei curioso invece di capire l’«autoritarismo identitario di destra» da cosa viene dedotto, se non da pregiudizi. Trovo particolarmente paradossale e pericoloso parlare di autoritarismo per etichettare le vittime dell’autoritarismo dello Stato centrale: verso chi sarebbero state autoritarie? hanno preso a testate con troppa foga i manganelli?

            Poi mi dici che «dubiti» che non ci siano dei fascisti catalanisti dietro le proteste indipendentisti. Scusa ma ancora una volta questo non è un argomento. Se esistono, dimmi il nome di un gruppo rilevante di fascisti catalanisti. I dubbi hanno senso se sono basati sulla conoscenza, non sul suo contrario. L’unico gruppuscolo di cui ho trovato (con fatica) traccia è praticamente irrilevante, si chiama Unitat Nacional Catalana (https://ca.wikipedia.org/wiki/Unitat_Nacional_Catalana) ed è stato sciolto, pensa un po’, nel 2014, in coincidenza col rafforzarsi dell’indipendentismo. Non si sono neanche ricordati di pagare il nome di dominio del sito che è tornato di proprietà del servizio di hosting.

            Ci sono degli studi su come la polarità catalanismo-spagnolismo sia andata ad identificarsi negli ultimi anni con la polarità sinistra-destra: “¿O catalanistas o fachas?” (http://www.lavanguardia.com/politica/20160321/40582323018/nacionalistas-izquierda-espanolistas-derecha.html). In effetti è piuttosto comune la lamentela tra gli oppositori dell’indipendenza di sentirsi automaticamente considerati «fachas», cioè fascisti, al primo segnale di patriottismo spagnolo. Si può discutere sul fatto che questo automatismo sia giusto o sbagliato, ma sicuramente è indicativo di quanto sia profonda la connotazione antifascista del catalanismo.

            Trovo infine curiosa l’attenzione spasmodica che viene data a Carles Puigdemont (non Puidgemont!), un vero e proprio Signor Nessuno che è stato piazzato lì perché Arturo Mas era diventato impresentabile e la CUP si era messa di traverso per farlo fuori. Non è Puigdemont a determinare l’andamento del processo, che è il frutto di una grande quantità di spinte contrapposte in cui sicuramente il PDeCAT (partito catalanista di centrodestra) gioca un ruolo ma è solo uno dei numerosi attori. Se leggiamo in modo complottista tutta la vicenda come frutto delle macchinazioni del diabolico Puigdemont non capiremo un bel niente e soprattutto ci dimenticheremo di un soggetto fondamentale cioè le masse popolari catalane.

      • Credo sia abbastanza possibile che la narrazione che sia arrivata a la Coruña sia parziale, sempre in funzione di che canali di comunicazione si siano utilizzati (l’1-O c’erano molti compagni della galizia che erano venuti a dare sostegno al referendum). Ma andiamo per passi.
        “nel procés, l’antifascismo si è visto poco”. In che senso scusa? Dal 2010 abbiamo potuto vedere come partiti di destra spagnola monarchici (PP e PSC) siano passati da essere elementi centrali della politica catalana a diventare residuali nella scena politica. Fino al punto in cui, nella manifestazione di ieri PSC, PP, C’s sfilavano assieme a Democracia Nacional, gruppo di estrema destra, La Falange, Somatemps. Probabilmente, lo stesso procés é antifascista.

        Ricordo che prima di Puigdemont c’era Mas, e i tentativi di accordi, dialogo sono stati diversi. Tutti negati sempre dal governo di Madrid. Sembra curioso come in realtà una continua negazione di poter trovare un possibile accordo si trasformi in uno scontro tra due egocentrismi di personalità politiche. Sembra quasi che Convergència e quindi Pdecat non abbiamo voluto parlare in questi anni, cosa che hanno continuamente cercato di fare fino a pochi giorni prima del 1 ottobre, mentre la catalogna era militarizzata dal Guardia Civil e Policia Nacional. Cosa avrebbe dovuto fare Puigdemont o l’ampio spettro indipendentista? Nella complessa situazione del comprendere se tutto il popolo catalano vuole la indipendenza hanno deciso di ricorrere alle urne come strumento per determinare quali siano le reali maggioranze che sono favorevoli a una repubblica catalana. Però il fatto stesso di mettere in questione la stessa unità di spagna, che è uno dei tre punti basici del postfranchismo, non puó essere fatta.

        Aggiungo: il confronto Rajoy-Puigdemont in realtà è un falso dibattito. Se ci fosse stato l’amatissimo Zapatero, la cosa non sarebbe stata possibile comunque, figurarsi con Pedro Sanchez. Perchè PP-PSOE-C’S compongono il 70% delle forze istituzionali che sono a favore della monarchi spagnola e contro la formazione di una qualunque repubblica nello stato spagnolo.Lo scontro reale è, dal mio punto di vista, lo stato spagnolo come struttura istituzionale e immaginario politico contro il progetto politico di una repubblica catalana indipendente. Quindi, tolto Puigdemont o Rajoy arriverà qualcun’altro a sostituirli.

  2. Mauro, hai reso razionale e spiegabile tutto quello che, con la consueta confusione, mi gira in testa in questi ultimi giorni. Per vari motivi irrazionali sono affezionato (come auspichi tu) alla Catalogna, anche intesa come “cugina” dell’Occitania. Avevo realmente bisogno di questo post e poi del tuo intervento.

    Spero di non sbagliare pensando che quello che sta succedendo là ci costringe a fare una distinzione sempre più necessaria tra identità e identitarismo, e tra popolo e patria. In pratica, tra catalogna, kurdistan, euskadi, ulster, palestina ecc. da una parte, e dall’altra pericolose pagliacciate come il leghismo italiano attuale, che se già in origine è stato un movimento senz’altra identità che il non voler più mandare soldi dalle provincie ricche verso quelle povere (dimenticando quanto anche il nordest sia stato povero in passato, e quanto ricco il meridione prima dell’unità), oggi com’era prevedibile limona giulivo con le destre più estreme (e la dimostrazione della non-identità in seno alla lega sta proprio nel fatto che oggi Salvini che si fa alfiere dell’interesse nazionale e non piu’ di quello nordista non venga considerato un traditore).

    Penso inoltre che la stessa distinzione sarebbe indispensabile anche a livello di eventuale Comunità europea (maiuscola, cioè non quella esistente), che potrebbe avere un senso soltanto in quanto “Comunità di Comunità”, ma questo senso realisticamente non può averlo, lo sappiamo fin dalla sua nascita e lo sta brillantemente dimostrando. Se in un mondo ideale (tipo forse il Rojava?) l’europa sarebbe la prima garante dei diritti delle identità linguistiche e culturali contro gli stati nazionali, dei quali dovrebbe porsi come superamento, in quello reale preferisce ignorare il principio fondante dell’autodeterminazione dei popoli e garantire acriticamente le costituzioni nazionali. Fate ciò che vi pare in casa vostra, purché non si discuta sui soldi.

    Infine un dubbio, e mi rendo conto che è un tema delicatissimo: ho l’impressione, da non militante, che a volte da sinistra si condanni acriticamente qualsiasi concetto di identità intesa come la stiamo vedendo in Catalogna, per paura di non essere abbastanza internazionalisti, come in questi giorni mi pare che facciano i socialisti spagnoli. E’ ovvio che occorrono tutte le cautele del caso nel ginepraio di contraddizioni (nella fattispecie non si può ignorare che la Catalogna è anche un quinto del PIL spagnolo), ma sono convinto “intimamente” che sentire il mondo come unica patria non collida a priori con il riconoscimento, anche istituzionale, delle identità popolari laddove esistono veramente, e mi pare che siamo tutti d’accordo sul fatto che la lingua parlata sia uno dei primi elementi per capirlo. Sergio Berardo, voce ghironda e mente dei Lou Dalfin, spiega spesso dal palco, nel suo modo rustico e colorito, che gli Occitani sanno benissimo chi sono e da dove vengono, e proprio per questo motivo non hanno paura di accogliere tutti e mescolarsi con chiunque. Non so quanto questa coscienza collettiva e questa sicurezza di appartenenza sia veramente diffusa e vissuta nel mondo reale in Occitania come altrove, ma mi pare che il suo discorso metta il dito nella piaga: la paura dell’altro deriva dall’insicurezza della propria identità e delle proprie radici e dalla mancanza di appartenenza e di collettività (cose ben diverse da “stato” e soprattutto da “patria”, anzi probabilmente opposte). Questo forse è il danno principale prodotto da stati nazionali nati dall’assemblaggio forzoso, imposto dall’alto, di identità diverse, e questa la prima ragione per scrollarseli di dosso, con ogni mezzo necessario, almeno laddove si è ancora in tempo, dove la pressione dello stato non ha ancora fatto tabula rasa. Come per esempio in Catalogna.

  3. Ottimo pezzo e ottimo primo commento. Li sottoscrivo entrambi.
    Aggiungo solo un paio di cose.

    Tra le argomentazioni contro il Procés catalano, anche se non soprattutto a sinistra, ha avuto molto successo quella relativa all’illegalità del referendum di domenica scorsa e delle varie prese di posizione del governo della Generalitat.
    Questa argomentazione è una evidente fallacia, sia logica, sia politica sia storica.
    1) In generale, non esiste processo di rottura di un ordine costituito che possa essere totalmente legale. Non parlo solo di autodeterminazione dei popoli, ma anche di conquiste sociali e di diritti civili. Appellarsi al rispetto della legalità (della legalità *costituzionale*, che fa più impressione) significa giustificare qualsiasi cosa orribile sia stata mai fatta in qualsiasi luogo sotto la copertura della legge. Non c’è bisogno di elencare alcuna casistica, sono sicuro.
    1.a) Tanto meno questa strana lealtà costituzionale assoluta possono sbandierarla coloro che hanno avallato le manomisioni di fatto e/o di diritto perpetrate nel corso degli ultimi anni alla stessa costituzione italiana o appoggiato, recentemente, il tentativo di restaurazione autoritaria del governo Renzi, con la sua “riforma costituzionale”.
    2) Nello specifico, l’argomentazione della legalità costituzionale infranta è inutilizzabile contro il Procés. Chi ha rotto il patto costituzionale è stata Madrid, con la reazione scomposta alle modifiche dello Statuto di Autonomia della Generalitat, tra 2006 e 2010. Una posizione ottusa, chiaramente anti-catalanista (l’anti-catalanismo è molto forte nella destra spagnola), che ha radicalizzato lo scontro mettendo i Catalani e la classe politica locale davanti alla necessità di scelte drastiche.

    I processi di autodeterminazione (in senso lato) non sono un fenomeno episodico e inspiegabile. Che si tratti di Val di Susa o di Catalogna (con tutti i distinguo che vi pare) c’è sempre in gioco la qualità della democrazia, la sua declinazione sempre più asfittica, autoritaria, di classe, spesso violenta (sembra che non si aspetti altro, ogni volta).

    Gli stati nazionali ottocenteschi sono il gendarme di un ordine costituito che è evidentemente prima socio-economico che politico.
    La vicenda catalana accende un faro su un processo generalizzato che ci richiama a una elaborazione teorica all’altezza della situazione.
    Mi piace in questo frangente tornare su alcuni spunti emersi nelle discussioni del Festival ad Alta Felicità dell’estate scorsa, in particolare quello relativo alla dialettica tra autonomie e universalismo. Lo terrei presente.

    Così come il ragionamento su una applicazione del confederalismo democratico di Apo Oçalan all’Europa, in risposta all’elitarismo tecnocratico e neoliberista da un lato e ai nazionalismi xenofobi dall’altro.

    Nessuna autodeterminazione e nessuna indipendenza è buona o cattiva di per sé. Come tutti i fenomeni umani, si tratta di processi intrinsecamente contraddittori.
    La piega che prendono dipende molto dagli attori che li animano, dalle forze sociali che vi prendono parte, dagli obiettivi a cui tendono.
    Può esserci autodeterminazione anche in un processo dall’alto, sotto forma di rivoluzione passiva. Può esserci invece una autodeterminazione agita dal basso, in modo partecipato e animata da forze sociali reali, con obiettivi emancipativi e persino rivoluzionari.
    Bisogna imparare a distinguere.

    Storicamente gli indipendentismi europei (Baschi, Irlandesi, Corsi, Sardi, ecc.) sono stati prevalentemente di sinistra, anti-colonialisti, spesso dichiaratamente anti-capitalisti, di norma anti-fascisti e internazionalisti.
    Oggi la situazione è più complessa, perchè si sono affacciati sulla scena i “sovranismi” reazionari e fascistoidi (quando non fascisti tout court), che però giocano un ruolo stabilizzante, negli assetti sociali e politici del continente. Questi nazionalismi xenofobi sono un contraltare e un avversario politico degli indipendentismi e degli autonomismi democratici. Confonderli, sovrapporli, attribuire ai secondi le nefandezze dei primi può servire solo a favorire la deriva destrorsa in corso.

    In Catalogna per ora questo pericolo non c’è. I tentennamenti della politica autonomista – espressione della borghesia catalana – sono stati messi in minoranza da un fronte popolare molto ampio, egemonizzato dall’associazionismo sociale e culturale, nonché dalle forze di sinistra (ERC e CUP). Il risultato si vede. Si è visto anche in occasione del grande sciopero generale di martedì.

    Fuori dalla Catalogna e dalla Spagna (dove franchisti e falangisti sanno perfettamente cosa ci sia in ballo), si vede nelle reazioni preoccupate di molti santoni del conservatorismo europeo (penso agli editoriali sul Corriere, agli articoli sulla Stampa o sul Pais, ecc.) e anche in quelle palesemente ostili di nuovi profeti del sovranismo (tipo Diego Fusaro).

    Mi rendo conto di aver messo molta carne sul fuoco, ma nel dibattito terrei conto anche di questi aspetti. I temi proposti da WM1 si prestano, d’altra parte, e la complessità della congiuntura storica è nelle cose, prima che nelle nostre analisi.

    • Nessuna autodeterminazione e nessuna indipendenza è buona o cattiva di per sé. Come tutti i fenomeni umani, si tratta di processi intrinsecamente contraddittori.
      La piega che prendono dipende molto dagli attori che li animano, dalle forze sociali che vi prendono parte, dagli obiettivi a cui tendono.
      Può esserci autodeterminazione anche in un processo dall’alto, sotto forma di rivoluzione passiva. Può esserci invece una autodeterminazione agita dal basso, in modo partecipato e animata da forze sociali reali, con obiettivi emancipativi e persino rivoluzionari.
      Bisogna imparare a distinguere.

      Questo è il punto. Un esempio di indipendentismo regressivo lo abbiamo avuto a Trieste qualche anno fa.

      https://www.wumingfoundation.com/giap/2013/10/traumstadt-tra-paradisi-fiscali-e-ritorno-del-rimosso-viaggio-nel-labirinto-del-neoindipendentismo-triestino/

      Appellandosi al trattato di pace del ’47 e all’istituzione del Territorio Libero di Trieste (rimasta sulla carta e poi “superata” dal Trattato di Osimo del ’75), gli indipendentisti triestini rivendicavano per via legalitaria la finalizzazione di uno stato la cui costituzione – formalmente – era già stata scritta sulla carta una settantina di anni prima. Il famoso “gavemo le carte”. Per gli indipendentisti triestini non si trattava quindi di far partire un processo costituente dal basso, ma di “applicare la legge”. Su questa rivendicazione si erano poi innestati una serie di interessi localistici e di miserabili mosse tattiche wannabe geopolitiche, ma soprattutto un miscuglio di nostalgie (tra cui persino, in alcune compnenti, la ributtante nostalgia dell’Adriatisches Kuestenland) e di aspettative contradditorie, una specie di maionese impazzita. A questo indipendentismo si era contrapposto in quella stagione il solito ributtante nazionalismo italiano, irredentista e fascista. Ma alla fine… indipendentisti e fascisti si sono ritrovati insieme in piazza contro l’immigrazione.

      http://www.triesteprima.it/cronaca/manifestazione-stop-prima-trieste-14-gennaio-2017.html

      http://territoriolibero.net/2017/01/manifestazione-del-14-gennaio-2017-immigrazione/

      Quello che sta succedendo a Barcellona sembra essere l’esatto contrario di quel che è successo a Trieste, a partire dalla fondamentale assunzione della discriminante antifascista. Mi sembrava utile mostrare con un esempio reale e concreto che queste distinzioni tra indipendentismi non sono accademia, ma base materiale di ogni ragionamento serio.

  4. Omar, putroppo a Venaus mi sono perso quel pomeriggio con te, WM1 e Michela Murgia quando si parlava di questi temi. Per me quello che hai accennato qui sopra è utilissimo, ma sui rapporti tra autonomie e universalismo mi piacerebbe approfondire ulteriormente. Posso chiederti qualche suggerimento?

    Grazie :-)

    • Il discorso era emerso durante la presentazione del libro di Daniele Pepino Escartoun. La federazione delle libertà (Tabor). Era stato Serge Quadruppani a muovere l’obiezione dell’universalismo da salvare in opposizione all’enfasi che stava emergendo a proposito delle autodeterminazioni locali (sia di quelle storiche sia di quelle possibili). Da lì era nata una doscussione, ovviamente estemporanea e tutt’altro che esaustiva, ma che a me sembrava aver centrato un punto importante.

      Se mi chiedi qualche suggerimento di lettura, temo che non esistano studi specifici, attuali, che abbiano come focus la dialettica autonomia/universalismo. Così su due piedi non me ne vengono in mente (ma potrei sbagliarmi). Mi rendo anche conto che suggerire di riprendere in mano Marx e la riflessione di matrice marxista, in proposito, nonché naturalmente la letteratura post-coloniale, sia una risposta troppo vaga e anche poco pratica. :-)
      Io ho provato a dirne qualcosa dalle mie parti, ma giusto per fermare nello scritto qualche riflessione in proposito; niente di sistematico, tanto meno di esaustivo.

      È stato abbastanza naturale, comunque, riconnettere quella tematica alle riflessioni sul confederalismo democratico. D’altra parte, se si legge il testo di Oçalan in cui viene presentata questa teorizzazione, è inevitabile riflettere a un suo aggiornamento e adattamento alla realtà europea, in funzione sia di una risposta alle istanze democratiche dei vari etno-rgionalismi e indipendentismi, sia del mantenimento di una architettura politica sovranazionale che garantisca l’universalismo di diritti, libertà e solidarietà partendo da presupposti radicalmente diversi da quelli su cui si basa l’attuale UE.

  5. Visto che probabilmente è noto anche a tutti quelli che leggono e commentano vi chiedo: le “discriminazioni” di cui parla Ciano potrebbero essere le deroghe che erano concesse agli ebrei convertiti alla Chiesa Cattolica? Ovviamente questa interpretazione non cambierebbe nulla, anzi rafforzerebbe l’assunto della falsità delle bubbole riproposte da Ferrari.

    • Il riferimento è al «provvedimento di discriminazione», chiedendo e ottenendo il quale alcuni ebrei con «benemerenze eccezionali» o meriti patriottici potevano evitare le conseguenze delle leggi razziali.

      La frase riportata da Ciano oggi suona criptica per varie ragioni. Prima di tutto, in quel caso i «discriminati» erano… i non discriminati; in secondo luogo, il duce sta dicendo a Ciano che quella pallida «mitigazione» delle leggi razziali era il prezzo da pagare per farle passare, e che al momento buono se ne fotterà.

      Nel suo La legalità del male. L’offensiva mussoliniana contro gli ebrei nella prospettiva storico-giuridica, 1938-1945 (Giappichelli, 2013), lo storico Saverio Gentile scrive che furono presentate 8171 domande di discriminazione, valide per 15.339 persone. Ne furono accolte solo 2580, per 6253 beneficiari. Tra i motivi per cui una domanda poteva essere respinta, c’era l’aver criticato le leggi razziali stesse.

      • Come sospettavo, questo avvalora il vostro discorso sulla malafede dei revisionisti. Grazie delle precisazioni

  6. Segnalo questo articolo veramente di merda, che spicca per la superficialità, il piattume, la completa incapacità di storicizzare qualunque cosa, e last but not least, per gli errori marchiani (il Friuli che rinuncia all’Istria….).

  7. Non posso che confermare e se possibile aggravare il tuo giudizio.
    È un pezzo che gira da un po’ sui social, specie su FB, e non mancano mai, anche dalle mie parti, gli ingenui che si gingillano con la miserevole consolazione di essere stati considerati. Ma è puro ciarpame.
    Ci sarebbero gli estremi della disinformazione intenzionale, se non fosse forte il sospetto della banale – ma non meno dannosa – ciarlataneria. Un sensazionalismo da clickbait a tutti i costi indegno di qualsiasi testata giornalistica seria.
    Purtroppo a questo genere di sciocchezze non si sottraggono neanche i mass media mainstream (lì il dubbio della non intenzionalità è molto meno forte). È uno dei motivi per cui è così difficile affrontare questo genere di discorsi con un minimo di serietà.

  8. Io non so granché dell’indipendentismo catalano. Quindi avrei due domande per provare a capirci qualcosa di più:
    – qual è la composizione di classe del movimento indipendentista?
    – a cosa si deve la recente e rapida crescita d’intensità della rivendicazione indipendentista in una regione che sembra avere già un’ampia autonomia?
    Grazie.

    • Sono due domande giganti, dico la mia sulla prima che è più facile. :-)

      La composizione di classe dell’indipendentismo è molto variegata, l’unica classe decisamente poco rappresentata è la grande borghesia, che è ostile a cambiamenti che vede come pericolosi e in questi giorni sta trasferendo le sedi centrali di banche e grandi imprese dalla Catalogna ad altre zone della Spagna. L’egemonia politica, come spesso avviene coi nazionalismi di piccoli Paesi, è della piccola borghesia che lo esercita attraverso i partiti di centro e centrodestra (come quello di Carles Puigdemont, giornalista) e tramite le associazioni della “società civile” (Òmnium Cultural, guidato dall’imprenditore Jordi Cuixart, la Assemblea Nazionale Catalana, guidata dal professore universitario Jordi Sànchez). Esiste però anche una forte partecipazione popolare, cioè essenzialmente proletaria e giovanile: hanno associazioni, movimenti di base, sindacati, centri sociali. Politicamente il peso della classe operaia indipendentista si esprime in parte tramite la ERC (Sinistra Repubblicana Catalana) ma soprattutto tramite la CUP (Candidature di Unità Popolare) che è apertamente a favore di una repubblica socialista catalana nel senso marxista del termine. Naturalmente, più la lotta si acuisce e richiede la partecipazione diretta delle masse, più le imprese e le banche scappano dalla Catalogna dando forza a chi dice che non c’è futuro in una Catalogna capitalista, più l’Unione Europea volta le spalle a Puigdemont rendendo poco plausibile un’indipendenza rispettabile e borghese, più aumentano le occasioni di egemonia da parte dell’indipendentismo “di strada”, sindacale e anticapitalista. Se le occasioni saranno colte o no, e chi finirà per prevalere, lo potrebbe dire solo qualcuno che possegga una sfera di cristallo.

    • La composizione di classe attuale è largamente popolare, soprattutto per l’apporto consistente della CUP e di altre componenti associative diffuse capillarmente in tutto il tessuto sociale catalano.

      A parte la CUP (formazione composita, di matrice anti-capitalista) e la ERC (la Sinistra repubblicana, socialista o socialdemocratica), ci sono sindacati indipendentisti, è indipendentista o comunque catalanista una buona parte del corpo dei Bombers (i vigili del fuoco), lo è una fetta consistente dell’intellettualità accademica e in generale della borghesia intellettuale.

      La crisi degli ultimi anni, associata agli scandali di corruzione delle forze autonomiste borghesi, ha spostato pesantemente a sinistra tutto l’asse indipendentista, prima meno forte (elettoralmente) ed egemonizzato dalle forze moderate.

      Però va tenuto conto della vivacità politica tipica della Catalogna, della grande tradizione repubblicana, socialista e anarchica locale, della forza dell’associazionismo popolare (in questi anni catalizzato e mobilitato dall’Assemblea Nacional Catalana). Nonché della forza culturale del catalanismo (con entità come l’Òmnium Cultural e il CIEMEN).

      Questi fattori in campo devono molta della loro forza alla memoria vivissima del passato, coltivata largamente nel Paese. Anche perché spesso si tratta di memoria viva. Il franchismo e la sua persecuzione anti-catalanista, la Repubblica catalana di Lluís Companys, la dittatura di Primo de Rivera, i conflitti sociali dell’inizio del Novecento, e via risalendo indietro nei secoli, fino alla drammatica data del 1714 e più in là ancora, alle rivolte seicentesche (famosa quella dei Segadors, a metà secolo) e alle glorie medievali (stroncatesi con la guerra, pur vittoriosa, in Sardegna).

      Un retaggio difficile da manipolare, dove si mescoano istanze sociali del tutto attuali con un sentimento di appartenenza molto forte. Molto forte ma non esclusivo e etnocentrico. Come già detto, molti indipendentisti attuali sono Catalani di prima o seconda generazione.

      L’escalation degli ultimi anni è chiara, nel suo svolgimento cronachistico: l’approvazione del nuovo testo dello statuto di autonomia nel 2006; la sua modifica penalizzante nelle Cortes di Madrid e, nonostante questo, la sua approvazione con referendum popolare; la sua impugnazione da parte del PP e la sua definitiva abrogazione di fatto del 2010.

      È vero che la Catalogna gode di una certa autonomia, ma non paragonabile, ad esempio, a quella basca. Nemmeno a quella di cui gode il Sud-Tirol in Italia, per dire. Specie dal punto di vista fiscale. Alcune clausole del nuovo statuto catalano impugnate dal PP sono regolarmente in vigore negli statuti di altre Comunità iberiche.

      Il problema della Catalogna è che è troppo grande. Rappresenta un pezzo di Regno di Spagna troppo pesante e decisivo perché possa esserle consentita un’autonomia troppo spinta e tanto meno una vera autodeterminazione. L’ottusità dei governi centrali, però, è stata la principale causa scatenante della crisi. Anche in relazione alle tante leggi locali impugnate e cassate dal Tribunale Costituzionale (di nomina politica, in Spagna), leggi di carattere avanzato in termini di welfare, diritti sociali, diritti civili.

      Da tutto questo penso si possa comprendere la situazione attuale.

      Qualcun altro eventualmente potrà aggiungere ulteriori elementi o correggere le notizie riportate (a memoria) qui. Spero comunque di essere riuscito a dare almeno un’idea.

      • Secondo me un motivo supplementare per cui l’indipendentismo ha preso forza di recente è strettamente politico. La Catalogna è stata una regione della penisola dove la lotta degli indignados, le “maree” (movimenti di massa su vari temi), le lotte contro gli sfratti ecc. sono state più forti.

        Queste lotte non hanno prevalso nella società spagnola nel suo complesso, ma hanno cercato uno sbocco sul piano politico soprattutto attraverso Unidos Podemos e le varie esperienze del “municipalismo in comune” come la giunta Colau a Barcellona. Alle ultime elezioni politiche, i Paesi Baschi e la Catalogna hanno votato in massa per Podemos e i suoi alleati, che sono diventati primo partito in queste due regioni. Ero a Barcellona alla maratona elettorale di Unidos Podemos quando è stato annunciato il risultato e tutti hanno notato che Iglesias nel suo primo commento pubblico ha parlato del fatto che la distribuzione territoriale del voto “viola” affidava al suo partito il compito di portare la voce delle nazionalità autonome. Anche per questa ragione Podemos ha tenuto tutto sommato una posizione abbastanza favorevole al diritto d’autodeterminazione, seppure spesso ambigua.

        Quindi, sebbene la Catalogna abbia espresso un voto di sinistra e di cambiamento, si è trovata con un governo di destra, complice anche il gruppo parlamentare socialista e del Partito Nazionalista Basco (nazionalisti baschi di centrodestra) che hanno dato una mano al PP. A questo punto, ha acquistato forza l’idea che siccome non si riesce a cambiare tutta la Spagna, meglio staccarsi e usare la Catalogna come esperimento sociale. Detta così può sembrare un’idea rinunciataria e perdente (socialismo in una sola regione?), ma può anche essere letta in un modo più internazionalista e ambizioso: si inizia da dove si riesce e dare una botta da una riva dell’Ebro può aiutare quelli dall’altra sponda, coi loro tempi, a buttar giù il regime monarchico-costituzionale.

        Mi sembra abbastanza chiaro che se Pablo Iglesias diventasse il primo presidente della Terza Repubblica Federale Spagnola oggi non si parlerebbe molto dell’obiettivo di fondare una ulteriore repubblica catalana indipendente. Ma non è questa la realtà concreta in cui ci troviamo.

        • Condivido l’analisi sulla prima domanda fatta da Wu Ming 4.
          Ho dei punti di vista un po’ differenti sulla seconda.

          Dal mio punto di vista non è corretto affermare che la rivendicazione indipendentista sia cresciuta rapidamente o di intensità. Ossia, dal 27 settembre 2015 la situazione è costante e stabile a livello di forse politiche, a livello di numero nelle manifestazioni abituali (l’11 settembre) la cosa non è cambiata.
          Quello che è cambiato è stato il fatto che si è, alla fine arrivati ad un punto critico, che è l’approvazione della legge del referendum, del valore vincolante che si dava allo stesso parlamento catalano, e soprattutto, l’aumento della repressione che, da quel momento, ha visto coinvolto il territorio catalano.
          Dico ció perchè le forze in campo erano state le stesse, ci è solo voluto del tempo per arrivare all’accordo di definire un referendum definitivo.
          Ora, è anche evidente che una spinta al processo è stata data, non tanto a livello di forza quanto a livello di incapacità di risolvere la questione politica nella soluzione delle forze dello stato spagnolo, che hanno visto UP prendersi due legnate (e, parlando con gente del partito, gli è pure andata bene perchè temevano che “Rajoy li uccidesse a colpi di elezioni”, testuale). Arrivati al punto in cui diventa impossibile “riformare spagna” che era un discorso che in qualche modo frenava il processo indipendentista soprattutto a sinistra, c’è stata la spinta sull’acceleratore rispetto al processo.

          Credo sia importante però chiarire una cosa. Per spiegare bene le dinamiche, anche mediatiche, sulla questione. Rajoy diventa presidente a ottobre del 2016, e si parla di indipendentismo ora in maniera massiva. Pensare che un evento di un anno, con la stessa linea politica degli anteriori sia la “spinta” o l’acceleratore al processo, secondo me non è corretto. La percezione del processo indipendentista viene solo ora, a settembre, dopo la legge del referendum e dopo la repressione, ma la sua velocità è sempre stata abbastanza costante e abbastanza in crescita. Non tanto per rajoy, ma anche per il mantenimento costante di un tribunale costituzionale politicizzato che blocca non solo leggi del referendum ma anche leggi per l’uguaglianza uomo donna in catalogna, contro la povertà energetica, contro le tasse del lusso (si, l’ultima sospesa un paio di settimane fa). Anche questo freno entra perfettamente nelle dinamiche degli ultimi 7 anni (almeno, diciamo dal 2010) fatte di altalenanti dinamiche del processo di indipendenza.

    • Consiglio l’analisi di Jacobin https://jacobinmag.com/2017/10/catalonia-independence-franco-spain-nationalism.

      Tra l’altro sostiene che la spinta indipendentista assume spesso la forma di sfida alle elite, che si sta radicalizzando e diventa progressivamente più working-class; che il 72 per cento dei sostenitori si auto-identifica “di sinistra” (da confrontare con il 40 per cento tra i Catalani sostenitori del no); che il nazionalismo catalano non assume un approccio etnico e che la caricatura di un movimento che non vuole condividere la ricchezza con le parti più povere della Spagna va rigettata; che il sostegno all’ipotesi indipendentista è cresciuto a partire dall’inizio degli anni 2000 in seguito all’interruzione di tentativi di riconoscere il territorio come una nazione all’interno dello stato spagnolo, alla frustrazione per le bocciature alla riforma dello Statuto di Autonomia della Catalogna.

      Insomma c’è potenziale per aiutare a far luce sulle tue due domande

    • In tutte queste analisi mancano peró alcuni dati: la Catalogna é una delle regioni piú sviluppate e ricche della penisola iberica (giusto Paesi Baschi e Madrid stanno meglio) e lo stato spagnolo é “quasi” federale, le comunitá autonome godono di molte competenze, ancora di piú se si tratta di Catalogna, Galizia, Paesi Baschi e Navarra. In piú oltre ai trascorsi storici c’é da considerare anche un certo sottobosco culturale. Passatemi il termine ma c’é sempre stata una sorta di supponenza catalana nei confronti di tutti gli altri spagnoli, un atteggiamento che mi sembra si sia intravisto in alcuni commenti in questo thread e che si é dimostrato politicamente in una serie di scelte non proprio appropriate: come la supposta dichiarazione d’indipendenza proprio il giorno prima della festa del Pilar…
      Il punto di questa introduzione é che, invece di creare simpatia da e verso le altre cause indipendentiste, si é generato un clima di fastidio verso la causa catalana che é vista da parecchi come una cosa fuori dal tempo e spinta da pura ingordigia (parafrasi di alcuni discorsi ascoltati in questi giorni anche da gente di sinistra)

      Personalmente credo che tanti trascorsi storici siano stati posti in secondo piano rispetto a scelte politiche che sono state prese secondo un’altra agenda e altre prioritá. Poi saró strano io ma francamente trovo offensivo che i tempi e i modi di un processo antifascista centenario siano stati decisi da un neoliberista di destra approdato lí per interesse (trend che purtroppo mi pare in linea con altre situazioni analoghe). Tutta questa fase del proces é stata gestita male, al punto che nonostante la repressione si é riusciti persino a fare bella firgura a Rajoy che si é permesso di dare l’ultimatum del 16 ottobre con toni che sfiorano lo scherno.

      Tutti bravi, tutti giusti, tutti compagni ma magari sarebbe anche il caso di fare un minimo di autocritica: per mantenere la “puritá storica” si sta facendo collassare tutto sull’altare della Realpolitik. Spero che tutto finisca per il meglio ma, almeno personalmente, rimango scettico.

      • Continua a lasciarmi perplesso, però, questo “puigdemontcentrismo”. Mi lasciava perplesso prima, ancor più mi lascia perplesso ora, quando è più marcato che mai il distacco tra Puigdemont e le forze sociali che hanno animato il Procés dal basso.

        • A lasciare perplesso me invece sono i bias dell’indipedentismo catalano che si sono ben visti in questi commenti:
          Un menefreghismo interessato (quando non aperta ostilitá) verso tutto quello che succede fuori dai confini autonomici.
          Un certo senso di superioritá per il quale un catalano si sente “piú di sinistra” di qualsiasi altro attivista di sinistra.
          …ci sarebbe poi l’eccessiva importanza data alla base rispetto ai vertici (che poi sono sempre quelli che prendono le decisioni) ma siamo su Giap e almeno questo lo capisco.
          Personalmente credo che con questi presupposti il processo di indipendenza si andrá a fracassare nell’indifferenza di tutti (e nel disprezzo di alcuni).
          …con scorno e delusione si chi, come me, sperava invece in possibilitá differenti.
          Ma mi sembra di aver capito che questa causa non cerca ne vuole aiuti esterni perció ringrazio per le risposte e me ne vado ad aspettare l’ennesimo spettacolino triste di domani.

          • Io davvero non lo capisco, questo atteggiamento. Capisco le perplessità, e capisco che è una questione complicata e spinosa, io stesso non ho idee chiare su tutto, anzi!, però vedo che ci si chiude preventivamente accusando di chiusura gli altri, vedo che si ignorano tutti gli argomenti forniti dagli interlocutori e si tira diritto come se nessuno avesse scritto nulla. Si dice che la causa catalana non cerca alleati fuori dalla Catalogna e addirittura è ostile verso tutti, nonostante gli esempi di solidarietà pan-iberica e internazionale elencati (e apprezzati e valorizzati) da chi sta discutendo qui. A me sembra che i giudizi trancianti (reciproci) siano fuori luogo e aiutino ben poco.

            • Aggiungo: soprattutto non servono giudizi trancianti da parte di noi italiani. Non capisco da che pulpito dovremmo impartire sermoni, con tutta la smemoria tossica che abbiamo sul fascismo, con tutto il mancato fare i conti col nostro passato, con tutta l’ignoranza che abbiamo sul nostro colonialismo interno ed esterno, con tutta la nostra indifferenza per le minoranze nazionali e linguistiche dentro il nostro stato-nazione, e per la persecuzione che hanno subito. E con tutto l’oblio che circonda la partecipazione italiana ai crimini franchisti, soprattutto in Catalogna.

              • A parte sottoscrivere integralmente quanto risposto @opellulo da WM1, sottolineo l’inutilità, ai fini dialettici, teorici e pragmatici, di cercare sempre e solo la riduzione della realtà a qualcosa di schematico, lineare e *semplice*.

                Né in questo caso, né in alcun altro fenomeno umano, storico, questo è possibile, senza sconfinare nella mera ideologia (quella che fonda una falsa coscienza).

                Sdegnare le argomentazioni altrui, pure quando a loro volta sono problematiche e tengono in piedi la complessità e l’intima contradditorietà delle situazioni analizzate, mi sembra un modo di discutere molto infantile e tutt’al più provocatorio.

                L’indipendentismo catalano è articolato di suo e per altro si confronta in partenza con posizioni locali meno radicali (esiste un certo autonomismo molto diffuso e anche posizioni più spiccatamente federaliste, per dire). Di sicuro, però, non è né autoreferenziale né ostile agli apporti esterni. Questo posso confermarlo direttamente, in prima persona, a livello soggettivo, ma a livello oggettivo lo confermano le stesse cronache di queste settimane.

                Dirò di più (e lo dico nel giorno del trentesimo anniversario dell’assassinio di Thomas Sankara): non capire quanto la lotta che si sta svolgendo in Catalogna ci riguardi tutti mi pare davvero miope (come minimo). E non lo dico da sardo impegnato politicamente in un processo analogo, ma da essere umano europeo e mediterraneo che cerca di mantenere sempre presente la dimensione e il segno dei fenomeni storici.

                Lo stigma negativo scagliato sui metodi assembleari e partecipativi della CUP poi non l’ho capito e forse non voglio capirlo. Come non ho capito il riferimento polemico a Giap e a chi vi discute come affetti da una preferenza subdola e capziosa verso tale metodo politico.

                E con questo, scusandomene, chiudo lo sfogo (è uno sfogo, e si vede).

              • A me interessa molto sapere cosa ne pensate di ciò que sta sucedendo in Catalonia.
                Io non ho le idee chiare e credo ci sia molta confusione qua a Barcellona. Condivivo che non é cuestione di impartire sermoni, ma io credo che le vostre opinioni possono aiutare a chiarire dubbi, rinovare argomenti, introdurre nuovi punti de vista…

      • Solo una piccola questione.

        Considerare che la questione catlana sia vista di mal occhio dalle altre realtà indipendentiste credo sia un pregiudizio.
        L’1 ottobre c’èrano piú basci e gallegos a Barcellona che nei loro rispettivi territori. Organizzazioni complete che da anni hanno ottime relazioni per la stessa visione (rottura nazionale, cambio sociale, difesa della lingua, etc etc) sono scese a barcellona anche a difendere i collegi. Io, personalmente, non so dove si sia vista questa insopportazione tra lotte indipendentiste, o supponenza catalana. E parlo di testimoni diretti eh.

        Poi sulla supponenza della dichiarazione della vergine del pilar. È come dire “fate la vesta del 25 aprile è che la festa del pais valencià e mai lo ricordate”. Qualcuno lo sapeva o lo teneva in considerazione? No. Nessuno qui considera le feste del territorio spagnolo, per una questione culturale, non le considerano proprie. Ora, che qualche spagnolo o spagnolista si incazzi, comprensibile, ma qui, assolutamente, della festa del pilar, nesusno ne aveva idea, né costanza.

        Poi, autocritica, in sto movimento si fa da anni eh. Da prima del referendum consultivo del 2014, da prima del 2012, è una cosa costante. A me sembra un po’ strano parlare del fatto che questo movimento si è gestito male. Sarà anche, e credo che possa pure questionare. Ma mi chiedo che esempi di movimento in italia si possa dare sulla questione.

    • Io, galiziano a Barcellona da dieci anni, vorrei aggiungere informazioni alle domande de Wu Ming 4:

      – Il movimento independentista é trasversale come hanno già detto. Ma la sua forza é sopratutto rurale e al centro delle grande città. Nelle grosse periferie, sopratutto il conosciuto come “cinturón rojo” di Barcellona, là dove arrivarono i migranti da altre parti della spagna negli anni 60 (anni del “desarrollismo” del franquismo) trova molto meno sostegno.

      All’ultimo sondaggio del Centre de Estudis d’Opinio del governo catalano potete trovare come l’apoggio al independentismo cresce secondo aumentano gli ingressi (http://ceo.gencat.cat/ceop/AppJava/pages/home/fitxaEstudi.html?colId=6288&lastTitle=Bar%F2metre+d%27Opini%F3+Pol%EDtica.+2a+onada+2017).
      Meno de 1800 euro/mese vince il No a una catalogna independente. Tra 1800 e 5000 vince il Si. Piú di 5000 sono pari.

      – La rapida crescita dell’independentismo é complessa. Sembra che qui conoscete bene il lavoro della CUP, bravi loro. ERC é sempre stata independentista. Ma qui governa il PDCAT, prima CiU, e – non per fare Puigdemontcentrismo- bisogna parlare di loro se si vuole capire uno degli aspetti più importanti.

      CiU é stato dal 78 il partito del potere a Catalogna. Puro Regime 78. Fedele alla corona, sempre pronti al patto col PSOE e col PP (anche con Aznar!). CiU aveva sempre il record di donazione anonime (riceveva molto di più che il PSOE in tutta Spagna). CiU era sostenuta dal PP quando fece le “ritagliate” che portarono ai movimenti sociali davanti al parlamento nell “Aturem el parlament” (e poi usarono i tribunali di Madrid per chiedere anni di prigione ai manifestanti)

      Dopo la crise, dopo il 15M i partiti tradizionali entrarono anche loro in crisi ed é dall’ora stanno perdendo voti e potere, poco a poco. PSOE, PP… e CiU.

      Miracolosamente dopo il 15m la giustizia comincia a -più o meno- muoversi. I casi ancora aperti contro il finanziamento dell PP, i casi contro il PSOE di Andalucia e i casi contro CiU e la sua figura più importante: Jordi Pujol. Jordi Pujol adesso é dimenticato, come é quasi dimenticato che CiU ha la sua sede principale confiscata dalla giustizia. Ma la persecuzione alla famiglia Pujol scatenai una guerra tra la elite politica catalana e quella spagnola.

      CiU non si apoggiava più in un PP che non ha il suo bisogno per governare in Spagna (anni della sua xtramaggioranza), la guerra di spie si aprí (si, anche spie, abbastanza scarsi ma..), e poco a poco CiU si lancia all’independentismo, si trasforma nel PdCat e si ricomporre? vedremmo se ci riesce. Ma per adesso ha il governo: Puigdemont é CiU. I movimenti di Omnium e ANC, che controllano le masse, cosa sono? A me sembrano un’altra variante dei dispositivi pubblico-privati della destra catalana (sono molto bravi a privatizare anche in sanità ed educazione). Una parte del independentismo é creata della trasformazione di un partito autonomista. Un partito di potere che stava andando a perdere il potere e, un gruppo, direttamente a prigione.

      Il centro e destra sociologico si fida del PdCAT, perché sono “serii” con i soldi (come Berlusconi, che “sà fare”), gente brava con le aziende. Si credevano che la UE non può prescindere di Catalogna, che le grande aziende e la banca non sarebbe mai andata via. Ancora credono a qualcosa ma ogni volta di meno. Lo stesso PdCAT non crede ció che dice.

      L’unico momento che io abbia visto il “procés” andare dal basso verso l’alto é stato nella difessa dei collegi elettorali. Ma il dispositivo é stato preparato dai due governi per avere il confronto, questo no si deve dimenticare.

      Le forze anticapitaliste si sono viste anche il giorno dello sciopero, dove si sono mossi anche i sindacati anarchici contro la repressione. Ma lo sciopero… se il governo e i patroni fanno anche sciopero… cosa é?

      La CUP é chiaramente anticapitalista e sono compagni di lotta nei movimenti. Questo é chiaro. Ma adesso stanno mano a mano con la destra catalana. Io spero che sanno quel che stanno a fare.

      – Faccio io un altra domanda. Se qualcuno legge e vuole rispondere. Nelle masive concentrazioni della Diada degli ultimi anni… davvero vedete anticapitalismo? rivoluzione?
      Io vedo bandiere nazionali, bandiere nazionali, bandiere nazionali.

      Grazie e scussate il mio italiano.

      • Credo che vadano spiegate meglio un paio di cose. O almeno va tolto un filo di “propaganda partitica” da alcune frasi.

        – Il cinturó roig, la cintura rossa, la zona storica di lotte sociali degli anni 60-70, una cinura che cinge barcelona è sempre stato un dominio socialista e ora piú podemista. Ma l’analisi del “nel cinturó roig c’è meno indipendentismo” è in parte incorretta. Nel senso che si basa piú nelle ipotesi che nell’analisi reale dei fatti. Lo spiega Arturo Puente, giornalista de El Diario.Es con questo suo articolo http://www.eldiario.es/catalunya/politica/inesperada-movilizacion-cinturon-barcelones-independentismo_0_694680540.html
        Infatti è in questa zona in cui i voti alle urne del voto per il parlamento della catalogna del 27 Settembre 2015 sono stati bassi per l’indipendentismo, paradossalmente, hanno avuto una percentuale piú alta di voti SI al referendum. Parlo del Vallés, del Baix Llobregat, delle zone del Cinturó Roig. Nell’articolo potete vedere i dati.
        Ripeto: affermare quindi che il cinturon rojo non è indipendentista è abbastanza incorretto.

        – Parlare di CiU legandolo al processo catalano, soprattutto negli ultimi anni, è per me fallace. Ossia, CiU non esiste piú. Perchè? Perchè non esiste piú uno dei due partiti, Unió Democratica de Catalunya, la U del CiU. Era il partito piú unionista, piú di destra, piú cattolico. Un partito che è stato frammentato dal processo indipendentista catalano, che ora non esiste e che per ovvie conclusioni dimostra come il processo catalano abbia spostato l’asse verso un indipendentismo.
        Aggiungo: parlare di CiU come una realtà ancora esistente è un errore. Guardiamo la realtà e i Passi. Definire CiU come regim del 78 è, sempre curioso e confuso.Il fatto che per anni abbiano mantenuto il regime del 78, la monarchia, e che ora chiedano un repubblica mostra una evoluzione che non possiamo negare.

        -ANC e Omnium. Non nascono in seno alla destra catalana anche se ci si alleano e in parte svolgono funizioni utili al governo della generalitat. Ma nascono chiaramente indipendentisti ancor prima che l’allora CiU si convertisse in un partito Indipendentista-soberanista. Come è possibile quindi definire che sono una “variante dei dispositivi pubblico-privati della destra catalana “? Proprio l’altro ieri ANC ha reclamato la dichiarazione della repubblica ed è dovuto rispuntare Artur Mas per affermare che la ANC non è presidente del governo. Se fosse una articolazione di CiU, con che diritto avrebbe parlato autonomamente?

        – La CUP e la destra catalana. A me sta cosa qui veramente mi fa ridere, e non trovo un modo piú educato per dirlo. É il discorso che l’area Comuns ha detto dal primo giorno delle elezioni del 27 settembre 2015 e che la CUP ha sempre difeso affermando che è una alleanza strumentale per l’indipendenza e per la rottura con lo stato spagnolo (Che, ditemi quello che volete, ma passare da monarchia a repubblica, per me è un grande passo avanti). E che puntualmente veniva detto da gente, tipo Joan Coscubiela, che riceva gli applausi del PP (la destra spagnola), il PSC (La destra-similsinistra catalana-spagnola) e C’s (la destra neoliberale spagnola). Parliamo di partiti che non hanno mai condannato il franchismo che applaudono il portavoce di un partito di sinistra, e che quasi se ne compiaccia.
        Affermare che la cup è alleata con la destra catalana è come affermare che en comú è alleata con la destra spagnola. Una semplificazione che l’area Comú ha utilizzato per screditare la CUP e recuperare votanti.

        E aggiungo una cosa: Dopo il discorso di Puigdemont della sospensione della dichiarazione di indipendenza chi ha fatto salti di gioia? l’area comuns-podemos-adacolau. Saranno loro probabilemntei nuovi alleati anche di governo di Puigdemont. Si, esattamente loro che hanno detto peste e corna della Cup per allearsi con la destra catalana non avranno il minimo rimorso di coscienza, come già hanno dimostrato di non avere per l’apertura al dialogo, per un piatto di lenticchie e un po’ di potere per qualche anno in piú. E la cosa, non trovo modo migliore di definirla come, parecchio triste.

        Concludo con l’opinione personale. Credo che questa sia l’argomentario che viene direttamente dall’area Comuns. Dicor direttamente perchè non analizza i dati (come i risultati elettorali del 1-O) e ripete gli argomenti che per due anni si sono sentiti sulla questione indipendentista. E sintetizzo: jordi pujol, 3%, corruzione, CiU privatizza, etc. Che è verissimo, non lo nego, e che credo che anche molti compagni anarchici e della cup hanno sempre detto. Ma la differenza sottile è una: l’area comuns non lo fa per un cambio reale o per costruire il potere popolare, ma per un paio di anni in piú in un parlamento con un determinato stipendio. Mentre agli altri (tipo alla Cup) non frega niente, perchè fra meno di una anno, nesusno dei parlamentari eletti sarà li, proprio per la sua struttura politica interna (David Fernandez, il famoso David, ora lavora al Coop57, e non fa piú il parlamentario, dopo tre anni di legislatura. Joan Coscubiela, di ICV è dal 2011 che fa il politico di professione e sicuro che ora non se ne vuole andare…)

        • Precisioni!

          – Ripetto, come disse rispondendo alla domanda di Wu Ming 4: nella cintura rossa l’indipendentismo trova molto meno sostegno che in altre parti. Si puo vedere perfettamente nell’articolo che envii. Nella grafica aggiunta mostra come il voto pro-independenza, sebbene é cresciuto rispetto delle parlamentarie, si mantiene tra i più bassi di tutta Catalogna: Badalona sotto il 30%, L’Hospitalet, Santa Coloma e Cornellà sotto il 20%.

          -OK,diciamo che CiU non essiste più. Che Unió é sparita nel vuoto. Ma consideriamo almeno il PdCAT una rifondazione di Convergenza? Dici: “Il fatto che per anni abbiano mantenuto il regime del 78, la monarchia, e che ora chiedano un repubblica mostra una evoluzione che non possiamo negare”. Essattamente é quello che io vorrei capire: per che, quando e como si produce questa “evoluzione”. Io credo che non sono solo movimenti dall basso all’alto, ma anche lotte territoriali tra gerarchie.

          -ANC e Òmnium. Probabilmente ho fatto una comparazione abbastanza di merda tra queste entitá e le privatizzazioni dei servizi pubblici. Mi scusso. Ma condivido quel que dici: “svolgono funizioni utili al governo della generalitat”. E aggiungo che é quando meno bizzarro il suo ruolo. Entitá private che sembrano quasi un corpo istituzionale. Potremmo aprofondire…

          -La CUP permise la formazione di governo e adesso lo sostiene coi suoi voti. Io credo sinceramente che sia una alleanza strumentale, ma comunque credo che é un errore. Aggiungo che spero essere sbagliato e vedere come possibile ció che adesso vedo impossibile (la república feminista, socialista, ecologicamente responsabile, etc derivata dal procés).

          E finalmente, anche se non só se puo essere d’interesse o se dovrei neanche rispondere… Io non c’entro niente col partito dei Comuns. Ma c’é molta gente molto critica rispetto del “procés”.

          • Con ordine:
            1 – Il problema del maggiore o minor indipendentismo sta nella retorica. Il cinturon rojo viene costruito come la zona delle lotte, dei veri proletari, che nons ono indipendentisti. Beh, la cosa, analizzando l’evoluzione, è incorretta e l’ho spiegato prima. Non sono tutti indepe tipo a Vic. Ok. E quindi?

            2- No scusa. Non “diciamo che CiU non esiste”. Non diciamolo. É cosí. Anche sta cosa qui è una cosa che non capisco. Perchè prendere un elemento che non esiste. Se no parliamo del Psuc.
            PDeCat é una riformaione-rinnovazione di Convergencia. Vero. Ma in parte Convergencia si lava la faccia per la ccorruzione in parte ha cambiato davvero direzione. E la cosa è da anni che è un cambio. L’argomento del “è indipendentista per annullare la corruzione” dal mio punto di vista è fallace. Anche perchè se no non si sarebbe arrivato a sto punto. Dico ció perchè se Rajoy rimpiange l’epoca Pujol, l’epoca dell’autonomismo e della corruzione, se ci fosse una reale volontà di semplicemente tappare la situazione, beh, si sarebbe andati in quella direzione, richiedendo e accettando un patto fiscale qualunque e via.

            3- Se vuoi approfondiamo. Che ci siano relazioni la cosa è ovvia. Ma la cosa è un problema? Boh, non capisco.

            4- che sia un errore beh, è una opinione. Ma che altre alternative ha? Allearsi e cercare di ampliare semplicemente la base a sinistra con CSQP? Guardiamo cosa è successo nel caso di Barcellona. Vince la Colau. ERC e CUP si propongono come alleati per dargli la stabilità di governo. Chiedono in cambio un posizionamento chiaro sulla questione indipendentista. Colau e l’area en comú nega accettare questa proposta, e sceglie allearsi con i Socialisti.
            Consideriamo che sei un gruppo piccolo che fino a 2 anni fa avevi 3 rappresentanti. Che puoi fare? cerchi di trovare la congiuntura politica per poter spingere da qualche parte. è chiaro che l’alleanza a sinistra, per la linea coerente della CUP diventa impossibile. Come potrebbero lavorare con CSPQ con Joan Coscubiela che non ha fatto nient’altro che cercare di annullare qualunque processo indipendentista?

            Conclusoine:
            Ho parlato dell’argomentario che utilizzi, non delle tue relazioni. Uno puó essere un simpatizzante senza essere militante né votante. Concretamente tutti gli argomenti che hai utilizzato sono gli stessi dell’area comuns, sono quelli che Ravell e Coscubiela hanno ripetuto assieme a iglesias e Domenech negli ultimi anni.

  9. scusate però, o sono tardo io, o non trovo riferimenti a Podemos. Da quel che ho capito, la sindaca è contraria all’indipendenza, ma non si esprime ufficialmente. come si inserisce in quello che avete scritto?

    • Podemos non ha una sua autonomia d’azione in Catalogna. È rappresentato da una sorta di costola locale, che ha appunto espresso – in coalizione – la sindaca Ada Colau.
      Lei non è indipendentista (Podemos non lo è, caso mai è federalista e repubblicano), ma era schierata per il diritto a decidere (la campagna di questi anni era intitolata a questo obiettivo, non direttamente all’indipendenza).
      Ha tentennato un po’ quando ha capito che Puigdemont e tutta la maggioranza parlamentare volevano perseguire il mandato per cui erano stati eletti, cioé arrivare al referendum anche a costo di scontrarsi con Madrid. Poi si è dichiarata a favore del referendum (dopo le minacce di Rajoy). Adesso mi sa che sta aspettando di vedere come vanno le cose.
      Non è necessariamente una sua ambiguità soggettiva, è che la situazione è oggettivamente complicata se non sei apertamente indipendentista o unionista.
      Podemos comunque è la sola forza politica spagnola che sta mantenendo un minimo di dignità, in questi frangenti. Gli altri sono tutti – letteralmente – più realisti del re, compreso il PSOE (ormai una specie di PD spagnolo).

    • Non ci sono riferimenti a podemos perchè Podemos in catalogna in realtà non esiste come entità a sé stante. Esiste la cosiddetta area dels “comuns”, ossia di “Barcelona en comú” che ora cercano di strutturarsi come un partito (la cui prima proposta di nome era quella di “un pais en comú”).
      A differenza di quello che dice Omar io chiarirei un tot di cose che credo siano comunque importanti.
      Nell’area dels comuns ci sono essenzialmente due grossi partiti: Podem, la versione catalana di Podemos, con Dante Fachin, e ICV, Iniciativa per Catalunya Verds, un partito ecosocialista. Poi esiste pure la Colau, e tutte quelle persone che in parte sono venute da una militanza nell’attivismo, ma in parte sono limitate da dinamiche di partito.
      Se Podem ha una base minima in catalogna perchè giovane e non radicato, ICV ha una eredità legata al PSUC, partito socialista unitario catalano. Questo partito era già presente nel governo precedente di Mas, che aveva portato al voto consultivo del 9 novembre 2014, e si è comportato circa nella stessa maniera.

      ICV, infatti, è un partito che è, dal mio punto di vista, abbastanza incapace di risolvere la questione del diritto a decidere. Ossia: se teoricmente ne sono a favore, nella pratica non vogliono difenderlo, perchè porterebbe ad accettare la secessione catalana. Quindi, già nel processo del per il 9N, lo stesso partito, che non voleva posizionarsi per rischiare di perdere voti, aveva fatto una cosa simile. Un “si però no”.
      Ora, tutto ció ritorna anche in questa versione. L’area Comuns è fortemente fratturata tra chi non voleva questo referendum perchè non legale, sperando che in un futuro prossimo si possa avere un referendum accordato con lo stato centrale (cosa abbastanza utopica guardando ora le forze in gioco, anche nel lungo termine) e una parte che difendeva comunque il fatto di poter votare, a seguito anche delle continue negazioni dello stato spagnolo.

      Un piccolo dettaglio interessante: il diritto a decidere era una bandiera del PSC, partito socialista, che lo utilizzava per calmare la questione indipendentista soprattutto nella sua epoca di governo con ERC e ICV. Poi, in realtà si è visto quanto realmente siano a favore del fatto che il popolo catalano possa decidere.

      E come ultima cosa, io non condivido quello che dice Omar. La questione catalana viene calcolata da Podemos con una posizione tatticista e utile solo a livello elettorale. Le prime legnate che podemos diede in catalogna, a livello di discorso, andavano verso la Cup, per cercare di screditare il processo indipendentista, poi invece, cercava di difendere il diritto a diecidere per fare pressioni sul PSOE. È una posizione ambigua in cui, dal mio punto di vista è molto legata alle forze che hanno attualmente, e che in parte cerca di generare. É da notarsi che i voti principali podemos, a livello nazionale, li ha presi nei territori dove i partiti di sinistra indipendentisti non si sono presentati alle elezioni. Si, proprio in catalogna. Cosí, per pensare un po’ su come a volte alcuni progetti politici siano piú di interesse personale che di reale cambio sociale.

      • @victorserri.
        Hai senz’altro ragione tu.
        Discutendone ieri sera con una compagna della CUP, a Trento, sono emerse le stesse questioni.
        Personalmente da tempo ho forti perplessità sull’azione di Podemos e di Unidos Podemos. La loro tendenza elettoralista (quindi tatticista) è evidente. E lo è anche sul Procés.
        Le titubanze e i mutamenti di posizionamento di Ada Colau di questi mesi ne sono un riflesso.
        Semplicemente valuto in modo diverso Podemos e tutto quello che gli ruota intorno rispetto ai partiti tradizionali (PP e PSOE) e a Ciudadanos. I contenuti politici dei discorsi di Iglesias e soci (penso ai dibattiti parlamentari di questi giorni) sono di tutt’altro spessore, se non altro. E l’orizzonte emancipativo e popolare rimane abbastanza chiaro. Diciamo che gli do il beneficio del dubbio, ecco.
        Credo comunque che alla fine sia un problema loro.
        In ogni caso la situazione è complessa e contraddittoria (l’abbiamo già detto, vero?) e onestamente non so cosa farei, se fossi lì, coinvolto direttamente.
        L’importante, secondo me, è mantenere sempre lo sguardo aperto anche sul contesto sovranazionale e mantenere vive le relazioni con altre vertenze e altre lotte aperte, sia nella penisola iberica sia altrove in Europa.

  10. @omaronnis
    Senza dubbio lo spessore politico di Podemos è totalmente differente rispetto al posizionamento di PP-PSOE, ed è una cosa che si puó apprezzare. Ma credo ci siano ambiti differenti di azione, come nella transversalità delle strutture di potere (Classe-Razza-Genere-Orientazionesessuale-etc). La limitazione che ha Podemos é la incomprensione della questione “territoriale-nazionale”, e la cosa risulta evidente anche guardando la dirigenza del partito, che è tutta di Madrid che “hanno vissuto fuori”, ma manca, ancora una volta, una leadership che viene da uno di quei territori che hanno un processo di lotta concreto. In pratica è il portavoce bianco dell’associazione per i diritti dei neri.
    So bene che è una esagerazione, ma fino ad un certo punto. Questa sensazione continua di “vengono da fuori e ci spiegano come dobbiamo fare la nostra lotta” è presente nel territorio catalano in maniera trasversale.
    Molti infatti si sono chiesti: ma perchè esce Pablo Iglesias a dire che non si è dichiarata l’indipendenza? Che c’azzecca?

    In questa situazione complessa io, tifo rivolta, e spero che le organizzazioni di base come la ANC, i CDR e la CUP continuino a spingere per una rottura, fino al punto che non sia possibile nessun accordo tra la area di podemos-riformista, e si vada a un punto nuovo del conflitto. Perchè credo sia la mia parte della barricata.
    Poi c’è una cosa che va sottolineata. In tutti questi anni, nell’area indipendentista, soprattutto in quella di sinistra, le alleanze, le vicinanze, con le lotte di altri territori, nazionali e sovrannazionali, ci sono state. L’11 settembre del 2014 parlavano sindicalisti del SAT, andalusi, poi Baschi e gente di Yesca, l’organizzazione indipendentista castellana. La volontà di rompere l’idea di Spagna Unita è in parte un modo per poter ridisegnare nel modo migliore il territorio iberico anche in funzione delle specifiche necessità dei differenti popoli e territori, con la possibiltà di ognuno di decidere. Tutto ció, invece, non c’è nell’area podemos, che ha una visione verticale senza voler ascoltare e accettare troppo le opinioni degli altri. Podemos sarebbe disposto a una Euskal Herria libera fuori dalla “repubblica spagnola”? Lo dubito. É li la questione basica: anche se repubblicana, la visione podemista è in realtà verticale, e non dal basso, resta centralista e con una visione di Madrid come Polo centrale della penisola. E dico tutto ció per riflettere su queste cose…

  11. Sono pienamente d’accordo con te.
    Questa frase poi mi ha strappato un sorriso: “vengono da fuori e ci spiegano come dobbiamo fare la nostra lotta”.
    Un sorriso di complicità e di rassegnazione, dato che è un’esperienza vissuta e che continuo a vivere.
    Hai detto bene: totale incomprensione della questione territoriale-nazionale.

    Vale anche in Italia, per ragioni storiche abbastanza chiare.

    Giap è un’eccezione. Ma ci sono anche luoghi fisici specifici dove il discorso è compreso senza troppi problemi. Uno per esempio è la Val di Susa. So che qui questa affermazione non stupirà nessuno.

  12. Per spiegare cosa sta succedendo vi cito i fatti di oggi.
    Oggi la Audiencia Nacional, che è un tribunale eccezionale di eredità franchista, ha appena tolto il passaporto a Trapero, capo dei mossos d’esquadra, che è accusato di Sedizione. Poco dopo ha determinato l’ingresso in prigione di Jordi Cuixart (preisdente di Omnium cultural) e Jordi Sanchez (Presidente ANC), senza cauzione.
    Mentre Cuixart ricordava in un video registrato in precedenza che dal 63 al 67 Omniun già venne chiusa dal franchismo e sono disposti a tornare alla clandestinità (la metodologia di militanza in uso durante il franchismo), partiti e organizzazioni chiedevano il “ritorno a casa” (slogan utilizzato spesso rispetto alla problematica della dispersione dei detenuti nello stato spagnolo) di quelli che sono effettivamente prigionieri politici. L’accusa è quella di aver organizzato manifestazioni massive. Manifestazioni pacifiche in cui, il 20 settembre, gli unici danni sono stati per 3 auto della Guardia Civil parcheggiati davanti alla sede del Dipartimento di Economia Catalana.

    Paradossalmente, lo stato spagnolo viene accettato come membro del Consiglio dei Diritti Umani dell’ONU, per il periodo 2018-2020.

  13. […] parole d’ordine e nemici pubblici, rendendo più agevoli riscritture della storia che, anche nel mainstream, stanno via via riabilitando i fascismi. In Italia lo stato dell’arte nel «modo in cui […]

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  15. […] già passata di moda, e si torna alla visione idilliaca della Spagna pre-crisi del 2008. Dai mille feriti del referendum dell’1 ottobre ci separa meno di un anno, e sembra che tutto si sia già risolto con un nuovo governo. È […]