La trasparenza, la rete e la strada. Come cambia il mestiere dello scrittore?

I dati di vendita suggeriscono di mettersi in istrada

Quest’anno la consueta “Operazione Glasnost”, vale a dire la pubblicazione dei dati di vendita di Wu Ming, si carica di un significato particolare. E’ giunto il momento di avviare una riflessione profonda sul nostro mestiere e sulle trasformazioni che lo riguardano. A partire proprio dall’analisi dei dati di vendita, dall’evoluzione delle abitudini dei lettori, dall’avvento dei nuovi supporti tecnologici alla lettura, dal radicarsi della crisi socio-economica, risulta evidente che l’editoria, per come l’abbiamo intesa nei decenni scorsi, è destinata a cambiare completamente. Tutte le attività professionali che fanno capo alla filiera editoriale muteranno nel giro di pochissimo tempo.
A noi non interessano tanto le risposte, più o meno raffazzonate, che diversi editori si affrettano a dare per dimostrare d’essere ancora in gran forma e poter superare il passaggio critico che li attende.

Ci interessa piuttosto sapere cosa ne sarà di noi tutti, autori e lettori, nell’epoca che sta iniziando.
Di certo si impone un ragionamento sul da farsi come premessa all’esercizio di un bel po’ di inventiva. Per questo avviamo il dibattito. Lo facciamo all’inizio di un’estate calda, senza la pretesa di risolvere la discussione sotto la canicola, ma appunto per cominciarla.

I dati di vendita, dicevamo. E i download gratuiti.
Per molti anni noi abbiamo constatato in prima persona l’esistenza di un circolo virtuoso tra i download dei nostri libri e le vendite in libreria. Proprio questo circolo virtuoso è stato uno dei punti di forza della nostra attività. Più i nostri libri circolavano liberamente in forma elettronica, e più restavano vivi in libreria, perché chi scaricava prima o poi comprava, per sé o per altri, o comunque raccontava, consigliava, e quel consiglio presto o tardi si tramutava in uno o più acquisti, e tutta la nostra “backlist” di titoli rimaneva in movimento. E’ il processo che descriveva Wu Ming 1 nel vecchio testo “Il copyleft spiegato ai bambini”.
Ebbene, non è più così.
Probabilmente quello su cui insistevamo era un circolo virtuoso da periodo intermedio, tipico di una fase in cui non erano diffusi gli ereader e i tablet, ma soprattutto non c’era l’attuale crisi e i libri avevano prezzi ancora affrontabili.

La maggiore penetrazione di Internet tra la popolazione, la crescente alfabetizzazione informatica, l’esistenza di alternative che un tempo non esistevano e – specialmente – il calo del potere d’acquisto dei lettori (calo a cui, stoltamente, le case editrici rispondono con ulteriori aumenti dei prezzi di copertina), tutto questo ha generato una tempesta perfetta che ha sganciato la disponibilità della copia digitale dalla maggiore circolazione della copia cartacea.

Il lettore forte che fino a qualche anno fa comprava un tot di libri, ha dovuto ridimensionare progressivamente i propri volumi d’acquisto. I dati impressionano più nel particolare che in generale. Complessivamente, nell’ultimo anno i nostri libri sono stati scaricati oltre centomila volte, a fronte di circa trentamila copie vendute. Fin qui la proporzione sarebbe comprensibile: occorrono molti download per attivare il circolo virtuoso rete-carta. Ma se escludiamo Altai, il romanzo collettivo più recente, la forbice si allarga a dismisura: settantacinquemila download per sedicimila copie vendute, a indicare che il circolo virtuoso non esiste più: certi nostri titoli hanno venduto poche centinaia di esemplari a fronte di migliaia e migliaia di download.

La flessione delle vendite riguarda comunque tutto il catalogo. Titoli di “backlist” come 54 e Manituana negli ultimi dodici mesi hanno venduto intorno alle tremila copie. Il più recente Altai si è attestato a quattordicimila. Per la prima volta dalla sua uscita, Q è sceso sotto le diecimila copie annue, fermandosi a poco più di settemila. Gli altri titoli, meno “celebri”, stanno tutti abbondantemente sotto le mille copie.

Di contro, il numero dei download è aumentato, anche grazie alla nuova pagina dedicata (on line dal febbraio scorso) e alla disponibilità dei libri in più formati. E’ evidente che non può trattarsi solo dell’avvento degli e-reader, ma anche del fatto che c’è meno pilla nelle tasche dei lettori.
Se i titoli più celebri si difendono ancora benino, quelli solisti o di minore risonanza sono casi eclatanti: si pensi a un’uscita abbastanza recente, per un piccolo seppure battagliero editore come Ediciclo: Il Sentiero degli Dei di Wu Ming 2. A tutt’oggi quel libro ha venduto 4.751 copie, di cui 287 nell’ultimo anno, ed è stato scaricato 24.766 volte. Oppure Stella del Mattino di Wu Ming 4, che nell’ultimo anno ha venduto circa duecento copie e nello stesso periodo è stato scaricato più di novemila volte.

Non è soltanto questione di numeri assoluti. Si tratta di osservare le tendenze in atto. Leggiamo tutti meno libri anche perché… leggiamo di più altre cose. Leggiamo – e scriviamo – soprattutto a video. Quotidiani online, blog, social network, posta elettronica etc. ci fanno trascorrere ore e ore della nostra giornata immersi nella lettura e nella scrittura, ma non di libri e sicuramente non di libri cartacei.

Questo non significa affatto che il libro tradizionale sia destinato a sparire, come vaticinato da alcuni. Persino dove la tendenza alla “smaterializzazione” è più avanzata, come negli USA, i libri tradizionali costituiscono ancora l’80% del venduto. Tuttavia la carta è un supporto che verrà sempre più relativizzato, o meglio, affiancato da altri. Perderà centralità. Ha ragione Henry Jenkins quando osserva il divenire transmediale di ogni narrazione che si diffonde oggi nel mondo. Jenkins aggiunge che i processi di socializzazione gratuita delle narrazioni sono ormai troppo diffusi perché si possa pensare (e guai a farlo!) a nuove recinzioni.
In parole povere: i nostri ebook sono da sempre scaricabili gratuitamente, e gratuiti rimarranno. Per noi è un atto politico e di militanza culturale.

Dunque, che fare? Com’è possibile continuare a praticare il mestiere della scrittura e a trarne un reddito, in questo quadro che va mutando?

Al momento, la donazione a offerta libera da parte di chi scarica i nostri ebook è una mulattiera percorsa da pochissimi viandanti. A fronte di oltre quarantamila download dal 14 febbraio scorso – giorno della messa on line della nuova pagina dedicata – soltanto 56 persone hanno deciso di usare PayPal per donare qualcosa. Alla data di oggi sono entrati nella nostra cassa comune appena 1194 euro. La media delle cifre donate è di 21 euro.
Se, poniamo il caso, per ciascun download fossero entrati cinquanta centesimi di offerta, non staremmo qui a interrogarci su quale possa essere il nuovo modello. Ma così non è stato, e probabilmente così non sarà mai, anche se il dato attuale può migliorare.


Da tempo i musicisti si sono rimessi sulla strada e hanno rispostato l’accento sull’esibirsi, sul suonare dal vivo. E’ una tendenza di cui parlavamo già una decina di anni fa:

«Ora la “cultura di massa” lascia il posto a una nuova forma di cultura “popolare”, in cui contano sempre di più le esibizioni dal vivo, le reti solidali, la condivisione, il DIY […]. L’artista sarà sempre meno Divo (o Autore) e sempre più cantastorie, menestrello, bardo, griot. Non è molto “punk” tutto questo? In questo processo solo i parassiti […] hanno qualcosa da perdere, non certo Noi, vasta, eterogenea e ancora inconsapevole comunità di produttori e fruitori e commentatori di musica.»

Gli scrittori devono forse immaginare qualcosa di analogo? Devono macinare chilometri anche loro, come i trovatori del Medioevo, creando un nuovo circolo virtuoso, stavolta tra la rete e la strada? Forse la soluzione si troverà portando in giro e facendosi portare in giro dalle narrazioni. Per fare questo, bisognerà concepire le storie che raccontiamo come già spalmate e ulteriormente spalmabili su più supporti e modalità narrative.
Sono prassi che il collettivo Wu Ming ha sperimentato e continuerà a sperimentare: reading musicali, prosecuzioni transmediali dei nostri libri, collaborazioni con artisti di altri campi disciplinari, estesi tour in giro per l’Italia (e oltre). Tuttavia, dovremo fare di più. E di meglio.

Nil novi sub sole
Intendiamoci, non è una novità il fatto che uno scrittore non sbarchi il lunario con le sole vendite dei libri e debba “arrotondare” con molteplici attività (corsi di scrittura creativa, docenze, collaborazioni di vario genere) o avere un secondo mestiere, anche fuori dell’industria culturale. La maggior parte degli scrittori vive quella condizione, ma qui siamo su un altro livello: parliamo di una radicale reinvenzione del nostro mestiere, in uno scenario che non avrà più al suo centro l’oggetto-libro. Il cambiamento richiederà nuovi sforzi, un’intensificazione degli esperimenti, capacità di organizzazione e ulteriore fantasia.
Tutto questo con l’aiuto, naturalmente, della comunità dei nostri lettori.

***

Q
In libreria dal marzo 1999.
Nel periodo 31/05/2011 – 31/05/2012 ha venduto 7513 copie.
Il dato totale è 335.851
(215.851 nelle varie edizioni Einaudi Stile Libero
+ 120.000 dell’edizione one-shot ne “I Miti”).
Il libro è scaricabile in diversi formati dal 2000.
Nel periodo 31/05/2011 – 31/05/2012 è stato scaricato 21.414 volte.
[Nel 2009, primo anno pieno dell’attuale crisi economica, fu scaricato 8325 volte.
Il numero dei download risulta più che raddoppiato.]

Asce di guerra
In libreria dal settembre 2000.
Nel periodo 31/05/2011 – 31/05/2012 ha venduto 674 copie.
Il dato totale è 30.123
(16910 in edizione Tropea
+ 13303 Einaudi Stile Libero)
Il libro è scaricabile in diversi formati dal 2001.
Nel periodo 31/05/2011 – 31/05/2012 è stato scaricato 6929 volte.
[Nel 2009, primo anno pieno dell’attuale crisi economica, fu scaricato 3017 volte.
Il numero dei download risulta più che raddoppiato.]

54
In libreria dal marzo 2002.
Nel periodo 31/05/2011 – 31/05/2012 ha venduto 3054 copie.
Il dato totale è 82.584.
(somma delle edizioni Einaudi Stile Libero + Einaudi Tascabili)
Il libro è scaricabile in diversi formati dal 2001.
Nel periodo 31/05/2011 – 31/05/2012 è stato scaricato 8213 volte.
[Nel 2009, primo anno pieno dell’attuale crisi economica, fu scaricato 3712 volte.
Il numero dei download risulta più che raddoppiato.]

Giap!
In libreria dal marzo 2003.
Nel periodo 31/05/2011 – 31/05/2012 ha venduto 109 copie.
Il dato totale è 14.585.

Guerra agli Umani
In libreria dall’aprile 2004.
Nel periodo 31/05/2011 – 31/05/2012 ha venduto 568 copie.
Il dato totale è 32.863.
(somma delle edizioni Einaudi Stile Libero + Tascabili Einaudi)
Il libro è scaricabile in diversi formati dal 2004.
Nel periodo 31/05/2011 – 31/05/2012 è stato scaricato 5503 volte.
[Nel 2009, primo anno pieno dell’attuale crisi economica, fu scaricato 1920 volte.
Il numero dei download risulta quasi triplicato.]

New Thing
In libreria dall’ottobre 2004.
Nel periodo 31/05/2011 – 31/05/2012 ha venduto 201 copie.
Il dato totale è 23.298.
Il libro è scaricabile in diversi formati dal 2005.
Nel periodo 31/05/2011 – 31/05/2012 è stato scaricato 3443 volte.
[Nel 2009, primo anno pieno dell’attuale crisi economica, fu scaricato 784 volte.
Il numero dei download risulta più che quadruplicato.]

Manituana
In libreria dal marzo 2007.
Nel periodo 31/05/2011 – 31/05/2012 ha venduto 2855 copie.
Il dato totale è 65.089
(somma delle edizioni Einaudi Stile Libero + Einaudi Tascabili)
Il libro è scaricabile in diversi formati dal 2007.
Nel periodo 31/05/2011 – 31/05/2012 è stato scaricato 7116 volte.
[Nel 2009, primo anno pieno dell’attuale crisi economica, fu scaricato 1811 volte.
Il numero dei download risulta quadruplicato.]

Previsioni del Tempo
In libreria dal febbraio 2008.
Nel periodo 31/05/2011 – 31/05/2012 non risultano copie vendute.
Il dato totale è 10.374.
(5.260 nelle Edizioni Ambiente
+ 5114 nell’edizione Einaudi Stile Libero)

Stella del Mattino
Nel periodo 31/05/2011 – 31/05/2012 ha venduto 196 copie.
Il dato totale è 18.186.
Il libro è scaricabile in diversi formati dal 2009.
Nel periodo 31/05/2011 – 31/05/2012 è stato scaricato 9272 volte.
[Nel 2009, primo anno pieno dell’attuale crisi economica, fu scaricato 5084 volte.
Il numero dei download risulta quasi raddoppiato.]

New Italian Epic
In libreria dal maggio 2009.
Nel periodo 31/05/2011 – 31/05/2012 ha venduto 173 copie.
Il dato totale è 5.065.

Altai
In libreria dall’ottobre 2009.
Nel periodo 31/05/2011 – 31/05/2012 ha venduto 14.080 copie.
Il dato totale è 79.472
(somma delle edizioni Einaudi Stile Libero Big + Numeri Primi)
Il libro è scaricabile in diversi formati dal 2010.
Nel periodo 31/05/2011 – 31/05/2012 è stato scaricato 16.498 volte.

Il sentiero degli dei
In libreria dall’aprile 2010.
Nel periodo 31/05/2011 – 31/05/2012 ha venduto 287 copie.
Il dato totale è 4751 copie.
Il libro è scaricabile in diversi formati dall’11 luglio 2011.
Al 31/05 scorso, risultava scaricato 24766 volte.

Anatra all’arancia meccanica
In libreria dal febbraio 2011.
Il dato che avevamo fornito l’anno scorso (12.785) era sbagliato, non teneva conto delle rese.
Il dato totale è 10.077.

N.B. Alcuni dei nostri titoli non sono elencati perché da tempo fuori catalogo. Li troverete comunque nella tabella linkata sotto. Di alcuni titoli elencati non abbiamo fornito i dati di scaricamento perché troppo recente la loro disponibilità (es. Anatra all’arancia meccanica) o perché non scaricabili nel loro complesso. E’ il caso di Giap!, i cui materiali sono tutti on line ma non li abbiamo mai raccolti in un solo file, e più o meno lo stesso discorso vale per New Italian Epic.

TUTTI I DATI IN UN’UNICA TABELLA (PDF)

Post Scriptum

Durante il tour di Timira, in due occasioni, abbiamo assistito a una forma banale – ma interessante – di autofinanziamento. Le date di Pavia e di Vicenza erano organizzate da singoli giapster, con l’appoggio “fisico” di un circolo ARCI, in un caso, e di una piccola libreria, nell’altro. Entrambe le serate si sono concluse con la richiesta di un sostegno per l’iniziativa – comprando il libro o facendo un’offerta – e in entrambi i casi le nostre spese di viaggio sono state coperte senza difficoltà. Ora ci chiediamo: se le presentazioni dei nostri libri assumessero sempre più una dimensione performativa – adattabile a spazi ed esigenze diverse – non potrebbero nascere forme di crowdfunding (settimane prima) e di contributo (subito dopo), in grado non soltanto di garantire la copertura delle spese, ma anche il giusto compenso per il lavoro di un cantastorie e magari di un musicista? Maurizio Maggiani ormai da tempo ha trasformato le sue presentazioni in piccoli spettacoli di storytelling, per i quali chiede un piccolo ingaggio “da chitarrista di balera”. Lo stesso si potrebbe fare con forme di “mecenariato popolare”, chissà. Da qui in avanti, si tratterà di sperimentare formule, incontri, contenuti e possibilità.

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263 commenti su “La trasparenza, la rete e la strada. Come cambia il mestiere dello scrittore?

  1. Guarda: sono almeno 2/3 anni che medito su questo argomento, anche se non nello specifico del “mestiere di scrittore”, quanto piuttosto nella questione dei contenuti creativi. A mio parere l’unica risposta (anche se, lo ammetto, non articolata in un progetto preciso, piuttosto un… seme di idea!) sta nel concetto di “Fan Fiction”.
    Ormai la maggior parte dei “fruitori” ritiene suo diritto accedere gratuitamente ai contenuti (non sto ad approfondire se a torto o a ragione). Come giustamente facevate rilevare anche voi (mi pare) in merito ai social network gli stessi fruitori non esitano a fornire la “materia prima” su cui fare business anche di livello molto consistente.
    Chi produce idee non può che ricercare un modo per far fruttare questa possibile produzione di idee. NOn mi riferisco al modo “subdolo” dei social network o dei motori di ricerca, ma ad un modo trasparente di “coproduzione finalizzata”.
    La diffusione delle proprie operere (anche gratuita) implica un seguito che può essere interessato a spendere cifre limitate (ma nei grandi numeri possono diventare sufficienti a “vivere del proprio mestiere dignitosamente”!) in uyn contesto di co-creazione che – magari! – sia anche formativa.
    Ok, ok, ok: lo so che ho detto poco o nulla di concreto! Avessi le idee chiare ci avrei già fatto il grano visto che sono 3 anni che ci ragiono sopra!!! Sappiate che da tempo sto meditando su un software di “condivisione della creazione e variazioni sul tema” e che altre cose del genere viaggiano in rete….

  2. Analizzando i singoli dati, si vede che c’è una precisa correlazione tra download digitale, reperibilità e prezzo del cartaceo.

    Altai – molto reperibile in quanto novità e a un prezzo molto basso grazie all’edizione ne “I numeri primi” – ha una forbice molto stretta tra copie scaricate/vendute: il venduto cartaceo è l’85% dello scaricato.

    54 e Manituana – molto reperibili, al prezzo contenuto dell’edizione Einaudi Tascabili – fanno rispettivamente il 37% e il 40%, che secondo me sono ancora rapporti virtuosi: più di una copia venduta ogni tre scaricate.

    Anche Q sta da quelle parti e con le stesse caratteristiche: 35% di copie vendute per copie scaricate.

    Stella del Mattino – poco reperibile, quasi scomparso dalle librerie, e comunque nell’edizione da € 16,80 – ha un rapporto venduto/scaricato pari al 2%. Certo i download sono incentivati dall’esistenza di un blog dedicato al libro, ma qui mi pare evidente l’errore da parte della casa editrice: Stella del mattino è un titolo che avrebbe meritato di uscire in edizione economica, con conseguente rilancio in libreria.

    Per New Thing il discorso non è molto diverso, e il rapporto venduto/scaricato sta al 5%.

    Guerra agli Umani arriva al 10% e non a caso esiste ormai da quattro anni in versione tascabile, a € 11,50. Nell’ultimo anno meno reperibile, ma comunque più degli altri solisti e a un prezzo decisamente più contenuto.

  3. La questione mi preme e vi ringrazio della trasparenza dei numeri che permette di mettere in luce i mutamenti più di tanti ragionamenti che arrivano da professionisti che del libro amano più i numeri che i contenuti.

    È arrivato il tempo in cui numeri e contenuti devono andare a braccetto oppure non si va da nessuna parte. E il libro diventa un modo per guardare al futuro di noi in quanto individui e in quanto società. Qualche tempo fa ho scritto una poesiola su questo tema. Magari può essere utile. Magari no. Vedete voi.

    Le radici e le ali

    C’è chi guarda al futuro dei libri con interesse e, forse, un po’ di nostalgia. Anche perché, finora, i libri ci hanno permesso di condividere nel tempo della nostra vita (e oltre il tempo) le nostre radici e i nostri desideri.

    Le nostre radici di esseri umani, però, non sono nei libri. Sono più antiche. E anche i libri sono il frutto di quelle.
    Ora che la parola scritta si sta separando dalla materia non abbiamo più la possibilità di aggrapparci alle pagine di carta per tentare di afferrarle.

    Siamo costretti a cercarle altrove che non sia nei libri. Più in profondità. In quei luoghi nascosti che a volte cerchiamo di evitare.

    In noi stessi, cioè.

  4. Analisi molto corretta e importante. Notavo, qualche giorno fa, parlando con un amico musicista, quanto siano forti i parallelismi fra quanto avvenuto nell’industria discografica all’avvento del digitale e quanto avviene oggi in quella editoriale. Nel primo caso, la reazione immediata fu quello di mantenere alti i prezzi della musica da scaricare on line: quando le major si accorsero dell’errore, era troppo tardi. Qualcosa di analogo è avvenuto nell’editoria: ma il panorama, in questo caso, è più complesso.
    In primo luogo, come avete sottolineato, c’è una mutazione del lettore. Il tempo stesso della lettura è occupato “anche” da altro. L’osservazione spuria dei passeggeri dei mezzi pubblici può forse fornire un esempio: chi aveva un libro in mano fino a non molto tempo fa oggi ha non un ereader ma un iPad, e gioca con il solitario. Oppure risponde alle mail. Non è solo il denaro a diminuire: è il tempo.
    D’altro canto, lettore e scrittore tendono a coincidere sempre più. Non è un male, non necessariamente. Se non fosse che alcune major stanno inseguendo il secondo, e non il primo. In questo momento, la gran parte degli editori cerca di tamponare una crisi pesantissima quanto non ammessa con una corsa al ribasso (o addirittura puntando l’attenzione su attività non editoriali). Pubblicare è difficile, vendere ancor di più.
    Dunque?
    Dunque penso anche io che i narratori dovranno mutare forma, e personalmente penso che la via di Maggiani sia quella su cui riflettere. Magari, sperimentando ulteriori forme di collaborazione con i musicisti. La strada è la strada, se perdonate il bisticcio di parole.

  5. Una nota metodologica: non c’è un legame forte tra quanto scaricato, e quanto effettivamente letto (mentre esiste tra quanto acquistato e quanto letto).
    L’avvento della pagina dedicata ai download può aver innescato un meccanismo particolare: io intanto mi scarico tutto, e poi leggerò piano piano (o mi sono già letto tutto negli anni passati, magari in cartaceo).
    Questo per dire che alcuni ragionamenti sulla correlazione tra download e copie vendute potrebbero risultare decisamente sfalsati…
    My 2 cents, e complimenti come sempre!

    • La pagina dei download è sempre esistita, i nostri libri sono scaricabili gratis da oltre un decennio. Ciò non toglie che la *nuova* pagina dei download, con i formati ePub e Mobi, un effetto ce l’ha avuto: in febbraio, quando l’abbiamo messa on line, Q è passato dai 1800 download del mese precedente a poco più di 4mila. Manituana da 438 a 1925, Guerra agli Umani da 265 a 1468. E’ evidente che quella pagina ha fatto scaricare i testi a persone che già avevano i libri, o che già avevano i Pdf (ma non gli ePub), o che hanno scaricato in massa per leggere poi con calma. Sarebbe interessante capire se questi ultimi, via via che leggeranno davvero, torneranno per fare una donazione in linea con il ” valore” del testo. Ne dubito, ma staremo a vedere.

      • Sono uno di questi ultimi.

        Su Giap relativamente nuovo – leggo il blog quasi puntualmente da un anno circa.

        Ho scaricato gratuitamente (grazie!) un paio di libri qualche mese fa, in seguito a un post dedicato per l’occasione, e cominciato con Anatra di cui sono arrivato solo a metà.

        La promessa fatta a me stesso è ritornare per donazioni a ogni libro letto.

        Dario

  6. Come sempre chiari e illuminanti.

    Mi sento di dire la mia riguardo alle possibilità di crowdfunding e mecenariato popolare, questo in virtù della mia provenienza dal settore ‘giullaresco’ per eccellenza (e sono assolutamente cattiva e sarcastica), ovvero quello del teatro.

    Se il vostro articolo può essere molto utile a chi intende avvicinarsi alla professione, affinché non si faccia troppe illusioni ma impari ad armarsi di risorse finora impensate, temo che il mio commento abbia lo stesso fine ‘disillusivo’…
    Sappiate che gli attori, per ‘arrotondare’, come prima cosa puntano proprio sulle letture. Perché ovviamente non ci sono le esigenze e le spese legate all’allestimento, non necessitano di settimane di prove e, in questo senso, l’investimento richiesto frutta di più anche rispetto a eventuali riprese su altre piazze. Spesso queste letture sono ‘a cappello’, come si dice in gergo. Spesso sono accompagnate da musica, nei casi più fortunati (ovvero quello di avere un buon amico musicista) anche dal vivo.

    Premetto che non amo le esibizioni ‘a cappello’, un po’ per questioni di stile, un po’ perché comunque, superato lo sforzo rispetto allo stile, per quanto pieno il cappello possa essere alla fine, è molto difficile che arrivi a pareggiare il valore del lavoro svolto, ossia della performance. Ma ne ho fatte e organizzate comunque anch’io. E i risultati, a lungo termine, sono stati piuttosto deludenti.

    Intanto, se si vuole essere in regola, oltre alle spese di viaggio, eventuale affitto sala, ecc. ci sono da tenere in conto i permessi SIAE, che già si aggirano sui 100€ per i testi letterari (che ho scoperto a mie spese essere più cari di quelli teatrali). E il cappello mi si svuota in fretta…
    Ma a parte questo, per mia esperienza posso dire che il mecenatismo del pubblico non può essere considerato come una risorsa a lungo termine, appunto. Può funzionare a una prima occasione, forse alla seconda, forse alla terza se è una performance firmata Wu Ming :) ma alla fine, non per ultimo viste le ristrettezze dei tempi, i contributi tenderanno a scemare, mentre tenderà a diffondersi tra il pubblico il pensiero “va be’, io ho già dato…”.

    Per cui, secondo me: benissimo gli eventi o le presentazioni di libri in forma performativa, se questi hanno il fine ultimo di pubblicizzare il libro, perché effettivamente possono essere più accattivanti, ma di lì a farne una fonte di ‘guadagno extra’ non sarei troppo ottimista.
    Che poi siamo sempre lì. Io in qualità di attrice posso anche farmi vostra mecenate e leggere per voi senza richiedere un cachet (e se ne avete bisogno/piacere, lo faccio davvero e con piacere anch’io), ma quanto pensate che valga, in dobloni, una mia lettura? Credete davvero che il cappello pieno basterebbe? ;)
    Infatti il problema principale secondo me è che poi, con un contributo libero a finanziare ufficialmente il tutto, si svaluta anche un po’ il lavoro dell’attore o musicista che si presta alla performance…

    A meno che per lui/lei non si tratti anche di una scelta di vita (conosco diversi musicisti professionisti a cui davvero piace prendersi due settimane di vacanza e andare a suonare in strada), per cui il mio discorso ovviamente va a farsi friggere.

  7. Vi sottopongo alcune considerazioni.

    L’analogia con le opere musicali non funziona: è vero che una volta si facevano serate (gratis o quasi) per promuovere dischi mentre ora si fanno dischi (gratis o quasi) per promuovere serate, ma è altrettanto vero che la fruizione dell’opera musicale in un contesto “live” è spesso appagante quanto e a volte più dell’uso personale. Il libro non può essere offerto “live”, “live” si possono offrire gli scrittori.

    Alternativa percorribile: passare dal pagare dopo un prodotto a pagare prima il lavoro.

    Alcune esperienze nei software musicali mi hanno dimostrato come gli utenti siano spesso felici di finanziare le attività degli autori, ovvero: non pago il prodotto ma ti metto in condizione di darmene altri.

    In sostanza, una volta ottenuta la fiducia degli utenti gli stessi si preoccupano di garantirsi la possibilità di avere nuove versioni, nuovi software, nuove opere pre-finanziando il lavoro. E qui sta il punto centrale del processo a scambio continuo: ho qualcosa (magari gratis come in Free di C.Anderson), finanzio il lavoro del produttore per averne altro, ne ottengo altro, lo rifinanzio.

    Questo sistema nel software tecnico già funziona ma si noti che è usato solo da persone con grande confidenza con la rete e con i suoi meccanismi.

    Una via di mezzo già utilizzata con successo è quella dell’autofinanziamento preventivo: l’autore stabilisce una data entro la quale deve raccogliere un determinato budget che, se raggiunto, permette il lavoro e l’uscita del prodotto.

    Il più noto sito di crowd-founding : http://www.kickstarter.com/

    L’esperimento più riuscito di crowd founding personale è quello del comico Louis CK che in 12 giorni, invece dei 700.000$ prefissati ha sforato il milione, permettendogli di donare 280.000$ a progetti caritatevoli.

    Il post in cui rende nota la cosa è per me di quelli destinati a segnare il cambio di paradigma: https://buy.louisck.net/news/another-statement-from-louis-c-k

    Buona lettura.

    • E’ vero che un libro non si può offrire “live”, ma una storia sì. Il nostro ragionamento è sulla necessità sempre più impellente di essere “narratori a tutto campo” capaci di spalmare le loro narrazioni su supporti e contesti diversi. Dal nostro punto di vista è pure un discorso “vecchio”, abbiamo sempre dichiarato di voler “raccontare con ogni mezzo necessario” e in generale preferiamo definirci “narratori” o “cantastorie” e non “scrittori”.

      Sul caso di Louis CK, bisogna stare attenti a non esportare gli esempi alla cieca, da un continente a un altro, da un contesto a un altro, da un pubblico a un altro.
      Su questo blog, non più tardi di una settimana fa, abbiamo lanciato il crowdfunding per il progetto Futbologìa, e non si può dire che il finanziamento proceda a gonfie vele. Credo che la formula sia molto interessante, ma bisogna capire ancora bene dove, come e su quali progetti ha buone opportunità di funzionare.

      • “Su questo blog, non più tardi di una settimana fa, abbiamo lanciato il crowdfunding per il progetto Futbologìa, e non si può dire che il finanziamento proceda a gonfie vele. Credo che la formula sia molto interessante, ma bisogna capire ancora bene dove, come e su quali progetti ha buone opportunità di funzionare.”

        Sono uno studente veramente in canna, ma 50 sacchi per il vostro mega libro in cantiere da anni ve li avrei sganciati alla grande, se fosse stata usata la formula di crowdfunding, stile kickstarter.

    • Sulla questione del libro che “non si può eseguire dal vivo” Plv, qui sotto, ha già risposto brevemente, citando Pontiac. Aggiungo altri due esempi dal nostro percorso: Basta uno sparo e lo spettacolo 54 in collaborazione con gli Yo Yo Mundi. Quest’ultimo progetto nasce da un’idea di Stefano Tassinari, che tanti libri ha fatto eseguire dal vivo nella sua rassegna pluriennale “La rassegna immaginata”, al Teatro ITC di S. Lazzaro di Savena. Insomma, se si pensa che il libro è qualcosa di più dell’oggetto-libro, allora se ne possono scrivere di già destinati all’esecuzione live.
      Più o meno tutti i nostri libri hanno conosciuto articolazioni transmediali, contaminazioni di linguaggi e momenti “live”, molti dei quali raccolti e proposti qui.
      E’ vero, non è *la* soluzione universale ai problemi che ci tocca affrontare, non è la cura miracolosa dei mali descritti. Siamo consci di tutti i limiti, i rischi e le difficoltà di cui hanno scritto Satyrika e Plv: rogne burocratiche, abitudini indolenti, non tutti gli scrittori si trovano a loro agio nelle letture pubbliche… Però, anche alla luce delle esperienze fatte con Pontiac e Basta uno sparo, ci sembra una delle direzioni su cui investire in un modo o nell’altro. Del resto, non vediamo molte altre alternative…

      Sulla questione del crowdfunding, è una prassi che stiamo tenendo d’occhio, qualche giorno fa abbiamo contribuito al lancio di un progetto su Eppela (Futbologia, ne ha accennato anche Plv). Spiace parecchio dirlo, ma al momento sembra andare appena meno peggio delle nostre donazioni via PayPal… Speriamo vivamente che la media si alzi e il ritmo si intensifichi, perché così come sta andando non arriverà al traguardo. Bisogna valutare caso per caso e continuare a “stringere viti”, sempre tenendo presente che l’Italia non è gli USA e, soprattutto, noi non siamo Louis CK :-(
      A volte ci viene attribuita molta più “spinta”, influenza e capacità di smuovere di quella che effettivamente abbiamo.

  8. Io faccio parte della statistica descritta da montag, dopo aver comprato alcuni vostri libri nel corso degli anni (Q, 54, Giap & Altai), dopo aver comprato un Kindle ho scaricato senza versarvi 1 centesimo Q+altri 4 libri, che non ho ancora letto, ma solo perche’ erano disponibili.
    Quindi ci sono altre dinamiche in atto a causare il cambiamento del rapporto downloads/acquisti.

    La seconda cosa che vi vorrei dire e’ che dopo aver vissuto 6 anni negli Stati Uniti e 2 in Inghilterra rimango inorridito dai prezzi dei libri in Italia, ancor piu’ in rapporto al costo della vita.

    Io penso che se riscriveste un “altro Q” avreste perlomeno il medesimo successo di vendite.

    Claudio

    • Sui prezzi dei libri negli altri paesi, ricordo che quando Q uscì in inglese, edizione hardcover, nel 2003, noi rimanemmo sbalorditi dal prezzo di copertina: 15 sterline, cioè più di 18 euro (54, uscito in Italia poco prima, ne costava 15, di euro, e già ci sembravano un bel po’). In generale, mi sembra che in Uk e Usa ci sia una politica migliore rispetto all’edizione economica, mentre sulle novità non vedo una gran differenza con l’Italia (anzi, delle due è l’Italia che si è “americanizzata” negli ultimi anni).

      Quanto alle vendite: il nocciolo di questo post non è affatto una lamentatio sulle vendite. Scrivere “un altro Q” non ci interessa, è un’ossessione della quale facciamo volentieri a meno. Qui ci interessa ragionare sul rapporto carta/digitale e vendite/free download, che è proprio un altro paio di maniche.

      • Si, sono le edizioni economiche a cui mi riferisco e che immagino siano quelle piu’ vendute. Io negli UK ho comprato una ventina di libri e non ho mai speso piu’ di £7.

        Ma ho capito che il post non e’ una lamentela sulle vendite, ho fatto l’esempio di Q per contrasto ad esempio con un tipo di libro diverso come Stella del Mattino. Il rapporto vendita/download sara’ sempre piu’ alto per romanzi piu’ “popolari” e accessibili come Q o 54 rispetto a lavori come Stella del Mattino.

        Quello che sto cercando di dire (scusami se lo dico male) e’ che a mio parere l’andamento del rapporto vendite/download puo’ ingannare perche’ influenzato da fattori come la diffusione degli e-readers e dei tablets, dalla vostra nuova pagina downloads e perche’ i vostri downloads sono gratuiti, ma che il meccanismo virtuoso fra download e vendite cartacee rimane valido per le opere piu’ “popolari”.

        • Sì, anche io in un commento più sopra ho cercato di dire una cosa simile: forse non è tanto l’essere “popolare” a rendere virtuoso il circolo vendite/download, quanto piuttosto la reperibilità e il prezzo di copertina (che spesso sono una conseguenza della popolarità, ma non sempre). Sono convinto che Stella del Mattino, se proposto e rilanciato a € 11.50 (come Guerra agli Umani in tascabile), avrebbe un rapporto ben più virtuoso tra vendite e download. Di contro, se 54 fosse poco reperibile, in un’edizione costosa, credo che i download schizzerebbero in rapporto alle vendite. Purtroppo, il criterio in base al quale l’editore sceglie di ripubblicare un testo in edizione economica è abbastanza oscuro. A volte è una mera questione di copie vendute: se l’edizione novità vende tot, si fa il tascabile, altrimenti no. Noi abbiamo provato a suggerire (ad es. per Timira) un’uscita fin da subito in edizione economica,ma ci è stato risposto che l’edizione economica si può fare se la novità ha creato un certo margine, altrimenti no. E questo rischia di essere il classico serpente che si morde la coda…

        • Si, probabilmente e’ come dici tu. Pero’ la versione digitale e’ un modo per contenere i costi, basta guardare al successo ottenuto da alcuni libri venduti esclusivamente su amazon negli usa per 1 o 2$. Offrendo pero’ il download gratuito di tutti i vostri titoli vi tirate un po’ una mazzata sui piedi. E’ giusta ed ammirabile la vostra politica di cultura accessibile a tutti, ma appunto accessibile, non gratuita in ogni caso e’ secondo me una via piu’ ragionevole (ma qua sto andando off-topic penso, mi scuso)

        • Non è affatto off-topic, anzi, è il cuore della questione. Noi siamo convinti che il testo, il contenuto grezzo dei nostri libri, debba essere gratuito, nonostante il grande lavoro che ci costa produrlo. Ciò non significa che debba essere gratuita *qualunque forma*, anche digitale, che quel testo assume. Dobbiamo anzi capire come potrebbe essere fatto un “oggetto digitale” da vendere ai lettori, pur mantenendo gratuito il testo puro. Ovvero: come arricchire quel testo puro di elementi extra, utili al lettore, e quantificabili come un valore aggiunto da due o tre euro a copia.

        • @wuming2
          ecco, io questo fatico a capire: perché proprio il “contenuto grezzo”, il frutto del lavoro umano (in questo caso il vostro) sui fatti e le fantasie, deve essere gratuito?
          penso anche a quando afferma plv…
          con la cultura non si mangia, anzi con la cultura ci mangiano, ma non chi la fa. perché?
          siamo davvero condannati a guadagnare con qualche attività collaterale, tutti e sempre di più con la nostra *pubblicità*. no?
          (qui forse spingo davvero la conversazione fuori tema, se è così mi scuso)

        • “Gratuito” non è il termine giusto, produce un frame scorretto. Diciamo “liberamente accessibile”. Noi siamo come cantastorie che fanno uno spettacolo sulla pubblica piazza: lo spettacolo non è “gratuito”, però la pubblica piazza dev’essere accessibile da chiunque, perché il fatto di farci uno spettacolo non la rende “nostra”, e metterci reti e transenne sarebbe un furto di un bene comune. Quindi la piazza resta accessibile e chi vuole paga per lo spettacolo quel che ritiene giusto. Se poi uno vuole il DVD dello spettacolo, allora lo paga (o lo ruba, o se lo fa regalare, o lo prende in biblioteca) e idem se vuole il libretto con i testi, o l’audio su CD, o le foto di scena…

        • Scusate l’immane cazzata ma coi feed automatici che escono su twitter, quando “iosonogek” risponde a @wuming2, pare che un @wuming2 esista!
          https://twitter.com/#!/wuming2
          Questa volta in caratteri minuscoli…
          Magari vorrete tenerne conto per il futuro (anche se e’ un caso raro mi rendo conto).

        • ma non ti sembra un paradosso che la cosa di valore, cioe’ il testo, sia gratuita, e gli elementi extra a pagamento? e’ una soluzione troppo inverosimile.

          l’accessibilita’ alla cultura in definitiva non e’ compito vostro, ma dello stato, che nel caso dei libri lo dovrebbe svolgere in concreto con le biblioteche

          Nel caso che i contenuti (libri, canzoni, video che siano) vengano messi a disposizione in rete per il download gratuito io l’unica soluzione che vedo e’ che i creatori di contenuti vengano ricompensati con qualche meccanismo indiretto dagli internet providers o dall’azienda produttrice del supporto fisico (mp3 player, e-reader, tablet etc) sul quale il contenuto viene scaricato.

          Dopotutto, stiamo vivendo in un’epoca assurda in cui si pagano cifre incredibili per l’ultimo ipad o smartphone che sia e nulla per i contenuti che sono in realta’ cio’ che da del valore al supporto fisico.
          Il vero problema e’ che quando voi mettete a disposizione Q per il download gratuito l’unica cosa gratuita rimane proprio il download, ed invece andate ad arricchire indirettamente l’internet provider: nessuno puo’ scaricare il file di Q senza avere una connessione internet e nessuno lo puo’ leggere senza un’e-reader. Il download e’ gratuito, ma per poterlo leggere ho duvuto pagare la Apple e la Telecom. Scusa la confusione, spero si sia capito cio’ che voglio dire.

        • Sarà anche una soluzione “inverosimile”, ma senza di essa non esisterebbe Wu Ming. Non saremmo quello che siamo, né saremmo qui a discuterne con voi. E’ una prassi totalmente connaturata al progetto (e non solo, anche ai suoi antecedenti), è uno dei suoi pilastri culturali e politici.
          Aggiungo un’altra cosa: indietro non si torna, e non vale solo per noi. Non si può ingabbiare l’acqua che scorre. Sbaglierò, ma io credo che il mercato degli ebook a pagamento sia a sua volta un fenomeno da periodo intermedio, di poco momento, e non abbia molti anni di fronte a sé. Come per la musica, ogni file è reperibile in edizione pirata già poche ore dopo il primo acquisto on line. Formati proprietari, piattaforme lucchettate, app stores dispotici, DRM e altri espedienti non fanno che replicare, come ha scritto Loredana, il dramma della fine dell’industria discografica. Quella degli ebook potrebbe essere una bolla di hype la cui esplosione è prossima ventura. Attenzione, non parlo dei dispositivi di lettura digitale (ereader e tablet): parlo del mercato dei contenuti nella sua forma attuale. Secondo me, l’industria culturale deve rassegnarsi a questa nuova natura del contenuto, fluida e mai definitiva, spalmabile e remixabile. Non c’è futuro “modello di business” che possa prescindere da questo. Ma non faccio che ripetere cose che Jenkins dice meglio di me, quindi mi zittisco.

      • E’ normale che un contenuto si paghi/non si paghi a seconda di come viene proposto. Il prestito bibliotecario è (ancora) gratuito, ma questo non significa che il contenuto del libro che ti porti a casa per un mese non abbia valore o sia gratis. Semplicemente, con quella determinata modalitá quel determinato contenuto è – per te – a costo zero. Io vedo il download “liberamente accessibile” come una biblioteca diffusa dei nostri libri, un servizio molto comodo per il lettore, che infatti può contraccambiare con una donazione.
        Il discorso sugli extra non significa quindi “troviamo degli extra per poi farli pagare invece del contenuto” bensì “esiste un modo, utile al lettore, di presentare on line un testo digitale, tale che questo costituisca un valore aggiunto rispetto al puro testo – così come “possedere un libro di carta” ha un valore aggiunto rispetto a “prenderlo in prestito”?

    • Cerco di interpretare il riferimento all’altro Q: tu pensi che sia un problema di qualità dei nostri romanzi successivi?
      Anche fosse, in realtà *in proporzione* il nostro maggiore successo di vendite non è Q, ma Altai, che ha venduto 80.000 copie in due anni.
      Per arrivare a quella cifra, Q ci mise il doppio del tempo: toccò le ottantamila nel 2003, a quattro anni dall’uscita in libreria (dati precisi qui).
      Il nostro problema non è il dato dell’eventuale nuova uscita, ma il dato del catalogo (della “backlist”, come si dice in gergo) in rapporto alla fine – avvenuta per una serie di motivi – del circolo virtuoso tra download e acquisti. Prima i download contribuivano in gran parte a rendere i nostri libri “long-seller”. Ora non succede più.
      Come diceva WM2 più sopra, ciò ha anche (e non poco) a che fare con prezzi di copertina e reperibilità, cioè con scelte dell’editore che non ci hanno convinti, come la non-ripubblicazione in tascabile di libri che in quel modo avrebbero avuto una seconda vita e invece sono affondati senza più riemergere.

      • Scusate, non mi sono spiegato bene con l’esempio de “l’altro Q”.

        No, non mi riferisco alla qualita’ che non posso giudicare perche’ non ho letto tutti i vostri lavori.

        Penso invece che il passaparola e il meccanismo virtuoso download seguito da vendita funzioni bene per opere di carattere piu’ “popolare” che raggiungono una massa critica. Per lavori piu’ specifici con numeri bassi il meccanismo virtuoso non entra invece mai a regime.

        Per questo io penso che il download gratuito di libri come Q/54/Altai, oltreche’ a “funzionare” sia una cosa ammirevole, mentre per libri meno “di grido” sia un po’ una follia, perche’ le opere di valore devono essere giustamente retribuite, e ora cio’ non avviene.

        Non mi e’ chiara invece la correlazione fra il download e l’essere un “long seller”; Q (e altri lavori) sarebbero potuti essere long seller anche senza il download gratuito, non c’e’ la controprova mi sembra.

        • Non c’è una dimostrazione scientificamente inattaccabile, ma c’è una grande mole di “indizi” e testimonianze dirette dei lettori, storie che abbiamo raccolto dal 1999 a oggi facendo centinaia e centinaia di presentazioni, rispondendo a un numero incalcolabile di e-mail di lettori etc. “Ho scaricato Q, ho iniziato a leggere, poi però ho comprato e l’ho consigliato/regalato a tutti quelli che conosco” è una parabola che ci è stata narrata tantissime volte. Se ci aggiungiamo il fatto che Q è *l’unico* titolo pubblicato da Einaudi Stile Libero nell’anno di grazia 1999 che continua a essere ristampato e a vendere consistentemente, e al tempo stesso è l’unico scaricabile… Insomma, noi ne traiamo la conclusione che l’aumentata circolazione (con passaparola) garantita dalla disponibilità on line, la possibilità di scaricarlo e leggerne qualche capitolo senza dover acquistare a scatola chiusa etc. abbiano contribuito non poco a tenere vivo quel romanzo. Il download non è l’unico fattore, certo, ma ci sembra un fattore importante.

  9. La taglio con l’accetta per non riferirmi solo al vostro caso: uno scrittore è un tipo di lavoratore che rientra in un ambito culturale. L’impressione mia è che chiunque lavori in ambito culturale o comunque nella divulgazione del sapere (ci metto anche gli addetti agli uffici stampa, al marketing, giornalismo, ecc. per intenderci) debba acquisire sempre più competenze per stare al passo coi tempi.
    Per dire, è difficile che chi faccia l’attore non sappia fare anche un po’ il lavoro del fonico, del tecnico luci, che non sappia fare piccoli lavori manuali di scenografia, ecc.
    Mi sembra di poter dire che questo valga anche per voi wuminghi: oltre a scrivere libri da una quindicina d’anni tenete un blog su cui non solo scrivete ciò che vi pare e con la dovuta cura, ma seguite la discussione, ci state dietro, risolvete i problemi. Immagino ci sia anche un minimo di conoscenza della tecnica di gestione di un sito. Non solo, l’attività che facevate su twitter, quella su altri social network non è solo qualcosa che fate per passare il tempo: è parte integrante della vostra vita lavorativa.
    Parte, non remunerata, suppongo. E forse impossibile da quantificare ai fini di una remunerazione. Eppure è lavoro.
    In più ci sono le presentazioni, i convegni, dibattiti, ecc. Remunerati? Dubito fortemente, o comunque in rari casi. O comunque non troppo.
    E qui arriva il difficile.
    Perché uno lavora anche, in tutte le forme che sono necessarie all’altezza dell’epoca, e magari gli piace. Ma di problemi ne ha molti:

    1) Bisognerebbe (in un mondo idilliaco) non diventare succubi di una cosa che non si vuole come propria attività. Un mio amico fa il commediografo: mi diceva che per lavorare in quello che gli piace deve lavorare otto ore al giorno in teatro facendo altro, dopo queste otto ore può dedicarsi a quello che è il suo lavoro ufficiale, quello per cui ha iniziato a fare teatro. E’ un problema gigantesco: se non si riesce a rivoltare questa cosa secondo ciò che piace fare, ma solo secondo ciò che si “deve” fare, si finisce con l’odiare il proprio lavoro (depressione, frustrazione col rischio che la vita in vacca…)

    2) Voi wuminghi siete molto bravi nei reading e nella parte performativa: ma mica tutti sono così. Anzi gli attori giustamente arrotondano con le letture, ma questo rientra nelle loro competenze, nella loro formazione. Dopo di ché alcuno lo sa fare più o meno di natura, ma altri no. Ciascuno si deve inventare una forma diversa perché le competenze non sono ugualmente diffuse e in alcuni casi non ci sono proprio. Che si fa, quindi? Se uno è uno scrittore bravo ma è un inetto alla vita pubblica come possono le due cose andare insieme? Ci si arrangia, figurarsi. Ma la situazione non è delle migliori. E chi inizia a scrivere oggi come fa? Lo può fare?

    3) Si è più ricattabili.
    Detta crudemente: se qualcuno ti chiede una marchetta la fai più facilmente. Perché ti fa guadagnare, perché ti permetterà forse di avere un contratto, ecc.
    Può voler dire anche che devi scrivere un libro di cui non ti frega niente, o magari lo devi ambientare in uno scenario preciso perché il mercato vuole così. Questo tra l’altro è ciò che secondo me rischia di ammazzare la letteratura, non in quanto mercato, ma in quanto credibilità. Ho l’impressione che il cinema ci sia già passato.
    Però questo come si concilia il ricatto col fare il proprio lavoro senza scendere a compromessi? Se al ricatto ci sei costretto perché, per esempio, devi pagare l’affitto?

    4) Non ci si campa. Eccallà.
    Mettere il cappello alla fine delle performance, chiedere l’offerta, crowfounding (futbologia in questo senso è un esempio molto interessante) sono forme che ultimamente stanno emergendo sempre di più, come le si implementa perché non siano più emergenziali? Oppure il rischio è anche quello che sembrino delle elemosina. Così non deve essere, il lato sovversivo (mi sembra una parola adatta, visto che si tratta di rompere alcuni meccanismi di mercato) di queste pratiche può essere molto potente se non riduciamo tutto alla cattolica carità. Ma è un rischio che si corre.
    Nel frattempo mi sembra che poco a poco saltino gli intermediari: pensiamo all’autoproduzione, in cui il rapporto con la casa editrice salta e c’è il rapporto col distributore e coi librai. Mi riferisco a chi è meno noto di wu ming, ma poco a poco mi sembra che li si stia arrivando.

    In tutto ciò qualcosa si guadagna: forse la circolazione dei saperi è più libera, perché è più diretto il rapporto tra chi produce e chi usufruisce.
    In più le modalità di recupero fondi che citate (cappello, offerta, crowfounding) mi sembra non siano in rapporto uno a uno, come invece è la vendita del libro. C’è sempre un elemento collettivo: la folla che si avvicina al cappello degli artisti di strada, sapere in quanti hanno donato qualcosa a futbologia: tutto questo ti fa percepire come un soggetto fra tanti soggetti, ti rende partecipe. Forse questo è positivo. Anche se le problematiche sollevate da Satyrika sono assolutamente vere

    Inoltre forse ci si può legare a Jenkins non solo pensando alla produzione artistica, ma alle occasioni fisiche della distribuzione: se chi produce e chi “usufruisce” sono sempre più vicini (anche fisicamente), sempre più sullo stesso piano, allora anche le barriere fra i due sono sempre più esili.

    Messa giù così mi sembra che siamo vicini alla rivoluzione. Non è così evidentemente, ma se nel sottobosco del mercato si creano forme di resistenza è tutta salute.

    Scusate la lunghezza.

    ps. Scegliere con cura i libri, scommettere su quello che di sicuro non ti delude perché non vuoi buttare 20 euro, è veramente poco entusiasmante. I libri usati costano la metà: non si potrebbe produrli già rovinati, già usati, già di seconda mano?

    @alphadelphi

    “Il libro non può essere offerto “live”, “live” si possono offrire gli scrittori.”

    Questo è vero se rimaniamo all’idea che il libro sia quell’oggetto fisico che abbiamo conosciuto nella sua unica versione fino a dieci anni fa. Ma il libro non è sempre stato quello e non sarà sempre quello.
    Un cambio di format di cosa sia un libro e, nello specifico, una narrazione è comunque in atto, che ci piaccia o no. Inoltre un libro può benissimo essere una cosa quando è sulle pagine che una persona legge da sola, e un’altra cosa quando c’è una chitarra che accompagna. Può anche essere cantato, volendo.
    Se una narrazione prevede una parte live (Pontiac) che così sia, le cose cambiano e nulla è stabilito una volta per tutte.

  10. Per quanto mi riguarda la questione è cruciale, in un senso che va molto oltre wu ming stesso o i libri e gli scrittori. Ed eccede anche la dimensione dei bisogni culturali tout court. Perchè in prospettiva, a mio avviso già molto ben delineata e non tanto in là nel tempo, questa cosa riguarderà anche la salute (sanità) e la scuola (formazione) dei nostri figli.
    Questo è il motivo principale che mi ha spinto insieme a qualche altro pazzo a pensare Fùtbologia e mettere la palla al centro così come è stata messa. Perchè è una cosa futile. Perchè a Fùtbologia si può rinunciare, e non muore nessuno. Perchè Fùtbologia come convegno, crowdfunding, progetto condiviso e orizzontale, può fallire, senza che questo sia un grave danno.
    Ho spinto io per mettere l’asticella alta, e me ne assumo la responsabilità. Se entri in un laboratorio per un esperimento e sei sicuro che riesca, non sei uno bravo, sei un ciarlatano.
    Si tratta di verificare potenzialità e limiti di certe forme di condivisione e mutuo sostegno, senza trucchi, e senza dare niente per scontato. Se non ci inventiamo qualcosa facciamo una brutta fine. Tutti.
    Le risorse, pubbliche e private, non ci sono. E non ci saranno più, per lungo tempo. Tutto ciò mette radicalmente in questione un’enorme quantità di produzioni, non solo culturali. Ma per il momento, fermiamoci a quelle.
    A cosa siamo disposti a rinunciare?
    A cosa NON siamo disposti a rinunciare?
    Cosa ci serve per vivere?
    Un po’ di bellezza (relativa) è necessaria? Un po’ di senso (relativo pure lui) è necessario?
    I film di Kubrick non si faranno più. E non solo perchè il vecchio Stanley è morto da un pezzo.
    I produttori devono smetterla di sentirsi artisti.
    I fruitori devono smetterla di sentirsi clienti.
    Perchè, a prescindere dallo status, stanno saltando i corpi intermedi che permettevano agli uni e gli altri di rimanere tali. E, si badi, questo è un bene.
    Il male è che noi non siamo mai pronti.
    I muri cadono.
    Ma ci crollano addosso. E la città che assediavamo da sempre non la vedremo mai.
    Non avremo ancora troppe occasioni per discuterne.
    L.

    • Daccordissimo sul discorso di Luca, mi resta il dubbio di quanto Fùtbologia possa essere un test attendibile, mi sembra essere sia un caso molto particolare perchè si occupa di una cosa (il calcio) già sovraesposta, sia perchè, trattandosi di un convegno credo che chi non pensa di avere la possibilità di andarci si senta poi anche meno pronto a contribuire.
      In ogni caso il discorso del ‘saltare i corpi intermedi’ lo trovo giustissimo. Nel mio piccolo, cercando di evitare le grandi catene è piuttosto raro che io trovi già in libreria i libri che vorrei comprare, 99 volte su 100 li scelgo altrove (spesso sul web), poi vado dal libraio e li ordino. Certo, a volte questo è scomodo (specie se il libro vorresti regalarlo ma ti sei svegliato all’ultimo minuto), è comunque meno appagante che andare a prendersi il libro dallo scaffale, però, almeno per me, è già quel che succede. Se questo fosse più diffuso il problema della reperibilità non esisterebbe, e anche per quello del costo si avrebbero più margini di intervento.

      • Un po’ mi dispiace entrare nella discussione per parlare di noi e non di Wu Ming. Vorrei solo fare una piccola precisazione per RobertoG.: Futbologia è sì un convegno di tre giorni a Bologna ma è anche tante altre cose. Alcune sono partite (blog e sn), altre partiranno, e non ci poniamo limiti: vogliamo portare Futbologia dappertutto.
        Il crowdfunding è stato lanciato avendo in mente un budget preciso che serve per coprire le spese vive del convegno ma anche per porre le basi dell’attività futura. Nei prossimi giorni avremo modo di parlarne.
        Qualcuno chiedeva i dati: siamo a quota 1300 su 20000 con 46 sottoscrittori, mancano ancora 93 giorni. Ricorda un po’ i primi minuti di gioco tra Germania e Italia coi tedeschi che imperversavano. La partità finì diversamente, sta a noi far finire diversamente anche questa.
        Scusate l’inciso off topic in una discussione che è uno spartiacque per Giap.

  11. Mi permetto di utilizzare alcuni vostri spunti per saltare a qualche conclusione.
    Alle volte ho l’impressione che siamo all’inizio di un nuovo medioevo. Perchè forse il medioevo è stato questo: non la mancanza di cultura e immaginazione ma la perdita di “un’indicizzazione” dei saperi – e quindi di una loro trasmissione/circolazione e conservazione – che i mediatori garantivano pur imponendo le loro gabelle (editori, librerie, critici, riviste, università, biblioteche…). Se la modalità prosumer rimpiazzerà in toto la dialettica producer/consumer, com’è lecito attendersi, chi garantirà l’industria culturale dal rischio entropia? Ma soprattutto, siamo veramente alla fine del mercato culturale? Qualcuno che ci guadagna, e tantissimo, c’è sempre: i produttori di e-readers e di tablets, i Zuckerberg e i Google che sfruttano il pluslavoro intellettuale e comunicativo di milioni di “prosumers” senza più nessuna retribuzione (come giustamente avete rilevato voi).
    La filosofia prosumer, come pure il movimento no-copyright, nascono come ideali libertari ma siamo sicuri che ora non stiano diventando forme di schiavizzazione belle e buone con grosse corporations da una parte e una massa indistinta di mucche da latte (o sempre più da macello) dall’altra, nella quale si confondono produttori e consumatori (perchè alla fine entrambi pagano…)? Siamo sicuri insomma che anzichè liberalizzare la cultura non la si stia demolendo togliendole la possibilità di riprodursi?

    Sto saltando alle conclusioni senza sviluppare i pensieri, me ne rendo conto. Provo a svilupparne uno:
    Spesso si citano grandi autori come Proust o Melville quali esempi di grandissimi che ci hanno regalato capolavori senza ricavarne niente in termini monetari. Con un entimema ardito si potrebbe sostenere che anche se ora gli scrittori diverranno tutti, chi più chi meno, una massa di morti di fame che dovranno tirare a campare con altri lavoretti ciò non frenerà la letteratura, così come gli stenti non hanno impedito in passato di produrre classici… bhè, che si tratti di una cazzata lo capiscono tutti, no? Innanzitutto perché il fatto che Proust o Melville non ci abbiano cavato un soldo dai loro capolavori non ha alcuna implicazione nella distribuzione/trasmissione di quei capolavori che è stata garantita proprio da quei mediatori culturali che ora stanno scomparendo (e che per contro rendevano purtroppo elitario l’accesso al sapere) e poi c’è una questione motivazionale: anche Stephen King all’inizio pativa la fame vivendo in una roulotte svolgendo lavori da “paria”, però lo sorreggeva la motivazione di riuscire a fare dei soldi e di viverci della sua immaginazione. A Proust i soldi non mancavano ma probabilmente era animato dalla motivazione che la sua opera circolasse universalmente. Se ora la possibilità di camparci diventa sempre più un’utopia, ma non solo, se la possibilità che la propria opera circoli e possa persino diventare un classico è preclusa a priori perchè finirà in un mare magnum indistinto… se insomma la letteratura diventa un hobby come il bricolage, il comporre foto-album o il comporre della musica per allietare gli amici, di fatto la letteratura non esiste più, diventa un’applicazione accanto alle altre, sempre più insensata per il tempo che ruba nel consumarla e nel produrla… meglio leggere le mail e guardare le foto degli amici su facebook… E’ giusto che gli scrittori si diano una mossa e diventino più ecclettici ma se poi diventano dei puri “promotori finanziari” (creativi quanto si vuole) di sè stessi si va comunque a degradare il “prodotto letteratura” che finisce su uno scaffale accanto ai tupperware, agli integratori vitaminici e a qualunque altra cosa si voglia promuovere… si va a finire che un reading in libreria diventa come una dimostrazione di aspirapolveri nel centro commerciale, una nicchia di mercato accanto alle altre… Si, lo so che non era questo che intendevate con radicale reinvenzione del mestiere di scrittore ma c’è il rischio che a questo tutto si riduca…
    La mia riflessione è questa: può essere che la filosofia prosumer e del DIY come “mezzi di lotta” sia giunta al capolinea? Se una volta i nemici erano le majors forse ora i nemici sono ancora più a monte (lo sono magari sempre stati): colossi finanziari che controllano i grandi brand che controllano i mezzi di produzione tecnologici agitando la filosofia del DIY come strumento di marketing (l’Apple vive di questo…). E se è veramente così quali possono essere le pratiche antagoniste che permetteranno alle masse di re-impadronirsi dei mezzi di produzione? Ritornando ad uno scrittore, come può narrare storie e farle circolare senza trasformare la sua attività in una forma di marketing?
    Non so: ho tante brutte domande e nessuna risposta decente.

  12. Anche io ho domande, brutte, belle e così così, senza risposte. E alcuni dubbi: il crowfunding, fin qui, non mi sembra abbia funzionato molto per quanto riguarda i libri. Credo che, nei prossimi anni, assisteremo a un gran proliferare di self-publishing, via Amazon oppure via portali di major nostrane, come quello annunciato da Mondadori. Non ho certezze, ma provo a immaginare che si tratterà di cose tipo: “il libro che viene più votato dagli altri lettori lo pubblichiamo”.
    Teoricamente, e per quanto riguarda la condivisione di saperi che qui veniva citata, tutto bellissimo. Nei fatti, penso che sappiamo benissimo quel che significherà: una sgomitata all’ultimo sangue. E la scomparsa, o l’allontanamento molti passi indietro, delle figure mediatrici come quella dell’editor, che è tutt’altro che secondaria. Insomma, per rispondere a Lo.Fi., temo che in questo modo le masse non si re-impadroniranno affatto dei mezzi di produzione, anche perchè quei mezzi verranno comunque gestiti da colossi (Amazon) o major (Mondadori, nel caso).
    Il mercato dei contenuti sarà così. Cavallero, ad Mondadori, parlava recentemente della trasformazione dell’editore in “impresario”. Ma al di là delle dichiarazioni di intenti, la questione sul piatto è che è molto improbabile che si possa mai più vivere di scrittura. Vale per i già pubblicati e vale per gli esordienti, anche se Amazon continua a far suonare le sirene del Million Kindle Club.
    L’idea di una via totalmente nuova, che non sia solo reading o performance ma che sia una sorta di “opera totale” parallela alla narrazione vera e propria, potrebbe essere quella praticabile. Oppure è davvero possibile che ritorni il mecenatismo, che la scrittura torni a essere una faccenda decisamente elitaria.

  13. WM2 chiede: “come arricchire quel testo puro di elementi extra, utili al lettore, e quantificabili come un valore aggiunto da due o tre euro a copia”.

    Segnalo un esperimento che ho seguito molto da vicino, quello di Arturo Robertazzi, scrittore al primo romanzo (romanzo storico, peraltro):

    http://www.ledita.it/ezagreb-emozionare-due-volte/
    http://www.arturorobertazzi.it/ezagreb/

    Si tratta, per l’appunto, di un esperimento, e in quanto tale sfugge ai tentativi di definizione. Però rappresenta una prima apertura a una narrazione transmediale che sfrutti le possibilità del digitale. Si tratta di usare la fantasia.
    Una versione di Q o Altai con contenuti extra? Bibliografie? Immagini? Documenti d’archivio? Il backstage della stesura? Le sbobinature delle vostre riunioni (rutti compresi ;-) ). C’è l’imbarazzo della scelta. Pensate a Il Sentiero degli Dei che ha già contenuti multimediali: mappe e foto. O a New Thing che potrebbe includere tracce audio (standard e/o cose fatte per l’occasione).

    Gente più brava di me dice che la tendenza in crescita per l’industria dei contenuti sono le web app. Boh, non so, però non è un’idea da scartare, in termini di narrazioni possibili.

    Certo, questo vale per i Wu Ming, e non è detto, come giustamente ricorda Plv, che valga per *tutti* gli scrittori. Il tema centrale rimane comunque come garantire l’equilibrio tra diffusione dei contenuti e retribuzione del lavoro.

    Sul crowdfunding: io l’ho lanciato a febbraio scorso per l’edizione primaverile di Librinnovando, un convegno “sul futuro dell’editoria” che si è tenuto, dopo 3 edizioni milanesi, a Tor Vergata. Il convegno è sempre stato gratuito, e come potete immaginare ha comunque dei costi vivi (rimborsi relatori, comunicazione, stampa etc). Io e gli altri che ce ne siamo occupati lo abbiamo fatto male, sia perché inesperti sia perché lo facevamo nei ritagli di tempo, e alla fine, in zona Cesarini, c’è stata una leggera impennata delle donazioni (usavamo Kapipal). In totale abbiamo raccolto 665€ meno la commissione Paypal, che, fortunatamente, sono bastati a coprire quelle spese più importanti. Abbiamo però capito alcune cose:

    – il grosso delle donazioni avviene appena si lancia il progetto e negli ultimi giorni, secondo una curva che va parallela a quella dell’attività di comunicazione che si fa intorno al progetto. Al lancio, arrivano i soldi degli “amici”; in chiusura – posto che gli amici abbiano riverberato la loro donazione – arrivano gli amici degli amici.
    – alcune donazioni sono state espressamente “richieste”. Questo è stato possibile perchè si trattava di un convegno specialistico con un pubblico di riferimento preciso: “Sei un editore? Sgancia!”. Non so se sia possibile farlo con tifosi e appassionati vari di calcio, ma (dico a Luca), pensateci.
    – è capitato che qualche influencer abbia trainato altre donazioni, è comprensibile. I francescani e i domenicani, nel Messico coloniale, convertivano i nobili e i cacicchi locali, garantendosi, quasi per travaso, la conversione dei loro sottoposti (internet non ha scoperto nulla! ;-) ). Calciatori? Vecchie stelle in pensione? Presidenti di club?

    My two cents.

  14. Mah: tutto giusto e tutto sensato, ma io continuo a pensare che ci debba essere un modo per mettere in comune la cultura e le capacità guadagnandoci. Non dico “arricchendosi” (in termini finanziari: culturali si!) ma vivendoci.
    Io da un pezzo faccio “volontariato culturale” su molti fronti. Ci dedico notti dopo quel lavoro che mi permette di mangiare. Spero in futuri in riscontri che però dipendono probabilmente più da forme di cooperazione tra attori diversi per specializzazione e capacità che da puro e sempilce culo.
    Provo a dirlo in un altro modo: chi ha il controllo di capitali e mezzi di produzione può mettere in opera squadre di specialisti che fanno ciascuna cose diverse coordinandole in un progetto unico: tanto paga e controlla il progetto!
    Secondo me sta finendo l’epoca dei bravi artigiani solitari che devono piuttosto cooperare in progetti con una visione più ampia e che coinvolgano – come dicevo all’inizio – i fans. Una sorta di “fan fiction industriale” che riorganizzi in contesti più ampi e finalizzati le singole produzioni culturali artigianali di alta qualità per farne prodotti e mercati ad elevato valore aggiunto e contemporaneamente a basso costo unitario.

  15. Capisco che tornare indietro da una scelta politica sia doloroso, ma considerando quanto è cambiato il quadro da quando avete iniziato a mettere i vostri libri in download gratuito, sarebbe così incoerente provare a chiedersi se quella scelta abbia ancora lo stesso senso di allora o non sia invece da rimodulare? Sarebbe così eretico prevedere oggi un prezzo “politico” (quindi molto basso, sotto ai due euro, per dire) per i vostri ebook? È vero, la cosa richiederebbe aspetti tecnici, ma anche legali e persino fiscali, che non hanno niente a che fare con il lavoro dello scrittore come oggi è inteso. Ma diamo per scontato che in qualche modo quel lavoro, oggi, debba cambiare. Wu Ming ha già dalla sua un rapporto diretto, disintermediato, con i propri lettori e questo aiuterebbe un esperimento in questo senso. Saluti.

    • Guarda, io credo che mettere a pagamento download che sono sempre stati gratuiti sarebbe uno smacco.

      Mossa inutile, perché ormai quei file sono ovunque e sarebbe come tentare di mettere il giogo a buoi che non ci sono più, fuggiti dalla stalla molto tempo prima.
      [Al che potresti ribattere: “Chi vi stima paga un file anche se è disponibile gratis altrove”; al che io potrei rispondere: “Se ci stima, può donare qualcosa per un file anche se è disponibile gratis qui” :-) Perché fare un giro tortuoso per tornare alla condizione che già esiste?]

      Mossa controproducente, perché passerebbe un messaggio sbagliato, e cioè che il download gratuito è stato un “errore”, quando invece è stato ed è ancora una prassi costitutiva del nostro progetto ed è alla base del nostro rapporto con la comunità dei lettori.

      Mossa deprimente, perché tornare indietro è roba da sacca scrotale strascicata sull’asfalto.

  16. riguardo a donazioni e crowfounding: uno dei problemi di questo strumento e` proprio il fornitore del servizio. Paypal, oltre ad essere un soggetto con un passato di azioni “politiche” discutibili, ha un costo tale da rendere impossibili micropagamenti. Non e` economicamente conveniente versare 50 centesimi a download quindi e` ben difficile far in modo che “per ciascun download fossero entrati cinquanta centesimi di offerta” se non sperando che aumentino le donazioni sostanziose, paragonabili all’acquisto del libro cartaceo.

    Esistono delle alternative a Paypal, almeno in teoria, che risolvono questo problema dei micropagamenti. Una cosa molto interessante e che ha avuto i suoi quindici minuti di celebrita` negli ultimi tempi sono i bitcoin (http://bitcoin.org/).
    Il discorso sui bitcoin e` lungo e oggi come oggi hanno piu` l’aria di uno strumento altamente speculativo che quella di moneta/banca/circuito di pagamento gestito orizzontalmente, ma penso che valga la pena prenderli in considerazione e almeno studiare l’idea (si potrebbe anche pensare di far partire una rete parallela, ad essere molto visionari).

    Potreste provare a mettere anche un indirizzo bitcoin accanto a quello paypal, giusto come esperimento.

    • Sì, i cinquanta centesimi erano puramente ipotetici, noi nella pagina download consigliamo (in modo piuttosto blando) il tetto minimo di 5 euro, e infatti la maggior parte delle donazioni è superiore a quella cifra.
      Anche per le ragioni politiche che dici, per le stronzate “libertarian” del suo fondatore, per la brutta mossa contro Wikileaks etc. ci piacerebbe lasciar perdere PayPal. Solo che è lo strumento che usano tutti, è difficile, e in ogni caso non riusciamo a vedere un “fuori”, per forza si passa dalle banche, dal capitale finanziario e creditizio, e se non è zuppa è pan bagnato. Più che una questione di dentro-fuori, è una questione di rapporti di forza. Al momento non c’è un rapporto di forza che consenta di fare a meno di PayPal. Quel che possiamo fare è affiancare più opzioni, dare libertà di scelta. La tendenza è già quella: da qualche mese, oltre a PayPal usiamo anche Flattr. C’è il link in fondo a ogni post, anche in calce alla pagina download. Alcuni lo hanno usato, ma si contano sulle dita della mano di uno che l’ha appena infilata in una tritarifiuti. Quasi tutti scelgono PayPal. Il sistema bitcoin me lo sono guardato un po’ tempo fa, mi è sembrato piuttosto “brigoso”, comunque nulla esclude. Ma tieni conto che già pochissima gente usa PayPal, figurarsi i bitcoin. E’ come insegnare la glottologia prima dell’alfabeto…

      • Intanto, per dare il buon esempio ho attivato una iscrizione mensile su Flattr. Che secondo me è meglio di una cosa una tantum, anche se magari a voi quello che arriva è uguale. Paypal ha il vantaggio che puoi pagare anche senza avere un account. Flattr ha il vantaggio di far crescere il sistema dei micropagamenti/microdonazioni veri. Magari per chi non lo conosce non è chiarissimo cosa voglia dire “Flattr this!” mentre tutti sanno cos’è PayPal, o lo immaginano visto che è Pay… ma divago.

        Secondo me il punto è proprio ribaltare la tempistica: se scarico un libro di Wu Ming, non metto 5 euro sul piatto per pagare quel libro o come “compenso” per quello. Sono per darvi modo di scrivere il prossimo. Forse è un concetto meno elaborato rispetto alle distinzioni tra contenuto, contenitori, filiera, etc. Ma mi sembra anche più diretto.

        • Hai ragione, è il modo più chiaro di dirlo.
          Una cosa che nessuno di noi ha ancora fatto in questo thread è spiegare cosa sia Flattr e su quale concetto si basi. All’uopo, linko la voce su Wikipedia:
          http://it.wikipedia.org/wiki/Flattr
          L’idea è interessante, ma secondo me il concetto è ancora abbastanza difficile da assimilare, perché poco intuitivo. Il nome del servizio, poi, è troppo criptico. Persino in inglese nessuno associa di primo acchito il verbo “Flattr” (adulare, lusingare, anche leccare il culo) a un servizio di microdonazioni…

  17. L’idea di arricchire in modo multimediale le narrazioni digitali è molto interessante in sé, ma mi pare che non sia il punto cruciale della questione – anche perché, come osservava WM1, sarebbe impossibile impedire che le versioni arricchite di contenuti extra circolassero abusivamente in forma gratuita.
    Io trovo che alla base della scelta di pagare per qualcosa che potrei ottenere gratis ci sia sempre una relazione in senso lato affettiva. Se capito per caso alla presentazione di un libro da parte dell’autore, e il libro mi sembra interessante e l’autore simpatico, io alla fine quel libro lo compro molto più volentieri di un libro che vado a prendere in libreria per conto mio. L’acquisto costituisce un legame, perché è un modo come un altro di dire a quella persona che quello che ha fatto mi è piaciuto (o penso mi possa piacere), e il poterlo dire è gratificante. Mi pare che il vostro “tenere il culo in strada” sia, in questo senso, fondamentale.
    A Milano Radio Popolare va avanti da decenni basandosi in gran parte (non solo) su abbonamenti annuali da parte degli ascoltatori, che da quegli abbonamenti non ricevono nessun servizio extra rispetto a chi la ascolta a sbafo. L’abbonamento minimo è di 90 euro all’anno, e secondo Wikipedia alla fine del 2010 gli abbonati erano oltre 10.000. Certo siamo in un campo diverso, gli ascoltatori seguono la radio quotidianamente, ma tutto sommato credo che non siano poche le persone che seguono assiduamente Giap (a proposito, quante sono?).
    Avete scritto che se tutti quelli che hanno scaricato un libro vi avessero dato 50 cents non saremmo qui a parlare di questo: se il punto è questo, io osservo che forse dovreste essere un po’ meno timidi nel dichiarare che le donazioni non solo sono ben accette, ma sono anche fondamentali per la vostra sopravvivenza. Radio Popolare, una o due volte all’anno, fa una campagna abbonamenti che occupa per qualche giorno l’intero palinsesto, con telefonate in diretta di chi si abbona o “ritocca” l’abbonamento: il tutto in modo divertente e mai pesante, però lo fa, e chiede 90 euro come minimo. Magari non è necessario arrivare all’equivalente di questo, però almeno la pagina dei download avrebbe bisogno di un rifacimento radicale (al momento posso scaricare la vostra opera omnia senza nemmeno vedere la colonnina di Thomas Muntzer). Ad esempio, ogni libro potrebbe avere una pagina a sé stante con la copertina, un po’ di informazioni, un GROSSO invito ad effettuare una donazione anche minima spiegando la vostra politica, e, in fondo, il bottone SCARICA. Secondo me qualcosa cambia…

    • Tutto molto sensato e utile. Sicuramente, d’ora in avanti, ogni nuovo titolo che aggiungeremo alla pagina dedicata avrà anche un post tutto suo. Abbiamo fatto qualcosa di simile tempo fa con “Il sentiero degli dei” e “Anatra all’arancia meccanica”: il post è la notizia dell’aggiunta, più il link per scaricare, più l’invito a donare qualcosa.
      Il tuo riferimento alla colonnina con Muntzer è significativo: nella pagina dedicata ai download, la possibilità di donare è data in calce, c’è il bottone PayPal e una spiegazione. La colonnina con Muntzer è una cosa a parte, sta sul lato destro della schermata indipendentemente dal post che uno sta vedendo. Il fatto che tu le abbia sovrapposte nel ricordo mi sembra dire che nella pagina dedicata l’invito a donare non rimane abbastanza impresso.
      Riguardo a quante persone visitano Giap, il numero di IP unici giornalieri oscilla tra i 5000 (durante i week-end) e i 10.000 (nei giorni in cui appare un post “caldo”), ma siamo arrivati anche a 13.000 IP unici (è successo il 20 maggio scorso).

      • Guarda, secondo me chi va nella pagina dei download il post non lo legge, o comunque non più giù di dove compaiono i link per scaricare. Soprattutto chi ci capita senza essere un Giapster, ma magari è uno che ha letto un vostro libro senza conoscervi e ha saputo o scoperto per caso che può scaricare gratis anche gli altri (e in questo caso, credo che il post separato per ogni new entry non serva granché).
        Comunque anche la colonnina con Muntzer uno se la deve andare a cercare, io sarò tonto ma l’ho scoperta per caso un annetto fa. Non è che sul chiedere soldi siete un po’ troppo pudichi? Senza arrivare alle minacce via pop-up, però magari un header ogni tanto come quelli che mette Wikipedia, no?

      • Ecco, per completare la risposta, ieri abbiamo superato gli 8000 IP unici.

        • Niente male. Se anche solo metà degli abituali frequentatori di Giap considerasse l’idea di un abbonamento annuale volontario già sareste a buon punto. E, visto che ammettete la vostra pudicizia al riguardo, spero che non vi infastidisca un piccolo invito ai colleghi giapster: ragazzi, ma dove lo trovate – in rete e non solo – un posto dove circolano idee come questo? Dai, dai, dai…

  18. Mi faceva notare un caro amico che il rischio, al momento, è fondamentalmente uno: che la biblioteca di Babele venga usata in chiave destroy. In altre parole: in un paese di panettieri, chi pagherebbe per il pane? Perdonate la brutalità, ma è esattamente questo quel che sta avvenendo. Allora, bisogna forse pensare ad altre forme di alimentazione.

  19. Discorso dannatamente complesso. La prima analogia che mi è saltata alla mente, per deformazione professionale, ovvero il free software, non è sovrapponibile al caso in esame. Nell’informatica non è il solo codice che conta e che fa la differenza. Chi campa di free software riesce a farlo perchè, oltre al codice, serve altro, serve la competenza, rivenduta sotto forma di consulenza, di personalizzazione, di integrazione nel contesto dei singoli clienti, di assistenza. Ma il codice che si decide di rilasciare sotto licenza GPL è comunque lì, diventa irreversibilmente parte del Comune. Ovviamente nel caso dell’arte, il contesto che consente di garantirsi comunque margini di sussistenza viene meno, in misura più o meno marcata, perchè se è vero che i musicisti possono “mantenersi” con i concerti, per i letterati il discorso è ovviamente più complicato. Che fare, dunque? Non ho soluzioni, temo. Quel che penso, però, è che sia necessario un mutamento radicale nel rapporto tra “creatori” e “fruitori”. Ricordo che anni fa i Radiohead iniziarono la distribuzione di “In rainbows” in maniera indipendente e con un approccio innovativo: arrivavi sul sito e decidevi. Decidevi se e quanto pagare. Beh, io i miei bravi 4 pound glieli lasciai. Era giusto, per l’opera, per l’innovazione, per il bypass di tutta quella catena di accumulo di plusvalore tipicamente presente in quel mondo. Insomma, so che il tutto può sembrare un pippone moralistico, ma il punto è che se vogliamo sovvertire gli schemi, ognuno di noi deve farsi carico della cosa. Quando siamo “creatori” lo possiamo fare con la scelta del tipo di licenza (sia questa la GPL nel caso del software piuttosto che la CC nel caso di opere d’altra natura). Quando siamo “fruitori”, beh, dobbiamo farci parimenti carico di una responsabilità e remunerare chi crea. Credo quindi che introdurre la richiesta di un obolo per il download (il che *nulla* a a che fare con la licenza con la quale si rilascia l’opera, per altro) sia una soluzione transitoriamente più che accettabile.

    • La precisazione che fai nelle ultime tre righe è estremamente importante, perché definisce molto bene qual è la nostra scelta etico-politica: non tanto la gratuità del download, quanto la possibilità di accesso libero al contenuto digitale. Ovvero: se anche da questo sito noi ci mettessimo a “vendere” i nostri e-book (cosa che al momento non possiamo fare, ma è un discorso di prospettiva), non si tratterebbe comunque di un *passo indietro* rispetto alle nostre convinzioni e alla filosofia del nostro progetto, almeno fin tanto che quei contenuti resteranno copyleft, creative commons, liberamente riproducibili senza scopo di lucro. Noi potremmo pure venderli, ma senza togliere ad altri la possibilità di distribuirli gratuitamente. Ed è questa possibilità che costituisce la vera differenza filosofica, non il singolo caso in cui un determinato supporto viene proposto a pagamento, a offerta libera oppure gratis.

  20. A proposito di narrazioni spalmate e transmediali. Chi sta a Bologna può segnarsi la data di martedì 10 luglio, al Bolognetti Rocks di vicolo Bolognetti. Wu Ming 2 e Frida X eseguiranno dal vivo “Notturno 4 (Mille Miglia)” da “Il Sentiero degli dei”, in una versione allargata che finora si è sentita soltanto al Festival del Camminare di Bolzano.

  21. Rileggendo il thread, ho l’impressione che abbiamo contribuito a montare un equivoco sulla natura delle donazioni via PayPal. Noi non chiediamo donazioni “in cambio dei download”, ma come contributo volontario a tutto il progetto, “controdono” per lo sbattimento che ci facciamo sul web, per strada e lavorando per anni e anni su ogni singolo progetto romanzesco o “UNico”. Forse – mutatis mutandis – quello che è andato più vicino a cogliere l’essenza della donazione è stato Alex, quando ha fatto l’esempio dell’abbonamento a Radio Popolare.

  22. Lavoro in una litografia industriale, stampiamo, tra le altre cose, libri. Ovviamente, è da tempo che ci interroghiamo sul futuro. Oltre a quello di scrittore, ci sono altri mestieri della filiera destinati a cambi radicali… In questo senso il mio commento è un po’ OT, ma è la percezione degli stessi mutamenti visti da un’altra angolatura.

    In Italia gli ebook hanno una quota di mercato dello 0,2% (negli Usa è al 7%, dati AIE). Inoltre, secondo dati Nielsen/Cepell, coloro che hanno acquistato un ebook nel 2011 sono l’1,1% della popolazione, mentre il 2,3% ne ha letto almeno uno. La mia sensazione, quindi, è che si tratti di un fenomeno che, almeno in questa prima fase, tende a essere molto enfatizzato, probabilmente anche grazie all’opera di efficienti strategie marketing dei produttori di hardware (che devono spingere i consumatori ad acquistare tablet ed e-reader, più che ebook).

    Il problema però resta, perché il nodo della questione e la causa delle flessione delle vendite non sono gli ebook. Da un lato, come scrive più su Loredana Lipperini, un punto fondamentale è il tempo. Diversamente dall’ascolto della musica, la lettura richiede un tempo esclusivo, generalmente lungo. Oggi la quota di tempo che riusciamo a dedicare alla lettura di libri tende a diminuire perché la concorrenza è agguerrita e la concorrenza è fatta soprattutto di letture gratuite (ieri sera, invece di leggere Cosmopolis, ho letto diversi blog, tra cui questo post e tutti i suoi commenti…). Ad aggravare la situazione, nello stesso periodo, anche la disponibilità di soldi è diminuita…

    L’altro punto cruciale sono i rapporti di forza tra gli attori della filiera editoriale. Gli unici ad avere bilanci in attivo sono infatti i distributori di libri e i produttori di device. Non le librerie, né chi crea i contenuti (scrittori, editori), né chi produce fisicamente i libri (tipografi).

    Mentre giustamente ci interroghiamo su come deve cambiare il mestiere di scrittore in questo nuovo scenario (e mentre io mi devo interrogare sulle strategie future di un’azienda di stampa), è bene tenere presente che in un siffatto modello di business non è vero che nessuno guadagna: c’è chi guadagna parecchio e chi non guadagna affatto. E chi guadagna non corrisponde a chi produce i contenuti.

    Scusate l’OT!

    Luigi

    • Non è un OT, è preziosa materia di riflessione, grazie. Riguardo agli ebook (intesi come *mercato*), come scrivevo sopra, io non solo credo che si tratti in gran parte – non esclusivamente, ma in gran parte – di una bolla gonfiata ad arte, ma che scoppierà abbastanza presto. La lettura di libri su Ereader e tablet ha un futuro e un’utilità, se non lo pensassimo non metteremmo a disposizione i formati ePub e Mobi. Anch’io ho un ereader, e lo uso. Ma la mia conclusione del tutto empirica, conoscendo utenti e gironzolando per gruppi di discussione, è che i contenuti che girano sopra quegli aggeggi, almeno per quanto riguarda il libro elettronico, siano in gran parte scaricati gratis (perché “pirati”, perché entrati nel pubblico dominio o, come i nostri, perché resi disponibili dagli autori). Poi c’è la bolla nella bolla, quella del self-publishing via Amazon, ma secondo me – sbaglierò? – sono tutti fenomeni da periodo intermedio.

      • non so, voi avete preso le vostre decisioni sicuramente ben ponderate e ho capito che non volete cambiarle.
        però non riesco a togliermi dalla testa che spostando il profitto dai contenuti alla promozione degli stessi (web, reading, ecc) la cultura, intesa come letteratura finzionale o scientifica, perda di valore.
        non che il profitto sia indice di validità scientifica o “valore artistico”, certo che no; però da un lato si amplifica il rumore di fondo legato indissolubilmente al tutto pubblico-tutto pubblicato, rischiando di perdere di vista le cose di qualità e la verità.
        D’altra parte si volta le spalle all’enorme potenziale capacità di giudizio e verifica della rete…in parole povere, se vivo di ciò che scrivo e di come scrivo, e non della promozione o della pubblicità di esso, mi guardo bene prima di spacciare per scientifiche teorie complottistiche non verificabili oppure prima di fingermi un grande scrittore perché organizzo presentazioni fighissime dei miei ebook…
        pur non riferendomi a voi, che avete compiuto una scelta morale e politica, secondo me il rischio per la cultura di massa è che dopo la fase “intermedia” si giunga a questo.

        • Un momento, però, credo ci sia un equivoco: tu parli di “promozione” distinguendola dai contenuti, ma questa è una distinzione ancora basata sulla centralità dell’oggetto-libro. Poniamo il caso di narrazioni transmediali articolate, di progetti come i già citati Pontiac e Razza partigiana / Basta uno sparo. Lì ogni momento è parte del contenuto, non c’è “promozione”. Chiunque abbia visto Pontiac live sa bene che l’esibizione era il contenuto stesso, era un “audiolibro illustrato eseguito dal vivo”. Nell’industria dell’entertainment, proprio sul fatto che non c’è più mera “promozione” ed è tutto contenuto si sono combattute battaglie sindacali determinanti, lo ricordava il pluri-menzionato Jenkins nella conferenza che ha tenuto a Bologna pochi giorni fa, consiglio davvero di ascoltarla (è il post di Giap precedente a questo).
          Dopodiché, i rischi che intravedi sono reali, ma questo non deve scoraggiarci dal portare avanti le “buone pratiche” nello scenario che si va configurando. Questo è il tempo che abbiamo in sorte, questa è la lotta in corso, le pratiche devono essere adeguate alla lotta.

        • Le persone che non vogliono rinunciare alla propria identità non possono raccontare (e leggere o meglio seguirvi) nel modo che proponete voi, perché questo richiede una negoziazione continua del passato..

    • Non mi pare affatto OT e riprende un aspetto cruciale del problema complessivo: c’è chi si appropria di notevoli plusvalenze nella filiera e non sono tipicamente gli autori. E scusate se è poco.

      • Se pensi che noi WM, che pure abbiamo *ottimi* contratti e percentuali dei prezzi di copertina piuttosto alte, per ogni copia venduta prendiamo circa 50 centesimi a cranio… E questo riguarda le edizioni “trade”, non quelle in tascabile o in economica. In quel caso, prendiamo molto meno :-)

        • Certo che fa passare la voglia… in pratica quella dello scrittore sarà sempre più spesso un’attività paralavorativa, se non un hobby. E di conseguenza saranno sempre meno i romanzi che richiedono ricerche sul campo, interviste, viaggi. Triste.
          A proposito, se a qualcuno interessa e non l’ha letto, su alphabeta c’è questo interessante articolo su come si forma il prezzo del libro e dell’ebook http://www.alfabeta2.it/2012/06/28/quanto-costa-il-libro-come-si-forma-il-prezzo-su-carta-e-in-digitale/

        • Ma se quei viaggi, quelle ricerche, quelle interviste diventassero non più il “pregresso” dell’opera ma parte *costitutiva* dell’opera… Già succede, in fondo: l’autore viene pagato – negli USA ricorre spesso al crowdfunding, ma anche in Italia è successo, lo ha fatto Claudia Vago aka Tigella – per fare un viaggio che è composto di inchiesta sul campo, interviste, liveblogging etc. Quel materiale in seguito diventa libro, e al tempo stesso diventa serata dal vivo e tante altre cose.
          Noi, comunque, anche qualora non dovessimo più sbarcarci il lunario e lo scrivere libri rimanesse solo questione di militanza (per noi non sarebbe mai un “hobby”, un hobby non è politico mentre per noi scrivere è politica), di certo non rinunceremmo al tipo di opere che abbiamo sempre scritto, all’ampio lavoro di ricerca e documentazione etc. Anche a costo di metterci più tempo a scriverle.

  23. Questa discussione ha incuriosito la redazione culturale di “Repubblica”, sono appena stato intervistato da Mauro Favale, forse il pezzo uscirà già domani. Stiamo a vedere.

  24. A proposito di possibili risposte alla situazione presentata, volevo chiedervi (ai WM ma anche a tutti i giapsters) se conoscete il progetto Liberos (http://liberos.it/home) e, se sì, cosa ne pensate.

    Mettere in rete gli attori della filiera del libro può essere una strategia per non soccombere (o non soccombere troppo rapidamente, senza la possibilità di adattarsi in termini evolutivi) ai mutamenti di questa transizione di civiltà (che come tale può durare secoli).

  25. Anche io mi sono spesso domandato quale sarà il futuro di chi vuole\vorrebbe scrivere come lavoro\passione prioritaria.
    Attraversando un campo ancor più minato di quello della narrativa, ossia la sceneggiatura, da tempo ho preso la risoluzione di apprendere un altro mestiere per potermi dedicare alla scrittura senza dover dipendere dai chiari di luna di produttori vari ed eventuali.
    Concordo con le previsioni di Loredana. Probabilmente tra alcuni decenni il libro cartaceo diventerà una questione elitaria. Non perché leggere sarà prerogativa di pochi fortunati, ma l’oggetto romanzo come oggi lo concepiamo assumerà dei contorni “mitici”.
    E’ quanto di più lontano con l’interattività, parola che oggi scuote i mercati dell’enterteinment. I videogiochi, ad esempio, hanno un indotto praticamente inavvicinabile.
    Proprio per questo il progetto Wu Ming ha le basi per diventare vincente.
    Ho comprato la quasi totalità dei loro romanzi, ho scaricato gli e-book, e quando posso lascio un obolo. Ma non perché mi offrono gratis i formati digitali delle storie del collettivo: è per ripagarli, in parte, del culo cubico che si fanno qua su Giap. Di fatto, Giap, è già una parte fondamentale del progetto multimediale che si ventila in questi commenti. Una minore timidezza, pur comprensibilissima, gioverebbe nella campagna “abbonamenti”. In fondo, se ci pensiamo, oggi acquistiamo moltissime cose on-line. Tra ebay e Amazon nel 2012 ho decuplicato l’acquisto di libri rispetto al passato, e non sono il solo. Quando ti trovi il volume cercato da anni a 3-4 euro, io li spendo volentieri. Ovviamente l’acquisto di prime uscite è rimasto a livello zero. Spendere venti euro, se non di più, per Murakami, King, o i nostri eroi mi è impossibile. Incompatibile con il regime di semipovertà in cui vivo.
    Ma, ripeto, la strada è quella giusta. Il più grande successo letterario – da un punto di vista economico – degli ultimi vent’anni è senz’altro la Rowling. Un’autrice che ha potuto contare sull’effetto volano del Cinema e della rete (il suo sito Pottermore conta milioni e milioni di fan). Se fosse rimasto solo su carta avrebbe inciso assai meno. Lo scrittore per sopravvivere nel domani ha ormai bisogno di tutte le armi a disposizione. Deve diventare un IperScrittore.

    • Iperscrittore? Quanti sono gli iperscrittori? A essere col culo per terra non è solo la letteratura, ma tutta la produzione culturale nel cui perimetro comprendo anche il giornalismo in tutte le sue forme. Se per scrivere un romanzo o per fare un’inchiesta devo in realtà fare un altro lavoro che mi consenta di campare, se per le cose che scrivo posso essere trascinato in tribunale in ogni momento con pretestuose richieste di risarcimento milionarie, se tutto questo è vero – com’è vero – allora questo non è tanto un problema di reddito, ma di democrazia. Come qualcuno più sopra ha scritto, siamo tutti più ricattabili. Allora il problema non è il semplice campare con le cose che si anno, ma diventa sempre più la possibilità di continuare a farle. E questo ricatto, questa strettoia, questa minaccia mette in pericolo noi tutti e la possibilità di condividere, diffondere, discutere l’arte, le idee, nonché la possibilità stessa di produrle. Negli Usa si torna a parlare di mecenatismo, ma anche di fondazioni ed enti non profit che si occupino di tutto ciò. Da noi siamo appena agli inizi, e figuratevi se qualcuno è disposto a cedere posizioni. Un nuovo modello, però, non lo si è ancora trovato, ma nel frattempo sarebbe folle fare retromarce su scelte politiche come il download gratuito.

  26. Wu Ming 2 ha scritto:

    “Dobbiamo anzi capire come potrebbe essere fatto un “oggetto digitale” da vendere ai lettori, pur mantenendo gratuito il testo puro. Ovvero: come arricchire quel testo puro di elementi extra, utili al lettore, e quantificabili come un valore aggiunto da due o tre euro a copia.”

    Forse scrivo una minchiata ma avete pensato di aggiungere:
    a) una bibliografia. Potrebbe essere utile fornire dei riferimenti consigliati per avere ulteriori conoscenze relative a storie e personaggi, soprattutto per i libri che ne contengono molte;
    b) una sorta di indice dei personaggi con i numeri delle pagine dove questi compaiono nel libro per svolgere un’azione importante. Per esempio nella biografia di Galileo Galilei scritta da James Reston, esiste un indice del genere. So che i reader hanno la funzione “cerca” ma tale funzione non mi permetterebbe di andare subito al punto del libro in cui un personaggio svolge una data azione.

    • La bibliografia c’è già in svariati nostri libri, inclusa nei “Titoli di coda” (come in Timira) oppure separata da questi (come in New Thing). L’altro apparato che descrivi è un indice analitico. Di solito nei romanzi non c’è, ma c’è in tutti i saggi degni di questo nome. Tra l’altro, compilarne uno è una fatica improba. Si possono pure aggiungere, però siamo sempre dentro il “testo puro”, nel senso che, semplicemente, c’è un’aggiunta di apparati critici e/o paratesti. Dubito sia questo il genere di “elemento extra” a cui pensava WM2, penso intendesse proprio elementi appartenenti ad altri linguaggi e altri media.

    • Dopo l’uscita del mio primo romanzo in forma cartacea, sono entrato in un circolo di esperienze e studi che mi ha portato naturalmente ad avvicinarmi al digitale. In pochi mesi, da maggio 2011 a novembre 2011, mi ritrovavo in questo mondo fatto di schermi e-ink e file ePub.

      Mi sembrava evidente la necessità di sperimentare perché si poteva fare, c’era spazio (e c’è spazio) per l’innovazione. Partendo dal concetto fondamentale che non può il digitale essere semplice trasposizione del cartaceo, insieme alla mia casa editrice, provavo a confezionare un libro digitale arricchito. Lo scopo era quello di realizzare un nuovo “oggetto digitale” che fosse come il DVD per il film.

      Il romanzo Zagreb, che molti, ma non io, definiscono romanzo storico, permetteva molte soluzioni.

      Nella versione digitale ho riversato il contenuto dei miei studi (foto, immagini, documenti originali del Tribunale Internazionale per la ex Jugoslavia), organizzati in una forma, direi, narrativa, affinché il lettore potesse viaggiare dalla fiction alla realtà e viceversa seguendo un percorso indicato dall’autore.

      Ecco, dopo l’uscita di eZagreb (la versione digitale di Zagreb) mi rendo conto che tutto ciò non è sufficiente. Che il “nuovo romanzo”, l’oggetto digitale, dovrebbe nascere e crescere in rete riempendo tutti i canali che la rete propone. Rimpendoli di storie, personaggi, atmosfere.
      Il romanzo cartaceo, quello a cui siamo abituati, è SOLO UNA della forme del romanzo. Il resto vive online, tra le nuvole, dove è giusto che sia.

  27. Ma (e con questo provo a buttarla per la terza volta!) avete mai pensato a cosa potrebbe rapresentare il lavoro di ricerca fatto per uno dei vostri libri se si trasformasse (ad esempio) in un contenuto formativo? Magari almeno in parte “interattivo” (ovvero passibile di intervento da parte del fruitore)?
    Immagino ad esempio il bellissimo spaccato di vita veneziana che si potrebbe trarre da Altai (ovviamente riveduto, orientato e corretto) per farne materiale per lo studio della storia a scuola.
    Non interesserebbe a tutti, ma a docenti sensibili all’impostazione wuminghiana (e non credo siano pochi)…
    Pensate quanto avreste da dire, mantenendo il media elettronico, a tante classi di diverso ordine e grado.
    … E pensate al fatto che da quest’anno il libri di testo devono essere almeno parzialmente “elettronici”

    • Beh, dal lavoro che stiamo facendo sulla Rivoluzione Francese potrebbe nascere davvero di tutto, anche un videogame da usare a scopo didattico.

      • Magari anche senza arrivare ad un videogame…. Però io ho un contatto importante da questo punto di vista. In Olanda, all’Università di non ricordo più dove, c’è un mio amico che insegna qualcosa collegato alla grafica per videogame.
        Tempo fa mi diceva che ogni anno allievi e professori scelgono un progetto e lo realizzano. L’idea di un videogame didattico l’avevamo già considerata in merito alla sicurezza sul lavoro (poi abbandonata purtroppo), ma centrandoci sulle scuole…. Al volo pernso a Q, Manituana ed il tuo suggerimento sulla rivoluzione francese: cose da leccarsi i baffi per la didattica alle medie o alle superiori no?
        Aggiungo che a livello europeo, c’è anche una sorta di “Concorso annuale” legato alla didattica multimediale: ci avevo presentato un mio “coso”.
        Insomma: volendo si potrebbe approfondire per valutare se vi sia qualche possibilità. In fondo il vostro ruolo sarebbe più che altro collegato al supporto in fase di sceneggiatura e di “revisione storica”….
        Se l’idea vi va provo a sondare il terreno

  28. scu

    scusate, una notazione sui download: secondo me sono molto di più perchè non vengono contati siti come ad esempio ultimabooks.it dove i vostri libri sono scaricabili. Mi sbaglio?

    • A maggior ragione.
      Sì, i download sono di più di quelli che riusciamo a calcolare (ad esempio, i nostri libri sono scaricabili anche su Simplicissimus, e ho visto la nostra bibliografia scaricabile via Torrent). Qualcuno di più, ma non “molti” di più. Diversi elementi ci fanno pensare che il grosso dei download avvenga qui da noi. Se digiti su google “Wu Ming download”, “Wu Ming scarica gratis” e tutte le chiavi di ricerca consimili, il primo sito che esce è questo, com’è giusto e razionale e intuitivo che sia. Su Ultimabooks per scaricare devi fare il login, qui no. Etc. etc.

  29. Questo libraio è amico vostro? Ricorda un po’ il bar di Gaia Beltrame :-D

    http://www.cherrymenlove.com/wp-content/uploads/2012/06/51.jpg

  30. […] Wu Ming spiattellano i dati di vendita dei loro libri. E analizzano il rapporto tra vendita cartacea e download gratuiti degli […]

  31. […] I lettori non si sono “persi”, sbaglia chi imposta il dibattito in questo modo. Gli editori hanno perso acquirenti. Si legge ancora ma si compra molto meno. Non conosco nessuno a cui piacesse leggere che ha smesso di farlo. Magari si legge altro, si legge di più in rete, si va in biblioteca, si compra l’usato. Quanto a noi, abbiamo avuto oltre 100mila download di nostri libri in 12 mesi e Altai, nei primi due anni, ha venduto il doppio di Q. […]

  32. Da diversi giorni continuo a meditare sull’idea di “mecenatismo popolare” (“mecenariato” non si può sentire!!), sarebbe interessante capire concretamente come potrebbe funzionare. Io mi immagino una specie di associazione ampia, con una quota annua, assemblee dei soci ecc., che sostanzialmente diventerebbe il “mandante” dei narratori, ma anche una fucina/palestra/nidiata per altri “attivisti culturali”; qualcuno (diciamocelo: i più bravi) scriverebbe full-time, qualcuno part-time, qualcuno gratis et amore Dei. Chi sa fare altre cose darebbe il suo contributo, come si fa nell’associazionismo.

    Ha senso? Cosa succederebbe al mito della “creazione libera individuale”?

    L’idea mi piace, anche perché allude all’unica vera soluzione a lungo termine (e cioè che artisti e narratori siano un po’ tutti e qualcuno lo faccia di lavoro per conto della collettività). Ma come si fa? Possiamo pensare di provarci partendo da qualcosa? Facciamo saltar fuori veramente una Wu Ming Foundation?

    Sono tutto orecchie.

    • Tu che proponi di fondare un soggetto collettivo ex novo?! Ma non eri per fare entrismo nelle organizzazioni operaie già esistenti? :-)
      Jokes apart, sì, si tratta di ragionare concretamente anche su opzioni del genere.

      • (Se a un lombardo fosse concesso di fare entrismo in voi, starei già bussando alla tua porta, capo!)

        • C’è un che di obliquamente omoerotico nella metafora usata… Cmq non ce l’abbiamo coi lombardi, l’entrismo “in noi” non è possibile manco ad altri emiliani :-) Già fatichiamo a camparci in quattro. Collaborazioni invece sì, come se piovessero. Talvolta persino con lombardi (seppure con comprensibile parsimonia).
          E comunque Pavia andrebbe accorpata all’Emilia, come anche Mantova e la Transpadana ferrarese.

        • Tralasciando il fatto che

          l’è méi aver un mort in cà
          che un mantvaen insim’à l’òs

          secondo me l’opzione del mecenatismo popolare è quella che più si concilia con la professione dello scrittore, nella forma continua, “totale” e “transmediale” di cui parla WM1. Ciò non toglie che ci sarebbe sempre il rischio di farsi “comprare” da soggetti finanziariamente forti che potrebbero entrare nella cerchia dei mecenati e alterarne gli equilibri..
          Ci sono anche stati che hanno una qualche forma di stipendio per gli artisti (Danimarca e Canada mi pare), ma quelli sono altri mondi.

        • @iosonogeek (pure io lo sono)

          Chiaramente la Fondazione Wu Ming dovrebbe funzionare in modo assembleare ed egualitario, con dei meccanismi democratici dal basso ecc.
          Il “mecenate collettivo” sarebbe l’intera associazione e non il singolo socio, che contribuerebbe con una quota e con la sua voglia di fare, la cui destinazione sarebbe decisa collettivamente.

          Del resto per certi versi le case editrici funzionano già un po’ come dei mecenati verso quegli scrittori con poco potere contrattuale, indirizzando la loro attività (e talvolta addirittura costruendo a tavolino il loro prossimo libro). A questo punto forse meglio dipendere da chi non è mosso da logiche di profitto.

    • Mauro, non saprei. Credo che per alcuni versi (tranne quello economico) IQuindici hanno lavorato un po’ nel senso che dici.

      Sulla Wu Ming Foundation, mhà… credo che Wu Ming ci basti (e avanzi) com’è. Sono più affezionata all’idea dell’abbonamento a Giap che, in moltissimi casi, come ad esempio il tuo, si traduce anche in una partecipazione attiva.

      • @danielafinizio

        Nell’ipotesi di associazione che avevo in mente, ci sarebbero anche iQuindici (che sono dei santi), i Funambolique ecc. I quattro Wu Ming sarebbero una parte dell’arcipelago, che si impegna full-time per i fini associativi (e quindi deve trovare il modo di camparci). Quasi tutte le associazioni hanno gente che vive di quello, credo che Gino Strada sia stipendiato da Emergency per fare un esempio, così come il comandante della Rainbow Warrior sarà stipendiato da Greenpeace. Faccio notare che Emergency ha i suoi libri e li vende, anche se non è il suo “core business”: http://shop.emergency.it/customer/search.php?in_category=4&partner=emr_web

        “All’esterno” i Wu Ming continuerebbero a sembrare semplicemente un gruppo di autori che qualche volta lavorano insieme e che danno via gratis su Internet i loro libri. Chi fa parte dell’associazione avrebbe invece uno sguardo più lungo.

        Non so, è un’idea ma per l’appunto volevo capire cosa stava frullando nella testa a tutti quanti.

  33. Ciao,

    io la vedo nel modo seguente.

    Fino ad un paio di anni fa i vostri download erano per noi lettori un po’ un compromesso: ok, non pago niente, ma o leggo su monitor il pdf (muoio) o lo stampo. Quindi il libro cartaceo rimaneva sempre la migliore alternativa, perlomeno per me. Ora che avete messo formati adatti agli ereader e che io mi sono dotato di un ereader, la copia digitale diventa tanto comoda quanto quella cartacea (lascio perdere discorsi su feticcio dell’oggetto libro e su accessibilità futura, parlo come uno che deve decidere che libro e che formato portarsi domani in vacanza).
    Quindi oggi, per molti versi e più o meno, i due supporti sono equivalenti. Tuttavia, voi li trattate in modo diverso, per le vostre legittime ragioni. Forse (forse), questo non è l’approccio migliore, oggi nel 2012. Così come non lo è trattare libri cartacei e digitali nello stesso modo assegnando loro lo stesso prezzo come spesso fanno molte case editrici.

    Oggi è sensato che il singolo lettore abbandoni completamente i libri cartacei e compri solo ebook. Se però è un vostro lettore si trova davanti ad un libero accesso, che invece non sarebbe libero se cambiasse supporto. Certo, c’è la donazione, ma a quanto pare non funziona bene. Sulla donazione:
    Partendo dalle ipotesi che per me i vostri romanzi averli in carta o in e-ink non cambia, e che desidero che continuate a scriverne, quando scarico un vostro libro dal sito l’opzione donazione non è legata all’azione download. Avete presente il sito musicale bandcamp? Se un artista vuole, può mettere la donazione facoltativa: io clicco download album, mi compare una finestra con vari metodi di pagamento e una casella di testo dove posso mettere la mia donazione, che può anche essere 0. In questo modo, a chi scarica viene data la possibilità di pensare cosa fare, una possibilità più chiara rispetto a come è organizzato ora il vistro sito, imho.

    Forse bisogna rendersi conto che il mercato italiano non è abituato ancora a questo modello fatto di donazioni, pagare per contenuti immateriali, crowdfounding, etc. La colpa non è solo nostra: pensate al mercato di film e serie televisive, in Italia/Europa non c’è un sito che offre un servizio completo (itunes movies fa pena, mubi è castratissimo): le uniche alternative spesso sono download o stream, entrambi illegali. Non siamo abituati/educati, quindi un aiuto come l’esempio bandcamp ci potrebbe forse stare. Anche perché, come ho scritto prima, carta e eink sono oggi equiparabili a differenza di due anni fa.

    Ognuno, poi, i soldi li da come vuole. Io ad esempio quando avete messo su i file epub ho scaricato tutto lo scaricabile, perché preferisco averlo in locale piuttosto che in remoto ché non si sa mai. Però, ad oggi ho letto solo tre vostri epub e ne ho passato un altro a mio papà (copia di cui io ho il cartaceo). La donazione l’ho fatta, quindi, solo per questi quattro epub. Man mano che leggerò gli altri, ne farò altre. Però boh, forse per voi sarebbe meglio un comportamento diverso, non so. È per questo che, magari, un passaggio in più alla bandcamp potrebbe essere utile.
    O comunque si potrebbe cercare di evidenziare il *valore*, nel senso di lavoro cristallizzato nella merce :P, del file epub/mobi/pdf, valore che condivide con quello del libro cartaceo molti punti. Se chi scarica realizza questo concetto, la donazione imho segue automatica. Io mi sarei sentito un po’ una merda a scaricare senza pagare, sapendo che: a) potevo scegliere io la donazione che fosse ok per le mie tasche; b) se non li avessi scaricati, i vostri libri cartacei li avrei comprati in libreria, prima o poi; c) di solito non prendo in prestito i libri in biblioteca ma li compro.
    (A latere: ultimamente ho letto più di un libro di carta le cui pagine si sono scollate dopo neanche metà lettura => giramento di palle, dati i 12-15 € sborsati. Quindi, preferisco evitare di pagare per le scarse di rilegature, e dare solo i soldi agli autori.)

    Collegato al punto c): se non potessi permettermi i libri, io li prenderei in prestito in una biblioteca, o oggi li scaricherei da internet e stamperei i file al lavoro di sgamo (o andrei dal libraio indicato da Francesca3176!). Ciò significa che se non potessi permettermi i libri: 1) non li comprerei in carta in libreria; 2) non mi comprerei un lettore ereader.

    Questo è quanto, sono pensieri legati alla mia esperienza di vorace lettore. :)

    ciao

  34. Propostina modesta, non satirica: perché non fate annuari dei post di Giap, senza commenti, da scaricare in PDF ad una cifra che decidete voi (fosse per me direi 3/5 euro)? Facili da catalogare, da ritrovare se necessario, da esportare, stampare etc. Così, per cominciare da qualche parte…

  35. Qualcosa di simile lo stiamo pensando, a partire da questo esempio:
    http://40k.it/40k-unofficial/
    Però l’idea sarebbe quella di lavorare sui post più lunghi, oppure di aggregarli per tema, più che fare un vero e proprio annuario.

  36. Credo che oltre a reinventare in parte il mestieri di scrittori (ad esempio questa cosa del farsi per così dire cantastorie con “Scrittori precari” la portiamo avanti da quando esistiamo come collettivo e anche prima singolarmente) bisognerebbe trovare un modo di reinventare dei lettori. Cioè, alla fine di tutti i ragionamenti rimane sempre il fatto che l’offerta , in tutte le sue forme, supera di gran lunga la domanda… Perché tante persone amano scrivere, e spesso ambiscono a pubblicare un libro, anche a pagamento, quando poi non leggono? Io a questa domanda non riesco a trovare una riposta… nella musica, che voi portate ad esempio, non mi sembra che accada così… Scusate se possono sembrare considerazioni banali, ma alla fine di tutto, analizzate e considerate le varie strategie, mi sembra un dato da cui si possa difficilmente prescindere…

    • “Perché tante persone amano scrivere, e spesso ambiscono a pubblicare un libro, anche a pagamento, quando poi non leggono? ”
      Ma siamo sicuri che sia così? Io provo a scrivere ma il rapporto scritto/letto è decisamente sotto l’1/10 . Casomai il problema sono i tanti che non leggono, e probabilmente nemmeno scrivono.
      E poi qui mi sembra si stia dicendo che il numero di lettori resta buono, il problema è che non c’è un corrispondente introito, quindi si, reinventare i lettori ma non nel senso che bisogna ‘crearne’ di nuovi (sarebbe comunque un bene, ma non penso sia quello il discorso qui), quanto piuttosto noi lettori dobbiamo rivedere il nostro rapporto col pagamento, e forse gli scrittori dovrebbero cercare qualche forma che gli permetta di far circolare oggetti in carta ad un prezzo più basso, anche studiando se sono possibili modalità diverse di distribuzione visto che, a quanto ho capito dall’articolo linkato più su da @Francesca3176, è quella che contribuisce in maggior misura al prezzo di copertina.

      • @Roberto: Il mio esempio era mirato a chi pubblica e magari non legge perché mi sembra il dato più preoccupante… e comunque il numero di lettori resta buono per chi? Esistono centinaia di titoli pubblicati da piccoli editori per i quali 500 copie di venduto sarebbero un grandissimo risultato… io continuo a sperare che il web possa servire col tempo a diminuire tutto questo ammasso di carta che circola, perché alla fine una storia è pur sempre una storia… insomma, anche di questo stiamo parlando, alla fine: di come una storia diventa “di tanti”, e il web può essere quello spazio in cui essa circola e si trasforma fino a diventare poi “anche” un oggetto-libro…
        Sul costo di copertina dei libri concordo con te, ma pensa che già così molti editori sfruttano la manovalanza gratuita degli stagisti, eppure non mi pare abbiano abbassato i prezzi…

  37. Una domanda scema: ma consentire l’acquisto dei libri cartacei dal sito, risolvendo così i due problemi di visibilità e accessibilità?

    Io sono uno dei forti lettori che ultimamente non comprano più o quasi, appunto per estrema carenza di fondi.
    Di vostro ho letto (solo) tre cose senza aver precedentemente acquistato il libro: Giap! (stampato a sgamo un po’ di anni fa; la parte divertente è stata reimpaginare tutto in latex per avere i fascicoli da 4 fogli piegando in due l’A4…), AaAM e New Thing scaricati da qua e letti sull’ereader (@redv1ew: l’ereader per me è stato un investimento, nel senso che, con tutto quello che si trova in rete—a patto di non essere troppo pignoli col copyright, diciamo—me lo sono ripagato abbondantemente tenendomi alla larga dalle librerie).

    Per quanto riguarda la musica, negli ultimi anni ho comprato solo due dischi (digitali), solo dopo averli prima ascoltati e riascoltati allo sfinimento. In entrambi i casi, li ho acquistati semplicemente per avere qualche speranza in più che gli autori (piccoli, esordienti) ne facessero ancora.

    Questo per dire che, se mi dite: dona qualcosa o smettiamo di scrivere, io dono subito; fintanto che non siete ancora alla canna del gas, rimando nell’attesa speranzosa di spighe più piene, ché in questo momento è dura.

    Sugli eventi live sono un po’ dubbioso; senza offesa, vi preferisco come scrittori che come attori, e al reading musicato preferisco di gran lunga una presentazione parlata con domande e discussione.

    Pagherei per sentirvi parlare? Due, tre euro sì, come li do a qualunque realtà che si autofinanzia; di più, insomma… mi spiacerebbe tanto sapere che a un certo incontro non posso partecipare perché lo stipendio è già finito e ho le ragnatele in tasca, e comunque mi seccherebbe, lo considererei un mezzo tradimento.

    Però ecco, se alla presentazione (parlata!) portaste paccate di libri “vecchi”, e io quella sera avessi dindi in tasca…

    Ultima cosa: da lettore forte, è vero che ora leggo molti più nonlibri online, però è una lettura diversa da quella dei libri (di carta o no è uguale): leggendo un libro libro, ho una profondità d’esperienza completamente diversa, perché entro nel libro e ci abito per tutta la sua durata, cosa che non mi succede con l’articolo online. Quindi no, i nonlibri non possono sostituire i libri.

    • I nostri libri sono stati acquistabili in cartaceo dal sito per dieci anni, e in teoria lo sono ancora, perché i link del sito vecchio sono ancora tutti attivi, come qui:
      http://www.wumingfoundation.com/italiano/storefront.htm
      e qui:
      http://www.wumingfoundation.com/italiano/biografia.htm
      Anche agli inizi di Giap ogni volta che nominavamo un nostro libro linkavamo i vari IBS, Amazon etc. Poi l’abbiamo dato per pleonastico, e non abbiamo ricreato nel sito nuovo una pagina dedicata, perché tanto il riscontro era minimo e se i lettori vogliono comprare on line i nostri libri sanno dove andare senza che glielo diciamo noi.

      Sulla questione del “pagare per vederci dal vivo”: non stiamo parlando di “semplici” presentazioni di libri, quelle sono e devono restare gratis (per il pubblico) e noi continueremo a farle per il solo rimborso delle spese di viaggio, vitto ed eventuale pernottamento. Parliamo di eventi più strutturati, con musicisti live etc., come per le esibizioni di Pontiac e Razza partigiana. Si tratta di concerti, e spesso di eventi più strutturati di un concerto. Sono persone che lavorano, che fanno quello per vivere, non stanno “promuovendo” qualcos’altro. L’esibizione è l’opera stessa. Mi sembra normale che ci sia un ingresso, un biglietto o anche solo un’offerta libera, ma che insomma si paghi qualcosa.
      Dopodiché, capita che veniamo pagati anche per reading di sola voce, ma a farlo non è il pubblico, bensì la situazione o l’istituzione che ci chiama. E’ successo pochi giorni fa, quando il Museo civico di Reggio Emilia ci ha dato un gettone per un reading di testi tratti da Altai, Manituana e Pontiac. Il pubblico è entrato gratis, in quel caso è stata l’istituzione a darci un contributo.

    • Capisco che tu abbia fatto un investimento, bisogna poi vedere il guadagno degli autori. :) E questo post imho indica che se non si trovano soluzioni alternative sia al modello corrente sia a eventuali nuove barriere, il tuo (e mio) investimento si rivelerà nullo perché non ci saranno contenuti (ok, esagero, ma credo di farmi capire).

      Dodici anni fa il masterizzatore cd era un investimento, sette-otto lo era il lettore mp3. Poi le cose sono cambiate, inevitabilmente.

      • Nella pagina “arcaica” dei download c’era – e c’è tuttora – questo dialoghetto:

        – Ma se posso scaricarli gratis, perché dovrei comprare i vostri libri?
        – I motivi sono tanti ma, all’osso, se la gente non compra i nostri libri noi non possiamo scriverne degli altri, e quindi niente più roba da scaricare gratis.

        Il succo della questione, pur nel mutare dei supporti e delle abitudini (e nello sgonfiarsi dei portafogli), rimane quello :-)

  38. Tornando alla questione di come *potenziare* il testo digitale, mi pare che il sito che costruimmo intorno a Manituana (www.manituana.it) sia un primo esempio in quella direzione. Invece di usare audio, immagini, video, documenti e altri materiali per arricchire un sito dedicato al romanzo, si tratterebbe di preparare un “cofanetto digitale” con quei contenuti, magari integrandoli al testo. Questo cofanetto diventerebbe una chiave d’accesso in più all’universo narrativo del romanzo, che consentirebbe a chi lo desidera di interagire con i suoi contenuti transmediali (producedone altri, destinati magari ad essere raccolti su un sito dedicato).
    Mi viene in mente, ad esempio, che per #Timira un simile cofanetto potrebbe contenere:
    – Il romanzo in pdf, ePub e Mobi, con 2 diverse versioni: “pura” e ipertestuale (compresi i “Titoli di coda”, cioè una sorta di lunga biblio/sitografia narrata)
    – Le tre principali stesure del romanzo in corso d’opera, capitolo per capitolo.
    – Un archivio fotografico.
    – Audio di interviste, letture, presentazioni, trasmissioni radio.
    – Le mie interviste “del mercoledì” a Isabella Marincola in formato mp3.
    – Un file KML per individuare luoghi e percorsi con Google Earth.
    – Materiali d’archivio e originali (scansioni del diario di Isabella, lettere, reperti vari)
    – L’intero album del reading “Razza Partigiana/Basta uno sparo” in formato mp3
    – I testi del reading suddetto.

    Mi chiedo: una cosa del genere interessa? Vale la pena? Può essere un ulteriore stimolo a “scrivere insieme” il romanzo, a non essere passivi di fronte al testo?

    • Quel che ti posso dire, per me parlando, è che dipende anche molto dai costi. Se ho già speso – facciam conto – 15 o 20 euro per un romanzo e ne debbo spendere altri 10 per avere il pur fantastico cofanetto, potrei farlo ma una volta l’anno.
      Visto che siete i Wu Ming e non uno scrittore esordiente, l’idea migliore potrebbe essere quella di un abbonamento annuale. Ora il termine forse non rende l’idea, ma il concetto è questo: stabilite un prezzo (20 euro a capoccia?) e grazie a quel prezzo io posso accedere ad un livello 2 di Giap (come faceste per Manituana) in cui trovo il videogioco, la musica, il reading – decidete voi cosa e quanto si possa scaricare. Ovviamente il prezzo dipende da cosa avete intenzione di creare nella multimedialità. Se le musiche ve le compone Jonny Greenwood, magari dovreste attrezzarvi diversamente. Ma finché si rimane a livello di “ipertesto” con collegamenti, foto, link e via dicendo, probabilmente con gli abbonamenti annuali dovreste cavarvela egregiamente. Se poi l’abbonamento lo facciamo in 5, non so quanto si andrebbe lontano. Ma ne sarei sorpreso.

      • Count me in.

      • Naturalmente il cofanetto sarebbe sempre a offerta libera, perché nemmeno noi possiamo utilizzare direttamente i nostri testi a fini di lucro (quello può farlo solo l’Einaudi, che ne ha i diritti come da contratto). Quindi potrebbero esserci due “offerte suggerite”, ma pur sempre libere: 1 o 2 euro per chi ha già il libro, 5 per chi non ce l’ha.
        Con “Pontiac” mettemo in piedi una pagina download dedicata dove c’erano 4 tasti di scelta: scaricare gratis, fare una donazione libera, fare la donazione “suggerita” (5 euro), tornare una volta valutato il prodotto per fare una donazione che tenesse conto anche del gradimento.

        • Questo punto va spiegato meglio perché per chi non è addentro queste dinamiche risulta oscuro.
          I diritti di pubblicazione elettronica dei libri sono nostri, non li abbiamo ceduti ad alcun editore. Se il cofanetto è “solo” elettronico, allora non c’è problema, si tratta di trovare formula e dicitura giuste e giuridicamente corrette, ma in sostanza possiamo farne quel che vogliamo. Però, a differenza di un editore, noi non siamo attrezzati commercialmente e *fiscalmente* per una monetizzazione diretta dei nostri ebook (“enhanced” o meno che siano). Da qui la questione dell’offerta libera.

        • Non so, io sulle donazioni continuo a essere scettico. E’ un’opzione “etica” – mi si passi il termine – che in tempi di crisi mi pare davvero poco risolutiva. O meglio, mi auguro che possa implementarsi, ma non so se un mestiere, una professione, si tiene in piedi con le donazioni libere. Proprio come non si tiene in piedi con il mecenatismo. Il punto è soprattutto che noi NON viviamo nel Medioevo… La riflessione comunque contiene già una montagna di spunti.

        • La proposta è complicata da valutare, ad esempio consideriamo i dischi: lì una volta acquistato il vinile c’è il codicillo per scaricarsi gli mp3; così facendo per i vostri libri, voi non guadagnereste dal download del formato digitale, a meno che non ci sia un meccanismo che faccia scattare il prezzo “amico” a 1 € per scaricare tutta la cartella di files correlati, una volta inserito il codicillo appunto. Non so però se cose del genere siano fattibili per il rapporto autore-editore che avete. Per la sola copia digitale voto per il prezzo suggerito, mi sembra un buon compromesso dopotutto.
          Infine per come vivo io la rivoluzione digitale, l’internet e la lettura, terrei ben marcato il confine tra libro e blog o sito: la pubblicazione è ovunque, l’interazione è ovunque e costantemente pubblica/pubblicata, sento il bisogno di una creazione d’autore che fissi una storia senza demandarne il finale o l’approfondimento all’esterno (html, metaletture e metascritture)…questo avviene già in maniera massiccia, è l’internet.

    • bhè suona interessante. Ma non so se preferirei prendere una cosa del genere piuttosto che il libro e basta. Forse solo per testi di argomenti che mi interessano particolarmente.

      A proposito, grazie di nuovo a te a Antar per la presentazione di ieri. E pensandoci, dopo la presentazione il cofanetto io lo prenderei!

      • Mi associo. Ho visto la presentazione di Timira a Milano e beh, è stata a dir poco esaltante. Anche l’idea di registrare qualcuna di tali presentazioni e renderle disponibili (come bonus ma ancora meglio come promo) non sarebbe male.

    • per rispondere alle domande finali di WM2, dico che sì, a me interesserebbe molto!!
      è evidente, da quanto detto fin qua, e non solo in questa occasione, che stiamo trattando una materia incandescente: in fondo, tornare a parlare di narrazione, superando e ampliando il concetto di “testo scritto su supporto (cartaceo)”, significa proporre una rivoluzione nella letteratura.
      Se guardo dall’interno del mondo editoriale, mi viene da dire che l’unico possibile modo per gli editori per “utilizzare” gli ebook e non “farsi utilizzare” è quello di tornare a stringere un patto di ferro con gli autori/narratori. Il supporto digitale consente di ampliare l’esperienza della scrittura e della lettura, e su questo si deve puntare, a mio parere, non sulla corsa commerciale a far diventare qualsiasi cosa ebook…
      Per farlo, però, per amplificare le possibilità, ci vogliono autori ed editori che abbiano una certa idea di letteratura (purtroppo, non ne vedo molti in giro).
      Ci vogliono autori a cui piaccia narrare a qualche persona in più del giro ristretto del proprio ombelico. Ci vogliono lettori che si sentano parte della narrazione, e si lascino risucchiare dentro un mondo che è mappa e non sentiero.
      Ci vogliono storie che raccontino di persone e non di sagome cartonate che il giorno dopo non ti ricordi più.
      Ci vuole curiosità, e tempo, e acribia, per studiare, osservare, scrivere e riscrivere, cercare, scartare, disossare e lavorare di fino.
      Ci vuole qualcuno che “monetizzi” (il lavoro sporco qualcuno lo deve pur fare…).
      E’ una roba grossa, ma non vedo al momento altra strada per uscire da un pantano malsano che coinvolge tutti, nell’ambito “letterario”: la “filiera produttiva”, quella commerciale, i lettori, i critici, gli storici…

  39. Un dato che non abbiamo ancora…dato.
    Il PDF continua ad essere il formato preferito nei download. ePub e Mobi sono cresciuti, rispetto al passato recente, ma presi *assieme* a stento equivalgono il volume del Pdf.
    C’è chi dice che anche questi formati fanno parte di una “bolla” e sono destinati a sparire, insieme agli e-reader. C’è chi dice che il futuro è solo nei tablet (magari con e-ink) e che dunque i formati sui quali puntare per i libri digitali sono il buon vecchio PDF e l’HTML. Quest’ultimo, però, potrebbe trasformare un romanzo in qualcosa di molto simile a un sito, e allora dove andrebbe a finire quella diversa “profondità” di lettura, tra web e libri-libri, di cui parla Nicholas Carr e anche qualcuno qui sopra?
    Se ne parla qui:
    http://gyrovague.com/2012/04/30/why-e-books-will-soon-be-obsolete-and-no-its-not-just-because-of-drm

    • “[…] i formati sui quali puntare per i libri digitali sono il buon vecchio PDF e l’HTML. Quest’ultimo, però, potrebbe trasformare un romanzo in qualcosa di molto simile a un sito, e allora dove andrebbe a finire quella diversa “profondità” di lettura, tra web e libri-libri, di cui parla Nicholas Carr e anche qualcuno qui sopra?”

      Ma il punto sta proprio nel trovare una via per cui HTML non significhi necessariamente “qualcosa di simile a un sito”, almeno nel senso tradizionale del termine!

      Questo, ora, è ciò che tutti gli addetti ai lavori (editori, sviluppatori, investitori etc) vorrebbero capire, e per ora l’unica risposta possibile è provare e riprovare, osando immaginare cose nuove.

      Come sviluppatore e come come lettore, immagino tanti modi diversi, ovviamente in modo confuso, in cui un contenuto html possa essere un’esperienza di lungo respiro, un’immersione in un mondo da vivere e da esplorare.

      Penso che si tratti in sostanza di azzeccare l’intreccio tra il flusso di lettura sequenziale, che *deve* esserci, e secondo me dev’essere predominante, e il florilegio di innesti, appendici, note a margine, distrazioni e perturbazioni che possono crescere intorno.

      • La cosa a cui penso io (da almeno un paio d’anni in realtà, ma senza mai realizzare nulla) è una sorta di commistione tra un libro, un wiki, ed un forum.
        In una piattaforma web pensata ad hoc ci potrebbe essere il libro strutturato in maniera sequenziale, ma suddiviso (diciamo in capitoli tanto per capirci). Da ogni capitolo potrebbero partire delle “ramificazioni” scritte da chi legge e decide di “cambiare” la storia, aggiungere dei personaggi, ritoccare una scena…
        Queste ramificazioni non andrebbero a modificare la storia originale, ma piuttosto a “sovrapporsi” come dei livelli semitrasparenti (scusate l’abuso di virgolette e metafore ma….) che ciascuno può decidere di seguire o meno.
        Penso ad una cosa “automatica”, ovvero dove tutti siano liberi di aggiungere, non ad esperienze di “libro collettivo” costruito via via.
        Gli automatismi poi potrebbero essere rafforzati (o corretti) su base statistica oppure con il voto dei lettori (trattandosi di WEB però non necessariamente la lettura è l’unica esperienza praticabile!), facendo in mdo che divengano tanto più “stabili” e disponibili quanto più sono apprezzate.
        Insomma: un’idea un po’ vaga, ma sulla quale avevo già abbozzato un primo progetto e che potrebbe coinvolgere i lettori in maniera creativa.
        Come trarne poi dei guadagni è un altro paio di maniche: magari portando alla pubblicazione le versioni derivate? Oppure con la pubblicità?

    • Il pezzo è interessante perché azzarda che gli stessi ereader siano un fenomeno transitorio da fase intermedia. Io non so se questo sia vero, di certo c’è in giro una grossa confusione tra i seguenti concetti: “ebook”, “mercato degli ebook”, “mercato degli ereader”.
      Il primo e il terzo, per il momento, corrispondono a fenomeni reali e lo constatiamo ogni giorno: noi Wu Ming smazziamo migliaia e migliaia di ebook al mese nei formati da ereader.
      Il secondo, invece… Più leggo – e leggo parecchio – e più mi sembra una bolla di hype e forse esiste anche una *narrazione tossica* del mercato dell’e-book, che negli ultimi due-tre anni ha creato aspettative esagerate e distorte (spesso con tanto di apologia feticizzante di Amazon come “liberatore”!).

  40. Una cosa: sono davvero riconoscente a tutte e tutti, grazie. In questi momenti, ho la conferma che Giap è una vera comunità di discorso, di pratiche, di affetti. L’abbiamo costruita tutt* insieme nel corso degli anni ed è una cosa preziosa. Scrivo d’impulso, per conto mio, ma sono sicuro al 110% di farlo anche a nome dei miei compadres.

  41. Non sono del mestiere, quindi provo a descrivere ciò che ho capito secondo altri parametri.

    Il problema non consiste verso quale orizzonte ci si stia muovendo, ma quale sia il modo migliore, cercando di evitare i collassi dei primi esperimenti coorporativistici: il sistema per come è attualmente concepito è entrato in un loop circolare molto complesso che rischia di schiacciare totalmente l’editoria.
    La soluzione, dal punto di vista teorico, consiste nell’aumentare la “cooperatività” attraverso offerte più o meno libere, in modo da creare zone di cuscinetto che diano un minimo di ossigeno a un settore fondamentale dal punto di vista culturale [e dunque politico e pedagogico]. Praticamente, per dirla con una battuta, siamo a metà strada fra un “modello Brighton” -io, Caio, finanzio la tal iniziativa per avere un domani un ritorno economico, e dunque se ho due pence uno lo cedo volentieri perchè domani avrò “sconti” per tre pence- e le “oasi” del WWF -io, Sempronio, pago la tal attività affinchè Tizio salvaguardi un certo programma che ritengo giusto per la mia vita, quella dei miei figli e dei miei nipoti-.

    Fermo restando che trovo fondamentale il miglioramento delle tecniche esistenti [le raccolte di formati con “contenuti speciali” vanno in tal senso], penso che cmq il discorso sia più a monte. Per quanto io sia particolarmente interessato a degli approfondimenti sulla genesi delle vostre opere, questo aspetto assume un ruolo palliativo, un aumento della produttività, ma non modifica minimamente la struttura del sistema.

    Differente il discorso del “finanziamento a priori”, esso consiste in un mutamento radicale del sistema, un finanziamento dal basso. Esso d’altra parte diviene particolarmente limitativo nella puntualità cui si riferisce. Se stimo il lavoro di Wu Ming, ma non mi interessa che si parli di calcio a Bologna, non è giusto che il mio interesse egoistico prevalga su un lavoro molto più ampio, perchè magari il signor Wu Ming è interessato a fùtbologia per 50 ragioni che a me non vengono in mente.
    Questa considerazione mi ha portato a uno sviluppo successivo [e qui parlo senza conoscere, probabilmente esiste già tutto quello che sto dicendo]. Se amplifico il sistema, e faccio divenire l’offerta una donazione fissa annuale, che non sia basata sulla mera spontaneità, ma che venga magari riconosciuta attraverso la maglietta “I love Wu Ming” -o magari qualche scartoffia digitalizzata di appunti, che costa meno inviare ed è sicuramente meglio XD-, il signor Wu Ming può, a patto ovviamente di una sostanziale trasparenza sui progetti, adoperare i miei 50 euro per le iniziative che ritiene più opportune. E se al signor Wu Ming si aggiungessero altri signori, che magari compiono lo stesso lavoro o lavorano in ambienti similari, si potrebbe costituire una vera e propria rete basata sulla donazione fissa.
    Mi rendo conto che l’idea è assurda, priva di un qualsiasi riferimento legislativo e rischia, nel caso si compia, una grossa burocratizzazione. Però forse può servire da spunto.

    • Cerco di specificare -visti anche gli altri commenti che non ho letto mentre scrivevo-: l’idea della donazione fissa non è necessario che abbia un fine “etico”, dipende dal senso della donazione. Paradossalmente, se gli si vuole dare un connotato “esclusivo” -quindi per iniziative legate al lavoro editoriale in senso stretto-, essa può spingersi fino al limite dell’ “abbonamento” attraverso la contropartita di determinati “pacchetti speciali” in forma digitale, appunti e approfondimenti che trascendono anche la dimensione di Giap. Invece, se lo si intende in senso “inclusivo”, come avevo inteso personalmente nel post, ci si può spingere fino alla pura donazione per iniziative di tipo etico, politico e pedagogico: progetti che adesso neanche vengono in mente per limiti economici potrebbero sorgere attraverso una “donazione”, finanziando così la progettualità dell’intera “comunità” oltre che quella del “collettivo”.
      Il passaggio che ho cercato di porre in evidenza è fra il progetto e la progettualità, e dalla progettualità del collettivo a quella della comunità che ruota intorno ad esso.
      La questione a quel punto diviene verso quale orizzonte spostarsi.

      ps: spero non ci siano stati troppi commenti nel frattempo che se no sono di nuovo in ritardo nel postare xD

  42. Mi inserisco anche io, solo per dire che io un “abbonamento” che sostenga il progetto penso proprio che lo farei. Progetto in senso ampio, i libri pubblicati e stampati sono un’altra storia, anche io come qualcuno ha già scritto qui, ho il bisogno particolare di prendere in mano un libro, una narrazione che si apre e si chiude (nei modi decisi dall’autore).
    Giap è già un progetto ampio, di condivisione, di confronto e molta della mia personale stima nei confronti di voi WM dipende da tutti gli sbattimenti che vanno oltre le pubblicazioni “editoriali”, dai post qui su Giap, all’apertura al confronto, alle presentazioni, ai progetti collaterali che derivano da collaborazioni che allargano o rimodulano il collettivo.

    Essere un giapster dà soddisfazioni, io vi sostengo come posso “spingendo” i vostri libri, ma farei volentieri anche di più, soprattutto per tenere in piedi una “luogo” come Giap.

    p.s. OT qui, ma già che ci sono: ieri ho recuperato l’ultimo numero della Nuova Rivista Letteraria, complimenti a WM1 e WM2 per i loro due articoli… (e adesso aspetterò con impazienza la II parte del pezzo di WM1).

  43. Si, anche io sarei daccordo per l’abbonamento, anche perchè credo di aver capito, ma chiederei conferma avoi WM, che si possa dire che i libri sostanzialmente pagano adeguatamente il lavoro fatto per scriverli, solo non bastano a coprire anche tutta l’attività non-libro, mettendoci il blog ma non solo.
    Se le cose stanno così la cosa più logica sembrerebbe fare in modo che anche questa parte di lavoro produca qualche risultato economico. Poi bisogna vedere se oltre che logico è fattibile, però l’abbonamento mi sembra un’idea interessante

    • Qualche giorno fa quando si parlava dell’abbonamento a Radio Popolare ho pensato che mi sarebbe piaciuta una cosa simile per Giap. Volevo scriverlo ma mi pareva una stupidaggine: in fondo io cosa ne posso capire del mestiere di scrivere. Ora vedo che la cosa sta diventando un plebiscito, quindi mi affaccio dal buco nel muro e alzo anch’io il ditino.
      Favorevole all’abbonamento e favorevole alla Foundation, sia che restino cose distinte, sia che convergano.

      Anche se mi resta il dubbio se questi progetti siano soluzioni ai problemi posti là in cima. Da soli mi pare di no.

      Quando si parla di energie alternative i discorsi più sensati che sento fare sono quelli del tipo “non esiste un’unica soluzione (solo eolico, solo solare, ecc.) ma occorre una combinazione intelligente e attenta di tutte le soluzioni possibili, perché da sola nessuna è sufficiente”. Credo che siate (che siamo) da quelle parti.

      • Credo anch’io che siamo da quelle parti. Penso che in un modo o nell’altro, metteremo in piedi qualcosa di simile a un “abbonamento” per sostenere Giap, con qualche benefit per chi lo sottoscrive e per tutti gli altri la possibilità di accedere liberamente al blog, sempre e comunque.

        Detto questo, non smetto di ragionare sulla questione download. Ripetiamolo ancora: i nostri libri sono, e resteranno, in Creative Commons, liberamente riproducibili senza scopo di lucro. Noi però facciamo qualcosa di più: siamo di solito i primi a mettere scaricabili e liberamente accessibili, dl nostro sito, tutti i nostri testi.
        Allora mi chiedo: se da settembre, al posto della copertina di Timira, comparisse la scritta “Download Timira” e quando uno ci clicca sopra gli si apre la pagina di un progetto di crowdfunding a offerta libera dove si dice: metteremo Timira scaricabile in più formati una volta raggiunta la tal cifra di donazioni. A chi fa una donazione, invieremo anche il cofanetto digitale con tutti i livelli aggiuntivi del romanzo.
        Quali sarebbero le reazioni a un’ipotesi del genere? Tra l’altro, questo ci permetterebbe di dare un contributo anche a chi si sbatte per elaborare i diversi formati, ivi compresa magari una versione ipertestuale del romanzo.

        • Specificherei però che le donazioni non sarebbero in alcun modo il “prezzo” del download, ma una forma di sostegno al nostro lavoro per mantenere intorno al libro (ai libri) una “nuvola” di discorso, dialogo coi lettori, informazione e racconto ulteriore. Eviterei – anche per questioni legali – ogni collegamento *diretto* fra transazione e download del libro. Il lavoro per il libro in senso stretto è già remunerato dall’editore, è tutto il nostro lavoro ulteriore – lo sbattimento quotidiano, le ore passate a gestire la conversazione coi lettori, l’autorganizzazione di momenti di confronto etc. – ad aver bisogno di un supporto, perché al momento è tutto gratis et amore dei e, dopo tanti anni, tale gratuità assoluta qualche difficoltà e qualche affanno comincia a causarlo…

        • L’idea del ‘capitale minimo’ per lo scarico mi piace, anche senza avere necessariamente una ricompensa. In fondo stiamo parlando di Giap, non della società tutta, sarò presuntuoso ma credo che siamo un po’ meglio.
          In alternativa propongo una minima variante. Un mio amico ha aperto da poco un circolo arci, dentro c’è il calcetto ad uso libero, senza gettone, adesso ha messo vicno una cassetta offerte con un foglio che spiega che il calcetto è gratis, che perògli piacerebbe mettere anche un biliardo, ma per farlo servono i fondi. Forse un’idea del genere è applicabile anche per voi .

        • Uhm… E dove cazzo lo mettiamo un biliardo? XD

        • Secondo me è una strada percorribile. L’idea va poi declinata e raffinata in fase di implementazione, ma quelli sono, appunto, dettagli.

        • Mi sembra giusto tenere separate le cose: da una parte il download dei libri, dall’altra la compartecipazione al sostegno di Giap e a tutte le attività collaterali a quelle “editoriali”.

          Per quanto riguarda l’opzione proposta da @WM2 qui sopra, che @RobertoG chiama di “capitale minimo” per il download, non ho idea se possa funzionare ma certo pone una questione non secondaria: “questo ci permetterebbe di dare un contributo anche a chi si sbatte per elaborare i diversi formati”, che mica potete fare tutto in quattro e un riconoscimento a chi vi dà una mano mi pare – se possibile – più che giusto. Non mi sembra una questione secondaria, sempre più vedo un sacco di energie che convergono su progetti di “attivismo culturale” ma che vengono sempre e comunque richieste come contributo volontario e gratuito, semplicemente perchè manca money.

          Su quello che stiamo chiamando per capirci “abbonamento” aggiungo che anche radio onda d’urto usa a sostegno delle sue attività – anche – questa modalità: lo scrivo perché non so come funziona l’abbonamento a radio popolare, mentre conosco quello di ROd’U che da qualche anno spinge per una sottoscrizione mensile (dai 6 € in su) che venga automaticamente versata alla radio attivando un RID bancario (cioè un versamento automatico dal proprio conto). Al di la dello strumento che può legittimamente non piacere (il RID), il punto è che l’abbonamento deve garantire entrate stabili e continuative, e questo secondo me va tenuto in conto.

        • @WM1
          Però lo sappiamo bene, tutto il nostro percorso si basa sul mettere in discussione la dicotomia: lavoro per il libro *in senso stretto* vs lavoro “promozionale”. Io proprio non riesco a pensare che il mio lavoro finisce quando consegno il libro all’editore. E non riesco a considerare una presentazione come “lavoro promozionale”, tant’è che ne facciamo tantissime che da un punto di vista puramente economico o di marketing non avrebbero senso alcuno.
          Inoltre: la rottura del circolo virtuoso di cui si va parlando finisce per assottigliare anche il reddito che ci proviene dalla casa editrice. Noi campiamo delle copie vendute, e ci campiamo in quattro.
          Quindi la donazione per il download possiamo pure non chiamarla “pagamento”, ma è un modo per sostenere: a) Un certo modo di concepire il lavoro di cantastorie, anche su un singolo titolo e b) la scrittura collettiva. Molti, ad esempio, rispetto a Timira, considerano interessante il lavoro di meticciato autoriale che abbiamo fatto per produrre quel testo: ebbene, se interessa che WM faccia operazioni del genere, è importante che quei progetti diano da mangiare a due o più persone, altrimenti il rischio è che li si debba scartare, o mettere in fondo alla fila, perché “già non ci campo da solo, figurati in due…”

        • @WM2 e @WM1

          Sono un po’ di corsa e spero di non tornare su cose già chiarite, in tal caso tiratemi le orecchie e ditemi dove leggere :-)

          Più indietro @redv1ew qui http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=8742#comment-13345
          ha sollevato una questione secondo me fondamentale: “i due supporti [cartaceo e digitale, ndr] sono equivalenti. Tuttavia, voi li trattate in modo diverso, per le vostre legittime ragioni”.

          Riporto WM1 qui sopra: “Il lavoro per il libro in senso stretto è già remunerato dall’editore”.
          Il seguito è tutto chiaro e condivisibile, questa frase invece se confrontata con quanto sopra riporta al post che stiamo commentando.
          Quello che non mi sembra chiaro è il fatto che, detta così, l’editore remunera il libro sapendo che poi questo verrà reso disponibile al download gratuito. E questa sarà una clausola contrattuale che voi avete stabilito con l’editore.
          Io immagino invece un processo al contrario, anche dal punto di vista economico (e questo è il punto): voi autori scrivete il libro, poi lo distribuite tramite due canali: cartaceo, tramite editore, e digitale, gratuito. Questo corrisponde a due *contratti diversi* (tralasciando considerazioni fiscali che ignoro): con l’editore il compenso pattuito è quantificabile, mentre con chi scarica la copia digitale il compenso pattuito è zero (e NON “volontario”, come vedo che su questo punto insisti).
          Ora, a me pare che “zero” e “gratis” siano concetti diversi.
          Cito ancora @redv1ew: “si potrebbe cercare di evidenziare il *valore* [omissis] del file epub/mobi/pdf, valore che condivide con quello del libro cartaceo”. Questo oggi pare poco percepibile nel vostro approccio.
          La filosofia GNU (http://www.gnu.org/philosophy/free-sw.en.html) insiste su “free” as in “free speech”, not as in “free beer”. In Italia siamo perfino favoriti su questo punto, perché “libero” e “gratis” sono due parole e due concetti diversi. La libertà ha sempre un costo e non pagarlo significa perderla. Gratis invece è “chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato”.

          Spero di non essere troppo confuso e di non creare equivoci, ma forse ragionare in questi termini può chiarire altri aspetti della discussione?

        • @ WM2, ma appunto, anche nella descrizione che fai – e come qualcuno già scriveva più sopra – la donazione non è un *prezzo*, non è fatta in cambio della versione ebook dei libri già scritti; è invece un *investimento* sul nostro lavoro, è il contributo che danno i lettori perché il progetto vada avanti e noi possiamo scrivere ulteriori libri, portare avanti ulteriori prassi “virtuose” in rete etc.

          Secondo me questa distinzione va marcata, è concettualmente cruciale. Se contribuiamo anche noi a mantenere attivo il frame “download a pagamento”, oltre ad avere complicazioni legali e rischiare di aggiungere sbattimenti a sbattimenti, finiamo per contribuire alla bolla dello pseudo-mercato degli ebook (“enhanced” o meno che siano).

          Io credo che ragionare sulla correlazione *diretta* tra download e transazione on line, ovvero intendere la transazione on line come *prezzo* (per quanto non fisso) dell’ebook sia già un ragionare di retroguardia.

          Paradossalmente, non avendo partecipato alla bolla (grazie anche alla decisione di Santachiara di non cedere i diritti elettronici di nessuno degli autori che rappresenta), “stando fermi”, oggi ci ritroviamo in una posizione più avanzata.

          Per questo corro il rischio di essere pedante e “fare la punta ai chiodi”: voglio attivare frame alternativi, che tra l’altro mi sembrano quelli che anche i giapster qui intervenuti attivano con le loro proposte.

          Quindi: non pagare “per il download”, ma pagare perché in futuro possano esserci altri download.

  44. Ottima quanto fondamentale discussione, vediamo se si riesce a coinvolgere qualcuno in più:

    http://ilbipolare.blogspot.it/2012/07/due-etti-di-cultura-quanto-fa.html

  45. salto un po’ di palo in frasca, ma tornando al crowdfunding segnalo un progetto che sta avendo un successo crescente in un paese senza nessuna cultura della donazione come la Spagna: http://goteo.org

    non è per fare pubblicità (anche se conosco personalmente gli autori), ma Goteo ha delle caratteristiche interessanti che potrebbero interessare al dibattito:

    – si propongono progetti che difendono e ampliano i commons o beni comuni
    – si hanno due “giri” di finanziamento (minimo e ottimale)
    – definizione chiara di quali sono i benefici per chi finanzia e che devono avere un valore sociale, non solo individuale
    – (fondamentale) il team di goteo si impegna moltissimo nella discussione con gli ideatori del progetto da finanziare su come proporre il co-finanziamento alla gente. E fa un gran lavoro di comunicazione per trasmettere l’importanza del progetto, in molti casi anche con attività “analogiche”. Insomma, non è solo una piattaforma “neutra”, e questo ha decisamente ripagato con la realizzazione di un sacco di progetti (non ultimo il crowdfunding – 19.000€ in 24h!!! – di una denuncia legale all’ex-ministro e ex-direttore della banca bailed-out da Rajoy con un milioni di euro pubblici).
    http://goteo.org/blog/1
    [fine dello spot ;-) ]

  46. io sono per un abbonamento a giap (che è la mia radio libera), pero’ paypal non lo digerisco, e è per questo che continuo a rimandare donazioni. non c’è verso di affiancargli presto qualcos’altro?
    per cofanetti genetici e videogame personalmente farei la fame.
    e pero’, a proposito dei cofanetti: per i materiali davvero potete fare come volete, per esempio potreste pubblicare senza problemi ‘le interviste del mercoledi’ in mp3?

    • Mi associo alla richiesta di un’altra modalità (anche semplicemente lasciare un numero di conto per bonifici)

      • C’è Flattr. Tra l’altro, nella pagina dei download abbiamo appena reso (un po’) più visibile l’opzione, aggiungendo il link alla voce di Wikipedia. Tutto questo subito sotto il bottone di Paypal. Poi, in vista della “campagna abbonamenti” d’autunno (ma probabilmente avrà un altro nome :-)), aggiungeremo altre opzioni.

        • Sì, una volta avevamo un “conto comune”, poi l’abbiamo estinto. Si potrebbe riattivarlo, oppure usare quello di uno di noi, basta che nei bonifici uno metta la causale Wu Ming, e si riesce facilmente a distinguere le entrate.

  47. Ma io che faccio se di una narrazione è lo scrittore a fornire tutto, dalle immagini ai suoni alla colonna sonora? :)

    • Domanda importante. Anche da altri commenti emerge il desiderio di una narrazione ben confinata, con margini e contorni precisi. David Bordwell direbbe che l’abilità di un artista sta nel saper scegliere l’inquadratura, nel definire una cornice per quello che rappresenta.
      Bordwell e Jenkins hanno avuto su questo tema uno scambio interessantissimo. Chi legge l’inglese lo trova qui:
      http://henryjenkins.org/2009/09/the_aesthetics_of_transmedia_i.html
      Jenkins sostiene che il dilagare della transmedialità non è solo “marketing di contenuti”, ma risponde a un bisogno estetico e contribuisce a ridefinirlo. Bordwell risponde che l’arte è anche un fatto di “controllo”, di tirannia autoriale su un determinato contenuto. Applicare a Hitchcock l’estetica transmediale, dal suo punto di vista, sarebbe una rovina, perché suspence e transmedialità si escludono a vicenda.

      Rispetto al nostro caso specifico, – e più nel merito della tua domanda – aggiungo che molto dipende dall’atteggiamento dell’autore.
      Un conto è dire: questa è la colonna sonora del mio romanzo. E un altro è: guarda, questa per esempio è una possibile colonna sonora del romanzo, l’ha composta Tizio, ma se tu hai un’idea diversa, mi piacerebbe ascoltarla e magari farla ascoltare ad altri attraverso questo sito.

    • Sono dieci anni che ai nostri libri illustratori affiancano le più varie immagini e musicisti aggiungono le più varie colonne sonore, e non mi sembra che questo abbia castrato l’immaginazione dei lettori :-)
      Uno dei requisiti principali della dimensione transmediale secondo Jenkins è che ciascun contributo abbia senso non solo in rapporto agli altri, ma anche di per sé. Quindi il romanzo conserva la sua autonomia, la sua lettura è un’esperienza che produce senso anche senza la prosecuzione della storia su altre piattaforme.

  48. scusate, rispondo al post, senza leggere tutti i commenti. E’ il solito problema che subentra quando i commenti superano un tot. Il mio personale concetto di tot é piuttosto nutrito, ma ha tuttavia un limite…
    Un dubbio: per comprare un libro io devo essere convinto, con argomenti non necessariamente razionali ma convinto, che il libro mi piacerà/mi servirà. Per scaricarlo, mi basta che non sia un’impresa troppo complessa, poi con calma lo guarderò e solo se mi avrà convinto lo0 comprerò, perché leggere a video mi rompe.
    I motivi sono economici, ma anche di spazio: i vostri libri sono letti principalmente da forti lettori, e il forte lettore é caratterizzato regolarmente dall’avere più libri di quelli che potrebbe acquistare, di quelli che tempo di leggere, di quelli che sa come stivare in casa. Il formato elettronico consente una scrematura utilissima: compro il volume solo se me la sento di affrontare le sue negatività, di costo, di spazio, di tempo.
    Non credo di essere l’unico

    • Criterio razionalissimo. Non solo non sei l’unico, ma questo approccio ha contribuito in gran parte ad alimentare quel “circolo virtuoso” tra scaricamenti e acquisti di cui si parlava. Il lettore, anziché acquistare “alla cieca” (a scatola chiusa) o sulla mera base di una quarta di copertina (o di una recensione, nel caso dei pochi che ancora le leggono), scarica, legge qualche capitolo o anche tutto il libro, poi se ci tiene ad avere la copia stampata o se vuole sostenerci, compra. Per anni il circolo virtuoso ha funzionato, poi c’è stata la “tempesta perfetta”: crisi, aumento dei prezzi dei libri, nuove abitudini di lettura, nuovi dispositivi per facilitare la stessa in formato elettronico, politiche sbagliate delle case editrici etc. E il circolo virtuoso si è spezzato.

  49. ma forse non é che nell’epoca che viene, la pretesa di trarre un reddito dalla scrittura (ma anche dalla musica, come dicevate, e forse anche dalla pittura) cozza contro i nuovi modi fruizione di queste creazioni?
    In generale, non dobbiamo prendere atto che si va creando un crepaccio fra il reddito e il lavoro, per cui é difficile operare dei collegamenti equi?
    In sostanza l’intera attività sociale produce l’intera ricchezza sociale, e questo era vero già per i cavernicoli. Solo che per lungo tempo, era facile provvedere alla distribuzione della ricchezza, tanto più che questa distribuzione era perfettamente iniqua. Oggi molta parte della ricchezza viene messa in circolo gratuitamente, in compenso l’accesso a tale ricchezza non é mai stato meno gratuito.
    Mi sa che per campare solo scrivendo, occorre passiate per la rivoluzione…o vi rassegniate a fare come me, che scrivo gratis e campo d’altro…

    • E’ il concetto di “sola” scrittura che mi appare limitato e inadeguato… almeno nel nostro caso. Noi siamo “narratori con ogni mezzo necessario”. Scriviamo romanzi e racconti e “fiabe sonore per adulti”, leggiamo in pubblico, allestiamo reading-concerti e spettacoli, facciamo presentazioni che sono vere e proprie assemblee coi lettori, facciamo esperimenti, curiamo un blog che richiede una presenza quotidiana e un notevole lavoro redazionale, maciniamo riunioni su riunioni, e intanto facciamo ricerca storica, ci documentiamo per i progetti a venire… Tutto questo non potremmo farlo come “hobby” o prassi “amatoriale”, non a questo livello. O riusciamo a camparci anche nelle tempeste a venire (mentre si lavora per la rivoluzione), o cambiamo approccio, modalità, intensità dell’impegno. Nessuno di noi ha una nonna ricca che gli ha lasciato un vitalizio, si campa di quel che si fa. Quel che facciamo è questo. O la va o la spacca.

  50. Non ho letto tutti i commenti, per cui forse ripeto qualcosa che è già stato detto. Secondo me l’industria culturale patisce le stesse contraddizioni che viziano il funzionamento dell’intero sistema produttivo. E, come per tutti gli altri settori della produzione, nelle fasi di crisi le contraddizioni esplodono o, quanto meno, si fanno sentire di più.

    La contraddizione fondamentale fra sviluppo delle forze produttive (e della capacità produttiva) e rapporti sociali di produzione mi sembra emergere in modo molto chiaro dalle considerazioni sviluppate nell’articolo. Con la diffusione di internet, delle tecnologie digitali, e con le crescenti possibilità di accesso ad una formazione avanzata nei diversi settori culturali, la scrittura così come la musica e la produzione di audiovisivi diventano sempre di più attività “socializzate”.

    Per restare nell’ambito di un settore che conosco meglio di altri, oggi in Italia ci sono almeno 200 violinisti di ottimo livello che affiancano allo strumento moderno quello antico con corde di budello, e una buona (se non approfonditissima) conoscenza del repertorio barocco e delle tecniche di esecuzione di quel repertorio. Anche nel jazz, da quel che ne so, il numero di musicisti di livello alto o medio-alto è aumentato, grazie alla crescita delle scuole di musica, all’introduzione dell’insegnamento del jazz nei conservatori, all’intensificazione dei rapporti con scuole e università americane tramite seminari estivi, clinics, borse di studio ecc.

    Nell’ambito degli audiovisivi, oggi con una spesa incomparabilmente minore rispetto a quella di qualche anno fa è possibile realizzare prodotti che, a livello tecnico, fino a 10-15 anni fa (prima cioè della diffusione su larga scala dei programmi di editing digitale, e di strumenti di ripresa ad alta fedeltà – HD, fotocamere digitali che permettono di realizzare video ecc.) richiedevano professionalità specifiche e notevoli competenze. Mettere delle buone luci o girare un carrello in modo puliti richiede ancora una certa dose di esperienza e di “mestiere”, questo è indubbio… ma le basi di questo mestiere sono sempre più accessibili.

    Di fronte a questo, la risposta che arriva “dal sistema” per riequilibrare lo scarto fra i privilegi del mestiere e la diffusione crescente delle competenze e delle capacità produttive è quasi scontata: aumento dei filtri di accesso di modo da intensificare la selezione. Per accedere al Centro Sperimentale di Cinematografia, godere delle entrature di qualche prestigiosa scuola di scrittura o acquisire una buona fama nel giro delle orchestre di musica classica o barocca, sono necessari anni di studio e sacrifici; anche l’acquisto dei “mezzi di produzione” in alcuni settori richiede comunque una spesa elevata (il prezzo di uno strumento antico o di un set di buone corde di budello è difficile che si comprima al di sotto di un certo livello). Insomma: nella relativa assenza di ricchi “mecenati” che prendono a cuore le sorti di questo o quel aspirante artista (situazione che è venuta meno con la trasformazione del lavoro culturale in “industria”), e con la riduzione delle risorse pubbliche destinate alla cultura, riemerge una forma neppure troppo occulta di selezione di classe.

    In questo modo, la contraddizione non viene rimossa ma solo ulteriormente approfondita. E il modo in cui il sistema reagisce a questo scarto è, ovviamente, sempre più schizofrenico. Difficile vedere in questa o quella strategia una “via d’uscita” definitiva, piuttosto che un semplice palliativo.

    Forse l’analisi che faccio è un po’ raffazzonata e schematica; forse mette insieme cose troppo eterogenee, che è difficile far cadere sotto il medesimo discorso. Però mi sembra che anche lo sviluppo dell’industria culturale, anziché profilare all’orizzonte un passaggio quasi “spontaneo”, o attuabile con strategie riformiste, dall’industria culturale orientata al profitto ad una forma diversa di gestione e diffusione del lavoro culturale (vedi la tesi dell’appropriazione “a valle” del plusvalore), metta sul piatto delle contraddizioni talmente forti e profonde da richiedere un approccio *rivoluzionario*. Se non cambiano le basi stesse del sistema economico-sociale nel suo insieme, non sarà certo lo sviluppo intrinseco dell’industria culturale o del lavoro cognitivo in genere a farci transitare dall’attuale regime classista di sfruttamento ad un modello diverso di lavoro e di redistribuzione della ricchezza sociale.

  51. Voi dite: “i nostri ebook sono da sempre scaricabili gratuitamente, e gratuiti rimarranno. Per noi è un atto politico e di militanza culturale”.
    E se vi sbagliaste ed invece in futuro la lettura avverrà sostanzialmente su supporto digitale? Perché rinunciare ad un compenso dovrebbe essere un atto politico? Ovvero questo vostro “atto” come dovrebbe influenzare l’approccio all’opera da parte del lettore? Quest’ultimo non è certo tenuto a conoscere né il contratto dell’autore né tanto meno il suo compenso. Per tornare all’industria musicale da voi citata: i Fugazi seguiranno anche una etica del lavoro tutto sommato *rivoluzionaria* ma ciò non significa negare che la maggior parte degli ascoltatori del gruppo lo sono, perché sono (stati) una delle più grandi band rock degli ultimi 25 anni e questo indipendentemente dagli show “all age”, dai prezzi bassi dei dischi e dei concerti. Alla fine un libro vende se merita di essere letto: guarda caso a me i libri di Wu Ming che sono piaciuti di più sono “Q” (ok: Luther Blisset), “54” e “Altai”. Sarà un caso che da lettore medio (e mediocre: non compro libri per premiare militanze di alcun tipo, sorry) mi siano andati (più) a genio i libri che hanno anche venduto di più? Ormai l’offerta di libri è enorme, i canali attraverso cui acquistarli (anche gratuitamente) pressoché infiniti. La diffusione dell’inglese (e dello spagnolo) non relega più il lettore ad essere schiavo di (eventuali) edizioni italiane mal tradotte. Io dico: survival of the fittest: chi sa scrivere bene e sa cosa scrivere non si preoccupi troppo. Gli altri non so.

    • Sarà, ma secondo me sapere scrivere bene e sapere cosa scrivere non sono garanzia di niente. In tutte le epoche e in tutte le formazioni sociali si son visti autori meritevoli e financo geniali ignorati dai più, e scribacchini ammanicati prosperare e godere.
      Riguardo alla prima parte del tuo commento: non stai prefigurando niente di eclatante, già adesso la lettura (lettura nel suo complesso, non ristretta ai romanzi) avviene in rete e su supporti digitali. Noi partiamo proprio da questa considerazione. E la stragrande maggioranza del contenuto che viene fruito è gratis. La sproporzione tra il letto e il venduto è più che enorme, quasi inimmaginabile. E’ in corso una radicale mutazione antropologica. Come scriveva Don Cave, l’industria culturale sta rispondendo nel solito, plurisecolare modo: tenta di ri-recintare le terre comuni, difende rendite ormai prive di senso, impone filtri e blocchi, fa lobbying sui parlamenti, contrasta la “neutralità della rete”… “Atto politico” è prendere atto che la socializzazione dei saperi e delle narrazioni è un’opportunità, e che ogni sperimentazione deve avvenire *a partire* da questa socializzazione, non a contrasto di essa.
      Noi non stiamo “rinunciando a un compenso” per il nostro lavoro: al contrario, stiamo cercando modi di trarre reddito dal nostro lavoro *a partire* dal fatto che i nostri libri sono liberamente scaricabili.

      • Grazie per la solerte risposta! D’accordo (e come non esserlo) con te in merito alla socializzazione del sapere. La mia umile (forse errata) convinzione è che l’industria culturale stia brancolando nel buio e sparando nel mucchio. Io non la considero neanche più un’antagonista. Il problema è semmai la facilità di accesso e la distrazione generata dalla possibilità di potersi procacciare “altri” contenuti da leggere/vedere/ascoltare (social network, blog, ecc…) rispetto a quelli canonici. Facendo riferimento (stupidamente) alle mie sole abitudini, quante volte ho trascorso serate navigando sul Web rinunciando a teatro, cinema, libri (fossero anche di nicchia, di scrittori sconosciuti e geniali) o concerti (fossero anche dei novelli Crass)?
        Dici: “La sproporzione tra il letto e il venduto è più che enorme, quasi inimmaginabile.”
        Si, vero, la maggior parte dei libri non hanno lettori o forse solo uno e questo vale (ormai) anche per i concerti: micro pubblici, micro target… In questo scenario chi perde? L’autore o il fruitore? Ci avviamo verso un mondo in cui queste due figure coincideranno? E quali sarebbero le conseguenze negative? A parte la mancata remunerazione di chi “produce”, il cambiamento radicale mi sembra la mancanza di consumo condiviso dello stesso materiale per cui anche la “condivisione partecipata” viene meno: tutti sappiamo cosa leggono i nostri amici ma nessuno legge o fruisce degli stessi prodotti. La soluzione per risolvere questo “impasse” va studiata a tavolino o succederà qualcosa di non previsto (come peraltro insegna la storia) che cambierà ancora una volta le carte in tavola? Boh!
        Un caro saluto!
        Andrea

  52. Si potrebbe pure ampliare il campo di analisi, quando si parla del *mestiere* di scrittore. Di fatto, qui è in gioco il futuro di un settore produttivo, non quello di singoli autori. E dietro alla figura che possiede (volens nolens) più visibilità, quella dell’autore che riesce a strappare contratti più o meno buoni all’editore, vi è una zona d’ombra che si è formata in questi ultimi 10 anni, una zona grigia di lavoratori che, in una sorta di outsourcing atomizzato e singolarissimo, cercano (poche volte riuscendoci) di sbarcare il lunario attraverso le proprie competenze linguistico-comunicativo-redazionali e quant’altro.
    Si traduce, si fa editing, si correggono bozze, si portano avanti curatele, tutto questo per compensi minimi, se non inesistenti. Si dirà: ma questo è il mercato, baby: c’è un esercito di persone mediamente sui 30 anni che, escluse dall’incrocio ufficiale della domanda-offerta di lavoro editoriale, campa esclusivamente attraverso collaborazioni “fantasma”, per l’appunto una sorta di outsourcing disseminato. Certo, non è il caso di Stile libero o de Gli Struzzi di Einaudi, né di Strade Blu di Mondadori, ma nell’ultimo decennio, nonostante s’intuissero già le ombre del futuro (industria musicale), il volume di libri stampati (e pure di quelli finiti al macero, ovviamente) è tendenzialmente sempre aumentato. Non è perlomeno controintuitivo?
    Editoria a pagamento, piccola editoria, redazioni di riviste più o meno note, uffici stampa, ghost-writers (esistono, esistono). I lavori *immateriali* (comunicativo-linguistici) hanno fatto registrare un’impennata vertiginosa; ma di immateriale hanno solo i bytes con cui vengono trasmessi: perché i rapporti sociali in base ai quali sono resi possibili, quelli sono materialissimi, a mio parere.
    Certo, non si tratta di una sfera *autoriale*, intesa nel senso tradizionale; ma di mezzo c’è pur sempre la produzione di saperi, di contenuti comunicativi, di narrazioni di un certo tipo.

    Scendendo a un livello prosaico e personale: negli ultimi dodici mesi ho tradotto due libri, praticamente seguiti dall’editing alla promozione (contattare giornalisti, etc.); curato due volumi collettivi; effettuato la revisione di altri due volumi; preparato l’introduzione a un catalogo per una mostra. Bene, sommando tutti i compensi ricevuti (tranne uno, tutti in nero, ça va sans dire), arrivo a quattro miseri stipendi mensili. Su dodici mesi.

    La domanda è: questa sorta di outsourcing editoriale atomizzato è il preludio alla scomparsa di molti titoli, in futuro, perché non *redditizi* da un punto di vista di un semplice esame costi-benefici? Sembrerebbe di no, visto il tendenziale aumento dello stampato.
    Oppure si profila un periodo transitorio (quanti anni? 10? 20?) nel quale ciò che è avvenuto in diversi altri settori (l’outsourcing, compressione salariale, riduzione dei diritti acquisiti, etc.) si affermerà con forza sempre maggiore anche nel mondo editoriale?
    Tertium datur: è il passo previo alla fine del mondo editoriale così come lo conosciamo?

    Così, solo per allargare lo sguardo alla miriade di occupazioni che compone sta dietro (a monte e pure a valle) del *mestiere* di scrittore così come è comunemente noto.
    Spero di non essere OT.

    • OT? Starai scherzando, compare. OT proprio per un cazzo :-/
      Comunque, tertium datur. Qualunque cosa succeda, it’s the end of mondo editoriale as we knew it.

    • …e l’esercito di persone sta cominciando ad avere anche più di 30 anni, ormai…
      il problema è lo stesso: come “monetizzare” il lavoro intellettuale/culturale che, invece, mediamente, viene percepito come impalpabile e quindi non quantificabile?
      quanto “vale” un lavoro di traduzione (o un’esibizione di un gruppo in un locale, o una performance, o…)?

  53. ho un’impressione, e non riesco ancora a dare una forma compiuta a questo vibrar d’antenne che avverto, ma penso che ci troviamo in un guado, in una fase di passaggio che dovremmo cercare di guardare insieme “da fuori” e “da dentro”.
    Comincio a buttar dentro qualcosa.
    Mi ha colpito questo articolo: http://espresso.repubblica.it/dettaglio/perche-io-filosofo-odio-il-web/2185640
    Si è parlato anche qui di una narrazione che è tale perché delimita uno spazio. Mi è venuto in mente il teatro di strada: sul selciato, si traccia una linea ed ecco che il patto è stretto. Da questa parte della linea “si recita”, dall’altra parte “si assiste”. In realtà, però, a ben guardare, “tutti recitano”. E così con i cantastorie: chi li ascolta(va) era(è) insieme parte della storia e narratore. Non ritengo (come invece R.Simone) che questa sia una fase “primitiva” (= ormai superata, da non recuperare a meno di una regressione) dell’arte. Penso sia *il* modo con cui l’arte può stare *nella* società. Per stare *in* società, invece, le gerarchie sono fondamentali. C’è lo Scrittore, il Compositore, il Musicista, l’Attore, lo Scultore. L’unico, il genio, il miracolo vivente. L’eccezionalità tenta anche i migliori, purtroppo…
    Ed è un pericolo, perché se le persone percepiscono l’arte come qualcosa di eccezionale, inspiegabile, comprensibile solo attraverso mediazioni sacerdotali, inevitabilmente se ne allontanano, non ne percepiscono il valore anche “monetario”, escono così dal *cerchio magico* del racconto, e si impoveriscono, e impoveriscono l’arte stessa.
    E’ evidente che i nuovi supporti hanno cambiato le abitudini, il modo di percepire il mondo, di occupare il tempo (vedi ancora quello che dice R.Simone nell’articolo). E’ evidente che il cambiamento è stato molto rapido, e che probabilmente sarà presto superato da un ulteriore cambiamento. Credo che l’atteggiamento militante più serio sia proprio quello di chi non si chiude nella Torre a versar lacrime su un fantomatico passato, ma continua a delimitare (che non significa chiudere, limitare), cioè narrare includendo ascoltatore/lettore/spettatore.

  54. Mi sento abbastanza sicuro di poter dire che questa discussione produrrà effetti concreti. La qualità e l’intensità che la caratterizzano lascia poco spazio al dubbio che il collettivo non ne faccia tesoro al meglio. Per quel poco che li conosco state pur certi che lo faranno.
    Sono molto d’accordo con chi ipotizza ulteriori e progressivi cambiamenti da affrontare e ai quali adattarsi, e moltissimo con coloro che sono convinti che non esiste “una singola mossa”, per quanto geniale, che possa vincere la partita da sola.
    Vedo che si fa pian piano strada una certa ipotesi, chiamiamola “modello RadioPop”. Anch’io mi associo a quanti la vedono bene. Perchè sostiene non una singola produzione o evento, ma un’attività, un lavoro, una credibilità, nel suo complesso, per il suo passato, il suo presente, e, appunto, il suo futuro. Si tratta di dare un sostegno, alla luce di quindici anni di attività, perchè ce ne possano essere altri quindici.
    Poi ci sono le singole produzioni, o libri, o storie, o quello che sono e che saranno. E qui io penso che saranno loro stesse, le loro peculiarità intrinseche, a dettare singole modalità con le quali volta per volta misurarsi. A fornire idee e materiali per proporsi in supporti e dimensioni diverse che affianchino e/o accompagnino il libro tradizionale, e finora si è visto che la gamma è davvero ampia e ancora di più potrà esserlo in futuro.
    Sul lungo periodo si tratta di ripensare un’intera filiera produttiva, tenendo conto che esistono professionalità e competenze ‘intermedie’ che non possono, non devono, scomparire (editor, lettori, traduttori …), non solo per motivi etici, ma per la qualità stessa del lavoro di chi scrive e racconta. E’ come se, collassando l’industria discografica, collassassero tout court “i fonici”, i “tecnici del suono”. Tu puoi essere pure Hendrix, ma se dietro al mixer non c’è nessuno … E dunque si dovrà, con la dovuta calma, prendersi in carico molte questioni da risolvere.
    Ma il bello di questa discussione sta, nel suo farsi, nel riuscire a sciogliere uno dei problemi classici che si verificano, spesso senza colpa di nessuno. Cioè diventare esercizi di futurologia, come sarà il mondo tra dieci o vent’anni, senza alcuna ricaduta immediata.
    Mentre è essenziale cominciare subito, accettando anche di procedere per tentativi ed errori, a ridefinire lo statuto di questo mestiere e le sue implicazioni sociali ed economiche.
    Comunque, ancora una volta non si può che ringraziare tutte/i perchè fate bene alla salute.
    L.

  55. Potreste anche affiancare, almeno come esperimento, ai downloads un percorso formativo, magari facoltativo, che semplifichi e aiuti a scoprire, ad esempio, la teoria del plusvalore ed altre idee, concetti che dovrebbero essere alla base di un certo modo di relazionarsi col mondo; utilizzando un sistema a livelli tipo Manituania, dove l’accesso in generale rimane “free” ma l’accesso al/i capitolo/i richiede una “chiave” (la risposta ad una domanda etc).. potreste lasciare la possibilita’ di donare alla fine del “percorso” di lettura.

    Chi conosce il vostro lavoro di attivisti culturali ne apprezza gia’ il valore intrinseco e credo (immagino) vi sostenga gia’ come puo’. Si tratta forse di faciltare la comprensione di certi princìpi, della vostra identita’ collettiva, alle miglaia di “fruitori di
    contenuto”, in Giap, che hanno la coscienza politica in sleep mode. Puo’ darsi che una volta captate, interpretate meglio o assimilate ex novo, certe basi/idee aiutino a ri/attivare suddetta coscienza e ad allargare il senso di responsabilita’ nei confronti di questo mostro a 4 teste (e migliaia di cervelli).

  56. io sono rimasto positivamente impressionato dal crowdfunding di futbologia che e’ una sorta di campagna abbonamenti a tempo limitato e con un obiettivo preciso. L’obbiettivo numerico ed il tempo limitato possono essere coinvolgenti verso chi partecipa e possono indurre un bel passaparola x arrivare al risultato.
    secondo me il tasto x donare su giap e’ un metodo un po’ troppo timido x tirare su somme importanti.
    il lettore deve percepire il lavoro che c’e’ dietro giap, che mi sembra evidente non essere per nulla un mezzo solo x vendere piu’ libri, ma un vero e proprio punto di riferimento politico culturale per migliaia di persone.
    Il mio suggerimento e’ fare campagne di funding periodiche e mirate alle quali chi vi segue dovrebbe partecipare progressivamente alle proprie possibilta’ e passione x la vostra produzione e dove il raggiungimento del risultato monetario dovrebbe diventare un obbiettivo di tutti i giapster.

  57. spezzo la mia lancia a favore della campagna abbonamenti, qualcuno citava Radio Pop, campanilisticamente porto l’esempio di Radio Onda d’Urto, gli abbonamenti che raccoglie durante l’anno e il festival estivo sono le uniche fonti di finanziamento. Per molti sostenitori abbonarsi non è una questione di pagamento di un servizio, è autofinanziamento in quanto la radio è intesa come patrimonio collettivo, progetto comune e condiviso da una comunità che va ben oltre i redattori o conduttori.
    Potrebbe funzionare anche per WM?

    • Io credo funzionerà, e poi bisognerà trovare per il blog un sottotitolo diverso. “La stanza dei bottoni di Wu Ming” non sarebbe più adatto.
      Però insisto sulla necessità di differenziare la proposta.
      1) Un nucleo di persone può essere interessato dall’abbonamento a Giap. Qui l’obiettivo non è economico, ma numerico. Non “raccogliere tot” ma “avere tot sostenitori” che ti danno uno, due, cinque euro al mese, ovvero 12, 24, 60 euro all’anno (Obiettivo minimo? Cento abbonati? Duecento?)
      2) A fronte di questi cento/duecento abbonati ci sono comunque migliaia di persone che scaricano gratis i nostri testi. A queste persone è importante far capire che i nostri romanzi sono liberamente accessibili, sempre e comunque, ma il fatto di trovarli bell’e pronti sul nostro sito è un servizio in più. Ti piace? Hai mai pensato che potrebbe valere qualche spicciolo? Questa riflessione potrebbe stare sia nella pagina dei download che in fondo ad ogni singolo testo scaricabile. Hai letto? Ti è piaciuto? Ti piacerebbe scaricarne ancora?
      3) Ci sono poi quelli che arrivano sul sito per scaricare il testo X. Quelli che non hanno venti euro e aspettano che il romanzo Y venga messo in download. In questo caso, io farei scattare il discorso del “capitale minimo” che facevo più sopra. Il file del romanzo X non è ancora disponibile. Ti interessa? Appena raggiungiamo la cifra tot lo mettiamo scaricabile. Ci aiuti a raggiungere la cifra tot? Per chi contribuisce, contenuti extra del romanzo in cofanetto digitale.
      4) Infine, ci sono quelli che né gli frega di abbonarsi a Giap, né scaricano alcunché, però magari sono interessati a un singolo progetto, tipo Futbologia. E allora a questi si può chiedere un contributo mirato per quel progetto specifico.
      Dimentico qualcuno?
      Certo può sembrare che così si passi da una modalità “pudica” nelle richieste economiche a un gran elemosinare a destra e a sinistra, ma una volta posto il problema, e dimostrato che si tratta di più problemi intrecciati, sarebbe miope cercare di scioglierli con un’unica risposta.

      • La tagline di Giap – che compare non qui ma sui motori di ricerca – si può cambiare anche seduta stante, se qualcuno ha una buona idea. Magari si può cambiarla periodicamente. “La stanza dei bottoni” etc. è rimasto lì dall’aprile 2010… perché non abbiamo più pensato alla tagline :-) Tentatively, poco fa ho messo: “Il blog di Wu Ming, una comunità di lettori”. Non irresistibile, ma potrebbe suggerire qualcosa di meglio.

      • Mi sembra che i punti numerati possano avere questa tempistica di riflessione e messa in pratica:

        1) La “campagna abbonamenti” o come vorremo chiamarla è da programmare per dopo l’estate. La forma potrebbe essere quella di un progetto di crowdfunding, sempre se Eppela o altri siti di raccolta fondi lo ritengono adatto. Altrimenti, facciamo coi nostri mezzi. Possibilmente, questa campagna non dovrebbe coincidere con l’avvio del progetto “capitale minimo” (vedi punto 3).

        2) Qui si può agire già prima della pausa agostana, perfezionando le diciture esistenti in home e nella pagina download, e inserendone una adatta anche in ciascuno degli ebook scaricabili (noi pensavamo in fondo al libro, Mozambo invece suggerisce di metterla nel colophon, sopra la dicitura copyleft). Inoltre, d’ora in avanti a ogni nuova aggiunta alla pagina download si può fare un post specifico (sulla falsariga di quanto fatto per “Il sentiero degli dei”).

        3) Abbiamo già un’uscita recente con cui sperimentare il discorso del “capitale minimo”, è Timira. Si potrebbe fare a settembre, perché siamo già alla seconda settimana di luglio e non è il momento di avviare sperimentazioni. Sulla necessità di non sovrapporre le diverse campagne, vedi al punto 1.

        4) Di fatto, l’esperimento è già in corso, ed è proprio Futbologia. Vediamo come va.

        • I miei due spiccioli (mo’ ci vuole) sui punti elencati da WM1 e WM2. Io sarei un’abbonata a Giap, darei anche volentieri un contributo per scaricare/rendere scaricabile un libro che mi è piaciuto molto (es: Timira mi è piaciuto molto, vorrei che i miei amici lo leggessero subito ma non ho tanti 20€ per regalarlo a tutti, quindi dò qualcosa perché possa essere scaricabile il prima possibile). E probabilmente mi appassionerei anche a progetti specifici.
          Ora però quando devo decidere quale abbonamento penso prima ai 60€ ma poi ci ripenso perché forse è meglio fare 24€ così mi conservo soldi per eventuali progetti che mi piacciono, etc.
          Quello che voglio dire è che secondo me l’adesione dovrebbe essere all’idea in generale, e poi fare crowdfunding su cose specifiche (stile futbologia).

  58. Ormai da cinque giorni, schiere di addetti ai lavori dell’editoria, invisibili e muti, seguono questa discussione. Anche gente delle “medio-alte sfere”. Lo sappiamo, e loro sanno che sappiamo :-)

    • Ecco, quello che non cambia, non cambierà, mai è proprio l’attitudine parassitaria di queste schiere, di questi addetti, di queste medioalte sfere. Non mettere mai una parola, non spendersi mai una volta, non dare mai un riconoscimento (figuriamoci, a wu ming poi, che scherziamo), non cogliere mai un’occasione per rendere un dibattito davvero utile.
      Mi raccomando, rimanete così, che siete belli.
      Tanto ormai il problema è tutto delle sfere mediobasse, da tempo del tutto frantumate.
      L.

      • Infatti, penso proprio alle schiere medie e basse a cui accennava tom più sopra. La fine del mondo è già cominciata. Ovvero, sono già cominciati i demansionamenti, il mancato rinnovo dei contratti, i licenziamenti. Se ne parla molto poco, perché il paese dell’editoria è piccolo, la gente mormora (oh, quanto mormora) e si ha paura. Ma editor, redattori, traduttori sono i primi a pagare la mutazione. E, tristemente, nella vulgata della rete non sono figure con cui essere solidali, bensì “i nemici e collusi”. Su questo sarebbe importante capire come agire, nel futuro (vicino) che si va delineando.
        Fermo restando che mi unisco anche io alla convinzione che le vie qui proposte sono molto interessanti, praticabili e positive, torno anche sull’idea della strada e dell’unione di forze con la musica, sempre di più. Wagner mi è sempre stato cordialmente odioso, ma l’idea della “totalità” mi sembra sempre più giusta.

  59. Numeri: che cos’è un anno di Giap?
    Nel 2011 abbiamo pubblicato 96 post, cioè 8 al mese tondi tondi. Di questi, meno del 30% (31 per l’esattezza) riguardavano WM, i *nostri* libri, e contenuti anche lontanamente “promozionali”.
    Poi ci sono più di 50 brani inseriti in audioteca, cioè in podcast, ovvero in media uno a settimana.
    Potrei anche fare il conto dei commenti, con la media per post, se interessa…
    Ho visto che in alcuni blog, nella colonnina dedicata alle donazioni, provano anche a quantificare quante ore di lavoro mensile richiede la redazione dei contenuti, la gestione dei contatti, ecc. Non so se siamo in grado di fare una media, a occhio direi 130 ore al mese, ma i compadres mi correggeranno. Se poi il 30% lo vogliamo classificare come “promozionale”, allora ecco, ci sono circa 90 ore di “straordinario” al mese ;-)

    • Per quanto mi riguarda la parola “donazione” è imprecisa: io ci ho guadagnato come minimo, a voler essere generosi, almeno quanto ci ho speso, in questi anni che vi leggo, sento, e più raramente di quanto vorrei, vedo. Quindi, se qualcun* trova un termine che descriva meglio lo scambio sapere+potere+piacere+passaggio di vil ma necessario ahinoi denaro da/a+quant’altro, a me fa un laico piacere e un personale favore. Perché io vi ho “donato” almeno — almeno — quanto mi avete dato e continuate a dare voi. Così, per dire.

    • Centotrenta ore al mese mi sembra sottostimato. Quelle vanno via per l’attività “di base”: scrivere i post, scegliere e sistemare le immagini, registrare gli eventi, lavorare ai file audio, scrivere le descrizioni per il podcast, aggiornare il software, stringere qualche vite, sbloccare i commenti finiti in moderazione e quelli rimasti impigliati per errore nell’antispam… Poi c’è il tempo investito nelle discussioni, nel pensare e dare le risposte, nell’attività di pungolo e “facilitazione” dei dibattiti.
      Se pensiamo che poi studiamo per i libri, facciamo le riunioni, scriviamo e rivediamo capitoli, e intanto giriamo per serate e reading, sarà facile capire che soffriamo un certo affaticamento, anche perché non siamo più dei ragazzini, metà del collettivo sta nella fascia d’età tra i 40 e i 50, l’altra metà sarà quarantenne tra poco…
      E quando usavamo Twitter, era peggio :-)

      • Integro i dati forniti da WM2: nel 2012 siamo già a 57 post, il ritmo si è intensificato. Non tutti i post richiedono svariate ore per essere scritti; d’altro canto, però, alcuni post richiedono *giorni* di lavoro. Io ricordo di aver lavorato davvero tanto per scrivere e rivedere “In cima al Kenya col Comandante”, “Feticismo delle merci digitali e sfruttamento nascosto” e altri post lunghi. Idem per i post tolkieniani di WM4, che hanno richiesto ricerche, studio, riletture… E pensiamo a quanto lavoro è andato per un post compilativo come quello sulle colonne sonore dei nostri libri, o per il “Timira cut ‘n’ paste”! Poi ci sono i post che di per sé non hanno richiesto tanto tempo, ma solo perché il lavoro grosso è stato a monte, ad es. per preparare una conferenza (penso al post su “93” di Victor Hugo).
        Per questo dico che, almeno nel 2012, il monte ore complessivo supera di parecchio le 130 ore mensili, che da sole non renderebbero conto del lavoro appena descritto *più la gestione e discussione*.

  60. Alcune cose in ordine sparso per ragionare sulla “crisi” editoriale, dal punto di vista del mio vissuto:

    _io “ero” un compratore forte di libri ma ormai, lavorando precariamente nei piani bassi dell’industria culturale, i libri mi piovono addosso dagli uffici stampa che mi chiedono recensioni. Ne compro solo per le mie necessità di studio e documentazione;

    _ho un ebook reader e lo uso saltuariamente. Di solito lo uso per leggermi libri stranieri che spero di poter tradurre in italiano, perché abbatto i costi delle spese di spedizione col download. Però ultimamente ho iniziato a vedere se un libro, prima di downloadarlo, lo posso trovare via p2p, perché anche 5-10 euro possono essere importanti per fare la spesa.

    _lavorando a cottimo, ovvero con contratti temporanei in cui si comprano i diritti d’autore del traduttore versando un tanto (un poco) a cartella, la situazione è peggiorata negli ultimi tempi perché sia la legislazione che le cattive pratiche delle amministrazioni delle case editrici hanno allungato i tempi dei pagamenti (mentre non c’è flessibilità quando si deve pagare l’affitto): un tempo mi pagavano in 30 giorni, poi in 60, poi in 9o, ora si è sfondato anche questo limite e bisogna o pregare padrepio o fare la voce grossa per avere il pagamento;

    _non essendo devoto, mi è capitato di fare la voce grossa, ma poi non mi hanno più passato traduzioni;

    _ancora, come lettore non solo ho difficoltà a comprare libri, ma anche a fare viaggi (che di solito servono anche a alimentare i miei contatti con autori che provo poi a inserire nelle fasce basse dell’editoria italiana, quella in cui ho contatti, o a cercare materiale per il mio lavoro di scrittura). Quest’anno è stato il primo anno in cui non ho fatto un soggiorno all’estero.

    _Non ho solo lavorato nell’editoria: di solito integravo facendo altre cose, un po’ di fotografia, un po’ di insegnamento all’estero, qualche lezione di intercultura con i fondi dei servizi sociali dei comuni. Era un circolo che mi permetteva, precariamente, di campare, con un reddito basso e dozzine di cud che arrivavano a marzo. Sembra che sia finita ogni risorsa. Niente più lezioni di intercultura, niente corsi di italiano per le donne del Rajasthan, niente corso di fotografia per gli studenti delle medie. Quest’anno la cosa che mi sta aiutando a campare è l’autoproduzione di ortaggi e uova. Ma le uova bisognerà spaccarle nelle piazze, trasformando la crisi in conflitto, perché così non si può reggere più di un altro anno.

    • Ne leggo e sento sempre di più, di testimonianze così. E molti non hanno nemmeno la possibilità di autoprodursi gli ortaggi, non hanno manco un balconcino… Saremo sempre più costretti a spremerci le meningi, a cercare modi per “salvarci il culo il più collettivamente possibile”. Non so come, ma è innegabile che non si possa reggere in queste condizioni, che tra l’altro peggioreranno ancora, grazie ai bei tagli “lineari” del governo. Non so se faremo la fine della Grecia (che poi non è detto sia solo una “fine”, potrebbe essere l’inizio di un’altra sequenza completamente diversa); il mio timore è che, come diceva Corrado Guzzanti, facciamo la fine dell’Italia. Sono “ridotto” a sperare nell’Evento, nell’imprevedibile rottura di questo letale tran tran.

      • oltre ai bei tagli lineari, la scure, nell’editoria (come in altri settori del lavoro intellettuale/culturale), si abbatterà e avrà l’immaginifico aspetto del decreto sul lavoro da poco approvato…
        immaginate cosa significa trasformare in tempo indeterminato tutti i contratti a progetto e le partite iva mascherate: impossibile! non verrà mai fatto (quindi non avremo un lavoro, neanche precario), oppure si farà ma il lavoratore sarà ancora più ricattabile (ti assumo, ma mi fai ore di straordinario che non faremo figurare; ti assumo, ma la mansione sarà la più basica di tutte: per ora sto cominciando a sentir parlare spesso di “servizi”).
        Avremo magari un singolo compenso basso, nell’impossibilità di lavorare anche altrove, per mettere insieme un reddito decente…
        (Mi “riduco” anch’io a sperare nell’Evento)

        • Dalle notizie che ho, esistono già gruppi dove sta agendo il diktat: o assumi a tempo indeterminato, o licenzi. Prevale l’opzione due.
          E in autunno sarà ancora peggio. Dunque, bisogna sforzarsi davvero di immaginare non soluzioni (magari) ma passi collettivi.

      • Quello che è sconvolgente (e riguarda la volontà del capitale di sfruttare la manodopera rappresentata dalla nostra generazione) è anche un elemento generazionale.

        Mio padre era un discreto saldatore e un tubista con la terza media: ha sempre fatto solo quello e gli è bastato per comprarsi la casa e farci campare e studiare fino all’università; io conosco 4 lingue, sono un fotografo passabile, ho scritto e tradotto libri (quasi 25) senza parlare di cose come il ghost writing, ho vissuto, studiato e lavorato in tre continenti, dove ho insegnato italiano, so fare qualcosa in ambito di idraulica, avicultura e di equitazione, in agricoltura sono in grado da solo (e lo faccio ogni anno) di fare olio, vino, passata di pomodoro, ortaggi… tutto questo e ancora non riesco a camparci oltre il livello di povertà! Vi rendete conto che razza di impoverimento hanno realizzato in una generazione? Altro che continuare a formarci, a studiare, come dicono gli alfieri di questa capitalismo morto e risorto vampiro… altro che debito pubblico: è la società che alla nostra generazione deve qualcosa, ed è arrivato il momento di riprendercelo.

        • Dimenticavo: sono anche pizzaiolo, l’ho fatto per svariate stagioni estive tra Italia e UK. Forse sto andando OT rispetto alle tematiche editoriali. Ma il tema di fondo è che tanta gente che lavora nell’editoria poi deve andare Off Topic integrando con lavori d’altro genere…

    • Le contraddizioni macinano chilometri a tamburo battente sopra le nostre teste. Non è più tempo di vacche grasse, ergo non è più tempo di illusioni.

      Io l’illusione di un futuro nell’industria culturale l’ho coltivata gelosamente per due anni e mezzo. Duro lavoro, organizzativo e gestionale, nel settore musicale: tante belle esperienze, qualche soddisfazione, contratti del cavolo, magri guadagni. Nella realtà in cui lavoravo c’era la speranza che il prevedibile calo dei fondi pubblici (calo che si è poi rivelato esponenziale) fosse compensato da una maggiore generosità da parte dei privati.
      Balle raccontate a se stessi, illusioni polverizzate.
      A settembre, se va avanti così, sarò disposto a leccare per terra pur di trovare un posto come lavapiatti (perché anche per quello ormai ti chiedono 3 anni di esperienza, disponibilità a paghe da fame e se hai la laurea… sei fuori, o quasi).

      Francamente, me ne fotte il giusto di trovare un futuro nella cultura piuttosto che in qualsiasi altro settore, dato che al momento sembra non esserci nessun futuro tout-court. E l’ubriacatura da “cognitive worker” rampante m’è passata da parecchio, ormai: anche in quei settori lo sfruttamento, l’auto-sfruttamento, i ricatti impliciti o espliciti sono la norma. Manco vale più la pena sottoporsi alle umiliazioni “a futura gloria”; tanto vale sporcarsi direttamente le mani con la cruda realtà e abbandonare false speranze di un radioso futuro nel business culturale.
      Auguro miglior fortuna agli under-25 e agli studenti che, barcamenandosi magari fra un dottorato o un master, ancora frignano su redditi di cittadinanza et similia nella speranza di ottenere da questo sistema – per gentile concessione di lorsignori capitalisti – la possibilità campare dignitosamente come musicisti, scrittori, culture manager e dio solo sa cos’altro.

      Qui c’è da fare una rivoluzione. Il resto, per me, sono palliativi. Necessari fin che si vuole per chi ci si trova invischiato (me incluso), ma pur sempre palliativi.

  61. Piccolo esperimento, da emendare insieme se vi va: adesso il box con Muntzer è in cima anziché in fondo, c’è una spiegazione non “timida” ed è assente la parola “donazione”. Date un’occhiata? Io, ad esempio, sono troppo pudico per capire se collocazione e testo sono pudichi o impudichi… Thanks.

    • stupendamente e delicatamente pudico :-) Ma anche serio e argomentato come ti aspetteresti. Hai anche allargato la colonna di destra o i miei occhi mi fanno difetto?

      • La parte superiore della colonna non è divisa in due come invece avviene sotto, quindi, no, non devi andare dall’oculista :-) Adesso il box è largo il doppio.

    • Decisamente pudica (io avrei anche aumentato il font del titolo, ma forse non serve).
      Piccola notazione tecnica, forse sarebbe più conveniente se i link di quella sezione si aprissero in altra finestra/tab.

    • Io sarei per un testo più breve, perché lì, nella colonnina di destra, ci rivolgiamo a un lettore occasionale di Giap, mentre il lettore un po’ più affezionato verrebbe coinvolto dalla campagna abbonamenti una volta all’anno. Se guardiamo alle radio, loro fanno così, non hanno grossi spazi dedicati al finanziamento popolare nelle homepage dei loro siti (giusto un link) e nemmeno fanno spot frequenti mirati al crowdfunding durante la programmazione.
      Esempio di testo più breve:
      “Giap non è solo “il blog dei Wu Ming”: è una comunità di lettori e scrittori, un luogo del web dove si riesce a discutere e fare cultura. Pubblichiamo circa due post a settimana, la maggior parte dei quali non hanno niente a che vedere con la promozione dei nostri libri. Dedichiamo centinaia di ore al mese a prepararli e a seguire i commenti.
      Quindi, bando alle timidezze: se credi che Giap sia importante, se pensi che il nostro lavoro on line e il nostro progetto nel suo complesso valgano un sostegno, un incoraggiamento, un feedback, un… “controdono” da parte tua puoi ABBONARTI [e qui link a una pagina per l’abbonamento, con le diverse quote e i relativi benefit] oppure puoi usare PayPal per mandarci qualche scellino.
      Non è nemmeno necessario avere la carta di credito, basta un conto corrente.
      Un’altra opzione interessante è Flattr. Se non sai cos’è, lo spiegano qui.
      Grazie.
      P.S. Quello sulla moneta è Thomas Müntzer.”

      • Sì, al netto dell’editing e delle migliorie possibili, mi sembra una buona impostazione per quando avremo lanciato la campagna e pubblicato la pagina degli “abbonamenti”. Verosimilmente, questo accadrà a settembre. Intanto, nell’ottica di migliorare quel che c’è, asciughiamo il testo. Potremmo anche organizzare il box in questo modo:

        —-

        titolo

        immagine

        bottoni di PayPal e Flattr

        domanda tipo: “Perché sostenere Giap?” o “Perché sostenere il lavoro on line di Wu Ming?”

        link per la risposta alla domanda
        (cliccando si aprirebbe la pagina con la spiegazione che adesso è in homepage, praticamente la versione del box per chi vuole approfondire)

        —–

        Pagina che, con le opportune modifiche, aggiunte, riscritture, illustrazioni, in autunno potrebbe diventare la pagina abbonamenti.

        • P.S. La collocazione sembra che funzioni, da ieri abbiamo avuto 5 nuove donazioni per un totale di € 100. Chiaramente, è dovuto anche al fatto che ne stiamo parlando, non sarà così tutti i giorni, però insomma, un miglioramento c’è…

  62. Un saluto a tutti, faccio solo un breve intervento.

    Di solito leggo e basta, perché molto di rado ho da dire cose che possano arricchire le nostre discussioni. Però le seguo quasi tutte, a volte capendoci tanto, a volte di meno. Ma ogni volta imparo qualcosa, e ogni volta mi sento piccolo piccolo.

    E niente, non la tiro per le lunghe, volevo solo dire che se fate l’abbonamento io ci sono. Perché mi piace imparare e sentirmi piccolo piccolo qua in mezzo a voi. Continuate (continuiamo?) così!

  63. Ho letto post e discussione davvero importantissimi (spero di non essermi perso dei pezzi) e ci rifletto su da quando è uscita, ora vi lascio qualche feedback.

    – Innanzitutto: grazie per la pubblicità con cui fate le cose! Una vera glasnost, un vero “mettere in comune”. Questo è già iniziare una rivoluzione :) e ammiro il vostro coraggio nel farlo partendo dal centro di voi stessi, mettendo in gioco *tutto* di voi stessi. Voi non siete una “comunità terribile” perché sapete far questo. La pudicizia è comprensibile visto il punto da cui partite, ma sappiate che in tanti capiscono che qui è in gioco ben più di Wu Ming.

    – La differenza tra Flattr e Paypal non è (soltanto, forse soprattutto) di “eticità” maggiore o minore ma proprio nel modo in cui funzionano. Paypal consente donazioni “una tantum” e queste per quanto cospicue possano essere non garantiscono mai la minima “peace of mind” che sta alla base di ogni lavoro a lungo termine ben fatto. La carità non fa la rivoluzione e il meccanismo di Paypal è troppo “charity”, ma certo c’è bisogno anche di Paypal ora (purtroppo è un monopolio di fatto) e sarebbe assurdo rinunciarvi adesso.

    – Il meccanismo di Flattr a prima vista mi piace molto (consente anche versamenti sul proprio “conto Flattr” tramite bonifici bancari, per cui chi vuole finanziarvi in questo modo può già farlo anche ora, senza che forniate gli estremi del vostro conto corrente) e penso che mi iscriverò, non soltanto per supportare voi, e lo “promuoverò” nel mio piccolo seppur con dei grossi disclaimer. Primo, macroscopico: Flattr, per quanto onesto e bello possa essere, è comunque un’azienda privata, con tutto ciò che questo comporta. Detto questo, per il resto non lo schifo affatto Flattr (s’è capito?) e imho potreste “promuoverlo” un po’ di più anche voi perché potrebbe forse essere una delle tante “pezze” in questa “fase di transizione” che si preannuncia lunga. Certo, sempre col grosso disclaimer.

    – Il “lungo termine” è fondamentale. Ho apprezzato molto l’ “esperimento” Futbologia, purtroppo non ho ancora potuto donare ma lo farò per quanto mi è possibile. Lo trovo davvero utile per i motivi che ha detto Luca, e non credo potesse essere scelto, pensato e agito meglio di così finora. Ma “sostenere Wu Ming” (e più in grande trovare modi di buona sopravvivenza della cultura) non è solo un esperimento, e con tutto il rispetto per Futbologia, a cui auguro davvero di realizzarsi e perdurare, qui per molti versi stiamo già parlando di un bene comune di quelli di cui parla Luca. Qui è necessario il lungo termine, “la stabilità”, e quindi a maggior ragione il meccanismo del “finanziamento a progetto” o della “donazione” può solo essere uno dei tanti modi e non è LA soluzione, se mal inteso rischia anzi di allontanarci dalla soluzione.

    – Abbonamenti e “trasformazione” della Wu Ming Foundation: la cosa inizialmente mi ha lasciato un po’ perplesso ma più ci penso più inizia a convincermi. Se l’abbonamento lo gestite voi, sarà molto meglio di Flattr per quanto vi riguarda (sarà più o meno come Flattr senza intermediari né interessi privati di mezzo) e a quel punto il rammarico (nostro di lettori e dei prosumer e degli altri “creatori di contenuto”) sarà per il fatto che il sistema sarà limitato a finanziare voi e meno esportabile (e promuovibile) di una piattaforma già bell’e pronta.

    – Certo resterebbe il “fattore esempio”: fattore che incarnate dalla vostra origine su molti livelli, che purtroppo non ha originato le “rivoluzioni” (non so quanto) sperate ma che continua ad agire alla grande su tutti quei livelli.

    – In generale mi sento pessimista per molti versi (la crisi è grossa e sarà durissima attraversarla, a livello generale e a livello particolare, e non siamo pronti). Spero che qualcun altro di quelli che finora ha “tirato a campare” più o meno bene negando il cambiamento in atto apra finalmente gli occhi di fronte al fatto che bene così non si campa più e a volte non si campa proprio, e che tocca partecipare tutti alla rimessa in discussione radicale delle cose. Voi nel vostro lo fate alla grande e da anni: grazie ancora.

  64. La colonna in alto a sinistra è evidentemente evidente. Magari con uno sfondo colorato anche di più.

    Non ho letto tutto ma vedo che il discorso abbonamento è più gettonato e molto fattibile. Visto che ci state ragionando sopra mi piacerebbe capire che tipo di benefit potrebbero essere riservati a chi lo fa.

    Poi, non me ne intendo, forse è ‘na cacata pazzesca, ma sul discorso live (ho assistito a una sola vostra presentazione) organizzare sì l’evento, magari un “ante” uscita nuovo libro in cui si crea una certa attesa, si anticipa qualcosa, senza danneggiare il discorso sui diritti della casa editrice (penso al post di wuming1 per la ricerca di materiale per il libro solista o approfondimenti sul colonialismo italiano per Timira) o le classiche presentazioni in itinere, ma con la possibilità d’interazione diretta con voi anche da chi non può essere presente fisicamente con una sorta di videoconferenza in cui chenneso con 1 euro ti godi l’evento dalla poltrona di casa e magari ci pianti pure la domanda agli autori via web (ripeto non so se sia una cosa economicamente e logisticamente fattibile) Poi l’audio o il video viene postato come solito su Giap aggratis. E’ una cosa applicabile chiaramente solo con voi e non certo per lo scrittore esordiente e questo a riguardo del corollario all’oggetto libro.
    Sul discorso libro e il potenziale culturale che vi arriva dai giapster e qui penso a un tipo di benefit letterario per l’abbonamento: il libro esce, vende, vi potete permettere la ristampa economica e non sarebbe interessante “guarnirla” con racconti paralleli, interventi di altri autori conosciuti e non come con il NIE (magari appoggiarsi a Iquindici per la selezione dei non conosciuti che contribuirebbero aggratis senza richiedere diritti d’autore, ma con chiara menzione nella ristampa o internamente ai dibattiti qui su Giap che voi wuming riterrete ampliabili nonchè interessanti al discorso cuturale collettivo) accesso a scaricamento di alcuni file multimediali (audio, video che con voi si generano naturalmente e come giustamente fate notare richiedono sbattimento) diciamo “riservati” ?

    Spero di aver dato qualche ispirazione e di essermi spiegato.

    OT Sono pizzaiolo pure io.

    • OT Allora dai uno sguardo a questa serie di scritti di pizza:
      http://www.carmillaonline.com/archives/2005/09/001510.html#001510
      Il seguito lo trovi nel motore di ricerca di Carmilla. Io non impugno la pala da forno ormai dal 2006 ma non credo di averci perso troppo mano… ma anche lì doppi turni, ore in nero, abusi di ogni tipo… per un periodo addirittura tentarono di far prendere la partita iva ai pizzaioli… pensa che una volta, ero proprio un pischello, mi hanno fatto scappare dalla finestra perché era entrato nel locale l’Asl o l’ispettorato del lavoro… ovviamente li ho mandati in culo e non mi hanno più rivisto.

  65. “Il giornale come un club: ricavi dalle membership”.
    Questo il titolo dell’articolo di Luca De Biase de Il Sole 24 Ore, in edicola oggi a pagina 46 dell’inserto Nova (versione online qui: http://www.ilsole24ore.com/art/tecnologie/2012-07-08/giornale-come-club-ricavi-081949.shtml?uuid=Abdqca4F).
    Clay Shirky parla delle membership come una nuova tendenza, un (nuovo) modello che potrebbe cambiare la prospettiva nel panorama editoriale: pagare per appartenere al club speciale dei lettori, non soltanto per leggere gli articoli.
    Mi sembra quindi che l’ipotesi di un abbonamento a pagamento per Giap possa introdursi in una nuova, fertile corrente propizia all’iniziativa.

  66. Chiedo scusa per il commento-doppione…

  67. come indica bene il link il problema è strutturale: anche La repubblica o il Corriere hanno per ogni acquirente del loro giornale, dieci e forse più che lo leggono on line. Uno sono io: da anni non compro il giornale, e non solo perchè vi sono scritte solo cose immeritevoli, perché questo era vero sempre, anche quando lo compravo. Solo che ho mutato approccio con la lettura. Questo riduce le entrate degli editori (perché sono milioni ad agire come me), che cercano di salvarsi con le sovvenzioni statali (che però c’è chi come il movimento 5 stelle vuole azzerare, e io naturalmente sono del medesimo avviso) e la pubblicità (che però é in buona misura un’illusione: sia perché la crisi sta erodendo la massa pubblicitaria, sia perché chi la acquista si illude di un’influenza sui consumi che appartiene a un passato nemmeno troppo recente).
    Strumenti di cui Giap non potrà mai disporre, evidentemente. Ci troviamo per la prima volta ad affrontare un progresso tecnologico che favorisce la gratuità, dopo secoli di progressi che l’avevano contrastata e ridotta a un ambito marginale. Questo, se avvantaggia chi un tempo comprava cultura (oggi solo i più incolti comprerebbero un’enciclopedia, visto che le informazioni stanno tutte su internet), per la legge della domanda e dell’offerta, immiserisce il ceto di chi produce cultura. E infatti quasi tutti quelli che ne possono ancora campare o sono autori di bestseller o lavorano per l’università o simili istituzioni (a loro volta, in via di dimagrimento coatto). Gli altri producono cultura in forma semigratuita, pesantemente precaria, integrando poi in altro modo, dal prossenetismo alla consegna delle pizze
    Un fenomeno che credo si possa cercare di frenare con operazioni settoriali, tipo appunto le campagne abbonamenti, ma che in prospettiva é destinato a tutto travolgere:
    Marx aveva indicato fin da principio come la proprietà privata la cui affermazione allargata aveva messo in moto il processo capitalistico, avrebbe invariabilmente finito per opporsi al capitalismo come un suo limite. Sta puntualmente accadendo: lo sviluppo delle forze produttive rende la società capitalista ogni giorno più antieconomica (questo di cui parliamo é solo uno degli aspetti di questo inarrestabile processo)
    Occorre da un lato cercare di cavalcare questi aspetti nel senso di una liberazione; dall’altro, indubbiamente, visto che il processo é bensì accelerato ma richiede comunque tempi non indifferenti, trovare la maniera di non essere ridotti a contendere il cibo ai cani, in genere assai meglio attrezzati per conquistarlo.
    Quindi perché no, il contributo della comunità di chi legge, scrive, discute?
    Solo che un problema è questo: per leggere e contribuire civilmente, come faccio sporadicamente, a me per esempio (ma sono un caso così unico?) basta ritenere che questo spazio non sia gestito da poliziotti, preti, sindacalisti o altri nemici soggettivi della specie umana e della libertà. Non lo é, e io leggo e caso mai scrivo.
    Ma per cacciare dei danari che sono per quasi tutti incominciando da me, il rovescio di parecchia fatica a volte francamente dolorosa, é richiesta un’adesione positiva e non neutrale, la convinzione che qui accada qualcosa di importante, al punto da richiedere anche la mia fatica, tramite la mediazione del metallo coniato che passa di mano. Occorre che Giap (in questo caso, ma vale per tutti quelli che intendono avvalersi di simili meccanismi) si promuova presso di me, dimostrandomi di valere i miei soldi. Altrimenti la massa monetaria si ridurrà al contributo degli adepti e dei devoti.
    Ma la promozione non solo é un lavoro in più, finora non richiesto, ma é un lavoro che richiede una riflessione attenta non solo dei messaggi promozionali, ma DELL’INTERA ATTIVITà. Ciò che era gratuito, e perciò stesso libero, diviene a pagamento (sia pure in blocco) e perciò proporrà in ogni singolo attimo un condizionamento possibile. Come affrontarne le spine? vale la pena doverle affrontare?

    • Beh, intanto è già importante che non ci consideri nemici soggettivi della specie umana e della libertà :-)

  68. Ma rapire Cesari & Repetti, chiedere un riscatto all’Einaudi e creare un fondo cassa, no?
    Inutile girarci intorno, è l’unica opzione praticabile di finanziamento.

  69. eh, ci sarà pure un motivo se i Solidarios (ma anche Bonanno in epoche meno remote) facevano rapine per finanziare l’attività teorica del movimento: in sostanza o vendi la tua attività (e questo non può non incidere magari sotterraneamente sulla sua qualità, il suo indirizzo , il suo stile) o la sostieni con danaro tuo che ti procuri altrove (e anche questo, alla fine, incide): Altrimenti, sospendi tutto in attesa di avere abolito Stato, danaro, proprietà, lavoro e capitalismo.
    Appena si va alla radice delle questioni, ci si ritrova sempre a bussare allo stesso portone, come Venditti sotto casa di Simona Izzo che assumeva pose invereconde per attizzare la verga veterobizzosa di maurizio Costanzo

    • Bonanno e Venditti nello stesso commento, a sole dieci righe di distanza!? In mezzo minuto passiamo dalle rapine di autofinanziamento… ai genitali di Maurizio Costanzo! I Solidarios e Simona Izzo. Most surrealist comment ever. Altro che “ombrello e macchina da cucire che si incontrano sul tavolo operatorio”!

      • fra l’altro le moderne tecniche chirurgiche prevedono sia ombrellini per arterie sia vere e proprie macchine da cucire per la sutura.
        A questo punto non resta che vedere Bonanno e maurizio Costanzo che assaltano insieme un furgone portavalori, mentre tutte le radio della polizia sono invase dalle canzoni di Venditti, e – come predicavano i maestri – avremo realizzato il surrealismo una volta per tutte.
        Naturalmente la rivoluzione rimarrà là in attesa che la si faccia

    • APPLAUSI!

  70. Certo è che magari i libri cartacei si venderebbero di più se fossero fatti fisicamente meglio. Insomma, ditelo alla Einaudi di non fare tagli al reparto rilegatori, che la mia copia nuovissima di “Asce di Guerra” sembra abbia accompagnato Ravagli in Laos, invece di restarsene tranquilla nella soporifera provincia bergamasca.

    • Eh, tocchi un tasto dolente. Con Einaudi il problema continua a ripresentarsi. Una parte della prima tiratura di Manituana si sfasciava in mezza giornata, diventando un ammasso informe di fogli. Ricevemmo proteste, le rendemmo pubbliche (si trovano facilmente nell’archivio di Giap-newsletter anno 2007) e le inoltrammo all’editore, il quale prese provvedimenti, solo che il problema si ripresentò con 54 in tascabile, poi con Q nuova edizione. Non riguarda mai tutta la tiratura, a quanto ci consta: soltanto una parte, benché consistente. Non abbiamo ben capito se sia un problema di colla sbagliata, incollatura fatta male, calcolo sbagliato della quantità di colla necessaria per tenere insieme libri grossi come i nostri, boh. La cosa migliore è conservare lo scontrino e, se il libro si sfascia, restituirlo in libreria. E, ovviamente, mandare una mail o un tweet all’Einaudi, per segnalare l’inconveniente.

      • Oppure dedicarsi al DIY. Mi sto improvvisando rilegatore (con scarsi successi). Però vorrà dire che questo eviterò di prestarlo e non si perderà nei meandri oscuri del prestantesimo.

  71. Mezzo O.T.

    Visto che avete fatto il post su Genova con la lettura di Philopat: la serata di Anni di Merda era stata molto bella.

    Se avete l’audio, mi sembrerebbe uno di quei formati che, pur non essendo in formato cartaceo, costituisce un romanzo a tutti gli effetti.

    Per come la serata è costruita, la pubblicazione ha un formato che si presta molto alla trans-medialità e all’intertestualità, e che consente di parlare di autori, anni, e contesti molto lontani fra loro.

    Forse, se volete parlare di “valore aggiunto”, quello sarebbe un bel formato su cui lavorare

    • L’audio integrale ce l’abbiamo, ma come ricorderai, la maggior parte degli “episodi” era costruito su testi di altri autori, cover di cantautori etc. Per quel materiale non abbiamo i diritti, non possiamo trarne un’opera derivata, a meno di non pagare quegli autori, che vanno da De Gregori agli eredi di Pasolini etc. Per l’utilizzo di una serata si compila il “borderò”, e amen, ma per utilizzi ulteriori diventa un casino. La SIAE ci spezzerebbe le reni. Già mettere qui su Giap la lettura da “Petrolio” è un piccolo azzardo.

  72. “Che motivo hai di essere indulgente con un uomo che cerca di avere librerie di cedro e di avorio, che va in cerca di raccolte di autori o sconosciuti o poco lodati e che sbadiglia fra tante migliaia di libri, a cui soprattutto piacciono i frontespizi […] ormai infatti anche una biblioteca, tra sale da bagno e terme, è abbellita come ornamento necessario della casa”
    Seneca, De Tranquillitate Animi, 61 d.c.)

    ***
    Operazione Trasparenza 2011 (al contrario):

    Libri scaricati (da me):
    54;
    Q;
    Il sentiero degli Dei;

    Libri acquistati (da me):
    AaAm;
    New Italian Epic;

    ***

    Siamo 3 a 2 per i download, ma quest’anno (2012) ho acquistato Altai e Timira portando in vantaggio i libri 4 a 3.

    Vorrei far notare come Giap! sia oltre che un catalizzatore di lettori e moltiplicatore di storie, anche un mezzo per ragionare attorno alla letteratura contemporanea, problematizzandola e sviluppando nuove trame.

    Ad esempio alcuni di noi sono tutt’ora a lavoro su un post collettivo tratto dal post sul Feticismo Digitale di WM1 e come recentemente detto su #Timira, alcuni giapster hanno organizzato presentazioni/reading spontanei in occasione dell’uscita dell’ultimo lavoro di WM2.

    Concepire l’opera come *già* transmediale significa aumentarne il contagio, non inquinarla. Il copyleft è necessario oggi più che mai e mi pento di non aver portato la reflex durante il reading di Timira allo Strike: vero valore aggiunto al romanzo oltre che spin off drammaturgico.

    ***
    Leggere, scrivere, retwittare, commentare e scendere in strada, o salire su un palco, a strimpellare storie: un attentato al feticismo del libro senza precedenti!

  73. Ho avuto un’idea, senza troppe pretese la butto li: se fossero anche i giapster ad attivarsi per la campagna abbonamenti d’autunno? Mi spiego: i giapster già sono attivi postando commenti qui, twittando e facendo circolare in diversi modi i contenuti e le discussione che su Giap prendono corpo, si abboneranno quando sarà il tempo, quindi perché non pensare – e qui, a sto punto, mi rivolgo in primo luogo ad ogni giapster – che a ciò si affianchi lo “scendere in strada” per spingere Giap e farlo conoscere anche ad altri ed altre, promuovendo nei propri luoghi di vita iniziative di presentazione del progetto, spiegando il perché ci si è abbonati, o anche parlando da lettori dei vostri libri. E soprattutto sostenendo le ragioni di un supporto monetario ai progetti di giap, di cui in varia misura già i giapsters si sentono parte non passiva, e dando la possibilità di superare lo scoglio della pudicità dei WM nel chiedere soldi, o di farlo in modo insistente ;-)

    Molti giapster sono “attivisti culturali” e organizzano serate e presentazione di libri, o comunque sono in grado di farlo, conoscono e hanno relazioni con spazi e realtà presenti dove vivono che potrebbero essere interessate a ospitare una serata di questo tipo: pensate potrebbe funzionare?

    Certo, andrebbe capita e sviluppata insieme la forma più idonea che potrebbero avere praticamente le iniziative di sostegno a Giap, capire come comunicare chi sono i Wu Ming e chi sono i Giapsters, quali i rapporti fra questi, ecc. ecc.

    Spero di non essermi allargato, sono pur sempre “ospite” a casa di altri, anche se è una casa accogliente e bendisposta… lo faccio anche perché ripensavo a quando uscì Altai e qualcuno chiese su Giap per quale ragione non era stato lanciato contestualmente un sito dedicato al libro così come era stato fatto per Manituana, non mi ricordo chi di voi WM rispose “vi abbiamo fatto vedere come si fa, adesso fate voi” (più o meno eh). Un invito a farsi parte attiva, uno dei tanti. Ecco, mi sembra che i giapsters potrebbero farsi più intraprendenti… e metterci oltreché gli euri anche un poco più d’intelligenza, braccia e faccia [e qui anche io forzo non poco la mia pudicità :-) ].

    • Questo commento è intriso di una generosità che mi commuove, dico davvero. Però mi imbarazza anche. Mi spiego: noi non sappiamo mai fino a che punto possiamo spingerci nell’invitarvi a lavorare con noi – dimensione comunitaria, attivismo, co-creazione a partire dai nostri libri, estensione dei mondi che raccontiamo etc. – senza che ciò diventi richiesta di lavorare per noi, per conto nostro, e per giunta gratis (con ‘sti chiari di luna!). Già ci sta sulle balle non poter pagare in qualche modo Mozambo che ci cura i formati ePub e Mobi…

      Ecco, la tua idea forse è un centimetro oltre il confine tra le due cose. Un conto è il passaparola; un conto è organizzare una presentazione; altra faccenda sarebbe organizzare aggratis una vera e propria “campagna promozionale” per Giap. Apprezzo l’intento, ma la vedo rischiosa e mentre leggevo, d’istinto ho pensato: “Domine, non sum dignus”.

      La gente è impegnata a sopravvivere, si sbatte per non essere spazzata via dalla crisi, e spesso si dedica già a cause degnissime, fa attivismo, volontariato, porta avanti situazioni che hanno bisogno di olio di gomito per tirare su soldi. Giap non è più importante di queste cause, e noi non possiamo chiedere alla comunità più di quello che può dare. Critiche e sarcasmi, poi, sarebbero sin troppo “telefonati”: – Organizzare iniziative pubbliche per spiegare l’importanza del blog dei Wu Ming e raccogliere soldi così non ci lavorano gratis? Non sarebbe meglio organizzare serate per Emergency, o per le spese processuali dei No Tav?

      • Capisco quel che scrivi: la mia proposta sapevo potesse risultare imbarazzante, ma lo era – e lo è – anche per me in qualità di giapster. Perché comunque quel confine che tu menzioni è tale anche dalla parte opposta, che giustamente uno deve tenere conto di non invadere o lasciare apparire che si voglia profittare dell’immagine dei WM…

        Detto questo, in ipotesi non lo chiedereste voi, o meglio: io mi rivolgevo soprattutto ai giapsters che nei commenti hanno lasciato intendere quanto tengono a questo luogo della rete in cui si può discutere, e farlo in maniera costruttiva. Lo so, le ragioni che tu riporti rimango ferme lì, quel che scrivo ora non sposta una virgola, ma siamo pur sempre anche una “comunità di fan”, non ci facciamo tirar per la giacchetta e sappiamo che ci sono altrettante giuste cause ecc. ecc… però un ruolo più attivo secondo me ci sta, io questa tensione l’ho trovata sottotraccia in molti commenti a questo post.

        Mi fa comunque piacere che la mia idea si sia posta un centimetro oltre il confine che tu nomini… magari l’idea non funziona, ma dal mio punto di vista su quel confine toccherà starci :)

        • Visto che siamo nel momento degli imbarazzi rivelati, dico una cosa che mi imbarazzerebbe una cifra: fare l’abbonamento a Giap con lo spirito con cui si paga il canone RAI, per diventare uno “spettatore in prima fila”.

          La maglietta di Giap sarebbe una figata, ho anche le magliette dei raduni della meravigliosa Lista Eymerich e ne vado molto fiero, ma… vorrei qualcos’altro. E ho anche il sospetto che saremmo un po’ pochini ad abbonarci a Giap a queste condizioni, non faremmo la differenza.

          Io sarei molto più contento di pagare una quota associativa a qualcosa che non mi desse in cambio l’adesivo di Giap da appiccicare sul parabrezza, ma dei diritti in più (e volendo anche dei doveri) nel costruire un’esperienza di attivismo culturale partecipato.

          Insomma, dateci dello sbattimento e della voce in capitolo e tenetevi le spillette.

        • Va trovata la “mediazione al rialzo” – come la chiamiamo noi WM – tra lo scenario… “imbarazzante” descritto da Mr. Mills e la banalità del “posto in prima fila”.

        • Un aspetto partecipativo che si potrebbe potenziare da subito è quello di ospitare post scritti dai giapster. Si potrebbe oliare il meccanismo per fare in modo che gli abbonati propongano dei temi, conoscano le competenze in campo, arrivino a gestire la compilazione di un post ogni tot settimane, magari anche collettivo. Non solo post teorici, si intende, ma anche particolari recensioni di particolari libri e insomma tutta la gamma che si vede su Giap.
          In ogni caso, non credo faremo spille o magliette. Un “benefit” per chi si abbona potrebbe essere ad esempio una cartella con i Pdf delle diverse annate di Giap in versione newsletter. E’ vero che c’è già l’archivio on line, ma avere una cartella di documenti bell’e pronti potrebbe far comodo, rendere la ri-lettura più piacevole e immediata.

        • Giustissimo. “Sfiga e rivoluzione” di Mauro e “Rosandra Crossing” di Tuco, i primi due esperimenti in tal senso, sono stati molto apprezzati, discussi e variamente linkati. Nexus, Mattpumpkin, Mauro e altri/e giapster stanno lavorando da mesi a un testo narrativo per Giap che prende le mosse dall’ultima parte del thread sul feticismo digitale. La via è già aperta, bisogna percorrerla al meglio.

    • Quando uscì Altai, non rifacemmo il sito transmediale sperimentato per Manituana perché, da un lato, non volevamo forzare la mano ai lettori, dall’altro, quel sito ci era costato ore e ore di lavoro, ben al di là dei fondi investiti dalla casa editrice per metterlo in piedi.
      Per il prossimo romanzo che stiamo scrivendo – scenario: la Rivoluzione francese – si potrebbe pensare:
      1) a lanciare un crowdfunding per tirar su la cifra necessaria a implementare un sito di quel tipo, anche se più vuoto e aperto, meno ricco di contributi autoriali, più simile a una griglia da riempire ad uso dei lettori;
      2) Chiedere ai giapster, ai lettori, agli abbonati e ai finanziatori del sito in primis di prenderlo in mano, ampliarlo, arricchirlo, forse anche gestirlo direttamente.
      In questo modo il finanziamento dal basso servirebbe a creare uno strumento che sarebbe prima di tutto dei lettori, ma lanciato e messo on line da Wu Ming.

  74. Be’ insomma: magari non proprio una cosa tipo le cene di raccolta fondi per il Manifesto, però in fondo una cosa un po’ analoga è accaduta quando abbiamo fondato iQuindici: si trattava pur sempre di un “volontariato collaterale” teso a farvi da filtro alleviandovi (in un certo senso, diciamo per la parte più dispendiosa) il rapporto con i giapster.
    Poi ok: le strade si sono almeno in parte separate, ma affetto e comunanza rimangono. Magari su iQ dovremmo dedicare più spazio alle attività di WM (in realtà ne dedichiamo poco a tutto: almeno di spazio pubblico) ma in compenso ciascuno di noi fa – chi più e chi meno – da cassa di risonanza per le iniziative, i ragionamenti,. ecc. ecc.
    Diciamo che forse, a ben pensarci, questa “cassa di risonanza” potrebbe essere un po’ sistematizzata in modo tale da aumentarne l’efficacia (che certamente gioà ha: lo vedo con gli accessi ed i rimandi su ComunistiMogliano, nel mio piccolo)…

  75. Intanto, una ricaduta positiva del dibattito è che questo post è entrato nella rosa dei 10 più commentati, scalzando quello su Nonciclopedia, articolo sicuramente meno rilevante e nome che, in tutta onestà, ci eravamo un po’ rotti le scatole di vedere in homepage! XD

  76. Visto che in questo post si parla anche dei cambiamenti del mestiere di scrittore, di transmedialità e contenuti spalmabili, direi che a pieno titolo possiamo metterci anche questo:
    http://www.compagniadeicammini.it/it/resource/voyage/trekking-sentiero-dei-bologna-firenze-wu-ming-2/

    Un cammino che diventa un libro e poi di nuovo cammino, ma questa volta collettivo, e poi forse un’integrazione al libro, un aggiornamento e chissà cos’altro…

  77. […] Wu Ming fanno la consueta operazione Glasnost e scoppia la discussione su cambia il mestiere dello […]

  78. Ciao ragazzi, complimenti e grazie per l’onestà del post, la trasparenza sulle vendite dei vostri libri l’ho sempre trovata fondamentale. Mi sono sparato tutti i commenti, e ho visto che avete sviscerato per bene il problema e avete anche tratto delle conclusioni, per le quali auguro un sincero in bocca al lupo.
    Una cosa però non capisco, anche se rispetto la vostra la scelta. All’inizio dei tempi, internettianamente parlando, voi metteste i vostri libri in download gratuito, per una scelta politica certo, ma anche perché la formula – questa era la chiave del ragionamento – era vincente, si attuava quel circolo virtuoso per cui alla fine il download trainava anche le vendite dei libri. Bene, con questa azione, voi stavate lavorando per la diffusione della pratica della condivisione, mantenendo comunque un giusto bilanciamento anche col ricavarne un introito.
    Ora, a distanza di anni, come avete ben spiegato, la concausa di vari fattori fa sì che la forbice si sia allargata e il traino per il cartaceo si sia esaurito.
    Ora, la decisione l’avete già presa, e ribadisco che la rispetto, ma secondo me c’è un cortocircuito di logica. All’epoca in cui mettevate i libri in download gratuito e funzionava, lo facevate “anche” per avere un traino ai vostri libri cartacei e dunque potervi permettere di “camparci”. Più che legittimo.
    Oggi, essendosi diffusa la pratica della condivisione e della liberalizzazione dei contenuti, quella cosa non ha più senso.
    Vado al dunque. Un passo in avanti nell’educazione digitale, una volta appreso che tutto si può avere gratis, è che i “produttori di contenuti” (passatemi il termine orribile) non lo fanno gratis, o perlomeno, non vorrebbero farlo gratis. Di qui, pur mantenendo tuttala vostra Backlist in formato gratuito, da oggi si potrebbe dire che per il download di un vostro nuovo libro ci vogliono, per dire, 50 centesimi. Io non lo vedo come un passo indietro, tutto il contrario, la vedo come indicare una via per far sì che chi scrive possa autofinanziarsi col proprio lavoro. Ho capito che voi non la pensate così, opterete per forme diverse di contributo, ma secondo me è più faticoso e meno pedagogicamente istruttivo, per il futuro. Fuori dai denti – io un abbonamento non lo farò, non perché mi stiate antipatici ma non sposo pratiche collettive pagando, mi dispiace, ma un vostro libro a 50 centesimi lo prenderei. In sintesi, non sarei costretto a sposare tutta la causa, ma prendo quello che mi interessa. Come diceva pkreiner più sopra, così facendo rischiereste solo di riuscire a coinvolgere i devoti nell’autofinanziamento, mentre nell’altro modo andreste a pescare nel mare invece che in un fiume. Scusate se arrivo tardi con queste osservazioni, a decisioni già prese, ma quello svincolo sul download gratuito del libro mi lascia perplesso, soprattutto apprendere che per voi sarebbe un fallimento politico, perché secondo me non lo è. Avete visto a quanto vendono gli ebook le case editrici? Si va dai 10 ai 15 euro. Quello è sbagliato e chiama i pirati a raccolta. Ma allora la soluzione è arrendersi o indicare un’altra via proprio per quella cosa, ossia, anche nell’epoca del tutto gratis può esistere un rapporto di fiducia autore-lettore per cui una cifra irrisoria e simbolica il lettore può e deve donarla? Si tratta di educazione. Altrimenti di rischia la deriva del mare magnum. Poi tutte le altre operazioni sono più che lecite, dai concerti al crowdfunding. Ma lasciare la partita dei “diritti d’autore giusti” adesso che il gioco si fa duro mi sembra un errore.
    Se sono stato confuso portate pazienza, spero sia capisca il concetto base.

    • Nel corso della discussione abbiamo provato a spiegare perché secondo noi il puro atto del download deve rimanere gratuito, ma forse non siamo riusciti a sintetizzare bene la nostra posizione, in più il dibattito è lungo e densissimo ed è difficile leggerlo da cima a fondo cogliendo tutto quanto. Allora provo a prenderla per un altro verso: copio qui uno stralcio di commento che ho lasciato su Ledita in risposta agli stimoli del collega Arturo Robertazzi:

      […] il download a pagamento, sic et simpliciter, ha un futuro più breve di quel che sembra. E’ probabilmente un fenomeno da fase intermedia. La remunerazione del lavoro creativo potrà essere sempre meno direttamente collegata all’atto di scaricare qualcosa. La transazione non sarà il pagamento di un *prezzo*. Infatti noi stiamo preparando esperimenti in cui la remunerazione sarà per il nostro lavoro nel suo complesso. Che deve continuare a includere il libro di carta, perché solo gli stolti sono davvero convinti che sparirà.
      Questo lavoro non può limitarsi a fare libri digitali nuovi e diversi e travalicanti i confini del libro e forse saranno non-più-libri etc. Di questo se ne parla da tanto, in prospettiva è tutto giusto e direi imprescindibile, ma ragionare solo in termini di prodotto digitale che vive in rete e asseconda le nuove abitudini in fatto di lettura non basta. Noi ci auspichiamo narrazioni che *scendano in strada*, che abbiano ramificazioni non digitali, che mettano i corpi in contatto tra loro. Nonostante il suo linguaggio sia diverso dal nostro, lo spiega bene Bifo ne L’Eclissi:
      “La generazione precaria cerca una dimensione di socialità che proprio la frammentazione creata dalla precarizzazione le ha tolto. E l’intelletto generale, il lavoro cognitivo in rete, cerca una dimensione erotica e sociale che la virtualizzazione le ha tolto.”
      La dimensione “live” è necessaria perché c’è un bisogno disperato di *condividere fisicamente*, di sentire la risonanza dei corpi.
      A settembre WM2 accompagnerà un po’ di lettori lungo la Via degli Dei che ha raccontato nel suo libro “Il sentiero degli dei”. Dal viaggio descritto nel libro sono passati tre anni. Insieme a quei lettori, WM2 marcerà nei boschi, dormirà in tenda, ripasserà nei luoghi già visitati (quelli della devastazione ambientale e “grandeoperistica” che sta cambiando volto all’Appennino) per vedere cos’è cambiato. Il libro diventa un’esperienza-limite condivisa coi corpi, ha un’estensone dal vivo (il vivo della carne, dei muscoli doloranti). E magari da questa marcia nascerà un’appendice, un’ulteriore estensione in forma di libro e ebook.
      Ecco, anche questo per noi è il transmediale. Tenere il culo per strada… e magari pure nei boschi. Letteralmente, lo scrittore si dà alla macchia :-D

  79. Grazie della risposta Wu Ming 1. Avevo ben compreso che avete optato per una scelta diversa, forse con vista più ampia, e più adatta al vostro modo di fare. Spero che col tempo la battaglia sui diritti digitali – pochi ma giusti – riesca comunque a svilupparsi in favore di chi quei libri li fa, e non di chi li “edita”. Questo però è compito soprattutto dei lettori.

  80. “Letteralmente, lo scrittore si dà alla macchia”

    Siete “un” grande!!!!
    Ho provato a lanciare l’amo per il videogame: ancora non ho risposte, ma attendiamo…

  81. […] venire idee. Alla fine, è sempre lo stesso dibattito su crowdfunding e sottoscrizioni in corso nel thread sulla glasnost. Log in to […]

  82. Alcuni commenti all’articolo:
    1. in numero di download non e’ uguale al numero di lettori. In molti casi si scarica ma non si legge. Personalmente non mi sono ancora abituato a leggere su ereader quindi ogni tanto scarico un ebook ma non riesco mai a finirlo.

    2. Ci sono fonti diverse e piu’ efficaci di materializzare il proprio seguito on-line. Alcuni suggerimenti:
    a. Creare una pagina su social media (Facebook etc.) per rendere piu’ agevoli ai vostri fan di seguirvi e cosi’ aumentare il vostro impatto sociale.
    b. Inserire pubblicita’ sul vostro sito- posibilmente tematica (tipo commercio solidale etc.) che vi permetta di ricevere un ritorno economido dovuto e legittimo;

    Abbracci! Antonio
    c. Inserire Inserire pubblicita’ negli ebook.

    • Grazie dell’intervento. Purtroppo le soluzioni che proponi (pubblicità etc.) sono molto lontane da noi, implementandole non rispetteremmo le peculiarità del nostro percorso, del nostro stile, del nostro essere noi e non chiunque altro. In realtà una nostra fan page su FB esiste, benché non di nostra iniziativa e non curata da noi, perché riteniamo che le caratteristiche di quel SN non siano compatibili con una nostra presenza diretta. Ad ogni modo, ogni nostro post è socializzabile su tutti i SN esistenti – il post su Carlo Giuliani è stato condiviso su FB più di 19000 volte nell’arco di 3/4 giorni – e abbiamo profili su Twitter, Anobii, Identica, Pinterest e un canale su YouTube.

  83. So che ormai questo “commentario” è mastodontico per cui quasi illeggibile, ma ho appena letto una notizia che mi pare attinente relativamente alla “sparizione” dei titoli gratuiti degli ebook di Amazon….
    http://www.zeusnews.it/index.php3?ar=stampa&cod=18016

  84. Why social media isn’t the magic bullet for self-epublished authors – by Ewan Morrison
    http://www.guardian.co.uk/books/2012/jul/30/tweet-about-cats-just-write

    • J.A. Konrath interviene nel thread, Ewan Morrison lo sfida a duello! :-D
      http://www.guardian.co.uk/discussion/comment-permalink/17438169

    • Ho letto questo post ieri e devo dire che mi ha lasciato ben più di una perplessità.

      Ewans parte da un’affermazione piuttosto forte ovvero che il self e-publishing sia una bolla destinata ad esplodere nei prossimi 18 mesi perché troppo connesso alla struttura dei social media e siccome i SM non si stanno rivelando dei canali di vendita affidabili il collasso del social media marketing è imminente.

      Un’affermazione del genere ri-apre l’annoso dibattito che ruota intorno alla domanda: i social media sono o non sono canali diretti di vendita?
      Se si fa un giro nelle sitografia e nella bibliografia di riferimento si troveranno sull’argomento (migliaia di) opinioni di segno diametralmente opposto. C’è chi dice che i social fanno vendere e chi dice che non fanno vendere?
      Chi ha ragione?

      Secondo me tutti e nessuno. O meglio la risposta corretta è che i social media possono essere dei canali di vendita ma che non è dimostrabile una correlazione diretta tra presenza sui social o web e aumento delle vendite.
      Bisogna domandarsi allora a quali condizioni la presenza sui social media può diventare un canale di vendita?

      Io penso che si possa realizzare questa situazione solo e soltanto se si integrano i social media all’interno di un progetto (artistico, culturale, di comunicazione, ecc.).

      Penso che tutti conoscano il lavoro di @Einaudieditore; bene quello per me è un progetto culturale e di comunicazione ben preciso, all’interno del quale vengono promossi dei prodotti.
      Con me funziona, tanto è vero che molti dei libri che ho comprato quest’anno sono titoli Einaudi segnalati e seguiti su twitter e su altre piattaforme.
      Nel mio caso twitter è stato un canale di vendita, ma solo e soltanto perché integrato in quel preciso progetto di comunicazione e non di per sé.

      Dicendo “scrivi non twittare di gatti”, Ewans cade vittima dello stesso meccanismo che scopre quando dice che i social non vendono altro che i social. È vero, verissimo. Ma se hai comprato un social (pagandolo coi tuoi dati, oltretutto) devi capire come usarlo altrimenti è inutile.

      Se scegli la strada del self e-publishing – e rinunci al supporto di un editore (sarebbe bello capire cosa pensa Ewans del marketing editoriale in generale) – tu scrittore devi avere chiaro in mente che senza un progetto (di comunicazione, culturale, artistico) la tua presenza sui social è irrilevante.

      È questo aspetto della questione che dovrebbe e potrebbe fare la differenza intermini di vendita e che Ewans sembra non cogliere.
      O i social diventano parte del lavoro dello scrittore o non hanno senso cercare di esserci presenti.

  85. Per sopravvivere e guadagnarsi la (magra) pagnotta io, in un mondo perfetto che non esiste, mi troverei un lavoretto part-time che mi permetta di avere il tempo necessario da dedicare all’attività di scrittore e di procurarmi il sostegno minimo per la vita quotidiana. Poi tutto quello che, in più, deriverebbe dal mestiere dello scrittore sarebbe sempre ben venuto. Chissà magari così facendo ci si scervellerebbe di meno…

    • @ A O

      I fan di Tolkien lamentano da sempre che lui abbia scritto poche opere compiute. Ora, è risaputo che si trattava di uno scrittore dispersivo e pigro, ma una delle cose che lui teneva sempre a ricordare era che il suo primo mestiere era l’insegnante e che preparare lezioni, correggere compiti, fare esami, etc. gli lasciava sempre troppo poco tempo per scrivere narrativa. Se avesse potuto dedicarsi alla scrittura full-time la “musica” probabilmente sarebbe stata molto diversa. Questo aneddoto ci dice due cose.
      La prima è che se sei un quarantenne con dei figli non campi con un lavoro part-time.
      La seconda è che una cosa è dedicarsi alla scrittura full-time, farne il proprio mestiere, un’altra averla come attività part-time a livello amatoriale. Non è che non sia possibile, si può fare senz’altro, ma i tempi di elaborazione e scrittura semplicemente raddoppiano (vedi Tolkien, appunto).
      Senza contare che la nostra attività – intendo quella del collettivo WM – non si limita alla stesura di romanzi, ma a svariate altre cose: gestione di questo blog, presentazioni, conferenze, stesura di articoli, collaborazioni esterne, etc. etc. Tutte cose che richiedono tempo e che caratterizzano il nostro lavoro e la nostra presenza sul campo culturale. Comincia a togliere un bel po’ di queste cose e a raddoppiare i tempi di stesura dei romanzi e capirai che si tratterebbe di un notevole ridimensionamento. Potrà forse anche succedere di arrivarci, ma non sarebbe una gran soluzione.

      • Non a caso lo chiamiamo “Mondo Perfetto” perché siamo ben consci che…non esiste e mai esisterà. Sulla questione di Tolkien…non so se questo esercizio “What if?” funzioni sul serio; si può parimenti affermare che abbia prodotto quel che ha prodotto anche grazie al fatto che non facesse lo scrittore full-time…
        Se il prezzo da pagare per avere il Signore degli Anelli è che lo scrittore non si dedichi a tempo pieno alla Professione allora ben venga! Stessa cosa dicasi per “Q” che il mio romanzo preferito tra tutti quelli che ho letto di LB/WM: se lo scrittore ha dovuto sacrificarsi e farsi il culo per scriverlo…ma al lettore che gli frega??? Ovviamente a me si, importa…però alla fine conta il prodotto finale e non tanto come ci sia arrivati a produrlo…
        I Black Flag si facevano un culo spaventoso e producevamo musica immensa. Fossero stati profumatamente pagati sarebbero stati comunque capaci di produrre “Damaged”? Ok, l’esempio “rockettaro” non calza con la scrittura che è tutt’altro mestiere…però…chissà!

        • Il culo ce lo si fa comunque, che si sia scrittori a tempo pieno o a tempo parziale. Solo che, nel secondo caso, ce lo si fa in condizioni peggiori, tra mille distrazioni, spesso deconcentrati, strappando ai giorni tempo di “qualità” peggiore, sovente sprecando energie. Tu dici: a me lettore che me ne deve fregare? Boh, forse nulla, anche perché quello che chiami il “prezzo da pagare” non lo pagheresti tu ma noialtri.
          Se vogliamo continuare a scrivere come scriviamo, il problema di camparci o meno è di una certa importanza. Se la scrittura dovesse regredire da lavoro a passatempo, continueremmo a praticarla comunque, come facevamo una volta, ma con maggiore fatica e difficoltà, dato che – come dicevo sopra – adesso abbiamo più responsabilità di un tempo. Di sicuro, progetti come quelli che mettiamo in campo adesso non saremmo più in grado di portarli avanti. Un lavoro in rete come quello che facciamo ora lo dovremmo lasciare perdere. Reading, presentazioni, iniziative pubbliche… Tutto questo si diraderebbe di parecchio, perché non avremmo tempo e risorse per spostarci.
          Certo, non sarebbe una catastrofe per l’umanità. Ma è comunque uno scenario che preferiremmo evitare.

        • @ A O

          Il gioco dei “what if” non sarà verificabile, però io ti dico che Tolkien si lamentava eccome di non avere il tempo di scrivere narrativa. A lui non piaceva, avrebbe voluto potersi dedicare a tempo pieno alla scrittura, pignolo com’era.
          E lo stesso ti stiamo dicendo noi: scrivere a tempo pieno o scrivere nei ritagli di tempo sono due cose diverse. Capisco che per te lettore il modo di produzione di un testo può importare poco, e giudichi soltanto il risultato finale, ma quello che sto cercando di dirti è che quel risultato potresti anche non vederlo mai.
          Tanto per fornire un esempio pratico legato proprio agli albori del nostro lavoro di scrittori, se dopo il successo di Q non ci fossimo messi nella mani di un bravo agente letterario, l’offerta che Einaudi ci aveva fatto per il secondo romanzo era talmente bassa che l’avevamo già declinata. Ci eravamo cioè rassegnati all’idea che era inutile farsi mettere sotto contratto per due lire, avremmo scritto il secondo romanzo al buio, senza contratto e mettendoci chissà quanti anni. Invece ottenemmo un buon anticipo, e questo ci consentì non già di fare i nababbi, ma almeno di non avere l’acqua a gola e quindi di pianificare il lavoro con un minimo di prospettiva. Dopodiché è chiaro che ci sono voluti diversi anni perché noi si riuscisse a vivere di scrittura (e di tutto ciò che ruota intorno a essa, mica soltanto i romanzi), ma senza qualcosa di minimamente paragonabile a un’attività lavorativa a cui dedicarsi il collettivo Wu Ming sarebbe stato qualcosa di molto diverso, ammesso e non concesso che ci sarebbe stato.

          • Dunque il tema è il tempo o denaro? Consapevole che la variabile Tempo si acquista (anche) con il Denaro…immagino che Tolkien non abbia rinunciato alla carriera accademica perché, in caso contrario, avrebbe potuto avere difficoltà economiche…in quel caso allora avrebbe dovuto sbarcare il lunario con attività che probabilmente lo avrebbero allontanato ancora di più dalla scrittura di romanzi.
            Nel caso di WM/LB la vocazione a fare “altro”oltre alla canonica attività di scrittura è sempre stata forte e presente: arricchire la esperienza dei lettori è nel vostro DNA.
            Io compro tutti i vostri libri (anche “solisti”) nonostante mi siano veramente piaciuti solo “Q” e “54”. Perché? Perché rispetto enormemente il vostro lavoro “collaterale” (ammesso che lo sia): i vostri commenti, le vostre riflessioni sono sempre stimolanti ed interessanti e questo lavoro va *premiato*. E il mio modo di premiarlo è acquistare libri (in qualsiasi formato) e, per quel che posso, spargere la voce. Se non ci fosse stato “Giap!” io, forse, non avrei mai acquistato né “Guerra agli Umani” né “New Thing” (che non sono neanche riuscito a finire di leggere). Sono un lettore casuale, ignorante, però almeno con me ha funzionato così…
            Mi chiedo però nel caso di scrittori misantropi che scrivono magari un libro ogni 4/5 anni che soluzione ci può essere? O vendono tanto o smettono di scrivere? Boh!

          • Tu scrivi:

            “Nel caso di WM/LB la vocazione a fare “altro”oltre alla canonica attività di scrittura è sempre stata forte e presente: arricchire la esperienza dei lettori è nel vostro DNA.”

            Tu parli di attività che è “collaterale” (per modo di dire) rispetto alla scrittura in senso stretto, allo scrivere romanzi, ma è sempre parte del nostro lavoro di narratori e agitatori culturali. Quando diciamo che campiamo di scrittura, intendiamo *tutto* questo, che è scrittura in un’accezione meno specifica e ristretta.

            Il rischio è di confondere questo “collaterale” – che in realtà non è tale – con attività che invece sarebbero esterne alla nostra progettualità, eterodecise ed eterodirette, portate avanti unicamente per esigenze “alimentari”.

            Questo concetto lo esprime molto bene Fabrizio De Andrè all’inizio di questo video:
            http://youtu.be/I7sazwOp-Ys
            La sua voce off, a un certo punto, dice: non sono tante le persone che, dopo otto ore di tornio, tornate a casa cercano di comporre una canzone. Certo, ci sono operai che hanno scritto canzoni bellissime, ma è accaduto quasi sempre durante le lotte, gli scioperi, i picchetti: momenti che il lavoro lo spezzavano, imponendo tempi più umani e meno eterodiretti.

    • Ah, il “mondo perfetto”! Mi ricordo, mi ricordo. Scaricavo camion di notte all’SDA, in quel mondo perfetto. Poi ho fatto il postino a Baricella, S. Gabriele di Baricella e S. Pietro Capofiume. Poi ho vuotato padelle e pappagalli e pulito culi al sesto piano dell’Ospedale maggiore di Bologna. Poi ho girato per le case IACP del quartiere S. Donato a leggere i contatori dell’acqua. Poi ho cominciato a tradurre cose sotto pseudonimo per piccoli editori.
      Fidati, ci si scervellava parecchio, nel “mondo perfetto” che dici tu. Ci si scervellava, ad esempio, su come mettere insieme i soldi per pagare le tasse universitarie.
      [Per inciso, la figura dello studente-lavoratore è quella più sotto attacco da anni, e con l’inasprimento delle tasse per i fuoricorso voluto dal governo tecnomacellaio, sembra destinata a estinguersi.]
      Mentre io facevo tutti questi lavori, e altri futuri WM facevano i loro, riuscimmo di riffa o di raffa a scrivere Q, mettendoci tre anni e mezzo e scommettendo al buio. Avevamo poco più di vent’anni, non avevamo figli né mutui da pagare. A quell’età e in quella situazione, si può scommettere al buio, tanto, se cadi, cadi da solo.
      Riuscire a sbarcare il lunario con questo lavoro è stata una conquista, e ce la siamo sudata. Vorremmo poter continuare a farlo. Se poi non ci si riuscirà nonostante i tentativi, le idee, gli esperimenti, trarremo le nostre conseguenze. Ma sicuramente non penseremo di essere arrivati in un “mondo perfetto”.

      • Ti cito: “Il rischio è di confondere questo “collaterale” – che in realtà non è tale – con attività che invece sarebbero esterne alla nostra progettualità, eterodecise ed eterodirette, portate avanti unicamente per esigenze “alimentari”.”

        Wu-Ming è una azienda (segmento merceologico: culturale); le attività di scrittura che vengono definite (erroneamente) “collaterali” non rappresentano il core business (che è la scrittura tout court di romanzi) ma sono parte essenziale delle funzioni aziendali: sono leve di “Marketing”. Io, come detto, decido di comprare i vostri prodotti “core” perché voglio premiare i prodotti “non core” (senza i quali avreste un Cliente in meno). Questo scenario se funzionasse davvero e fosse in grado di procacciarvi dei ricavi sostanziali (con margine) sarebbe lo stato dell’arte. Direi che l’approccio c’è…

        • E’ quello che stiamo facendo. Ma come vedi, siamo ben lontani dal “lavoretto part-time” di cui parlavi all’inizio! :)

          • Ah, poco ma sicuro!
            ;-)
            Voi state mille anni avanti alla moltitudine di scrittori paludati che pensano di essere unti dal signore!
            Il punto è proprio questo: la chiave di volta è pensare/agire come una Azienda e usare tutte le leve che il Mercato mette (potenzialmente) a disposizione. In caso contrario si va gambe all’aria. Ripeto: Wu-Ming è un esempio. Ma penso anche a quegli scrittori che hanno un attitudine più “misantropa” e meno “partecipativa” o che semplicemente rifiutano questo processo di “aziendalizzazione” (almeno a parole)…che futuro anno in un mondo che in cui le vendite non sono più sufficienti a garantire un return on investment congruo? O ci si muove come una Azienda in un mondo di Aziende o si è fuori? Alla fine dei conti è tutto qua: scrittori “aziende” contro scrittori “tout court”. Si vince se sia ha la forza di analizzare/revisionare i canali di vendita; se si applicano i modelli di pricing migliori; i canali di distribuzione più efficaci, sfruttando in maniera virtuosa i canali di comunicazione. Più che un corso di scrittura serve un corso di economia aziendale!!! Fico! Quello che ne viene fuori è una figura nuova, certamente, ma secondo me si tratta (anche) di consolidare molte leve già esistenti. Più che una rivoluzione si tratta di una integrazione.

          • Mi sa che i corsi di economia aziendale non servono a una mazza, sono solo indottrinamento ideologico nelle cazzate liberiste e negli ultimi trent’anni hanno sparso veleno a fiumi. Non sono d’accordo sul porre l’accento sull’aspetto “aziendalistico” della cosa, secondo me con quel frame si finisce per scrivere assecondando le presunte aspettative del “mercato”, per mediare al ribasso con quell’allucinazione condivisa che è il mercato. Noi all’inizio inizio ci descrivevamo come “Impresa Politica Autonoma”, in ossequio a un certo gergo allucinato che si usava nei Nineties in ambiente “post-operaista”, poi abbiamo scritto che quella era lingua di legno e ne siamo ancora convinti.
            No, più che “scrittori-azienda” si tratta di essere sempre meglio “scrittori-comunità”, “scrittori-legame sociale”, “scrittori-narrazione condivisa”, “scrittori-nella-pòlis”, “scrittori-acampada”, scrittori che si danno alla macchia insieme ai lettori e combattono la guerriglia.

    • Probabilmente in questo mondo perfetto dove basta un lavoretto part-time per procurarsi il sostegno minimo per la vita quotidiana, tutti faremmo lo scrittore, il pittore e tante altre belle cose a tempo perso. Peccato che al momento un sacco di gente non arriva a fine mese neanche facendosi il mazzo tutto il giorno tutti i giorni…

  86. Torniamo sempre alla questione del “giorno dopo la rivoluzione”. Cosa ne facciamo di una rivoluzione digitale se pochi anni dopo il digitale è socio-economicamente imposto come unicum?
    ***
    L’editoria digitale, come il suo corrispettivo in musica, non può essere ignorata ma nemmeno feticizzata a tal punto da elevarla a soluzione universale. La cosa terribile è l’idea di usare i SM e Internet come *medium* e non comprenderne/studiarne la *fisica*.
    ***
    Con l’esplosione dei SM, mi sembra di vedere tanti piccoli bambini-autori che corrono a smontare il nuovo giocattolino e si ritrovano poi inermi di fronte ai pezzi sparsi per la stanza, senza la benchè minima idea su come ricomporli.
    ***
    Riguardo alla questione scrittura/lavoro part-time, io penso che finchè ci faremo *imporre* una creatività part-time o un arte part-time, non si uscirà da quel gorgo diabolico che è il post-moderno. Da giovane autore/lavoratore-dello-spettacolo, rilevo come molti miei colleghi, a lungo andare, si siano ivischiati in un circolo vizioso in cui il part-time come “mezzo di sostentamento” è diventato ahimè un full-time mentale, che non permette di elevarsi sopra alla media poichè il prorio prodotto creativo (realizzato nell’altra metà del “time”) è caduto vittima dei modelli semantici o dei clichè sociali.

    So che è difficile, utopico e un pò stronzo, ma per fare l’autore bisogna smettere di lavorare e iniziare a pensare. Tanto.

    • La prima cosa da fare per non feticizzare l’internet (cosa sono gli SM?) è proprio quella di considerarlo un mezzo, uno strumento in mano a degli uomini. Ne vuoi studiare la fisica per *ammirarlo* o per *usarlo* ai tuoi scopi di soggetto/autore?
      E’ una ri-mediazione difficile. La strumentazione è opacizzata e non si vede oltre al significante, gli strumenti linguistici sono metodologie, uomini e donne che sprecano il loro tempo a parlare del modo in cui si sono parlati, si stanno parlando o si parleranno: questa secondo me è una pessima conseguenza dell’aver dimenticato chi è l’uomo, il soggetto, e chi il medium.

      Poi ti dò ragione sul fatto del part-time, della cultura, del lavoro e del vivere quotidiano fatti a spezzatino. Però non trovi che l’organicità del lavoro intellettuale cozzi con la diffusione di scienze e culture condivise e gratuite?

      • Non c’è contraddizione. E’ la differenza tra un impegno estensivo e un impegno intensivo. C’è chi vuole impratichirsi a fare un po’ di tutto, ed è una cosa molto bella. E c’è chi vuole investire la maggior parte del suo tempo nel fare sempre meglio una cosa specifica. Io ho grande ammirazione per chi si dedica al bricolage, al fai-da-te, a quelli che a Bologna chiamiamo i “ciappini” (sarebbero i lavoretti, ma detta così suona sminuente). Non solo il ciappinaro è una figura che mi affascina, ma il “ciappinaro culturale” – il fan creativo che un giorno fa il mash-up di due video, il giorno dopo crea un plugin per WordPress e il terzo giorno scrive una fanfiction di “Casa Vianello” – è centrale nella nostra riflessione, uno dei nostri scopi è interagire con vaste comunità di ciappinari/e. Noi stessi siamo *anche* ciappinari: giriamo e carichiamo video, curiamo un podcast audio (Radio Giap Rebelde), mettiamo mano ai css e php di questo blog, sperimentiamo robe transmediali… Però siamo artigiani professionali della narrazione. Perché il fatto che molti siano ciappinari non implica la fine delle “specializzazioni” (brutta parola ma facciamo a capirci): il falegname a tempo pieno, il restauratore di mobili antichi etc.
        Moltissimi fanno video mash-up, montaggi stranianti etc. E alcune cose sono davvero notevoli.
        Però c’è anche bisogno di una come Alina Marazzi, che abbia il tempo di concepire e realizzare cose come Un’ora sola ti vorrei e Vogliamo anche le rose.

      • Premettendo che per me non c’è nulla *oltre* il significante e che l’uomo è il *mezzo* per eccellenza, più che di ri-mediazione (la convergenza delle funzioni di un medium all’interno di un altro), parlerei di transmedialità (o crossmedia), ovvero, lo slittamento di senso che *nasce* dalla ri-mediazione.
        ***
        Quello che fa Wu Ming è esemplare e la prova è che i risultati si vedono anche offline (reading, convegni, concerti ecc.). Il problema sorge quando questa prassi viene usata per creare un immaginario intossicato. Un esempio sono i reality show, che oltre alla trasmissione in prime time, sviluppano tutta una serie di story line volte a potenziare il proprio mondo ergo il proprio bacino di utenza (v. “Fare Crossmedia” di Max Giovagnoli).
        ***
        La diffusione di scienza e cultura condivisa cozza con l’organicità intellettuale? Poffperbacco! Il problema è un altro: non sarà il caso di rivedere il significato di “organicità del lavoro intellettuale” di fronte alla nascente cultura del sapere condiviso (o presunta tale)? E poi – per riprendere una questione spinosa sollevata da Zizek – se *limitiamo* la nostra conoscenza per assicurare l’organicità del soggetto, non stiamo ammettendo che la nostra presunta unità è basata su una contingenza, anzichè su delle scelte autonome (“nonostante le recenti scoperte in campo biotecnologico, fisico, neuroscientico, tuttavia continuo ad agire come se non le conoscessi per conservare la mia *autonomia* di essere umano).
        ***
        Per ultimo, mi annovero anche io fra i così detti “ciappinari”, da distinguersi dai “ciappinaristi” coloro che credono di possedere il gene della creatività e pensano che il “ciappinaggio” sia un metodo innovativo e “cool” per sbarcare il lunario.
        ***
        PS: SM sta per “Social Media” :)

        • Ma anche per “Sado-Maso”.

        • Oltre il significante ci sei almeno tu.
          E se proprio non c’è nient’altro ti ritrovi a guardare delle parole che non significano, ma appaiono. E la tua narrazione, tossica o meno che sia, autocosciente, non comunica nulla agli altri, è contenta di se stessa, e su di sé ripiegata.
          Allora posso anche comprarmi i libri di Wu Ming per fare bella figura sulla mia libreria: saranno narrazioni decorative per le quali ogni giudizio andrà bene. *Oppure no*. “Better worse so” direbbe Beckett.

          Io capisco quando dici che la nostra massima espressione di uomini non risiede nel volere a tutti i costi celebrare l’unità e l’autonomia del soggetto. Però è necessario al fine di una narrazione. La massima fluidificazione degli enti parla un linguaggio divino, in un tale stato saremmo sì un mezzo ma perché? La risposta è pratica, morale. Significa che non c’è risposta esatta: tu scegli il dissolvimento nel discorso universale, io scelgo l’egocentrismo. Tu raggiungerai un livello superiore di conoscenza rispetto al mio, e con esso la muta solitudine del divino. E’ un po’ quello che descriveva Borges ne L’immortale e anche in altri racconti che ora non ricordo.

          • “La scrittura del dio”

            ps: davvero non va bene scrivere commenti troppo corti? istigazione alla prolissità

          • Il limite minimo è 50 caratteri, che sono pochissimi, un terzo di un tweet. Serve a evitare commenti tipo:

            “;-)”

            “LOL”

            “Straquoto”

            Che aggiungono solo ridondanza e non servono a una minchia :-D

          • Forse chi ci sta leggendo non capisce i riferimenti, e allora spiego. Se cercate di lasciare commenti brevissimi tipo “XD” o “LOL”, dopo che avete premuto il tasto compare questa scritta:

            “Uhm… il tuo commento è troppo breve. C’è un’alta probabilità che sia totalmente privo di senso. Sforzati un poco di più, grazie.”

          • Oltre il significante non ci sono io, ma un cartello con scritto “torno subito”. In realtà non tornerò mai, eppure tutti [se lo] aspettano ;)
            ***
            Forse ci siamo fraintesi. Io non promuovo il relativismo, nè l’universalismo fluidificante, nè “la muta solitudine del divino” di cui parli. Se però ci mettiamo in testa che l’autore sia colui che *comunica un messaggio* allora sì che sorgono i problemi.
            ***
            Quello che dico è riconsiderare il concetto stesso di autorialità, editoria, opera e arte, in un contesto apparentemente de-soggettivante che nasconde al suo interno una macchina di potere fortmente centralizzata. Lacan diceva “non esiste metalinguaggio” ed applicato all’editoria oggi significa “non esiste metanarrazione” perchè tutto – volente o nolente – è già meta-narrato attraverso la ri-mediazione e la crossmedialità. Bisogna lottare.

  87. Nel mondo perfetto di cui sopra io potrei campare decentemente con i software commerciali che produrrei in mezza giornata e dedicare l’altra mezza ai software non commerciali (ma tanto innovativi) che mi invento per diletto. Invece mi tocca passare la giornata ed anche oltre su quelli commerciali per sbarcare miseramente il lunario e dedicare le notti agli altri, salvo poi non avere il tempo e la forza per farne qualcosa di utile!
    Tutto ciò per dire che nel mondo imperfettissimo ma reale se non ti dedichi con tutte le tue energie ad una cosa è piuttosto difficile riuscire a farla bene, ed anche se ci riesci in generei non riuscirai a trarne alcun vantaggio (se non quello morale di avercela fatta)

  88. PS: non si riesce a dividere i commenti su più pagine? Ormai questa ci mette un quarto d’ora a caricarsi tutta!!!

    • La paginazione scatta dopo 100 commenti principali, non contando le repliche nei sottorami.

  89. Comunque è strano che te la carichi così lentamente, a me l’ha aperta “a scheggia”, con un’ADSL normalissima. E’ anche attiva la cache…

  90. …quindi i commenti qui sono ancora aperti, bene.

    Due vostri post recentissimi su identi.ca parlano del nuovo aumento spese server in seguito al traffico dell’articolo sui Marò.
    Si auspica che “chi ha orecchie intenda”. Ma nel dubbio che tanti “preferiscano il camper”, che in pochi oltre Dumbo abbiano orecchie sufficienti e che il Müntzer in alto a destra passi inosservato, butto lì una cosa. Quando fate l’Operazione Glasnost potreste aggiungere un paragrafo “Uscite e spese per il popolo”, in particolare mi riferisco a quelle per tenere in piedi questo strumento che serve forse più a noi che a voi. Non solo i soldi (che comunque immagino non pochi) ma anche una stima del tempo e del lavoro. Tanto per rendersi conto del costo reale di ciò che sembra gratis.

    Un mio caro amico hacker parecchi anni fa disse: l’Internet non potrà essere gratis per sempre. Magari si può cominciare a prenderne atto.

  91. La situazione nel mondo parallelo della scienza.

    Dopo aver riletto il post e i commenti mi son accorto che il mio ambito di lavoro non è molto diverso.
    Sono un ricercatore, e sicuramente di un ambito che non attrae capitali privati: lavoro in fisica delle particelle.
    Tuttavia da vari anni a questa parte c’è un fenomeno parallelo a quello che descrivete, di cui vorrei farvi partecipi.
    Tutti (e dico tutti) gli articoli di fisica delle particelle (ma anche in tanti altri ambiti) sono disponibili gratuitamente su un sito (arxiv.org) anche prima che vengano pubblicatati su giornali ufficiali (a pagamento e molto molto costosi).
    I giornali a pagamento sono comprati solamente dalle università/centri di ricerca (e solo abbonamenti online… nulla di stampato) e servono solo e solamente a garantire la presenza di quelle riviste che hanno l’importantissimo compito del peer reviewing (ossia della valutazione imparziale da parte di altri ricercatori degli articoli).
    Il sito arxiv.org invece pubblica online (circa) qualsiasi articolo pertinente sottomesso.
    Ovviamente la sostanza è la seguente:
    1) Il finanziamento delle ricerche non viene dalla vendita del loro prodotto (così come sembra che voi delineiate il futuro dello scrittore) ma da finanziamenti statali principalmente
    2) Le riviste scientifiche servono a diffondere i contenuti di alta qualità, non a vendere i contenitori (che stanno praticamente scomparendo).
    Il punto 1) ha delle conseguenze: le linee di ricerca vengono proposte e a volte non approvate, cioè il lavoro viene effettuato dopo aver ricevuto i soldi, non prima.
    La quantità di ricerca che si fa dipende dai finanziamenti, ma raramente in ambiti scientifici i finanziamenti vengono negati ad uno per motivi politici, semmai vengono tagliati in toto… ma questo è un altro discorso.
    Ora chiedo a voi, quanto tutto questo discorso è parallelizzabile nel caso degli scrittori?
    Sarebbe possibile assumere (nelle università o in enti appositi) gli scrittori come “ricercatori” della cultura e proporre i libri come linee di ricerca? (tra l’altro nel vostro caso la quantità di ricerca per un libro è credo anche superiore alla scrittura vera e propria dello stesso, per cui il parallelo è ancora più pertinente).
    Questo permetterebbe di rilasciare in CreativeCommons tutto il prodotto della ricerca (il libro) in quanto bene comune (così come un ricercatore del settore pubblico non può porre il brevetto sulle proprie invenzioni).
    Io la butto lì… è un po’ off topic e un pochino idealista, soprattutto in italia… ma magari può dare uno spunto.