Genova 2001 e la sentenza 10×100 | Orizzonti di gloria

I colpevoli di Genova 2001

di Wu Ming 4

E’ chiaro che stanotte non c’è nessuna gloria. E domattina nessun orizzonte. Era antifrastico anche il titolo del film di Stanley Kubrick, uno dei più belli contro l’ottusità antiumana del militarismo. La trama è nota: durante la Prima Guerra mondiale, sul fronte occidentale, un inetto generale francese lancia un impossibile attacco contro una fortificazione tedesca. Le truppe francesi non riescono nemmeno a uscire dalle trincee, vengono falciate dalle mitragliatrici, ricacciate indietro. L’attacco è una catastrofe colossale. Per non passare da incapace, il generale addossa la colpa alla codardia dei suoi soldati e chiede che ne vengano fucilati cento, estratti a sorte. L’Alto Comando gliene concede tre. Tre capri espiatori, che pagheranno per tutti, anche se la colpa non è di nessuno, o meglio, è di chi stava in alto. Di chi ha voluto quella guerra.

La giustizia italiana, stasera, non è diversa da quella militare nel film di Kubrick (che si ispirava a un fatto realmente accaduto). Anche lì c’era un bravo avvocato difensore, che veniva sconfitto da una sentenza grottesca, quasi caricaturale per la sua assurdità.
La giustizia italiana ha deciso che cinque persone pagheranno per tutti. Altre cinque potrebbero aggiungersi. E così si ottiene il pari e patta politico con la sentenza sull’assalto alle scuole Diaz. Poco importa che le condanne dei poliziotti riguardino il pestaggio e il massacro preordinato di persone, per di più indifese, mentre quelle dei manifestanti siano motivate dalla distruzione di cose, di oggetti inanimati, in mezzo al caos generalizzato. Qualcuno di loro si becca dieci anni di galera.

Dieci anni. Quasi lo stesso tempo che è intercorso da allora. Nel frattempo le vite di quelle persone sono diventate chissà cos’altro rispetto a quei giorni. Nel frattempo i danni materiali alle cose sono stati riparati, le assicurazioni hanno risarcito, il mondo è cambiato. Nel frattempo sono scorse in loop su ogni canale di comunicazione, fino a diventare parte dell’immaginario collettivo, le immagini di cosa è stata Genova in quei giorni, del comportamento delle forze dell’ordine, del clima che si era creato. Nel frattempo sul G8 di Genova sono stati girati documentari e film, pubblicate decine di libri, scritti fiumi d’inchiostro. E dopo tutto questo, deve arrivare la sentenza che pretende di fare pagare il conto a dieci persone, metaforicamente estratte a sorte dal destino, per via di un filmato piuttosto che di un altro, di una foto scattata un secondo prima anziché un secondo dopo. I tre soldati del film di Kubrick.

Io ero a Genova nel luglio di undici anni fa. Ero dietro la fila di scudi di plexiglass in via Tolemaide, quando il corteo è stato caricato a freddo e asfissiato col gas, in un tratto di percorso autorizzato. Con alle spalle diecimila persone non era possibile arretrare, e l’unica soluzione per salvarci e impedire che la gente venisse schiacciata è stata respingere le cariche come si poteva, e alla fine, dopo il disastro, dopo la battaglia, dopo la morte, proteggere la coda del corteo che tornava indietro sotto i getti degli idranti. E c’ero anche il giorno dopo, insieme a tanti altri, a inerpicarci su per stradine e sentieri con gli elicotteri sulla testa, fino sopra la città, per riportare tutti alla base.

Io avrei potuto essere uno di loro. Uno di questi fanti estratti a sorte. Invece sono qui che scrivo, nel cuore della notte, incapace di dormire, già sapendo che domani andrà meglio, che dormirò di più, e che piano piano potrò concedermi il lusso di ridurre tutto a un brutto ricordo lontano. Loro no. Le vite che hanno condotto in questi undici anni si interrompono e Genova ricomincia da capo.

Questo paese fa la fine che si merita. A Genova nel 2001 manifestavamo contro il potere oligarchico dei grandi organismi economici internazionali. Pensavamo soprattutto alle fallimentari cure neoliberiste che il FMI imponeva ai paesi più poveri, devastando le loro economie col ricatto e strozzandoli col meccanismo del debito. Oggi quella cura tocca a noi. In Italia comandano i commissari non eletti della Banca Centrale Europea, e applicano la stessa ricetta a base di tagli alla spesa pubblica, il cui scopo in definitiva si riduce a un enunciato semplice: salvare i ricchi.

Avevamo ragione.
Abbiamo perso.
Il nemico si tiene gli ostaggi.

Fino a quando la marea non monterà un’altra volta.

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149 commenti su “Genova 2001 e la sentenza 10×100 | Orizzonti di gloria

  1. Ci sono dei momenti in cui mi vergogno di appartenere al genere umano. E questo è uno di quelli…

  2. Grazie per questo articolo.

  3. Segnaliamo anche l’articolo “Devastazione e saccheggio” di Girolamo De Michele:
    http://uninomade.org/devastazione-e-saccheggio/

  4. Eran dieci, eran giovani, forti,
    E subiron torti.

    La macchina a rovescio
    Dell’ordine tutrice, del fascio

    Portò violenza, morte.
    E poi venne la corte.

    Colpevoli di tutto,
    Ancor listati a lutto,

    I dieci, giovani, forti,
    Continuano a subire torti.

  5. Dico ancora una cosa, in questa afosa mattinata di rancore sordo.
    Chi pensa a questa sentenza come a una vendetta, un regolamento di conti con il passato, ritengo sbagli alla grande.
    Non è una vendetta. E’ un avvertimento.
    Questi non sono gli ultimi. Sono i primi.
    La proprietà, la roba, i sghei, non li toccate perchè vi falciamo.
    Ammazza pure tua moglie o la tua ex e dici che che eri geloso e depresso, una soluzione la troviamo.
    Ma la roba no.
    Tutto ciò è molto più vero, urgente, adesso che undici anni fa.
    Questa sentenza non è per ieri. E’ per oggi, domani e dopodomani.
    Tre anni e sei mesi per aver ammazzato di botte Federico Aldrovandi, 18 anni. E fanno pure gli sboroni online.

    L.

  6. Eppure oggi è il 14 luglio, qualcosa dovremmo imparare…
    http://www.youtube.com/watch?v=qmKBoU9yPu8&feature=relmfu

  7. Purtroppo questa è la loro giustizia; anch’io ero a Genova con gli scouts.
    Da Piazza Fontana in avanti la logica del capro espiatorio ha segnato ogni indagine o processo che in qualche modo coinvolgeva la politica e l’opinione pubblica.
    La differenza con tutte le sentenze che riguardano poliziotti o pezzi dello stato, è sostanziale, nessuno di loro farà un giorno di carcere….i dieci-sette invece si!!!

  8. Sono d’accordo con Luca. La sentenza non è per ieri ma per oggi e domani. Ci mettono in guardia, in modo tale da farci sentire tutti potenziali capri espiatori. Ci dicono: “state a casa, la prossima volta può toccare a voi”. La rabbia e il senso di ingiustizia sono enormi. Dovremo continuare a tenere alta l’attenzione e restare vicino a chi è stato trattato peggio di un assassino.
    Ma in definitiva, non dico nel 2001 ma oggi, cosa ci aspettavamo dallo Stato italiano e anche dall’Europa? In Spagna hanno stroncato i minatori, una delle prime volte in cui si manifesta un dissenso forte dopo anni di crisi e disoccupazione. In Europa dell’Est si sono già indirizzati verso nuove forme autoritarie. Monti l’altro giorno in forma quasi intimidatoria ha parlato di “percorso di guerra”. Ci ricorda niente questa parola?
    Siamo dentro un nuovo autoritarismo che è molto diverso da quello del ventennio e che ha ancora le forme, solo le forme e pure quelle molto malridotte, di democrazia.
    Dobbiamo continuare a ragionare e preparaci per il futuro, se non vogliamo abbandonare tutto. Purtroppo, a nove mesi dal 15 ottobre siamo ancora indietro.

  9. C’è un altro elemento della questione che fa davvero male. Questa sentenza è uno schiaffone, una mazzata tra capo e collo nei confronti di tutti coloro che in questi 11 anni si sono spesi volontariamente, dal punto di vista legale, perchè sui giorni di Genova si facesse luce, perchè su quei giorni non dominasse una narrazione falsata e intossicata, perchè le persone, scrollandosi addosso il trauma e la paura, potessero testimoniare, parlare, raccontare.
    Un lavoro ecennale immane, di tantissime persone, spazzato via da una sentenza immonda.

  10. Non riesco, sinceramente, ad analizzare la sentenza ho un solo pensieri che vorrei così sintetizzare.

    Chissà se sarò ancora in grado di partecipare alla prossima marea, se il fisico sarà ancora sufficentemente pronto e la mente sarà ancora sufficentemente lucida – il passare degli anni è inesorabile…
    Ma sto facendo di tutto e farò di tutto per arrivare pronto a quell’appuntamento e se la fortuna mi sorriderà, lo sarò.
    A quel punto non mi dimenticherò di Carlo, non mi dimenticherò di 10 condannati a sorte, non mi dimenticherò di inermi picchiati a caso… E verrò a cercare voi,

    ricchi :)

  11. Non ha senso scrivere “Questo paese fa la fine che si merita.”, non siamo dei cazzo di Travaglio, siamo ancora tutti qua.

    A questo Paese ci tengo come fosse mia madre.
    Abbiamo perso per ora.
    Continueremo ad avere ragione.
    Libereremo i nostri ostaggi. Sapranno un giorno che noi non lasciamo nessuno indietro.

  12. Eppure… Eppure. Questo ci insegna (ed è la stessa lezione da Piazza Fontana in là, o da Portella in là), forse, che non ci si può aspettare la verità su un colpo di stato al contrario dai giudici di un tribunale, o di due. Che, forse, il diritto, elaborato dentro questo schema socio-economico lo specchia e gli è funzionale, è uno strumento di controllo e assoggettamento, di soluzione di conflitti che, come notate in tanti scrivendo dei “ricchi”, sono di classe.
    WM4 scrive “avevamo ragione” ed è vero, ma la domanda ora come allora più difficile è sul che fare, qual è la strategia?Il blocco nero non è in fondo riuscito a violare certi simboli, combattere la propria battaglia in modo violento e brutale, ma senza lasciare prigionieri? Il mio intento non è polemico, io mi chiedo e vi chiedo, come si usa oggi la piazza? Ha senso ancora costernarsi per la polizia che picchia, perché quando mai è stato il contrario, chi di voi che ha minimamente partecipato ad attività politiche non ha avvertito quanta pressione c’è, quante volte tocca parlare con la digos? Insomma come diceva The Bore, non tanto elaborare lo spettacolo del rifiuto ma rifiutare lo spettacolo..

  13. Sarà che avevo 15 anni e quella manifestazione l’ho vista sul tg3 da una camera d’albergo con un mio amico, in vacanza al mare. Sarà che mi sembra una vita fa e che la mia vita è cambiata molto, totalmente.
    Genova non mi è mai appartenuta, non mi è mai entrata nella pelle, non l’ho vissuta, all’epoca non ero nemmeno troppo d’accordo. Non so bene con cosa, ma non ero d’accordo. Perché protestare, perché tutto quel casino? E poi alla televisione era diverso, eri distaccato. Come con l’11 settembre.

    Il mio distacco è continuato lì. Quando il primo giorno al ritorno da scuola non parlammo delle giornate di luglio di Genova, ma dell’11 settembre. Non so se sono l’unico a sentire questo buco nella propria formazione, mi piacerebbe saperlo. Molti avranno colmato questa mancanza in qualche altra maniera, buon per loro, io ci ho messo di più. La scuola serve ancora.

    Ci sono arrivato in ritardo, forse oggi, leggendo sui giornali quelle frasette idiote che dicono che “è finita”, sono stati messi dei “punti fermi”. Messaggi in codice, frasi false mandate a chi si è salvato. Sentenze per quelli che sono stati presi a caso e giudicati. Sfottò che vanno collocati nel loro momento storico.
    Che nelle settimane delle assoluzioni (io le chiamo così) ai poliziotti che hanno menato e sfottuto Aldrovandi, vogliono dire “ne volete ancora?”.
    Che nei giorni in cui si sparano proiettili a caso a Madrid vogliono dire “ne volete ancora?”
    Che nei giorni in cui siamo governati dall’FMI, vogliono dire “ne volete ancora?”.

    Frasi false perché ogni volta che guardi indietro, alla Storia, lo fai con un occhio su quello che ti accade oggi, altrimenti è natura morta, museo. E i musei possono essere usati contro di te.

    Non sono bastati i mille video, le immagini, i racconti, gli articoli, i libri, i commenti e di nuovo i racconti. Ho avuto bisogno che qualcuno, prendendo per il culo il presente, scrivesse la parola “fine” sul passato. Ci ho messo undici anni a sentire la ferita di Genova come fosse mia.
    Ci ho messo undici anni, ma alla fine ce l’hanno fatta a farmi provare rancore per una cosa che non ho vissuto.

    • Caro PLV, la tua analisi rappresenta intelligenza e capacità di cambiare le proprie opinioni, pregi non da poco in questo mondo.
      La stessa sorte mi è toccata per avvenimenti del passato che non ho vissuto da militante come Piazza Fontana, Ustica, la Strage di Bologna. La rabbia mi è montata invece pian piano, e adesso le ferite di quegli anni, anche se non vissute direttamente, sono parte della mia vita. Un abbraccio.

  14. Completamente daccordo con Luca, questa sentenza è un avvertimento. Aggiungerei che, secondo me, vista assieme a quella per le torture alla Diaz non ci dice solo da che parte si schiererà lo stato (che, a parte le umane illusioni che ognuno di noi può aver avuto nei giorni scorsi, era una cosa che credo sapessimo già tutti), ma anche con che mezzi intende farlo. Con le condanne per la Diaz, sia pur minime, ma che per gli imputati vogliono pur sempre dire dover mollare il mestiere in cui stavano facendo brillantemente carriera, si dice alle forze dell’ordine di stare attenti a che da parte loro non avvengano più violenze troppo palesi e documentabili, con la sentenza di ieri gli si spiega che la violenza verso chi è colpevole di voler cambiare le cose non deve sparire ma solo trasformarsi dalla violenza immediata dei manganelli in quella differita del carcere, sfruttando vecchi e nuovi strumenti disseminati qua e la nel codice penale. Con questo non voglio dire che non l’iniquità evidente dall’accostare le due sentenze, o anche quella di ieri con quella del caso Aldrovandi non sia un orrore che ferice, e nemmeno che la nuova modalità sia meglio o peggio della vecchia, non saprei dirlo, però forse è il caso di tenerne conto.

  15. Queste sentenze dimostrano una volta di più con che cosa abbiamo a che fare. Strappano il velo di Maya, l’utile finzione della “democrazia” e dello “stato di diritto”, per mostrarci uno scorcio della cruda realtà, della vera natura dell’ordine capitalistico e dello stato borghese.

    Giustizia non è stata fatta perché *non poteva* essere fatta. L’applicazione del diritto non coincide con l’esercizio di una qualche “giustizia”; e tanto l’idea metafisica di giustizia, quanto il diritto che, in un’ottica idealista, ne dovrebbe essere in qualche modo “garante” sono forme storiche, relative; non riflettono alcunché di assoluto o universale, ma solo i rapporti di forza, i vincoli ideologici, le dinamiche oggettive, gli interessi materiali su cui si fonda la società in cui viviamo.

    Lo stato borghese, che la borghesia capitalista ha definitivamente commissariato (Monti, per inciso, era l’unico leader politico invitato al meeting di Sun Valley…), farà di tutto e di più per mantenere l’ordine, lo stato di cose presente. Ricorrerà alla repressione più feroce, come vi è già ricorsa in passato.

    La questione quindi, secondo me, non è sperare che lo stato e la classe dominante “ci risparmino”, siano carini, cortesi o “giusti” nei nostri confronti. Ci massacreranno (e ci massacrano quotidianamente) in mille modi, più o meno fisici e più o meno diretti, non appena metteremo (e mettiamo) in discussione i loro presupposti, la loro ideologia, il loro ordine. La questione è capire *come rispondiamo* a tutto questo. La questione è capire *perché abbiamo perso*. La questione è capire se, tra le pieghe della risposta alla domanda sulle sconfitte degli ultimi ven’tanni, si nasconde una minima indicazione su come agire perché ulteriori e ancora più pesanti sconfitte non distruggano una volta di più le nostre speranze di cambiamento.

  16. “Tutte le vetrine del mondo oggi tirano un sospiro di sollievo. E’ arrivata quasi al termine una vicenda triste e dolorosa. Nel 2001 il rapporto che lega l’uomo contemporaneo alla vetrina aveva subito un pesante affronto.”

    http://cavallette.noblogs.org/2012/07/7869

  17. […] di cose, tutte giuste, ma tutte (forse) sbagliate. Conviene lasciar parlare altri. Io oggi taccio e lascio la parola a WuMing 4 ed a questa sua reazione a caldo sull’infame sentenza relativa ai fatti di […]

  18. Ho l’impressione che il problema di fondo sia che la maggioranza sia ancora convinta di vivere in tempo di pace. Forse la maggioranza si va assottigliando, inevitabilmente. Quando arriva la bomba che ti porta via la casa, che si chiami T4 o G8 non fa molta differenza.
    In compenso c’è una minoranza che ha capito da tempo che la guerra è iniziata: sarà una sensazione, ma mi piacerebbe trovare statistiche sugli incrementi delle vendite di SUV in Italia dal 2001.

  19. Ieri su twitter l’utente @laprimularossa ha condiviso una frase di Eduardo Galeano che poi ho tradotto, la trovo particolarmente azzeccata all’occasione:

    “La giustizia è come i serpenti, morde soltanto coloro che sono scalzi”

    Molti miei conoscenti, a volte mi fanno domande sulla politica in Argentina, se ora governa la sinistra o la destra, com’è la situazione là, ecc.

    A tutti fa molto strano sentirsi dire che in Argentina veramente la “sinistra” non c’è. Che il Peronismo è sempre stato un partito di stampo popolare e di destra. Ma quando spiego il perché mi sento sempre dire la stessa cosa che sento e penso in questa occasione: che tristezza.

    Il perché riguarda una tortura di massa. In Argentina i militari hanno eradicato ogni linfa vitale della partecipazione politica (sopratutto di sinistra), della voglia di lottare, ma sopratutto della voglia di essere politici. I desaparecidos erano una mossa della AAA (alleanza anticomunisti argentina) mirata ad uno scopo ben preciso: annientare ogni voglia di fare politica, diffondere un messaggio di paura, ben chiaro.

    Trovo che quello che è stato fatto nei giorni di Genova nel 2001, e quello che successe ieri, sia tutto parte della stessa politica mirata a diffondere un messaggio ben chiaro*. A Genova nel 2001 bisognava mettere in chiaro che non devi manifestare contro il potere oligarchico e contro il FMI, non osare lottare contro il neoliberismo. Oggi non fanno altro che ribadire il concetto: non ti azzardare a toccare un bancomat e tutto ciò che rappresenta.

    Come quando in Argentina, nel 1990 Menem concesse l’indulto ai militari. Un modo per ribadire il concetto a distanza di 14 anni dal golpe. Ed il paese fece la fine che meritò nel 2001. E solo dopo altri 11 anni Videla ed altri vennero sbattuti in carcere e giustizia è stata fatta.

    Ci vollero circa 36 anni perché tutto l’apparato dello stato argentino smettesse di rendersi complice e fermasse quel ribadire i concetti, liberasse il tabù.

    Perché, nonostante il “peronismo di sinistra” di Kirchner sia un governo di stampo demagogico e populista – per carità, ha fatto anche scelte che condivido -, la faccenda importante è che la gente in Argentina è tornata ad avere voglia di partecipare in politica, la paura che avevano inflitto i militare piano piano sparisce.

    Qui in Italia e Europa bisognerà aspettare, come dice WM4, a quando la marea non monterà un’altra volta, dopo che l’Italia farà la fine che merita. E in quel momento – parafrasando il comandante Marcos nel discorso dentro le canzoni di Manu Chao – quelle che oggi sono le nostre denunce diverranno le nostre esigenze.

    ——————————-

    * Un messaggio, quello di oggi, trasmesso in modo capillare, perché coloro che non sono interessati a questa faccenda apprendono dai giornali che “le pene sono state ridotte”. Ma a noi, diretti interessati, ci dicono che se i poliziotti ammazzano a botte un ragazzo di 18 anni, o fracassano qualche cranio, rischiano meno di coloro che sfondano una vetrina, anzi, ai poliziotti della Diaz aspetta pure la solidarietà di De Gennaro (oggi sottosegretario alla presidenza del consiglio, ieri ex capo della polizia all’epoca del G8).

    PS: ho convertito questo commento, mentre lo stavo scrivendo, in un post sul mio blog, linkando questa discussione.
    Saluti.

  20. Io penso a chi, non troppo lontano da Genova, continua a sentire l’uccellone meccanico passare sopra alla propria testa, continua a vivere un Vietnam che non è soltanto mentale. Genova non è finita, ha ragione Luca. Questa condanna è un avvertimento per i presenti: non protestare, non combattere. Non vedo troppe differenze fra ieri e oggi: condanne ingiuste, pestaggi casuali e condanne a senso unico.

    Questo paese è la più grande anomalia democratica dal secondo dopoguerra a oggi.

  21. Luca ha raccontato l’amarissima verità. La sentenza è un chiaro invito a farsi imporre il processo di ringiovanimento del capitalismo. Il capitalismo è depresso, rimpiange quei tempi dove i lavoratori lavoravano il doppio per quattro spiccioli. Rivuole i soldi che i lavoratori, con le buste paga più pesanti grazie alle lotte, gli hanno sottratto. E giù con le tasse. E giù con i manganelli se qualcuno si permette di manifestare il suo disaccordo.
    P.S. A Madrid la polizia ha manganellato gli Indignados. Hanno fermato una pericolosissima manifestante muscolosa e armata fino ai denti.
    http://www.repubblica.it/esteri/2012/07/14/foto/madrid_indignados_contro_austerity_disordini_e_scontri_con_la_polizia-39052459/1/?ref=HREC1-8

    • Il 10 luglio la marcia dei minatori da mesi in lotta per salari e sussidi ha raggiunto Madrid dalle Asturie e altre aree del paese. Ho sentito oggi un’amica che era in piazza, insieme ad altre 200.000 persone, scese in manifestazione per appoggiare la lotta dei mineros e *al contempo* contro la manovra di austerità da 65 miliardi di euro varata lo stesso giorno dal governo Rajoy.

      Il governo intende raggrannelare questa cifra rubandola dalle tredicesime dei dipendenti del pubblico impiego (pari al 7% circa del salario) – che si sono incazzat* come delle iene; dai sussidi di disoccupazione con un meccanismo su cui ora non indulgo, che è stato letto dai movimenti come volontà di criminalizzazione della povertà e della disoccupazione. Altri euro il governo vuole recuperarli dall’aumento dell’IVA (ma da settembre, in modo che non la paghino i turisti, bensì la popolazione); altri ancora dai salari domestici introdotti dal governo Zapatero e dagli “aiuti” a chi assiste persone autosufficienti (in realtà a Madrid, governata dal PP, sti soldi non sono mai arrivati, mentre ovviamente i parenti di persone non autosufficienti han continuato a fare il loro lavoro di cura), etc etc

      I cortei, davvero imponenti come vedete da alcune foto sugli stessi Paìs e Repubblica – che però si sono ben guardati dal raccontare i numeri di piazza e ovviamente cercano di “restringere le inquadrature” su particolari -sono stati attaccati dalla polizia in maniera feroce e indiscriminata. Come sappiamo la polizia spagnola ha in dotazione pallettoni di gomma, che sparati ad altezza umana possono produrre danni seri. Tutt* avrete visto le foto della bambina colpita e visto le notizie sui feriti.

      I cortei erano stati convocati dai sindacati UGT (secondo sindacato spagnolo, comparabile più o meno alla nostra CISL) e Comisiones Obreras, ma la composizione di piazza era assolutamente di movimento. In Italia non stiamo avendo una chiara idea della ricchezza di articolazione del 15M, che lungi dal vivere esclusivamente in una dimensione simbolica e nella celebrazione di Plaza del Sol di maggio scorso, si sta nutrendo di esperienze di quartiere e tematiche, gruppi di inchiesta e di intervento, reti, etc.

      Da quello che mi raccontano e che leggo nelle discussioni on line, Madrid è incazzata, ragazze che uscivano per andare al cinema sono state randellate dalla polizia senza pietà e non ritengono di dover smettere di andare al cinema, così come i percorsi di lotta contro la povertà. La percezione che la violenza poliziesca fosse a difesa della manovra è chiara, e l’idea di aver già subito una sconfitta sembra lontana.

      Occhio ai restringimenti delle inquadrature, alle narrazioni sconfittiste, che ci rendono *solo* carne da macello. In altri thread su Giap e altrove si ragionava delle peculiarità italiane, sia riguardo all’assenza di alternative di governo e ipotesi elettorali capaci di imparare la “lezione europea” di Francia, Grecia, etc, e sia quella dei movimenti. Perché qui non ci sono equivalenti di 15m e occupy?, ci chiediamo in molti.

      Forse è davvero giunto il momento di storicizzare Genova.

      • Forse rischio di andare fuori tema, ma a storicizzare Genova io ci ho provato, grossolanamente e magari tagliando con l’accetta, in una discussione in cui correlavo l’affermarsi del grillismo all’atmosfera di sospetto del periodo post-Genova che si tradusse con la recessione della Sinistra. Riporto di seguito qualche considerazione, probabilmente scontata:

        «Intercorre un rapporto tra il G8 di Genova e il movimento di Beppe Grillo. Per G8 intendo riferirmi (anche se con scarsa efficacia) a tutte quelle associazioni mentali, veicolate dai mass media, che propongono il frame violenza-nonviolenza sostituendolo tout court a qualsiasi altro criterio di distinzione tra le realtà sociali e politiche. Si tratta di martellamenti mediatici e ideologici che hanno preceduto il G8 di gran lunga (già da anni Berlusconi invitava a votare Forza Italia contro i comunisti che hanno fatto milioni di morti) ma che sono esplosi esponenzialmente con il G8, che è stata una buona scusa per tacciare di violenza cieca tutti coloro che proponevano un’idea alternativa di società. Quindi quando scrivo ”G8“ in realtà scrivo “fine delle ideologie”, “fine della storia”, “giornalismo servile”, “demonizzazione della sinistra” e tutti quei fenomeni che c’erano già da prima e ci sono stati in seguito, ma che nel G8 di Genova si sono intrecciati e sono stati tutti egregiamente rappresentati.
        E infatti temi che, grazie alla crescita di quel movimento, stavano iniziando a far presa sull’opinione pubblica (banche armate, sostenibilità ambientale, strapotere delle multinazionali, fondi internazionali, divario tra Nord e Sud del mondo) dopo allora furono associate, nell’immaginario collettivo, alla violenza, dimenticando i contenuti.
        Quando succedono scontri grossi e le immagini martellanti di violenza rimbalzano da uno schermo all’altro, è ovvio che l’opinione pubblica cerca sicurezza e pone tra sé e “i violenti” la massima distanza. E siccome in questo caso la classe dominante è quella capitalista, i “violenti” sono stati identificati con tutto ciò che è anticapitalista. »

        P.S. Ho riletto lo stralcio che ho copiato e incollato. Riconosco che dopotutto non sono riflessioni di grande valore e profondità, ma penso che contestualizzate in quel discorso facciano un certo effetto.

  22. Francamente non sono d’accordo. Anche io ero a Genova in quei giorni. Da genovese.
    Mi sembrano posizioni prese “a priori”. Se ci sono responsabilità vanno sanzionate. Da ogni parte.
    Se non si possono sanzionare tutti i devastatori allora non va sanzionato nessuno? Posizione discutibile. La applichiamo anche ai mafiosi? Ai corruttori e ai corrotti?
    Accostare le sentenze sulla Diaz e questa è ancora scorretto. Non hanno punito i poliziotti? Allora non possono punire nemmeno i manifestanti. In questo modo si fa il gioco dei picchiatori fascisti.
    Pretendiamo giustizia per tutti. Solo così saremo inattaccabili.

    • Quindi per te l’ideale sarebbe stato mandarci in galera tutti quanti, decine di migliaia di persone. Tutti, quel pomeriggio e il giorno dopo, abbiamo resistito alla violenza di stato in via Tolemaide e dintorni. Praticamente tutti ci siamo ritrovati a dover usare la forza, chi più e chi meno, in un modo o nell’altro, per sopravvivere. Magari non tutti hanno usato la forza in prima persona, ma si sono salvati le terga grazie a chi l’ha usata, e puoi star sicuro che non gli dispiace.
      Non pochi intorno a noi hanno avuto reazioni di rabbia, hanno rotto quel che si ritrovavano a tiro, hanno scagliato oggetti, hanno impugnato armi improprie (sassi, bastoni, bottiglie…) Hanno fatto anche cazzate, certo. Ma cazzate ne abbiamo fatte tutti, prima, durante e dopo il G8. Alcune più gravi di quelle processate ieri, benché meno vistose.
      Però difendersi è tutt’altro che una cazzata. Quando un cellulare fende la folla a ottanta all’ora cercando il morto, che venga fermato con ogni mezzo necessario, financo dato alle fiamme, è il minimo che gli possa capitare.
      Non essendo possibile mandarci in galera tutti, è il tuo ragionamento, almeno mandiamoci questi cinque, rei di avere messo a soqquadro un minimarket e di esser scappati con salami e caciocavalli. Sempre meglio di niente.
      Ecco, scusami se dico pane al pane e vino al vino, ma:
      1) chi mi vuole in galera lo ritengo tout court un nemico.
      2) ritengo due volte un nemico chi ritiene giusto che pochi capri espiatori vengano inchiodati al gesto di un momento, un gesto di undici anni fa che viene punito oggi dopo essere stato isolato dal suo contesto, destoricizzato, reso astratto, inquadrato in un capo d’imputazione ambiguo e dai contorni incerti come “devastazione e saccheggio”, un reato la cui definizione è puramente *politica* fin dalla sua introduzione nel codice penale fascista.
      Per quest’indefinibile reato e per il gesto di un pomeriggio di undici anni fa, dovranno pagare persone che oggi sono diverse, in alcuni casi hanno figli piccoli etc. E queste persone, guarda il caso, saranno le uniche a farsi la galera tra chi era a Genova in quei giorni, su ambo i lati della barricata. Le uniche! Ma tutto va ben, madama la marchesa. La legge è legge, no? We fought the law and the law won. E le nostre sono posizioni prese “a priori”. Come no! A priori. Dopo undici anni di dolore, di “shell shock”, di riflessioni, di ragionamenti, di autocoscienza collettiva.

      • Mi sembra vi piaccia molto considerarvi dei difensori della democrazia. Saccheggiando un minimarcket? Ne abbiamo di strada da fare.
        Non voglio mandare in galera tutti. Ma nel casino finiscono per perderci solo quelli che rispettano le regole (tanto è vero che le ragioni del movimento sono del tutto scomparse dal dibattito pubblico).
        Chiaro che non mi piace questa giustizia. Ma nemmeno la “vostra” mi fa impazzire.

    • E già, quattordici anni per aver sfondato un negozio sono una ‘sanzione’ ragionevole. Così come otto anni per essere uscita dal medesimo con degli oggetti dentro un carrello. Vuoi essere inattaccabile te, invece sei solo un provocatore di ultima.
      L.

      • @luca Deduco che non la si possa pensare diversamente da te, a meno che non si voglia passare per provocatori. Se ti avessi bruciato la casa in cui vivi un minimo di pena l’avrei dovuta pagare o visto che è una cazzo di cosa, di roba borghese, nessuno se ne fotte e tu ti ricostruisci la casa per cazzi tuoi? Fatemi capire: si può dialogare in questo blog come si fa sempre oppure su certi argomenti o concordo con voi oppure me ne sto zitto a leggere i commenti giaculatori e non devo rompere tanto le palle perché sono un ignorante, un servo del potere, uno che sta con i padroni?

        • @lulumassa

          1) il tizio *era* un provocatore, lo ha dimostrato nei commenti seguenti, tipo quello che al G8 c’erano figli di papà che poi si sono tagliati i capelli e sono entrati nell’azienda di famiglia.

          2) anche fosse, lo chiami “un minimo di pena” lo scempio dell’altro giorno? Ma per favore, dai… Quante volte dobbiamo ripeterlo che non si sono comminate pene per i danneggiamenti concreti, ma si è scelta coscientemente una via tutta ideologica e “dimostrativa”, usando un capo d’accusa che gonfia a dismisura l’entità di quanto accaduto e ha scopo al tempo stesso di rappresaglia e intimidatorio? L’arringa del procuratore generale non è stata abbastanza chiara in questo senso? Per non dire delle varie ambiguità e forzature legate a fattispecie di reati associativi, al modo in cui sono stati usati i video etc., tutta roba già fatta notare.
          Non si sono processati comportamenti concreti, ma un “clima”, una specie di media algebrica del comportamento “violento” di tanta gente, poi il castigo per questa “media” è stato rovesciato interamente sulle teste e sulle vite di un pugno di persone scelte come moniti viventi.

        • @WM1 Sarebbe da imbecilli pensare che dieci anni per una vetrina rotta o qualche salame rubato siano una pena giusta, come pensare che 3 anni e sei mesi per macellai fascisti sia una pena ragionevole. Io non sto dicendo questo, e riconosco di aver sbagliato i modi del primo messaggio, però mi interessava capire veramente che concezione avete di questo cazzo di strumento che gli essere umani devono adottare per convivere dignitosamente. La borghesia e i padroni l’hanno costruito a loro vantaggio, ma io voglio capire questo: se sfondo una finestra o vi distruggo una macchina (senza relazione alcuna quindi con la mia difesa nei confronti del manganello fascista che mi sta massacrando) una pena, seppure amministrativa, la devo pagare o no? Scusate la mia idiozia ma sono curioso di capire ste cose, non voglio offendere nessuno.

        • Scusami, ma sembra che ci prendi tutti per cretini: cosa ti aspetti che ti venga risposto? “Ma no, per carità, se mi rompi una finestra, mi entri in casa e rubi tutto, va benissimo, anzi, torna quanto vuoi”?
          Qual è *l’utilità* di una domanda tanto squinternata, se non è meramente provocatoria? Pensi che qui qualcuno critichi iper-ideologicamente e indiscriminatamente l’adire le vie legali? Che ce l’abbiamo con gli operai di Pomigliano perché sono ricorsi al tribunale del lavoro contro Marchionne?
          Chi critica la sentenza dell’altro giorno ha spiegato, argomentando e fornendo dettagli, qual è il problema, qual è il messaggio veicolato, qual è la posta in gioco. Mi sembra che nessuno abbia teorizzato l’irresponsabilità illimitata in qualunque circostanza. Se si abbassa il livello in questa maniera, e proprio su Giap dove ci si sforza quotidianamente di tenerlo alto, addio core.

        • @WM1 e vabbè, cosa vuoi farci, sono un imbecille, abbasso la media del QI di questo blog:-). Condivido totalmente le ragioni per cui giudicate ingiusta questa sentenza, davvero. Sono anche le mie ragioni. Ma la domanda è: se questi invece di dargli 10 anni gli avessero dato 3 mesi, o gli avessero fatto pagare 10mila euro di multa, non avrebbe comunque suscitato lo sconcerto e le proteste di molti perché comunque “son dieci capri espiatori a pagare”?

        • Scusa eh, mi pare ovvio che se ti rompo una finestra, poi è giusto che ti ripaghi la finestra, ma cosa c’entra? non puoi mettere tra parentesi “(senza relazione alcuna quindi con la mia difesa nei confronti del manganello fascista che mi sta massacrando)”, non si può decontestualizzare così. E inoltre è ovvio che questi dieci non sono stati condannati per aver rotto una finestra o dieci finestre o dieci bancomat, altrimenti il reato sarebbe stato semplicemente danneggiamento. Invece è “devastazione e saccheggio” come se questi da soli avessero devastato l’intera città.

        • @francesca
          giusto, infatti è una domanda idiota la mia. L’altra è questa: se fossero stati condannati per danneggiamento e non per il reato di “devastazione e saccheggio” tu saresti stata d’accordo con i giudici o sarebbero rimasti sempre “dieci capri espiatori” a pagare?

        • Ogni santo giorno un qualche tribunale italiano commina una qualche pena a un militante di qualche causa, che si tratti dell’occupazione di case o di un centro sociale o quant’altro. Chiunque lotti lo mette in conto, e si fa un calcolo mentale, una propria idea della proporzione tra reato e pena, una proiezione di quanto è disposto a rischiare per cosa. Per le condanne pecuniarie e le spese processuali si organizza un concerto o altra iniziativa di sottoscrizione; per le condanne detentive spesso (ma non sempre) scatta la condizionale o attenuanti di qualche tipo. In ogni caso, “lagne” indecorose non ne ho sentite, e non si sono lagnati nemmeno i condannati dell’altro giorno, quando gli è toccata la custodia cautelare. Qui sopra qualcuno ha riportato lo stralcio di una lettera dignitosissima scritta al fresco nel 2003 da Alberto aka Fagiolino. In questo momento ci sono ancora No Tav detenuti, nei mesi scorsi ci sono stati scioperi della fame contro il carcere preventivo, l’isolamento usato come tecnica di guerra psicologica etc. Insomma, la giustizia che tanto piace ai lettori del “Fatto” lavora tutti i giorni.
          Ma quel che è accaduto l’altro giorno rappresenta un evidente salto di qualità, le reazioni non sono né potranno mai essere equiparabili a quelle che ci sarebbero state dopo una condanna a tre mesi e qualche migliaio di euro di ammenda.

        • no, non sarei stata d’accordo. Io credo che lì eravamo in dieci e trecentomila, c’ero pure io che invece fisicamente mi trovavo a centinaia di km. Se c’è stata devastazione allora sono colpevole anche io che non ho mai tirato un sasso in vita mia. Le ragioni le ha spiegate bene WM4 raccontando i fatti di via Tolemaide.

          Ma sele condanne fossero state a 3 mesi (o 1 anno) ora non sarei così spaventata, non sentirei il peso di quei 10 anni, e non temerei per la mia libertà di manifestare (e per il mio diritto a difendermi).

        • Le due cose che penso.
          Sì. Abbassi il QI di qui in giro.
          E sì. Quello era un provocatorello di ultima, come si è ampiamente dimostrato dai suoi interventi..
          Tu pensa quello che cazzo ti pare.
          L.

        • @Wm1 infatti il Fatto ha un’idea distorta della giustizia. Per non parlare della loro idea di giustizia sociale. Al di là di questa notazione, penso di aver commesso un errore a paragonare le due situazioni così lontane tra di loro. Capisco che per chi ci è stato Genova dev’essere tutta un’altra cosa dalla visione che io posso ricavare da documentari, documenti, libri e film. Quindi faccio un passo indietro e smetto di fare domande terraterra. Grazie per l’attenzione. Continuo a leggervi.

        • @ luca, dài che non c’è bisogno di insultare, tra l’altro il QI non è nemmeno uno strumento di misurazione significativo, è un’americanata che pretende di fare la classifica delle intelligenze basandosi su un’idea di intelligenza angusta e sganciata dalle emozioni, epperciò obsoleta. Lulumassa ha fatto un paio di domande: una, per sua stessa ammissione, era un po’ sciocca; all’altra abbiamo risposto in diversi. Il dialogo può essere accidentato, ma c’è.

        • @luca ti piace proprio fare l’incazzato, eh? Non ti preoccupare che non rompo più.

        • Guarda, io Luca lo conosco da 22 anni. Lui non “fa” l’incazzato, è incazzato per davvero.
          Qui, ovviamente, puoi intervenire quando vuoi. Nemmeno Luca ti ha detto di andartene.

        • @Wm1 lo so, figurati. Dal vivo le persone sono meglio, tendenzialmente.

        • Ultima cosa. Io posso chiedere scusa a tutti, non c’è alcun problema. però faccio notare
          A) che il ‘paio?’ di domande iniziali erano, che qui non si può discutere se non si è d’accordo con me (!), pena essere un provocatore, e che sostenevo che se ti bruciano la casa sono cazzi tuoi.
          B) che è una tecnica consolidata , arrivare, dare dello stronzo in giro, e poi quando ti prendi il sacrosanto vaffanculo dire: Eh, ma che modi, avevo solo fatto una domanda!
          Con me non attacca.
          L.

        • @luca era all’interno della domanda il fatto della casa e dei cazzi tuoi, e mi sono subito scusato per i modi sbagliati che avevo nel primo messaggio. IO non voglio le tue scuse perché non credo di essere stato offeso da te. Non ti volevo offendere a mia volta, quindi non capisco tutto sto vittimismo. Chiudiamola qui.

        • Infatti al tono del primo commento gli è stato risposto… a tono. Poi ha riformulato le due domande e gli è stato risposto. L’importante è che non diventi un flame. Su Giap non ci sono flame. Nessuno ha chiesto di chiedere scusa a nessuno. Non è questione di dire “sorry” o pretendere che qualcuno lo dica:

          E’ questione di mantenere la discussione seguibile e proficua.

        • @lulumassa

          scusa, tu e WM*, se mi intrometto.
          Io sono uno che sta con i padroni: mi danno uno stipendio. Che uso per abitare una casa e far mangiare una famiglia e possedere una macchina. Che se venissero bruciate mi incazzerei. Sono un borghese e so di esserlo.
          Peggio: a Genova non c’ero. Stavo dalla parte di chi manifestava, di José Bové e Naomi Klein, leggevo Chomsky, ma le botte non le ho prese e nemmeno le avevo previste, e pensavo addirittura, fino a quel momento, che lo Stato è quello che è perché abbiamo lasciato che lo occupassero #Loro. Pensavo che l’unico modo era riconoscere che lo Stato ero io, eravamo noi. Farsene carico, mandarli via, raddrizzare le cose. E mica avevo vent’anni.
          Da quel momento, invece, ho capito (lentamente e faticosamente) che lo Stato in quei giorni mi ha dichiarato guerra. A me, a ognuno, personalmente. Che il terrorista, il fanatico, l’estremista, è il potere, sempre e comunque. Mica ci sono nato, anarchico. Lo sono diventato da allora. Anche se rimango un “normale cittadino” per abissale incapacità (o mancanza di coraggio) di essere qualsiasi altra cosa.
          Comunque da quei giorni, a furia di pensare e ripensare, di provare a calarmi nei panni di tutti compresi i genovesi, ho imparato a mettere in conto che possa succedere “IL” casino, che potrebbero bruciarmi la macchina e la casa, che a farlo possa pure essere qualcuno che non la vede come me (anche perché io non sfonderei e brucerei nulla in ogni caso, ma non lo dico per interporre distanze) e che alla fine nessuno mi pagherebbe nulla. Può succedere: siamo in guerra.
          D’altronde, se mi disoccupassero, o se mi ammalassi gravemente tra non molto e cioè in assenza di sanità pubblica (succederà, tranquillo) la casa e la macchina le perderei ugualmente, ma nessuno si sognerebbe di affermare che chi mi ha fatto il danno (chi lo sta facendo in questi mesi e in queste ore) debba essere processato e ingabbiato e dovrebbe pagarmi i danni, ti pare? Può succedere: siamo in guerra. L’ha fatto scrivere grosso sui giornali il Reichsfuhrer Professor Bergen. Vale tutto.

          Io condivido la tua questione: chi rompe paga. Però deve valere per tutti. Per chi rompe le vetrine ma cento volte di più, non quattro volte di meno, per chi rompe le ossa. Per la violenza gratuita di chi tira le molotov ma dieci volte di più per la violenza pagata con le mie tasse. Per chi svaligia un supermercato ma mille volte di più, e non in superbonus americani, per chi svaligia (si dice “attingere”, ma io sono ignorante) territori, soldi pubblici, beni comuni.

          Se confondo giustizia con legge, se pretendo che paghi chi sfonda le vetrine e intanto mi rassegno al fatto che i criminali che sappiamo continuino ad arricchirsi impuniti trafficando la nostra carne, che i mandanti di quello che sfonda vetrine e di quello che gli sfonda le ossa siano troppo lontani e quindi prescindibili, allora sono un poveraccio, un cane del rione delle risse di cani.

        • @Vecio
          Quando parli del fatto di essere arrivato ad essere un anarchico, quando parli del tuo percepire uno stipendio dai padroni, del tuo difficile cammino di comprensione, è come se parlassi a nome mio. Io sto in questa situazione di ignoranza frammista a tentativi vari di comprensione e di documentarsi, faccio domande stupide, falsamente provocatorie, però cerco comunque di procedere nel mio cammino. Sono un non violento e mi sono chiesto se in quella situazione (che posso immaginare ma non comprendere fino in fondo) sarebbe stato giusto comunque bruciare una macchina o sfondare una vetrina oppure sarei rimasto lì a prendermi le botte e a cercare di scappare. Perciò facevo quelle domande stupide riguardo alle finestre e cose del genere.

        • Spero di avere la possibilità di chiarire quanto segue:
          – mi spiace per la piega che ha preso il discorso. Credo che il tono dei miei post sia stato errato e quindi facile da fraintendere. Non ho però avuto altra occasione che questa per chiarire essendo stato escluso dal discorso.
          – le generalizzazioni sono infondate, quindi anche parlare dei “filgi di papà” lo è.
          – mettere la testa a posto si riferiva al fatto che un post precedente parlava del fatto che le persone in 10 anni cambiano e che in questo modo vengono riportati al passato da un giorno all’altro. Indelicato, ok.
          – non era chiaramente mia intenzione mancare di rispetto a nessuno (e il fatto che non abbia mai usato turpuloquio o i toni che si leggono sul Fatto dovrebbe essere una prova) tantomeno a chi in questa vicenda è coinvolto giudiziariamente.
          Ho chiesto ai moderatori di poter scrivere questo per poter sottolineare che non sono un provocatore (tocca fidarvi, non ho nessuna patente in questo senso).
          Questo è in ogni caso il mio ultimo post.
          d

        • @ passaggiditempo

          come vedi, hai avuto l’opportunità di chiarire. Se una persona ci scrive in privato dicendo che vuole spiegarsi, e ci sembra che l’intenzione sia reale, non abbiamo motivo di impedirglielo.
          Noi gestiamo questo blog in modo molto rigoroso, a volte anche rigido. Se non lo facessimo, non si riuscirebbe a discutere, anche Giap diventerebbe uno dei tanti sfogatoi del web. In questo caso, l’ingresso e la scelta delle parole e dei toni ci hanno fatto pensare a uno dei soliti seminazizzania di ‘sta minchia. Comunque, assicuro che sono rari i casi in cui arriviamo a bannare qualcuno. In più di due anni abbiamo messo in blacklist appena una decina di persone. Alcune erano inequivocabilmente troll (peraltro, già visti in azione altrove), altre ci sembrava stessero per diventarlo e ci siamo presi la responsabilità di dissuaderli. Come detto sopra, ci sono tanti altri posti dove esercitare quel particolare talento.

    • In realtà sono stati puniti sia i poliziotti sia i dieci manifestanti. Con pesi e misure diverse. I dirigenti di polizia sono stati condannati la settimana scorsa (eccetto De Gennaro, che nel frattempo ha fatto carriera). Sono quelli che pensarono, ordinarono, diressero, e poi cercarono di giustificare con false prove, il massacro delle scuole Diaz, dove per puro caso non ci scappò il morto. Le pene a cui sono stati condannati costoro sono assai più lievi di quelle affibiate ai manifestanti per avere “devastato” e “saccheggiato”, cioè agito contro le cose. Se si dovesse trarre una morale da questa orrenda favola, sarebbe che spaccare teste e pestare a sangue (perfino gente inerme) è meno grave e meno penalmente rilevante che spaccare una vetrina o incendiare un bancomat.
      Se ti piace questa giustizia, amico, senza offesa, credo che tu abbia un grosso problema.

      • Rectius: hanno fatto tutti carriera. Ora c’è chi si gode la pensione oltre oceano, c’è chi ha potuto mostrare il meglio di sé anche in quel di Torino, facendo caricare i NoTav milanesi per pura rappresaglia a Porta Nuova e così via. E’ quello un altro punto della faccenda che sfugge a troppi, giustizialisti de sta cippa come passaggiditempo in primis: mentre gli imputati manifestanti hanno vissuto 11 anni in sospensione, i capi dei blue bloc sono stati amorevolmente accuditi da gran parte delle istituzioni e, se non avessero incrociato uno ostinato come Zucca sul proprio cammino, probabilmente oggi starebbero ridendo di noi tutti. E questo è un altro punto fondamentale, signor passaggiditempo: ti rendi conto o no che anche quel poco di verità giudiziaria che si è avuta è stata affidata alla volontà di un singolo procuratore, costantemente sottoposto a pressioni pazzesche?

    • @passaggiditempo

      Con rispetto. Quello che tu non hai ancora capito è che domani, o al massimo dopodomani, “devastazione e saccheggio” sarà quello che ti beccherai *tu* quando sarai abbastanza incazzato da entrare in banca per chiudere il conto.
      Se invece non corri il rischio di diventare abbastanza incazzato, vuol dire che, per essere inattaccabile, hai già scelto di stare con #Loro. Diversamente inattaccabile.

      • Noi… loro… ma che ne sai di quanto sono incazzato io?
        La città blindata prima, poi devastata; le ragioni della protesta completamente oscurate da un pugno di ragazzotti, spesso figli di papà che nel giro di pochi anni si sarebbero tagliati i capelli e avrebbero preso il loro posto nello studio di famiglia.
        E non sarei incazzato?

        • “Figli di papà che si sarebbero tagliati i capelli”?!

          Forse tu credi di vivere nel 1966. Peccato che ti stia rivolgendo alla generazione più precaria, disgraziata, disperata e senza futuro dal Dopoguerra a oggi. Gente che, quando va bene, è supersfruttata, e quando va male, è totalmente priva di reddito. Gente che, se riuscirà a invecchiare, non avrà nemmeno cento euro di merda di pensione. Gente che le politiche degli ultimi trent’anni hanno consegnato all’angoscia, senza contrappesi. Gente che sempre più sceglie il suicidio, subitaneo o differito. Lo sai, provocatorello dei miei stivali, quanti compagni ho visto distruggersi in questi undici anni? Lo sai quante persone traumatizzate conosco, persone che erano a Genova, si sono dovute difendere e sono figlie di operai, di modestissimi impiegati? Lo sai, provocatorello da quattro soldi, che quando sono nato mio padre lavorava alla catena di montaggio di una fabbrica di fornelli e mia madre faceva (e ha fatto fino a pochissimi anni fa) la bracciante?
          Ti devi solo e unicamente vergognare, cialtrone. Pussa via, qui non scrivi più mezza riga.

  23. Riceviamo da un’amica ispanica e diffondiamo:

    Come si lotta contro i macellai sociali? Ecco, così.
    Ogni volta che una di queste merde mettono un piede in strada e viene riconosciuta, ci deve essere una folla che “pacificamente” le rinfaccia tutto.
    All’inizio fanno finta di niente, dopo una o due settimane cominciano a preoccuparsi, poi cominciano a non uscire, poi si circondano di guardie del corpo, poi i loro nervi vanno a pezzi e crollano.

    Cristina Cifuentes, Delegada del Gobierno por PP en Madrid. Huye del pueblo.

    Nelle prime mosse “la folla” sicuramente sarà composta di persone molto impegnate politicamente, poi questa pratica si diffonde (in Argentina si chiama “escrache”) e la gente che capita in quel momento si unisce ai rimproveri.

    • La settimana scorsa ho incrociato per caso la Camusso sotto la sede della cgil a roma. Purtroppo non ho avuto la prontezza di spirito, se ricapita non mancherò di sollevare gentilmente qualche pacifica obiezione contornandola di disprezzo e disgusto.

    • ecco questa è una delle soluzioni nonviolente che li sbugiarda, li contesta, li impaurisce….se gli stiamo con il fiato sul collo….la marea montante può crescere.

    • Non per aprire un dibattito sul tema, ma mi sembra che qualcosa di simile (ma forse diverso?) lo si è provato a fare. Se non sbaglio però ogni volta le persone “molto impegnate politicamente” sono state etichettate come squadristi e il gesto come “aggressione”. Forse non lo si è fatto così, forse perché la pratica si diffonda serve farlo diversamente (sbandierando meno la propria appartenenza? non lo so) e forse non dipende solo da come lo si fa ma da quanto “la gente che capita in quel momento” è pronta a unirsi.

  24. Ridurre il ragionamento di tanta gente a un paio di cazzate, per poi criticarlo con una logica da quattro soldi è tanto facile quanto inutile.
    Chi ha mai detto “a priori” che bisogna sanzionare solo i poliziotti?
    Nessuno. Qui piuttosto si dice: a) Che i manifestanti imputati di devastazione e saccheggio sono stati individuati con foto e video dove, in molti casi, non devastano né distruggono nulla, ma, per esempio, vanno in motorino, o si aggirano a piedi sul luogo del delitto, dunque devono aver partecipato a quei fatti. Per forza. E in questo modo i capi d’accusano lievitano.
    b) Che il reato di “devastazione e saccheggio” viene applicato ad arte a una situazione molto particolare, con il solo scopo di aggravare le pene di chi provocò danni
    c) Che c’è una sproporzione inaccettabile tra le pene comminate a chi torturò e ordinò le torture, e quelle stabilite per chi danneggiò cose, oggetti, manufatti.
    d) Che per una vetrina rotta o un’auto scassata o un cassonetto incendiato non si possono dare pene così pesanti a undici anni di distanza dai fatti.

    • a sostegno di ciò, e per rispondere a passggiditempo che parla di “responsabilità”, va ricordato che l’impianto accusatorio si basava sul concetto di “concorso morale”, che è ben lontano credo da accertare responsabilità

      cito un articolo del manifetso
      http://mobile.ilmanifesto.it/attualita/notizie/mricN/8060/

      L’avvocato Mirko Mazzali da Milano dice che «è una sentenza deludente, ha confermato l’impianto accusatorio dal punto di vista del concorso morale, attribuendo tutto quello che è avvenuto a Genova in quei giorni a poche persone e dal punto di vista politico-giuridico non è condivisibile».

      se non erro è un approccio applicato anche al processo a due ragazze no tav, per una delle quali il solo fatto di possedere determinati oggetti – guanti da lavoro, foulard e non ricordo bene cos’altro – secondo l’accusa sarebbe stata la prova che lei voleva consapevolmente mettere in atto una condotta violenta

  25. Nei primi 52 anni di storia della Repubblica, soltanto in 10 sentenze era stato applicato il reato di “devastazione e saccheggio”. Negli ultimi dieci anni è stato applicato 11 volte. C’è un’accelerazione del ricorso a questo capo d’imputazione.
    Lo si era già detto nei giorni scorsi, lo ribadisce Francesco Romeo, avvocato difensore dei capri espiatori, in quest’intervista:
    http://www.milanox.eu/g8-ingiustizia-e-fatta-intervista-con-avvocato-della-difesa/

  26. IMNNHI (Il Mio Nome Non Ha Importanza) ha letto e musicato un estratto del post di WM4 e ci ha fatto un pezzo, “Né orizzonti, né gloria”:
    http://soundcloud.com/ilmionomenonhaimportanza/n-orizzonti-n-gloria

  27. Certe “difese” in nome di una non meglio specificata equanimità meritano solo di essere plonkate, per quel che mi riguarda.

    Eppure, il presupposto intorno a cui ruota il dibattito negli ultimi commenti mi sembra lo stesso e identico: esiste una giustizia “giusta” che le sentenze di tribunale soddisfano o negano.
    Ora, opporsi a queste sentenze è indispensabile; riportare la verità sui fatti del G8 è un dovere politico ed etico fondamentale; mostrare lo squilibrio clamoroso, l’ingiustizia profonda, e denunciare come i macellai di Genova siano stati destinatari di un trattamento di favore è fondamentale. Ma rimane un fatto: queste sentenze sono un prodotto del mondo in cui viviamo. Se “giustizia” non è stata fatta, è perché una simile giustizia *non è possibile* in un sistema funzionale al’esclusiva tutela delle prerogative e dei privilegi del più forte – e che il sistema sociale ed economico in cui viviamo sia un sistema di questo tipo ce lo dimostra la quotidiana attualità.

    Il Movimento Altermondialista ha cercato di scuoterlo, questo sistema. Non c’è riuscito. E le sentenze di questi giorni sono soltanto l’ennesima dimostrazione di quanto care costino simili sconfitte. Sia per gli individui che si trovano a pagarne le conseguenze loro malgrado; sia per le collettività che, con gli strascichi delle sconfitte, devono fare i conti per evitare che quel bisogno di cambiamento (oggi, secondo me, più forte e radicato di quanto non lo fosse 11 anni fa) svanisca nel nulla, nell’apatia, nella rassegnazione – o, peggio, sfoci nella barbarie.

    E’ da qui che bisogna ripartire. Io non penso che con l’esperienza di Genova si siano fatti i conti fino in fondo. Si sono discussi infiniti aspetti; ma su quale possa o debba essere la “morale profonda” di quella sconfitta mi sembra che ancora si fatichi a fare chiarezza.

    Da Genova ad oggi gli errori dei movimenti e delle forze della sinistra anticapitalista sono stati forse meno gravidi di conseguenze così drammaticamente “tangibili”. Ma qualcuno vorrà negare che non solo questi ultimi 10-11 anni, ma anche i 10-11 anni precedenti, sono stati anni di smarrimento, disorientamento, errori di strategia?

    Combattere per la giustizia, oggi, non può ridursi allo scandalo per la terribile ingiustizia di queste sentenze. Vuol dire combattere affinché le condizioni stesse di quella ingiustizia siano rimosse. Vuol dire tornare, una volta di più, sugli errori commessi, sulla valutazione delle strategie politiche, sull’opportunità o meno di ogni singola scelta tattica. Vuol dire mettere in discussione dogmi che sono stati dati troppo facilmente per acquisiti e definitivi. Vuol dire dotarsi degli strumenti più adatti per combattere questa battaglia fino in fondo.
    Su questo bisogna tornare a ragionare se si vuole davvero sperare di ristabilire una qualche parvenza di giustizia “giustizia”.

    Qualcuno diceva, sopra, che siamo in guerra. E’ vero, è innegabile. Questa guerra non siamo stati noi a dichiararla. E’ una guerra che ci viene dichiarata quotidianamente, e della quale, forse, siamo ancora troppo poco consapevoli.

    WM 4, probabilmente in un moto di comprensibile scoramento cosmico, evoca nel suo articolo una sorta di compensazione kharmica: “questo paese fa la fine che si merita”.
    Bene, io rispondo: COL CAZZO. I bollettini di guerra redatti in anticipo non mi sono mai piaciuti: la “fine” non è scolpita sulla pietra. E se anche lo fosse, vendere cara la pelle resterebbe in ogni caso una valida opzione.

    • @ Little Commie Craig

      Nessuno scoramento cosmico. Nessuna compensazione kharmica. Il fatto che l’Italia faccia la fine che si merita non è motivo di alcuna soddisfazione. E per altro la fine dell’Italia non equivale alla nostra fine.
      Il mio non voleva essere un messaggio sconfittista né apocalittico. Credo anzi che oltre a vendere cara la pelle sia necessario fomentare con ogni mezzo possibile la nuova marea che evocavo alla fine della mia riflessione (citando sboronamente T.E. Lawrence, pensa te).

      • Il montare della marea è frutto in larga parte di condizioni oggettive. Quando i buchi della cinghia sono finiti, non la puoi stringere ulteriormente; e persino lo schiavo più inconsapevole inizia a sentirsi soffocare quando la catena che lo tiene legato per il collo alla parete della sua cella viene accorciata oltre un certo limite.

        La pace sociale ha i mesi contati. Ed è probabile che l’accelerazione della marea ci coglierà tutti di sorpresa, quando questa diventerà incontenibile.

        In un modo o nell’altro, con tutte le possibili sfumature, siamo tutti parte di questa marea che condizioni oggettive sempre più inaccettabili spingono in modo inesorabile; e tutti, nella misura in cui percepiamo quanto intollerabili siano le condizioni che ci vengono imposte, contribuiamo (e contribuiremo) a fomentarla.

        Il problema sorge invece quando si pone la solita vecchia questione: basterà questa marea montante, spinta in modo “naturale” dal deterioramento delle nostre condizioni di vita, a produrre il cambiamento di cui sentiamo la necessità?

        E’ qui che dall’oggettivo si passa al soggettivo; che dall’analisi delle condizioni che spingono impietosamente la marea, si inizia a porre il problema di come incanalarla. In assenza di un fattore soggettivo adeguato, la marea rischia di infrangersi contro gli scogli un’altra volta, di produrre ulteriori sconfitte, di generare ulteriore sofferenza; ce lo insegna la storia, purtroppo, e il grosso problema è che tendiamo ad essere terribilmente sordi alle sue lezioni.

        Mi sembra che la fiducia nell’onnipotenza del “movimento”, dell’onda spontanea che tutto risolve e tutto ripulisce, non sia stata intaccata dalle sconfitte degli ultimi vent’anni, e questo fatto mi preoccupa, sia come lavoratore, come individuo membro di una società e di una classe, sia come attivista.

        E’ per questo che pongo con insistenza la questione del “fare politicamente i conti” con quello che è successo prima, dopo e durante Genova. Perché, pur nel mio brevissimo arco di militanza, ho avuto la netta impressione che molti degli errori di analisi e di strategia che hanno vanificato la forza delle precedenti “maree” siano ancora lì, e ancora producano frutti assai poco incoraggianti.

        Le sconfitte, anziché ricompattare sotto le insegne di una nuova (o, magari, “vecchia”…) sintesi collettiva, si sono lasciate dietro una lunga coda di scissioni, di particolarismi, di coazioni a ripetere che sinceramente mi preoccupano. Molto.

        Quando ho deciso di dedicarmi alla militanza, all’attivismo politico, non avevo neppure la più pallida idea di quanto importante fosse l’esistenza di un “fattore soggettivo” in grado di rispondere in modo adeguato e pronto alle sfide lanciate da questo momento storico. Ho dovuto sottopormi ad un “corso accelerato” di crudo realismo politico, se così si può dire.

        La narrazione collettiva di ciò che è stato è fondamentale, ma diventa un esercizio sterilmente fine a se stesso (perdonate la crudezza, compagn*), se non produce una nuova analisi, una nuova sintesi, una nuova strategia per ripartire. Senza questo sforzo, siamo condannati in modo inesorabile a subirne altre di sconfitte; ancora peggiori, ancora più pesanti. E neppure io parlo da pessimista, o da disilluso; mi limito a parlare da realista, da materialista; mi limito a sottolineare quella che secondo me non è un’opzione fra le tante, ma una *necessità ineludibile* che io, come penso molti altri, sento sulla viva pelle ogni maledetto giorno.

  28. Ciao
    questo è l’audio registrato oggi pomeriggio insieme a Wu Ming 4 http://bit.ly/Nn2S5F.
    Grazie ancora della chiacchiera.
    Un pensiero per Alberto, entrato stasera in carcere a Rebibbia.
    Libere tutti.

  29. Confusamente.
    Nel 2001 avevo 24 anni. Ero a Genova.
    Venivo da un paio di anni a Bologna dove si poteva toccare con mano un nichilismo dilagante fatto di eroina e spaccio, disillusione e disimpegno e da altri due anni a casa, a riprendere le redini della situazione. I mesi che precedettero quel luglio, per me furono importantissimi, proprio perché significavano si riprendere il controllo della mia vita, ma anche dare un senso a una quantità incredibili di input che si erano sedimentati, senza un apparente collegamento.
    A guardarla adesso, la “mia” vita, fino al 19 luglio, sembra quasi un percorso al contrario: il passare dalle macerie alla ricostruzione, senza una visione lucida di cosa fossero quei rottami di fine millennio.

    Di quei 4 giorni ricordo bene il disagio fisico, il terrore vivo, il rito collettivo ma anche la solitudine. Poi ricordo l’orrore, quando ti spurghi dell’adrenalina, la febbre alta e l’arsura. Quasi come se la malattia fisica riconducesse tutto ad un contesto più intimo, ad un delirio nebuloso.

    Mi chiedo: quelli che non hanno elaborato collettivamente Genova, hanno rimosso e scarnificato il ricordo di quei giorni come ho fatto io?
    Quanto pesante e impenetrabile è il sipario calato l’11 settembre su quell’estate e su un movimento mondiale così intensamente vissuto da militanti e da cani sciolti?
    Quanti di noi, dopo, sono riusciti ancora a guardare il presente e il futuro con la stessa lucidità?
    In quanti si sono appiattiti sulla facile e comoda dicotomia buoni vs cattivi, infettando ogni complessità? (no global vs black bloc, Berlusconi vs un qualsivoglia membro dell’opposizione, occidente vs islam, e via via discorrendo).

    La sentenza di ieri ci scaraventa, noi dimentichi o annebbiati, di fronte a quella profonda cesura tra il prima e il dopo, tra complessità e semplificazione e ci sentiamo di merda. Dove siamo stati tutto questo tempo? Io dove sono stata? Quanto è costato in termini di contributo d’intelletto la nostra assenza? Quanto in termini di coscienza (di classe)?

    Quella cicatrice che ha ricominciato a prudere (qualche anno fa), ed ora a sanguinare, in quanti sono disposti inciderla, a riaprire quella ferita profonda e guardare la carne, per scoprire se è ancora viva e recuperabile o se ci sono solo vermi e necrosi?

    La sentenza di ieri sancisce la vittoria clamorosa della proprietà privata sulla vita umana. E si è un macabro avvertimento, per tutti. (coscienti e incoscienti)
    Quanti di noi sono ancora disponibili a mettersi in gioco e ributtarsi nella mischia?
    Quanti a immaginare un nuovo schema tattico di gioco?
    Quanti invece sono ormai in via di decomposizione?

  30. Concordo con l’analisi di WM4 nell’intervista alla radio: stiamo tornando a livelli di sfruttamento ottocenteschi. Tutte le conquiste degli ultimi 150 anni sono andate in fumo e per riconquistarle ci vorranno lotte del calibro del 1848 o della Comune di Parigi. Perché il vero problema è che di fronte abbiamo le stesse truppe versagliesi che massacrarono i comunardi, niente di diverso.
    Il vero dilemma è: chi e quanti sono disposti a sostenere una lotta simile?

    PS non si dovrà lasciar solo chi entra o entrerà in carcere nei prossimi giorni…liber* tutt*!

  31. Nel luglio del 2001 avevo 25 anni e come molti altri ero anche io a Genova dietro gli scudi di via tolemaiche, con il casco bianco in testa, la inutile maschera antigas sul viso, le protezioni di bottiglie vuote sul petto e il numero di un avvocato in tasca. Volevo disobbedire, volevo essere li con tutto il mio dissenso e il mio rancore verso un mondo ingiusto in mano ad un manipolo di criminali che siedono sui più alti scranni dei governi mondiali. Volevo urlare la mia rabbia a quei criminali che considerano il mondo come il giardino di casa loro e le vite di miliardi di persone al pari degli insetti che lo popolano.
    E sono le stesse cose che ancora si agitano al fondo delle mie chiacchiere al bar con gli amici, o al caffè con i colleghi. La stessa rabbia.
    Nel frattempo, pero, ho un figlio di tre anni, un secondo in arrivo. E penso quindi a questi pochi COMPAGNI, che pagheranno per colpe ridicole.
    Che saranno strappati dalle loro vite.
    Che saranno allontanati dai loro figli, dai loro partner, dai loro genitori, dai loro amici, dai loro colleghi.
    E penso che io avrei potuto essere uno di loro.
    E mi chiedo cosa posso fare per loro.
    Concretamente. Direttamente. Personalmente.
    Cari wuming, non spegnete la luce su di loro, segnalate iniziative, fate circolare notizie. Perchè le conseguenze politiche e sociali di questa sentenza sono terribili. Quelle personali e private anche. Chiedo a voi di farlo perché non mi è facile trovare fonti altrettanto attendibili e serie di Giap.
    Grazie.

    • Quindi il fatto di aver “messo la testa a posto”, aver messo su famiglia può essere motivo per cancellare le responsabilità? Interessante. Lo dovrò raccontare agli amici mafiosi…
      E quelli che son stati strappati dalle loro vite in quei giorni, con il negozio devastato, o la macchina bruciata?
      Ah dimenticavo, quelli sono degli sporchi capitalisti, complici dell’ordine mondiale delle banche.

      • Potete anche evitare di rispondere a costui, il suo intento è più che palese. E’ già intervenuto Saint-Just.

  32. Perdonatemi refusi, accenti a cazzo e punteggiatura maltrattata, ho scritto di getto per necessità ed urgenza di farvi arrivare la mia richiesta.

  33. Pressapoco a me pare così, molto grossolanamente, molto per forza parzialmente:
    A genova2001 le hanno prese un po’ tutti. Tutto il popolo di genova le ha prese, alcuni ne hanno prese tantissime, alcuni sono riusciti a difendersi. Io per fortuna ho respirato solo tanto gas.
    A darle sono state le polizie/esercito -e uno ad uno i loro uomini- e non gli dispiaceva affatto farlo.
    Poi per anni si è continuato a discutere su violenza si-violenza no.
    E intanto il significato del termine noglobal e parallelalmente lo stesso movimento noglobal andava restringendosi: non era più JosèBove e Vandana e tutti quelli del mondo diverso possibile. I noglobal stavano diventando le (ex)TuteBianche, o Anarchici di vari tipi, o i Centrisociali… Ora i noglobal erano per definizione Violenti e implicitamente Giovani che in quanto giovani non capiscono una mazza e hanno torto.
    E vai di dissociazioni e critiche da parte di questo o quell’altro personaggio/gruppo con il quale fino a genova ci si sforzava di costruire sintonia. Eppure le hanno prese anche quelli con le mani pitturate di bianco e i rifcom, per dirne i primi due che mi vengono in mente.
    Questa della violenza/nonviolenza era una litania infinita: si rafforza un preconcetto e ogni occasione è buona per radicarlo ancora più a fondo e in largo.
    Provocazioni a cortei grandi e piccoli, e per i Giovani il casco da opportuno diventa obbligatorio. Ovviamente li si accusa di violenza, che se indossano dei dispositivi di sicurezza personale vuol dire che sono scesi in piazza apposta per fare gli scontri… è ovvio! Esagerando: Giovane+Casco=AnarchicoTravisato
    Mettici ogni tanto una triste busta con proiettile qua e là, allarmi per attentati, fantomatici anarcoinsurrezionalisti, nuove br, volantini di cellule per il comunismo, e spari veri… e vai col minestrone dell’Unità Nazionale per andare avanti (ma dove??) condito di Legalità ecc..
    Bè insomma.
    La sentenza sulla colpevolezza dei vertici di polizia afferma che effettivamente ci sono dei colpevoli, anche se solo di alcuni episodi precisi delle tregiornate. Ma si dai, prendiamo dei provvedimenti senza dimenticare che però erano (tutti) lì a fare il proprio dovere. Gli uomini migliori.
    La disparità di sanzionamento tra manifestanti e vertici a me parla di più cose:
    1) ribadisce il concetto artificiale del manifestante violento
    2) nei tribunali alla fine la polizia vince e la gente perde.
    3)dice ai movimenti “vi spacchiamo il culo”.
    4)dice”vi spacchiamo il culo” a chi vorrebbe mettersi in movimento.
    5)lascio stare il discorso degli oggetti e della proprietà che valgono più delle ossa rotte e della vita stessa.

    E’ uno shock sta sentenza, è debilitante.
    E’ una minaccia, e non è che non si concretizzerà.
    Non si può astrarre queste due sentenze sui fatti del G8 di GE dal quindicennio passato né dal futuro.
    Non riesco a vederla slegata da fatti slegati dal G8. Come le accuse di associazione a delinquere per gli occupanti di case di bologna e trieste, o i teoremi sul sud ribelle.

    Ecco, ora magari anche la valsusa notav attraverso il lavoro di comunicazione contribuisce a svelare questioni false come appunto violenza/noviolenza, o gli interessi privati spacciati per neccessità e progresso. Come premio i notav si prendono lacrimogeni in faccia, caccia all’uomo in paese, botte, pestaggi, sequestri “a campione” di cittadini in carcere da mesi in attesa di processo.
    Ora magari anche i referendum su acqua e nucleare hanno fatto chiarezza su come dovrebbe essere un mondo almeno un poco meno sbagliato. Come premio ne viene ignorato l’esito.

    Si che se mai mi si accuserà di reati allucinanti come questo, dopo la sentenza 10×100 personalmente alla difesa legale mi sa che preferirei la fuga in lapponia.

  34. Tanti colpevoli ma non processati o assolti strada facendo non solo hanno fatto carriera. Hanno anche ricevuto in omaggio anche la mountainbike con cambio shimano 18 rapporti, uno splendido tv color e il microonde con il libro di ricette.

    Don Gallo ha ragione a chiederla, ma la verità e giustizia per Carlo non si trova nei tribunali.

    ACAB

  35. Candidiamoli alle prossime elezioni. Non so se sia giuridicamente possibile, ma se lo è merita provarci: non c’è altro modo al momento di liberare gli ostaggi, fosse pure per un giorno. Nessun programma da portare in parlamento, solo la loro liberazione come vittime casuali di una rappresaglia. Può funzionare?

    • l’elettorato attivo viene sospeso per le condanne ai reati più gravi. quello passivo sono abbastanza certa sia sospeso per chiunque sia in galera.

  36. “Sono quelli che pensarono, ordinarono, diressero, e poi cercarono di giustificare con false prove, il massacro delle scuole Diaz, dove per puro caso non ci scappò il morto. Le pene a cui sono stati condannati costoro sono assai più lievi di quelle affibiate ai manifestanti per avere “devastato” e “saccheggiato”, cioè agito contro le cose.”
    Negli ultimi anni ho notato, come molti di voi, che i reati commessi contro il capitale sono sempre sanzionati in maniera sproporzionata rispetto a qualunque altro. Genova non è un’ eccezione. E’ anzi, a distanza di undici anni, un modo per riaffermare il principio base su cui si fonda questo sistema. L’applicazione teorica delle regole e delle leggi passa proprio attraverso questo punto cardine: l’importanza fondamentale di stabilire un ordine gerarchico fra le cose e le persone, perchè le cose contano più delle persone. Una volta che si è assorbito questo precetto, passa automaticamente il messaggio che le idee contano meno degli oggetti e che la difesa idealistica di un principio o di un diritto non giustifica l’uso della forza, neppure per la legittima difesa, dovremo quindi rimanere inermi e passivi sotto il rullo compressore prepotente di chi viola i nostri diritti.

  37. Oggi (domenica) a Rebibbia per salutare Alberto. H. 18, angolo via Majetti. Microfono aperto, #liberetutti #10×100 siamo tutte devastatori, riprendersi gli ostaggi.
    http://www.ondarossa.info/newsredazione/domenica-rebibbia-salutare-alberto

  38. Come molti di quelli che furono a Genova in quei giorni ho rifiutato l’abito mentale del reduce, anche se era evidente, da subito, che quanto era accaduto avrebbe segnato la vita e le scelte di una generazione e indicava con nettezza tutta la violenza che avremmo subito negli anni zero. Ricordo che passai i mesi, gli anni successivi a studiare. La passione per il reale di cui parla Badiou, che ha attraversato tutto il novecento, mi spingeva e mi spinge a cercare di cogliere le maschere, i vestiti sempre nuovi, sempre più laceri, che vengono gettati sopra l’oscena nudezzza dell’imperatore.
    Ora mi chiedo quali saranno le ricadute nell’azione, nella lotta per la sopravvivenza, di tutto quello studio. Ho sempre sentito la mia vita inserita ed aperta ad una storicità, a un processo in corso. Ho sempre perciò creduto di non essere solo e le mie scelte hanno cercato di rispettare quell’assunto. Sono attraversato da dubbi che riguardano la mia tenuta e la giustezza dei passaggi tattici, ma non nutro dubbi sul fatto che non voglio vivere su un pianeta dominato dai ricchi e che rovesciare il loro sistema di dominio e il tempo folle che hanno imposto al pianeta è un compito urgente, inevitabile.
    Torniamo a Genova.
    E’ chiaro che una sentenza simile destitiuisce la necessità di una maschera ideologica. La brutalità del comando che ci assoggetta, l’attività stolida e automatica della repressione e del controllo dei corpi non ha bisogno che di se stessa, ormai, per giustificarsi. Da parte nostra, occorre riconoscere che l’Italia, lo stato italiano, all’interno di una supposta storica arretratezza, sono l’avanguardia del divenire-mafia del capitale. La sentenza è una conferma, è tanto l’inizio di una nuova sequenza quanto il sigillo messo a un processo politico e culturale. La partita che si gioca è di importanza cruciale.
    Un’ultima considrazione. Se apro l’obiettivo, se cerco di cogliere con uno sguardo il senso degli ultimi decenni, allora vedo la sentenza è un episodio della guerra di lunga durata che vede i ricchi del pianeta cercare di chiudere una buona volta la partita contro ogni opzione egualitaria, e che dura con aperta violenza dall’inizo degli anni ’80 del XX secolo.
    Che la marea monti è necessario. Saranno tempi brutali e occorrerà rendersi forti, se vogliamo che salga nella direzione giusta.

  39. Génova 2001 y la sentencia 10×100: Horizontes de gloria (Wu Ming 4 traducido por Gorka Larrabeiti):
    http://www.rebelion.org/noticia.php?id=153054

  40. L’evidente “esemplarità” di questa sentenza, fatta sulla pelle di pochi capri espiatori (che non devono essere lasciati soli in alcun modo e per i quali andranno pensate delle iniziative) contiene un risvolto di palese debolezza di chi l’ha emessa e soprattuto di coloro che da questa sentenza vengono difesi.
    Nel 2001, quando tornammo da Genova, per gli ambienti meno politicizzati e più indifferenti alla vita civile e sociale del Paese, eravamo nel migliore dei casi degli “idealisti sfortunati”. A gente abituata a ragionare solo con la pancia non faceva presa il ragionamento sul WTO, la NATO, i brevetti, il 20% che mangiava sull’ 80% del mondo e così via. Tanto c’eravamo noi nel 20%…Infatti, nei mesi di assemblee e incontri pre-Genova avevamo fatto il pieno di militanti e attivisti di una certa sinistra, di una certa società civile impegnata, dei centri sociali, dei sindacati di base e della Fiom. Alla maggioranza dell’opinione pubblica di Seattle, Nizza, Porto Alegre non fregava niente.
    Quel movimento fu stroncato perché diceva cose radicali che “oggettivamente” potevano diventare di interesse pubblico e capaci di attrarre molti consensi.
    Oggi fa un certo effetto rivedere nelle foto di Genova il bus della campagna “Drop the Debt”. Nel 2001 erano i paesi poveri ad essere soffocati dal debito, oggi il debito lo usano per soffocare noi (che ora per citare OWS siamo nel 99%). Un piccolo esempio che ci fa capire come un movimento almeno anti-liberista è già nelle cose maggioritario. La debolezza delle oligarchie capitaliste che ci governano sta qui.
    Ma allora, come dicevano alcuni commenti precedenti, come fare a rendere efficace la prossima nuova “marea”? Ho veramente poche risposte ma anche a me pare fondamentale ragionare sull’organizzazione, sulla “soggettività”, altrimenti vedo il rischio del ripetersi di un film già visto molte volte.

  41. Concordo , la sentenza è un avvertimento e messa in fila con quella per Aldrovandi il messaggio è chiaro. Ci sono molte analogie fra ciò che è accaduto a Genova e questi mesi, questi anni senza orizzonte. Lì, con le spalle al muro, masse compresse, impreparate e senza via di scampo hanno reagito con violenza per portare a casa la pelle. Queste sentenze hanno lo stesso effetto, tolgono possibili vie di fuga, restringono gli spazi, alzano il livello dello scontro. E peggio di allora, non ci sono partiti, sindacati o servizi d’ordine in grado di contenere e indirizzare la violenza.

  42. Segnalo anche questo pezzo di Benedetto Vecchi del Manifesto, uscito ora su Uninomade: http://uninomade.org/la-lezione-di-genova/

  43. […] Quanto disprezzo per l’umanità, quanta sete di vendetta di classe, quanta voglia di rappresaglia c’è dentro quell’espressione da film poliziesco di infimo ordine: “scattano le manette“. Alla fine è arrivata. Le raccolte firme, le foto di artisti vari e testimonial non sono servite. C’era da aspettarselo. Nonostante tutto si cerca sempre un brandello di speranza a cui aggrapparsi. “No-global”, “black bloc”, sono parole vuote che i media imposero al movimento di quegl’anni. […]

  44. Segnalo un breve articolo del “Fatto”. Focalizza molto bene ed in maniera chiara alcuni aspetti delle sentenze emesse recentemente.
    http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/07/15/294630/294630/

    • Lidia Ravera non dice niente di che, giusto un paio di verità di base, ma è sufficiente per scatenare nei commenti la canea dei lettori forcaiol-qualunquisti del “Fatto”, allevati a pane e tintinnar di manette.
      Lo diciamo da anni che il peggior prodotto dell’immondo berlusconismo è stato l’obnubilato antiberlusconismo: si è andati avanti per anni con la solfa che il problema era Lui e solo Lui. Mentre passava senza discussione né consenso una “costituzione” dell’UE dai contenuti agghiaccianti, noi ci indignavamo per il cucù di Berlusconi alla Merkel. Mentre scoppiava la crisi euroatlantica noi guardavamo all’italico ombelico (e pure a qualche paio di tette). Mentre la Trojka cominciava a strangolare le economie degli stati in fondo alla catena del debito, noi ci concentravamo sul teatrino dei guitti sotto casa, BerlusconiBerlusconiBerlusconi… “Hai visto Travaglio come gliele ha cantate?” Intanto umori forcaioli, acriticamente legalitari, “magistratolatrici” suppuravano nelle ferite italiane. Si trasformavano in eroi senza macchia personaggi che avevano il solo “merito” di rappresentare blocchi di potere diversi da quello di Berlusconi.
      Poi, quando i padroni, la Trojka e Napolitano (un altro che gode di un consenso del tutto privo di basi, da decenni uomo di ogni blocco d’ordine) hanno cacciato Berlusconi perché si faceva i cazzi suoi anziché difendere gli interessi del sistema, in Italia che si è fatto? Si è festeggiato in piazza l’arrivo di Monti, ah, finalmente uno serio! Finalmente uno normale! E a chiunque osava fiatare, giù randellate virtuali. Tutti a tessere lodi preventive e firmare cambiali in bianco, foderandosi le orecchie se qualcuno faceva notare che Monti non veniva dal nulla, veniva da Goldman Sachs, dalla Trilateral Commission, dalla Bocconi, era un fanatico dei tagli e delle svendite di beni pubblici, era l’uomo incaricato di compiere il massacro sociale mai riuscito a nessun governo di centrodestra… e lo sta compiendo, lui e questa “Grossolane Koalition” che più si finge instabile e più colpisce a ranghi serrati, triturando esistenze, firmando con noncuranza sentenze di condanna alla marginalità, all’inedia, alla morte. Ma il problema era Berlusconi, non il capitalismo.
      Impossibile quantificare i danni fatti da certi opinion-maker, certi giornalisti e certi giornali, per non dire di certi sedicenti movimenti “colorados”. E’ colpa loro se tanta gente è entrata nel macello ignara di quel che l’attendeva. E’ colpa del loro pluriennale stornamento dell’attenzione se tanti hanno tenuti la guardia bassa e al primo cazzotto sono caduti dalle nuvole. Alcuni ci hanno provato, a raddrizzare un po’ la barra, ma tardi e con poca convinzione, e le loro colpe rimangono. Hanno presentato l’uscita di scena del Berlusca come una catarsi, una palingenesi, un orgasmo, e hanno sabotato la conflittualità di cui avremmo avuto bisogno. Siamo seri: chi è in grado di fare a botte subito dopo aver eiaculato?!
      Adesso che Berlusconi ridiscende in campo, in molti ci riproveranno a fare il giochino, a focalizzare tutto su di lui. Lo farà il PD, che potrà giustificare il proprio madornale schifo dicendo che Berlusconi fa ancora più schifo. Lo farà chi, in questa fase “tecnica”, aveva perso smalto polemico e gusto della battuta (perché non c’è un cazzo da ridere).
      Speriamo che stavolta il giochino non funzioni.

      • Condivido. Ho postato il link perchè non mi aspettavo di trovare quelle “verità di base”. Mi aspettavo, da un giornale forcaiolo, che dicessero che hanno fatto bene a condannare quei dieci mostrando disaccordo solo per l’eccessiva pesantezza della pena.
        Per il resto volevo commentare l’articolo della Ravera sul sito del “Fatto”, ma quando ho visto i commenti mi è passata la voglia.

        • Il sito del “Fatto” ospita i blog più disparati, non tutti condividono l’impostazione del giornale. Per dire, ha un blog sul “Fatto” anche Salvatore Cannavò. Ma i lettori del sito, e soprattutto i lettori che commentano, sono in maggioranza golem plasmati dal travaglismo, dal dipietrismo, dal grillismo, istruiti per sbraitare “In galera!”, “Abbasso la casta!”, quella roba lì. Più in là non vanno.

      • In questi giorni infatti “la gente” insegue cose come questa http://bit.ly/Mcc77r Oggi nell’amministrazione di lavoro in moltissimi, e già altri nei giorni scorsi (lo abbiamo sentito al telegiornale, dove si firma?) provenienti da tutte le classi, si sono presentati per firmare (e non abbiamo neppure i moduli per farlo, e quando glielo si fa notare si viene presi per difensori della “casta”). Il danno a cui riparare (l’assenza totale di consapevolezza) è enorme. Se il problema della classe politica attuale è la diaria che percepisce (50 milioni di euro all’anno tra tutti) e non le scelte politiche che agisce (tagli alla spesa pubblica per decine di miliardi e svendita dei beni comuni), se tutto è un’azienda e loro sono soltanto “i nostri dipendenti”, temo che quando la marea monterà sarà nera di pece. Ci auto-massacreremo.

  45. @whip Bellissimo l’articolo su cavallette

    Mi interessa l’articolo del blog del Fatto segnalato da Coco. Avete visto i commenti?
    Nella mia vita quotidiana incontro persone che avrebbero potuto scrivere quei commenti. Una valanga di “il black bloc ha distrutto la macchina dell’operaio pagata a rate/il negozietto”, “il black bloc impedisce la altrui manifestazione del dissenso”. Gente che definisce i due ragazzi per ora latitanti “topi di fogna”.
    Attorno a me non vedo un “movimento anti-liberista già nelle cose maggioritario”, ne un 99%.
    Vedo gente che si incazza con chi pretende di difenderli o informarli.
    Di gente come @passaggiditempo ce n’è parecchia, quello che mi chiedo è se è giusto fare i conti senza di loro.

    • Sono anni che facciamo i conti quasi esclusivamente *con* loro. La loro voce è l’unica che si è sentita nei media, in modo assordante. Hanno migliaia di spazi sul web (appunto, anche sul “Fatto”) dove dire che giustizia è fatta, chi la fa l’aspetti, chi tocca muore, ben gli sta etc. La loro è l’ideologia vincente e dominante. Ma se pretendono di stravincere, di invadere tutti gli spazi, noi gli diciamo una cosa semplice: qui no. In questo spazio non puoi venire a irridere a colpi di frusti clichés (“mettere la testa a posto”) e falsità evidenti (“figli di papà”) compagni che pagano per tutti, umiliati da una “giustizia” cieca. Qui non puoi venire a insultare, a provocare, mancando di rispetto verso tutti quelli che stanno elaborando il trauma, lo shock. Hanno il 90% del web italiano dove scorrazzare coi loro simili, caricandosi la molla a vicenda, e in fondo Carlo Giuliani aveva in mano un estintore, sì forse la polizia alla Diaz ha esagerato ma quelli a mio zio orefice gli hanno rotto la vetrina etc. Vadano a sfogare i loro conati altrove. Su Giap, no.

    • E la cosa più triste di questi forcaioli di commentatori è che nonostante utilizzino la rete non fanno evidentemente delle ricerche per informarsi meglio, non sono interessati ad altri punti di vista. O forse non ci arrivano a pensarlo.
      Pensa che sulla questione della crisi greca ho letto un commento del tipo: “Quei pagliacci dei politici greci chi li ha eletti? Gli alieni? Sono cavoli dei Greci se hanno eletto politici che regalano soldi alle figlie zitelle degli ufficiali militari…”.

  46. Quando avvennero i fatti di Genova ero ancora un ragazzetto, tutte le notizie mi arrivavano attraverso i telegiornali (quando li vedevo) e ovviamente non ci avevo capito un cazzo.
    Col passare degli anni ho acquisito consapevolezza, mi son tolto di dosso gran parte delle scorie e ho guardato nell’abisso, anche grazie ad amicizie illuminanti. Mi sono informato, ho anche informato a mia volta tentando di diffondere quello che sapevo, nel mio piccolo, a gente che non ha ben sentore di ciò che è successo quel giorno. Più di ogni cosa mi sono incazzato, forse perché ciò che è avvenuto quei giorni lo sento come un emblema di una situazione non richiesta, subita. Forse è anche una sensazione di colpevolezza perché, a meno che si voglia considerare attenuante l’età puberale (cosa che personalmente non riesco a fare), ho reagito con indifferenza.
    Ciò che mi resta ora è rabbia e voglia di rivalsa. Spero di riuscire ad incanalarle in qualcosa di efficace e di non disperderle in calore.

  47. Lo scrivo subito a scanso di equivoci: non ero a Genova nel 2001. Ero a Napoli nel marzo di quell’anno, durante l’ “assaggio” di ciò che sarebbe accaduto dopo, a luglio. A Genova non ci sono voluta andare e ho cercato in tutti i modi di dissuadere chi voleva andarci e di distruggere tutta quella ingenuità che leggevo negli occhi di chi si preparava alla partenza. Sapevo già cosa sarebbe accaduto e in tutti questi anni ho continuato a covare rabbia per tutti quei leader di movimento che sapevano benissimo quanto me a cosa si stava andando incontro. Ero certa che i poliziotti avrebbero ucciso qualcuno, che l’avrebbero fatta pagare cara per “averle prese” a Napoli. Ero sicura che molti di quei leader e buona parte della cosiddetta società civile avrebbe tentato in tutti i modi di creare una frattura tra “violenti” e “pacifisti”, così com’è avvenuto. Non mi sono mai pentita di non essere andata a Genova, non mi faccio sensi di colpa né per la mia assenza né per la sfiducia che avevo nei confronti di chi fomentava (ingenuamente o meno) giovani e meno giovani a partecipare e protestare pacificamente con cortei e iniziative varie. Forse già a quell’epoca era già in nuce il pensiero che le “richieste” non sarebbero servite a nulla, che l’unico modo per abbattere il capitalismo passava per l’abbattimento delle istituzioni.
    Violento, nonviolento, quel che è.
    La battaglia di marzo 2001 a Napoli mi ha solo confermato che lo Stato non scende a compromessi di nessun tipo quando si tratta di proteggere la robba, la sua funzione principale è esattamente quella.
    Eppure, nonostante quello che in molti sapevano, in tanti continuavano ad urlare proclami antiglobalizzazione con le adidas ai piedi, sperando in un “aggiustamento”, in una conciliazione con lo Stato-Nazione, in un capitalismo buono, in un dialogo pacifico e prolifico con le istituzioni, le stesse che davanti ai miei occhi, in mezzo ai gas, hanno massacrato perfino una scolaresca delle medie in gita al Maschio Angioino.
    Credo che la maggior parte delle persone sia andata a Genova con intenzioni poco rivoluzionarie e molto accomodanti, con poca voglia di menare le mani e tanta di cambiare il mondo parlando, dialogando con gli aguzzini.
    Poi a Genova si è visto quello che io avevo visto in precedenza, si è capito che cosa è in realtà quella parte con cui si voleva cercare un accordo: il tuo nemico.
    Lo stesso nemico che emette sentenze come quelle di questi giorni, lo stesso nemico che fa ostaggi, minaccia movimenti, reprime per tutelare la proprietà privata (ma non la vita).
    Solidarietà a chi si trova in carcere ostaggio dello Stato, solidarietà a tutte le persone che subiscono ingiusta repressione, a chi è stato a Genova nel 2001 e non ha mosso un dito e anche a chi ha mosso il dito, la mano e pure il braccio.
    Chiedo scusa a voi e ai commentatori, so che il mio punto di vista non è molto “in linea” col resto dei commenti. Forse prima lo era, ora non più.

    • Non so se c’è una “linea” del resto dei commenti. Di sicuro, sulla questione del non andare a Genova e sull’incoscienza dei “leader di movimento” – cosa che, ahinoi, ci riguarda brutalmente – sei piuttosto in linea con la nostra autocritica di tre anni fa (quindi tardiva):
      http://www.wumingfoundation.com/italiano/Giap/giap6_IXa.htm

      • Ho letto l’autocritica diverse volte, in diversi momenti, e tutte le volte mi ha trasmesso un messaggio diverso, a seconda del contesto in cui la leggevo e della tangente che tendevano a prendere i miei pensieri nel particolare momento.

        Rileggendola di nuovo stamattina, a distanza di parecchi mesi dall’ultima volta, mi sono trovato in disaccordo su un punto essenziale: la prospettiva narrativa, “mitologica” è davvero, oggi, la migliore chiave di lettura per capire gli errori commessi a Genova e per impostare una prassi politica che miri ad evitare gli errori, pratici e teorici, del recente passato?

        Attenzione, WM, che non parlo dei “vostri” errori… d’altronde, sarebbe una prospettiva un po’ miope; *pubblicare* un’autocritica non avrebbe avuto alcun senso, per voi, se non fosse stato per il ruolo *pubblico* che avete assunto all’epoca; e questo ruolo sarebbe stato impossibile se il contesto non avesse prodotto per proprio conto le condizioni favorevoli affinché qualcuno svolgesse quel ruolo. Quindi il “vostro” errore, sul quale fate autocritica, è stato in realtà un errore *collettivo*; il presunto errore soggettivo è stato frutto di condizioni oggettive che l’hanno abbondantemente propiziato. E’ di queste condizioni che si deve discutere, non delle loro declinazioni soggettive.

        Ora, mi sembra evidente che nel testo dell’autocritica viene messa in discussione la *modalità* con cui all’epoca ci si approcciò al “materiale mitologico”, e non il fatto stesso di fondare la lotta politica su una forma d’azione “mitopoietica”. Questo lavoro mitopoietico, mi pare, continua ad essere assunto, nel testo, come elemento fondamentale della lotta politica nella nostra epoca; l’autocritica in effetti si scaglia contro la tecnicizzazione del mito e contro la metafora dell’assedio, ma resta a tutti gli effetti dentro il frame della mitopioesi e dell’approccio “narrativo” come strumento imprescindibile.

        Ora, proprio perché si cerca di ragionare su un piano di oggettività, i limiti di un’analisi (o di un’autocritica) non sono possono essere imputati come “colpa” a chi formula l’analisi. Il punto di vista di chi formula l’analisi va sempre tenuto in considerazione: i WM sono scrittori, saggisti, lavoratori dell’industria culturale, e parlano, com’è giusto che sia, con le categorie del loro mestiere. Il loro linguaggio non è il linguaggio della militanza diretta o dell’intellettuale “organico”; per passare da un piano all’altro è quindi necessaria una “traduzione”…

        Proprio per questo, è *responsabilità* di chi legge analisi e (auto)critiche e le assume come guida o ispirazione dell’azione politica esaminare a fondo quelle analisi, valutarne attentamente l’impatto e le conseguenze nella pratica, imparare da eventuali errori legati al fatto di prendere certe assunzioni troppo alla lettera.

        L’approccio “culturale”, “rappresentativo”, “dimostrativo” all’azione politica, così evidente nelle proteste del movimento altermondialista, è ancora oggi dominante in molti ambiti di movimento. L’attenzione di WM alla questione “mitologica” mi sembra un tentativo di articolazione sistematica di un “sentire comune” che permea molte forme di attivismo e militanza.

        Mi chiedo se, nell’ambito di una riflessione sulle sconfitte degli ultimi vent’anni, non sia arrivato il momento di mettere radicalmente in discussione questo paradigma “narrativo”, e di sviluppare altre forme di analisi e rappresentazione del conflitto, oppure di recuperarne alcune che sembravano essere state condannate definitivamente alla soffitta.

        Lo stesso valga per il paradigma “moltitudinario-imperiale” che tanta parte ha avuto nel plasmare la coscienza di quanti hanno fatto militanza nell’ultimo decennio. Lo sviluppo recente della crisi non tende a ridimensionare abbondantemente il presunto carattere di assoluta eccezionalità del capitalismo postfordista? Non mette in discussione i due assunti basilari di quel paradigma – l’emergere di una “nuova” forma di sovranità e la sostituzione della produzione classica con la produzione “biopolitica” legata all’esplosione del lavoro immateriale? Non rende nuovamente attuale – come gli stessi WM hanno notato in diversi loro interventi – la questione della *rivoluzione*?

        Porre questioni del genere in un frangente come questo può suonare forse un po’ stonato. La notizia delle sentenze di condanna brucia sulla pelle di tutti, e probabilmente è difficile affrontare certi nodi con la giusta lucidità. Però mi sembra che in molti abbiano sollevato la questione: e adesso? Come andiamo avanti, ora che sappiamo una volta per tutte che lo “stato di diritto”, in una fase di crisi e di rottura della pace sociale, mostra il suo peggiore volto repressivo? Come evitiamo gli errori del passato? Da dove ripartiamo per riuscire quanto meno a “giocarcela” senza essere spazzati via come birilli, senza vedere le speranze di cambiamento di milioni di persone deluse per l’ennesima volta?

        Analisi e pratica si implicano, si nutrono e si fertilizzano vicendevolmente. Senza un significativo superamento degli errori di analisi che hanno determinato gli errori pratici (tattici e strategici) di questi ultimi 20 anni, secondo me, non c’è speranza di uscire dalla spirale, dal vortice della “sconfitta storica” delle istanze anticapitaliste.

        • Mi sa che non attacca… Almeno non con noi narratori. Il rischio del ragionamento che fai è evocare una contrapposizione tra organizzazione delle lotte su solida base materialistica, o teorico-scientifica, da un lato e aleatorietà della narrazione dall’altro. Sarebbe una forzatura ideologica. Ogni movimento di lotta si è nutrito di analisi e di racconti, di scienza e di poesia. Ergo non è giusto individuare l’uno o l’altro aspetto come un ostacolo. Caso mai bisognerebbe chiedersi come è possibile farli riverberare, senza fare danni, cioè senza tecnicizzazioni. Comunque non è l’eccesso di fiducia nelle narrazioni che produce necessariamente la carenza di analisi efficaci. Basti dire che agire politicamente implica agire comunicativamente, e la comunicazione – a qualunque livello – è una forma narrativa, se non altro perché dice qualcosa di chi parla, di chi propone, racconta la sua idea del mondo, la sua esperienza, etc. Quindi senza narrazione non si fa politica.
          Un conto è realizzare d’avere sopravvalutato il ruolo della mitopoiesi strictu sensu, ovvero in una sua accezione demiurgica, come abbiamo fatto , un altro dire che la mitopoiesi in fondo serve a poco e a conti fatti è più un ostacolo che un aiuto alle lotte.
          Per quel poco di storia che ho studiato, io non ci credo.

        • Neppure io ci credo! E infatti non critico il ricorso tout-court alla comunicazione efficace e alle narrazioni (sarebbe da imbecilli), ma l’adozione di un *paradigma* che tende diciamo ad identificare l’azione politica con l’azione comunicativa, narrativa, dimostrativa, mitopoietica – o che, quanto meno, riserva un “posto d’onore” a queste forme, leggendo in esse uno strumento privilegiato per avviare il cambiamento e conquistare le coscienze.

          Questa concezione dell’azione politica ha le sue radici in un contesto ben preciso, segnato dal costituirsi di nuove “egemonie culturali” nel discorso anticapitalista a cavallo di millennio. Il paradigma “moltitudinario” ha giocato un ruolo fondamentale in tutto questo; e lo ha fatto a partire da presupposti, a mio avviso, completamente fallaci.

          Non è il luogo e non è il momento per discutere i limiti di quel paradigma. Quello che volevo sottolineare è il fatto che il successo di una particolare pratica, il suo diventare egemonica, non dipende dalla pratica in sé ma dal contesto generale in cui assume un ruolo dominante, dalle interazioni con condizioni oggettive ed evoluzioni (o involuzioni, o regressioni) teoriche che favoriscono questo processo.

          Non si tratta quindi di negare tout-court l’utilità di pratiche particolari; si tratta semmai di metterne in discussione l’egemonia. E mettere in discussione l’egemonia di queste pratiche vuol dire, secondo me, in questa fase, mettere radicalmente in discussione l’egemonia di un intera concezione del fare politica in ambito anticapitalista. Concezione che, secondo me, sta contribuendo ad indebolire – anziché a rafforzare – la capacità di risposta delle forze anticapitaliste alle sfide enormi lanciate da presente.

        • Guarda che questo è un tipico caso di “miopia cronologica”, in cui viene scambiato per tendenza recente un andamento di lungo o addirittura lunghissimo corso. Il “posto d’onore” a letteratura, racconto, mitopoiesi lo assegnano Marx, Gramsci, Trotsky.
          Scusa, quali sarebbero i precedenti paradigmi “non narrativi”? La riflessione su narrazione, egemonia, mitopoiesi si inserisce nel solco più classico della lotta di classe organizzata e della scienza della rivoluzione. Molto tempo prima che le neuroscienze – in particolare la linguistica cognitiva – dimostrassero che tutto il pensiero umano avviene entro schemi metaforici e narrativi, e tutto il nostro linguaggio è basato sul racconto, Marx (sia il “giovane” sia il “maturo”, la cesura tra i due è un’invenzione di Althusser), il Gramsci dei Quaderni e il Trotsky di Letteratura e rivoluzione (e del carteggio con Gramsci) dicevano, ciascuno coi propri termini, che la rivoluzione è racconto della rivoluzione che conquista egemonia fino a diventare forza materiale. La famosa teoria che, nelle parole di Marx, diventa forza materiale “parlando ad hominem” cos’è se non mythos che getta luce nel modo più ispirante ed efficace sulla realtà sociale vissuta dagli sfruttati?

          In nessuna fase della lotta di classe si è combattuto senza assegnare il “posto d’onore” di cui sopra (basti vedere l’uso di Spartaco da parte del movimento rivoluzionario tedesco).

          Da allora, però, si è scoperto che il processo è ambiguo e pieno di aporie, soggetto a manipolazioni di ogni sorta, suggestioni, “doppi vincoli”, con attivazione di automatismi etc. Insomma, in mezzo c’è stata la scoperta della sfera inconscia, e del fatto che la grande maggioranza dei nostri pensieri ha luogo in quella sfera. Per questo la mitopoiesi è spesso eterogenesi dei fini, perché alle prese con la mente altrui siamo tutti apprendisti stregoni, tecnicizzatori nostro malgrado. Questo è il nocciolo della nostra autocritica, nonché il cuore concettuale del romanzo sulla rivoluzione francese che stiamo scrivendo. Bisogna studiare meglio il funzionamento di quella che Furio Jesi chiamava la “macchina mitologica”. E a proposito di Jesi, ricordo che al centro della sua riflessione c’era proprio la rivolta spartachista del 1919.

          Ok, ci vuole l’organizzazione. Ma non è possibile nessuna organizzazione se non convinci le persone che organizzati è meglio che disorganizzati, e questo convincimento si nutre di esempi, contagi, precedenti, memoria storica. In sostanza: è il racconto dell’organizzarsi che conquista egemonia.

          Ho il sospetto che, per parafrasare un’espressione cinese, tu stia “parlando col gallo per colpire la scimmia”, ovvero: quando parli di “narrazione” e “racconto”, ti riferisci all’uso di questi termini fatto da una certa sinistra postmoderna fuori tempo massimo, che straparla di narrazione per coprire tentennamenti e vuoti progettuali. Se si tratta di questo, siamo d’accordo con te, al punto di aver deciso – poco più di un anno fa – di limitare al minimo l’uso del termine “narrazione”. Su Giap, ormai, lo usiamo quasi solo all’interno dell’espressione “narrazione tossica”.

        • Ma guarda che il mio scopo non era quello di esibire un disaccordo nei *vostri* confronti. Come ho detto sin dall’inizio, penso che l’enfasi che ponete sugli aspetti narrativi e mitopoietici sia la conseguenza naturale e comprensibile del vostro essere scrittori, saggisti, cantastorie, narratori, lavoratori dell’industria culturale.

          Dal punto di vista dello storico o dello studioso è essenziale, oggi, considerare e analizzare il ruolo della dimensione narrativa e rappresentativa nella storia; e dal punto di vista dell’attivista è indispensabile comprenderne l’importanza.

          Detto questo, ribadisco il punto (sul quale probabilmente ci troviamo d’accordo, anche se non è l’accordo con voi il mio problema! :-). C’è un intero paradigma teorico-pratico che ha reso egemonica la dimensione rappresentativa e narrativa *a scapito* degli altri fattori; e, di questo paradigma, la centralità esclusiva attribuita a quella dimensione è solo uno dei tanti aspetti! Che gli altri fattori oggi debbano essere ribaditi come *strategici*, dipende principalmente dal fatto che sono stati per molto tempo cacciati in soffitta, condannati come vecchiume, come ubbie da “vetero”.

          La vostra autocritica – e anche questo l’ho voluto precisare – è semplicemente uno spunto, un punto di partenza per esaminare un contesto generale, delle condizioni oggettive, segnate in negativo da determinate egemonie. E siccome l’onda lunga, la “storia degli effetti” di queste egemonie va ben al di là delle deformazioni provocate nelle énclave di quella “certa sinistra postmoderna fuori tempo massimo” di cui parli, secondo me è arrivato il momento di passare al contrattacco, a partire dall’analisi.

          Le conseguenze della sconfitta di Genova, e le sfide che queste pongono ai militanti per l’immediato futuro, sono secondo me solo uno fra i tanti sintomi del fallimento storico dell’egemonia del paradigma moltitudinario. Fra questi sintomi si potrebbero citare, tanto per fare due esempi fra loro collegati, il successo del M5S e la crisi stabile dei partiti a sinistra del centrosinistra.

          E non si tratta di “vendicare” l’ortodossia, di negare l’importanza dei fattori “sovrastrutturali”, di prendersi rivincite di cazzetto o di trovare l’ennesimo palcoscenico in cui sfoggiare atteggiamenti settari. Proprio per niente. Si tratta di capire cosa può aiutarci ad uscire dalle secche, sia teoriche sia pratiche, in cui la sinistra anticapitalista si è trovata bloccata in questi ultimi vent’anni. E, in questa fase, è una questione davvero di vita o di morte.

        • Diciamo, per farla breve, che la differenza sta tutta fra un uso *pratico* delle strategie narrative, comunicative e mitopoietiche, orientato alla realizzazione di fini “esterni” alle pratiche comunicative in sé (un programma rivoluzionario di classe, ad esempio), e un suo uso *ideologico*, in cui le finalità dell’azione politica e quelle della comunicazione vengono a coincidere perché… il soggetto dell’una si identifica con il soggetto dell’altra; tradotto, e riportato al caso estremo: i nuovi veri rivoluzionari sono i lavoratori cognitivi che trasformano la loro padronanza del mezzo comunicativo in strumento rivoluzionario “in sé”, in mezzo di auto-emancipazione dallo sfruttamento del capitalismo post-fordista nei confronti del “general intellect” di cui sono depositari.

          La mia critica è rivolta evidentemente al secondo, e si collega alla critica del paradigma moltitudinario perché mi sembra che in questo paradigma l’aspetto rappresentativo sia davvero diventato un ingrediente con una precisa funzione ideologica (e precisamente nel senso *marxista* del termine…)! E penso anche che, a dispetto dell’anacronismo di questa visione del mondo, le sue conseguenze vadano molto al di là dell’incidenza che hanno avuto sulle soggettività che ne hanno fatto esplicitamente la loro bandiera.

  48. Volevo dare una sterzata ad i commenti con un pò di cose pratiche da fare nell’immediato. Nel presente, a partire già da domani.

    Prima di tutto non lasciamo soli Marina ed Alberto. Scriviamo loro, facciamo loro sentire questo affetto, la solidarietà, diamogli forza.

    Questi sono gli indirizzi.

    Marina Cugnaschi
    c/o Casa Circondariale San Vittore
    Piazza Filangieri 2
    20123 Milano

    Per Fagiolino
    Alberto Funaro
    c/o Casa circondariale di Rebibbia
    Via Raffaele Majetti 70
    00156 Roma

    Io stavo pensando di raccogliere tutti i link con relativi commenti, di post come questo e tutte le mail che mi sono arrivate in queste 48h che esprimono sgomento, rabbia e tristezza. Se sarà necessario aprirò anche un indirizzo di posta elettronica.

    Inoltre volevo ricordare che la punizione nei loro confronti non finisce con la detenzione. Devono pagare anche decine di migliaia di euro per spese processuali. Fate iniziative, mettiamoci le mani in tasca, contattiamo la campagna 10×100 o Radio Onda Rossa, ma facciamo qualcosa. E’ il nostro processo. Potevi esserci tu, potevo esserci io. Come capri espiatori ci sono Alberto e Marina, un nostro fratello e una nostra sorella.

    Un’altra proposta concreta. Chi conosce lingue differenti dall’italiano, traduca il traducibile, fatti ed analisi. Andiamo oltre i confini, diffondiamo ciò che è avvenuto, creiamo alleanze.

    Sto nominando solo Marina ed Alberto perché spero VIVAMENTE che Francesco e Vincenzo riescano a correre più veloce, a non voltarsi e a raggiungere la loro agognata libertà.

    • Corri forte ragazzo, corri
      la gente dice sei stato tu
      ombre bianche, vecchi poteri
      il mondo compran senza pudore
      vecchie immagini, santi stupidi
      tutto lascian così com’è
      guarda avanti non ci pensare
      la storia viaggia insieme a te

      Corri forte ragazzo corri
      la gente dice sei stato tu
      prendi tutto non ti fermare
      il fuoco brucia la tua virtù
      alza il pugno senza tremare
      guarda in viso la tua realtà
      guarda avanti non ci pensare
      la storia viaggia insieme a te

      Impara a leggere le cose intorno a te
      finché non se ne scoprirà la realtà
      districar le regole che
      non ci funzionan più per spezzar
      poi tutto ciò con radicalità.

    • Siamo a disposizione della campagna 10×100 e di Radio Onda Rossa, se i compagni pensano che possa servire. Se in autunno organizzate una giornata, una due-giorni di musica e parole, qualcosa per tirare su fondi, noi possiamo venire a fare un reading o quel che credete sia meglio.

      [Non è proprio facile per noi, già l’intervento di WM4 a ROR è venuto dopo un nostro diniego iniziale, non siamo voluti intervenire telefonicamente al presidio della vigilia. Finché discutiamo su Giap – a “casa nostra” – è un conto, ma non ci sentiamo di presenziare alle iniziative di movimento su Genova. Prima e durante il G8 dicemmo e facemmo talmente tante cazzate, che per non sembrare grilli parlanti (rischiando pure i pesci in faccia) dovremo sempre mostrare più ritegno del necessario. Però qui si tratta non di opinionismo, ma di solidarietà concreta a compagn* in carne e ossa, incaprettat* come lugubre avvertimento a chiunque abbia idee pericolose in giro per la testa.]

      • Grazie mille. Lo dico a nome di chi da anni cerca di non abbassare la guardia (evidentemente con risultati modesti :()
        Chi di noi ha dato vita negli anni a Supporto Legale e a 10×100 sta iniziando a ragionare su cosa e come fare per una seria cassa di solidarietà.
        Non sarà una cosa breve, né facile, ma è necessario che ce ne si faccia carico collettivamente. Perché Genova non erano 10 persone, e non devono rimanere sole.

      • Grazie Wu Ming. Di cazzate ne abbiamo fatte tante e tutt*, ma almeno c’è ancora chi come voi riesce ancora a mettersi in gioco e a fare autocritica, a stimolare una riflessione e a prenderne parte, con la testa e con il cuore.

    • @Mohole

      Complimenti per l’atteggiamento costruttivo.
      Spediro’ loro una lettera: magari non gliene fregherà una beata fava ma “potevo esserci io” o mia sorella o qualcuno di voi. Invece ci sono finiti loro, per puro caso.
      Non li lasceremo soli ne abbasseremo la testa.

  49. […] Genova 2001 e la sentenza 10×100/Orizzonti di gloria di Wu Ming 4 La giustizia italiana ha deciso che cinque persone pagheranno per tutti. Altre cinque potrebbero aggiungersi. E così si ottiene il pari e patta politico con la sentenza sull’assalto alle scuole Diaz. Poco importa che le condanne dei poliziotti riguardino il pestaggio e il massacro preordinato di persone, per di più indifese, mentre quelle dei manifestanti siano motivate dalla distruzione di cose, di oggetti inanimati, in mezzo al caos generalizzato. Qualcuno di loro si becca dieci anni di galera. (tratto da qui) […]

  50. Sei anni fa sostenemmo Supporto Legale per Genova vendendo su eBay libri rari:
    http://www.carmillaonline.com/archives/2006/10/001982.html
    Tirammo su qualche centinaio di euro, e riuscimmo anche a dare qualcosa al comitato Piazza Carlo Giuliani e per le spese di server di Carmilla.
    Erano altri tempi, anche se sono passati pochi anni. Comunque, ecco, ci vuole fantasia, bisogna farsi venire idee.
    Alla fine, è sempre lo stesso dibattito su crowdfunding e sottoscrizioni in corso nel thread sulla glasnost.

  51. “Impara a leggere le cose intorno a te
    finché non se ne scoprirà la realtà
    districar le regole che
    non ci funzionan più per spezzar
    poi tutto ciò con radicalità.”

    Ecco. Io non ce la faccio più a fare analisi su Genova 2001. Non c’ero, anche se ci sarei voluta essere (avevo ancora troppi pochi anni per farlo). Quello che vorrei capire è come montare la prossima marea, o almeno come dare fuoco al Codice Rocco. Fagiolino nel 2003, durante i mesi di detenzione a Rebibbia, scriveva: “la coerenza se prima non la si coltiva all’interno di noi stessi, come si può poi pensare di proporla al di fuori ed estenderla con le idee e la solidarietà alle popolazioni oppresse? Diventerebbe solamente retorica ipocrisia. Sapete che il tempo a volte è proprio strano, a voi ha strappato la memoria, a me invece ha dato modo di riflettere su questi eventi, ma ancor più mi ha dato la possibilità di mettermi in discussione con me stesso, riguardo la solidità e la validità di questo movimento, prendendo anche in considerazione una mia eventuale dissociazione da esso, rimanendo nella mia individualità e nella mia lotta personale proiettata in quello che sarà il mio umile percorso verso un mondo diverso, perché non posso vivere senza passioni e senza sogni!”

    Non sto in carcere, anche se mi sento legata, schiacciata e colpita da questa sentenza. Perché lo siamo tutte e tutti. E mi sento così. Onestà ci serve, l’onestà di ripartire, prima che la crisi e la rabbia che prova questa generazione (la mia!) diventi fascino per il fascismo, prima che contro banche e governanti non si mettano quegli altri e prima che la marea repressiva non lasci le spiagge vuote. E per farlo non dobbiamo invocare l’unità del movimento – quale movimento? – ma costruire alleanze e solidarietà, quello sì.

  52. “I diritti fondamentali della vetrina”
    http://www.10×100.it/?p=915
    Genova non finisce. Il sipario non si cala.

  53. Genova LIBERA!

    Prima di tutto non dobbiamo lasciare soli i nostri.
    Cene, presidi, iniziative e altro che possano portare calore umano ai detenuti. E non solo ai nostri detenuti.

    Vado OT per quanto riguarda le polemiche e i trollaggi vari ho notato in questa epoca di commenti che le dinamiche di destrutturazione dei movimenti nei media sono sempre le stesse.
    Mi spiego esistono una serie di luoghi comuni e codici principalamente di destra ma non solo che si ripetono in ogni fase di contestazione.
    Dal più banale che vadano a lavorare, al chi li paga, ai figli di papà, alle ridicole analisi sull’educazione famigliare non ne hanno date abbastanza i loro genitori, etc. etc.
    Un camipnario di bestialità che però sono sempre o quasi le stesse come il dizionario dei luoghi comuni di Flaubert.
    Ecco mi rivolgo a voi e agli altri lettori per proporre un libretto, un pamphlet per smontare a priori i luoghi comuni che vengono espressi come un mantra infinito e ripetitivo.
    I commenti dei reazionari sono spesso identici, banali, ripetitivi, non solo in Italia, povate a leggere qualche quotidiano spagnolo e i commenti sugli indignados.
    Il meccanismo è sempre lo stesso.
    Visto che si tratta di un meccanismo possiamo, doibbiamo fare qualcosa per smontarlo. Ovviamente senza nutrire i troll.

    Aspettando la prossima marea, o meglio ancora arando il terreno perchè la prossima marea sia ancora più potente di quella che ci portò e ci unì nelle giornate di quel luglio 2001.

    • Alcuni di quei luoghi comuni retorici sono vecchi (almeno) quanto la Rivoluzione francese.
      Nel febbraio 1793, il popolo di Parigi insorge contro il carovita e gli accaparratori di derrate. Le donne si distinguono nell’assalto alle botteghe. Vengono saccheggiati soprattutto gli speziali e tra le merci requisite ci sono zucchero, candele, vaniglia, sapone.
      Il giorno dopo Robespierre prende le distanze dai tumulti, dicendo che sono stati opera di provocatori, di ricchi travestiti da donne, di infiltrati al soldo delle potenze straniere, di gente venuta da fuori, mentre i sanculotti hanno mantenuto la disciplina, dato che un vero rivoluzionario non si batte per qualche zolletta di zucchero…

    • All’indomani del 15 ottobre, io e il mio gruppo d’affinità tentammo una summa dei concetti chiave sui quali le varie Repubbliche e Corrieri costruirono il racconto “ufficiale” di quella giornata. Senza pretese di alcuna sorta, ma ci aiutò a zittire un po’ di teste, e servì anche a noi, visto che scrivendo diventava sempre più chiaro come le costruzioni dei giornali fossero assai ripetitive, obsolete, prive di quella fantasia che su altri temi uno Scalfari può invidiare a Ferrara (uhm…). Se può interessare, lo trovi/trovate qui: http://bit.ly/LlGQe0 . Che dite, un “Glossario della reazione”, una “Esegesi dei luoghi comuni” movimentista potrebbe tornare utile per smontare la non-narrazione che si sta alimentando tra giustizialisti, violapopulisti e altri volti di questa schiatta?

      • Teddy boy in piazza statuto.
        Teppisti a budapest.
        Controrivoluzionari in piazza tienamen.
        Black Block il 15 ottobre
        Primitivisti o luddisti in val di susa.
        Figli di papà a Genova.
        Banditi nella resistenza.
        Provocatori nella rivoluzione di Spagna.

        Magari poi qualcuno ci casca.
        Dotiamoci di strumenti di autodifesa.
        Anche mediatici o intellettuali.

  54. Questa sentenza, attesa, prevedibile, direi quasi certa alla luce di quanto avvenuto nel mondo capitalista non negli ultimi 10, ma negli ultimi 50 anni, tuttavia mi sconvolge; ne ho atteso l’esito con ansia crescente, perché due di quei dieci li ho conosciuti e frequentati a lungo, ho conosciuto la loro bambina, li ho visti lottare nel sud depresso per inventarsi un lavoro e un modo per vivere (altro che mantenuti figli di papà), senza mai rinunciare a cercare di scuotere le coscienze addormentate dei nostri concittadini, pur da posizioni via via più defilate. Quando ho saputo della condanna ho pensato alla loro figlia, che undici anni fa non era neanche un pensiero, un’ipotesi, e ho pensato a ciò che sarà di questa bambina, e di tutti i (pochi) figli che si potrà permettere la mia generazione, disperata più nei fatti che nelle parole, sconfitta ancor prima di combattere una guerra della quale in massima parte non percepisce neanche l’esistenza, abbagliata da nemici fantocci (la “casta”, i “privilegi”, le troie di regime) e pericolosi feticci (la “legalità” ma mai la giustizia, il “magistrato incorrotto” ma mai lo strumento in mano al potere, le “manette” brandite in segno di vendetta spicciola ma mai la violenza giusta contro l’oppressore).
    Noi abbiamo perso, perché nessuno ci ha preparato a questo; forse l’unica nostra difesa è l’eredita che lasceremo ai figli di Dario e Ines, e i nostri, preparandoli a ciò che li aspetta, insegnando loro a difendersi dalla propaganda ossessiva di cui sono vittime, e sperando che ciò sia sufficiente affinché non facciano la nostra stessa fine.

    • Secondo me hai messo il dito nella piaga.

      “tutti i (pochi) figli che si potrà permettere la mia generazione, disperata più nei fatti che nelle parole”

      Correggetemi se sbaglio, ma penso da tempo che l’ordine di cose che ha portato a ciò che scrivi sia cominciato là. Sterilizzazione coatta di massa a costo zero. Mengele ne sarebbe fiero.
      Senza sminuire nessun altro dolore credo che questo, più di ogni altro, gridi vendetta.

      • E come ultimo sberleffo ti diranno che avere dei figli non è poi così difficile, guarda gli africani.
        Guarda durante la guerra, i figli si facevano lo stesso e quindi zitti e ditelo che se non volete fare figli è per puro egoismo.
        perché ancora peggio di questa sterilizzazione c’è la mortificazione.

  55. Ieri sera al Concerto per la Memoria di Patti Smith a Bologna, qualcuna nel pubblico, in maniera improvvisata, ha fatto due cartelli scritti a pennarello. Su uno c’era scritto “GENOVA 2001”, sull’altro “INGIUSTIZIA è FATTA”. Il breve testo è stato frutto di un rapido brainstorming collettivo in loco. Mentre venivano scritti i due cartelli poco prima dell’inizio del concerto sotto il palco, molte persone di età diverse lamentavano di non averci pensato anche loro: “io c’ero a Genova!”, “Anch’io c’ero!”, “…certo che sarebbe stata una cosa semplice da fare!” , “Qualcuno ha un foglio?”, …nessuno ha un pennarello?”, “no accidenti…”. Una signora ricordava i limoni, un’altra il viaggio, racconti di quei giorni si affastellavano. Un uomo chiede: “non scrivete mica che giustizia è stata fatta??”…

    All’inizio del concerto i cartelli vengono sollevati, sotto il palco, qualche sconosciuta del pubblico si offre di tenerli, perché è più alta, in modo che si vedano meglio: applauso generale. Patti Smith solleva il primo: Genova 2001.

    A un certo punto del concerto, riproposti i cartelli, lei li ha presi entrambi, dicendo “I was there!”, nel tripudio del pubblico. Ha ricordato che un ragazzo è stato ucciso, dalle prime file arrivava il nome, persone che non si conoscono fra di loro scandiscono: “Carlo Giuliani!” “His name was Carlo Giuliani”. Patti Smith ha provato a ripeterlo un paio di volte, ma la pronuncia stentata in italiano non le consentiva di dire il nome in modo comprensibile. Ha così chiesto alle prime file di pronunciare il nome di Carlo correttamente, e dato spazio a un piccolo discorso improvvisato, ecco il video ripreso da una persona del pubblico abbastanza vicina al palco:
    http://www.youtube.com/watch?v=3DnqFU3qhVg&feature=youtu.be
    (Grazie Wu Ming per averlo caricato!)

    Purtroppo verso la fine si sente distintamente la voce di un amante dell’intrattenimento: “facci sentire il concerto!”, posso affermare davvero isolata, in una platea che chiaramente sosteneva… unica voce ma molto vicina a chi riprendeva.

    Questa registrazione è stata fatta con un Iphone dal fondo del parco, e gli applausi si sentono bene anche da lì:
    http://soundcloud.com/user5545582/sounds-from-sunday-night-1

    Non ho ora la registrazione dell’energia del coro che più tardi scandiva “People have the power!”, ma credo che in molte, quando Patti ha incitato il pubblico: “Be free! Use your voice!”, non abbiano pensato a canti liberatori sotto la doccia…

    • “Purtroppo verso la fine si sente distintamente la voce di un amante dell’intrattenimento: “facci sentire il concerto!”, posso affermare davvero isolata, in una platea che chiaramente sosteneva… unica voce ma molto vicina a chi riprendeva”

      A me capitò una cosa simile a Bologna all’arena del sole, prima dello spettacolo di Ascanio Celestini, Pro Patria.

      Alcuni Notav salirono sul palco con uno striscione che ricordava Luca, da pochi giorni caduto dal traliccio.

      Ci fu qualcuno dal pubblico che insultò i ragazzi saliti sul palco.

      Mi fece incazzare come una iena, tanto più che “Pro Patria” è uno spettacolo che ribalta la memoria “ufficiale” del Risorgimento italiano parlandone come di una rivoluzione fatta con la lotta armata contro il potere soggiogante.

      Lo stesso imbecille che urlò contro i notav, alla fine dello spettacolo era in piedi ad applaudire Celestini.

      • Costoro si dovranno rassegnare, perché mi sa che saranno sempre di più gli spettacoli “perturbati” dall’irrompere di una spiacevole realtà. E ciò non riguarderà solo gli spettacoli di artisti simpatizzanti e consenzienti, come Ascanio Celestini e Patti Smith, che sono ben contenti di esser perturbati.
        Del resto, la cultura non deve mai potersi credere “in pace”. Resta viva solo se resta inquieta e si fa attraversare dal conflitto.

        • Ben detto. Riallacciandosi al vostro discorso precedente sul ruolo del cantastorie al giorno d’oggi: così come sui palchi nessun artista degno di questo nome rinuncerà al suo diritto di “uscire dal seminato” sventolando ad esempio una bandiera No Tav, nessun suonatore di strada degno di questo nome si ridurrà ad accomodante colonna sonora per lo shopping!

      • una cosa simile è successa a me in università qualche anno fa,con un professore che appena entrato ha provato a leggere e commentare un articolo del corriere prima di iniziare la lezione con qualcuno che mormorava ‘frega un cazzo di ‘sta roba,voglio far lezione’..(per inciso il professore alla fine addirittura si scusò dicendo ‘so che l’aerodinamica è importante ma non avrei la coscienza a posto se non vi parlassi anche di queste cose’)..

      • Anche io ieri sera ero al gran concerto di Patti e ho sentito con amarezza i “vogliamo la musica” durante il breve intervento su Genova.

        Ero anche a sentire Celestini l’altra sera a Padova, dove un ragazzo non lontano da me lamentava “queste cose vanno bene ad una manifestazione non a teatro” ( ed eravamo al festival di Radio Sherwood).

        Di certo come dice Wu Ming 1 questa gente vedrà sempre più messi in crisi i propri rigidi confini teatro/realtà, concerto rock/realtà etc etc

  56. Vorrei tornare sul discorso del fallimento di Genova.
    In queste ore ho letto il commento ospitato da Lipperini ( http://loredanalipperini.blog.kataweb.it/lipperatura/2012/07/10/genova-2001-uno-straordinario-fallimento/ ), quello di Benedetto Vecchi ( http://uninomade.org/la-lezione-di-genova/ ) e alcuni commenti qui sul blog ( uno tra tutti Anarcofem http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=9039#comment-13639 ). Ovviamente conosco già il testo dove i Wu Ming rielaborano e fanno ammenda delle cose scritte e dette durante quei giorni. Ma.
    Ma io sinceramente alcune cose non le condivido proprio e vado per punti
    a) Hanno sbagliato i leader.
    E’ anche l’obiezione di Vicari e Procacci rispetto ad Agnoletto, per esempio. Sinceramente trovo che sia una argomentazione tutta intorno all’ombelico italiano. A Genova si arriva in crescendo dopo Nizza, Praga, Gotheborg, ecc. Ci arriva un movimento europeo, se non internazionale. Al Genova Social Forum aderiscono centinaia di associazioni nazionali ed internazionali. E’ plausibile pensare che fosse una questione di percorsi dei cortei, trattative con le questura, dichiarazioni pubbliche, ecc.? L’unica cosa che teneva insieme tutto questo era l’assedio della zona rossa. Dai boy scout agli anarchici, sul resto non c’erano convergenze. Il Genova Social Forum aveva 15 portavoce. Molte realtà non si riconoscevano in quell’appello e ne promossero altri. Certo l’immaginario della dichiarazione di guerra ai potenti ha risposto sullo stesso piano dei palloni di sangue infetto. Ma qualcuno pensa che tutto questo si poteva gestire con la classica organizzazione verticistica da sinistra novecentesca? Qualcuno pensa che bastava fare un po’ di servizio d’ordine, avere qualcuno che desse la linea a tutti i 300.000? Io penso di no. Il movimento era cresciuto fino a quel momento seguendo queste modalità, dovendo rompere il muro ideologico de “la fine della storia”. Ci stava riuscendo e per questo faceva paura. Anche perché era diventato abbastanza popolare (sì popolare) da rompere gli argini delle tradizionali appartenenze e militanze. Donatella Della Porta poco dopo pubblica uno studio per dimostrare che la maggioranza dei manifestanti era senza tessere in tasca o appartenenze esplicite. Con una analisi da collettivo anni ‘80 qualche leader delle strutture organizzate parlò di “eccedenze”. No, erano le “etichette” e le organizzazioni eccedenze rispetto a tutto quello che c’era intorno.

    b) Si sapeva quello che sarebbe successo.
    Si sapeva che ci sarebbero state molte persone. Si sapeva di Napoli. Si sapeva dell’assedio e che non avrebbero tollerato invasioni della zona rossa. Ma tutto il resto no. Proprio non si sapeva e me l’hanno confermato fin dalle prime ore successive persone che hanno vissuto ben altre stagioni (il ’77 a Bologna) e che hanno detto: “una cosa così non l’abbiamo mai vista”. Non si sapeva della caccia all’uomo per le strade di Genova, dell’utilizzo delle armi da fuoco dopo decenni che non se ne vedevano in mano alla polizia durante le manifestazioni di piazza, della Diaz e di Bolzaneto, le molotov inventate e tutto il resto. Con un po’ di retorica qualcuno potrebbe dire che non sono cose nuove, si sono viste negli anni ‘70. Che la polizia ha sempre falsificato i verbali. Possibile. La novità furono centinaia di obiettivi che ripreso questi momenti insieme a centinaia di racconti in rete che amplificarono le versioni alternative. La novità fu una generaziona nuova che entrava in politica in rottura con le forme tradizionali di organizzazione di partiti e movimenti.
    E piaccia o no questo è stato un punto di debolezza e di forza. La forza dell’incoscienza, la debolezza dell’impreparazione. Perché i 300.000 erano 300.000 persone con percorsi, biografie e convinzioni molto diverse. Nessun servizio d’ordine avrebbe potuto gestire una situazione del genere. E se la zona rossa non fosse stata assediata dai boy scout agli anarchici, in modi diverse, e non tutte quelle cose non le avesse viste il militante di Attac, l’attivista del WWF, il disobbediente del Carlini, quello della sinistra giovanile che aveva trasgredito agli ordini dei dalemoidi ed era venuto lo stesso a Genova ecc. e non avessero raccontato tutte quelle cose una volta tornato a casa nei propri ambiti, in undici anni non avremmo strappato nessun pezzo di verità. Dopo Genova Eco scrisse sulla sua bustina di Minerva che si era rotto un patto di fiducia storico tra cittadini e polizia nato dopo la stagione degli anni ‘70 (e la sconfitta sul piano militare di quel movimento) e cementato dalla retorica dei poliziotti buoni (chips, starky&hutch, vari marescialli rocca, ecc.) assorbiti con la tv. Per la prima volta sembrava evidente che la polizia non solo poteva uccidere ma prendere in mezzo uno qualunque. E quindi tanto buoni non erano fuori dallo schermo. Fine del sogno. Sarei curioso di leggere qualche ricerca con qualche base scientifica più solida, ma la mia impressione è che storie come quelle di Uva, Cucchi, Aldrovandri hanno colpito l’immaginario perché parlavano di esperienze di “illegalità” che fanno i ¾ di ventenni – l’uso di sostanze – senza sentire nessun disagio etico, che possono finire in tragedia. La società sicuritaria è un arma a doppio taglio anche per il potere soprattutto quando non ti riesce l’equazione con il brutto, sporco e cattivo da far diventare anche nemico sociale mentre è evidente che maggiori dosi di paura e più polizia sulle strade non stanno assicurano più giustizia e libertà. Era questo il sentimento da intercettare nella campagna unitamente alle sacrosante analisi che dimostrano come sta cambiando lo stato di diritto con le nuovi leggi d’emergenza.

    c) Non ci hanno ascoltato.
    Tutt’altro. Il percorso del forum dell’acqua bene comune che poi è sfociato nel referendum vittorioso di un anno fa è stato preparato anche a Genova. La tobin tax proposta da un trombone come Sarkozy o la richiesta di un reddito di cittadinanza fatta dalla commissione Fittoussì dimostrano che quei temi sono in campo e gli apparati di potere ne riconoscono la pericolosità rispetto al mantenimento degli attuali equilibri. Il punto, semmai, è stata la mancata traduzione in cambiamenti istituzionali falliti in diverse fasi (non ultimo con Prodi dal 2006 al 2008, con il fallimentare tentativo della sinistra radicale di capitalizzare quella stagione in un ipotesi di governo). La questione andrebbe declinata in altri termini. Ci hanno ascoltato ma hanno deciso di procedere “business as usual” rendendo evidente il sequestro delle garanzie democratiche che, infatti, oggi sono incarnate da un parlamento di designati che dà la sua fiducia ad un uomo imposto dalla dittatura finanziaria. Il re non è mai stato così nudo eppure non è mai stata così forte la nostra incapacità di metterlo definitivamente alla berlina.

    Sinceramente posso pure capire che si agitino oggi questi temi, in questo modo, per legittimare nuovi soggetti in campo nei conflitti che verranno in autunno. E sono d’accordo con Luca: la cassazione ha mandato il suo avvertimento. Ma con Genova non è finita neanche per noi. I tre punti abbozzati qui stanno a dimostrare che abbiamo i nostri nodi da tenere in conto. Nodi che nessuna dichiarazione di fallimento potrà sciogliere al posto nostro.

    • @ Branzino

      Non è stato un fallimento; è stata però una sconfitta che ha pesato molto e pesa ancora: come dici giustamente, “il re non è mai stato così nudo eppure non è mai stata così forte la nostra incapacità di metterlo definitivamente alla berlina.”

      E’ su questa “incapacità” che si dovrebbe ragionare, e a fondo. Se non è questione di leader, di preveggenza o di mancata ricezione, come argomenti tu in modo puntuale, va anche detto che ogni movimento, lo si voglia o no, esprime sempre, di fatto, una “direzione” e si appoggia a delle idee-guida. E riguardo a questioni del genere il ragionamento si gioca su un terreno *politico*.

      Le abbiamo superate, oggi, le “incapacità” strutturali che hanno portato a quella sconfitta? Il ragionamento politico su queste questioni, negli ultimi 11 anni, si è sviluppato o si è involuto? E’ servita almeno, quella sconfitta, a fornirci gli strumenti per affrontare i problemi enormi che ci si pareranno davanti nei prossimi mesi?

      Sono domande le mie, non necessariamente retoriche. Te le pongo perché voglio sapere cosa ne pensi.

      • @ Don Cave
        Non ho una riflessione particolarmente affinata su questo. Qualche pensiero sparso
        1) Quel movimento nasce anche come critica alle forme organizzative tradizionali delle sinistre (al plurale, sì: il partito, il centralismo democratico, l’approdo nelle istituzioni come via maestra di cambiamento della società, ecc.). Perché si erano dimostrate fallimentari. In Italia, per esempio, eravamo alla fine del ciclo della sinistra al governo, come disse D’Alema “il sogno della mia generazione”. Una fine ingloriosa, non dissimile da quello che vista in altri paesi come l’Inghilterra con la terza via di Blair ed il clintonismo che finisce a pezzi contro il nuovo secolo americano teorizzanto dalla marea montante dei neocon che presero il potere con Bush. Era la crisi del liberismo temperato, della “fine della storia” e di una società che poteva permettersi di nascondere le sue contraddizioni sotto il tappeto del sogno di libertà ed opportunità per tutti.
        E poi perché quelle forme non erano più adatte a rappresentare una società che stava cambiando sotto la spinta di fenomeni epocali: l’istruzione di alto livello di massa che sarebbe presto diventata crisi di un “mercato del lavoro” che non riusciva ad assorbire più “cervelli”, la terza rivoluzione del digitale e l’accesso a strumenti di diffusione culturale e di partecipazione per settori sempre più ampi della società, i fenomeni migranti e le società multiculturali, ecc.
        Per questo era un movimento dei movimenti, di soggetti alla pari, di persorsi diversi, alla ricerca di una narrazione diversa del presente da quella data. Ma non una narrazione unica.
        2) Quello che è avvenuto negli anni zero, però, ha cancellato le condizioni perché ci si potesse muovere ancora con quelle premesse. Quel movimento aprì contraddizioni, ma la reazione del potere fu stata feroce. Ogni spazio, di critica, dissenso, interlocuzione, ecc. fu chiuso. Guerra e terrorismo diffusero il panico e fu chiaro che al massimo potevamo costruire qualche forma di resistenza. Ma se non ci fosse stato quel movimento, con quelle caratteristiche, dubito che avremo ripreso il pallino in mano dove un ventennio di egemonica culturale del liberismo.
        3) E c’erano contraddizioni. A braccio: teorizzare il cambiamento senza prendere il potere è servito ad evitare gli errori del passato, ma una buona narrazione non poteva rispondere all’acuirsi di problemi e contraddizioni. Opporsi alla guerra era giusto, ma non si poteva pensare di fermarla senza aver smontato pezzo per pezzo tutto l’apparato di finanziamento, di interessi economici, di connivenze e lobby che l’aveva preparata fino a quel momento. Opporsi all’Europa di Nizza era il minimo che si potesse fare, ma non poteva bastare senza creare istituzioni alternative dell’altra Europa che si chiedeva nelle piazze. Certo: altre istituzioni. Ma come poteva un movimento come quello, con visioni anche molto diverse, poter convergere su una progettualità del genere?
        4) Il risultato di tutto questo processo è duplice. Da una parte il grillismo che, tagliando con l’accetta è utilizzo strumentale di quei temi per organizzare un movimento di protesta generazionalmente caratterizzato, verticistico, populista ed iperlocale, esplicitamente orientato alla delegittimazione e alla sostituzione dei soggetti al potere. Con altri e questo, insieme al resto, rende la crifra dell’ambiguità di questa risposta.
        L’altra è arrivata dai movimenti che hanno cominciato a sperimentare altre forme. Non solo narrazione ma anche relazioni reali, concrete, sul territorio. Che producono un metodo di dialogo e di decisione, e quindi di azione sulla società. Senza essere istituzionali. E quindi la Val Susa, il forum per l’acqua bene comune, i mercatini del biologico, le reti indipendenti di solidarietà per il terremoto in Emilia, le connessioni con università e studenti, ecc.

        A me sembra che sia questo lo stato dell’arte. Poco? Tanto? Drammatico? Tutte queste cose insieme. E sopratutto tutte queste cose in ballo di cui è utile parlare. Ed hanno ragione i Wu Ming, c’è un gran bisogno di confrontarci, di trovare spazi pubblici dove farlo. Senza aspettarci che ci sia una sola forma organizzativa o una sola narrazione che ci sollevi dalla fatica di creare relazioni e di elaborare gli errori passati cercando nuove strade per la prossima “marea montante”.

        • @ Branzino

          Ecco, è l’analisi che fai sul primo punto che non condivido. E si tratta di un punto importante, perché ha delle conseguenze significative su tutto il resto dell’analisi e, ovviamente, sulle proposte.

          Un fenomeno può tranquillamente essere definito “epocale”, se ci piace qualificare le cose con aggettivi magniloquenti. Ma il problema è un altro: per essere *spiegati* e *compresi*, i fenomeni che citi richiedono davvero un cambio di paradigma analitico, o possono essere spiegati e compresi senza problemi sulla base delle “vecchie” categorie?

          Ora, giusto per fare un esempio, le conseguenze contraddittorie dell’ampliamento dell’accesso alla conoscenza in una società in cui la conoscenza resta vincolata ad un ruolo di strumento di selezione di classe, sono state analizzate alla fine degli anni ’70 dall’economista Fred Hirsch nei termini dei cosiddetti “beni posizionali”. (Hirsch non è socialista, ma le sue conclusioni possono essere perfettamente armonizzate con un’analisi marxista).

          Ma è soprattutto il lato politico dell’argomentazione che mi interessa. Non capisco infatti come la trasformazione dei partiti socialisti (o anche comunisti) di massa in agenti politici al servizio degli interessi del grande capitale, possa originare la convinzione che il partito in quanto tale, ossia come strumento politico, perda per ciò stesso di attualità e di importanza.

          Non c’è nessuna consequenzialità logica in questo ragionamento. E’ come se la mia bicicletta risultasse inadeguata a percorrere un tratto di strada in salita, e io deducessi da questo fatto… l’inutilità della bicicletta (quando magari con un buon sistema di marce, le gomme gonfie e un po’ di esercizio fisico in più riuscirei a percorrere la salita in bicicletta senza nessun problema).

          A sinistra, sul piano dell’analisi politica e sociale, negli ultimi due decenni si sono fatti passi da gigante… all’indietro. Il M5S ha capitalizzato su quelle rivendicazioni, ovviamente semplificandole e rideclinandole in modo inaccettabile; ma per quale motivo è riuscito a capitalizzare? Per me la risposta è semplice: perché è riuscito ad individuare un terreno ideologico rispetto al quale la portata innovativa di quelle rivendicazioni incrociava dei processi oggettivi, degli interessi materiali reali; detto in modo esplicito: il grillismo è riuscito a capire che le “nuove” classi uscite dai processi di terziarizzazione potevano essere catturate più facilmente solleticandone gli istinti reazionari e piccoloborghesi. Ora, il successo di questa operazione in termini di “consensus making” parla da sé.

          Per la sinistra, continuare a battere lo stesso terreno appiattendo la propria iniziativa politica sul movimentismo, i mercatini biologici e le campagne per i beni comuni, significa secondo me autocondannarsi alla marginalità. Peggio ancora: significa privarsi, in linea di principio, di preziosi strumenti d’analisi e d’azione per intervenire positivamente ed efficacemente sulla realtà; realtà che oggi, evidentemente, è molto diversa da quella del 2001, dato che la crisi del capitalismo e le sue contraddizioni stanno colpendo proprio quelle economie “avanzate” che all’epoca consideravamo ormai immuni da simili disastri.

          Cosa c’entra tutto questo con Genova? C’entra per il semplice fatto che, secondo me, alcuni degli errori d’analisi e di prospettiva che hanno contribuito a produrre quella sconfitta oggi non sono stati realmente superati. E se non vogliamo continuare a perdere, un minimo di riflessione condivisa in quel senso, forse, sarebbe necessaria…

        • @ Little Commie Craig (aka Don Cave)

          Scrivi: “Non capisco infatti come la trasformazione dei partiti socialisti (o anche comunisti) di massa in agenti politici al servizio degli interessi del grande capitale, possa originare la convinzione che il partito in quanto tale, ossia come strumento politico, perda per ciò stesso di attualità e di importanza.
          Non c’è nessuna consequenzialità logica in questo ragionamento.”

          Forse non c’è una consequenzialità logica, ma la politica e la società non sono equazioni logico-matematiche, e ogni movimento è figlio del proprio tempo. Se la forma partito tradizionale, novecentesca, a un certo punto è entrata in crisi, non è con un atto di buona volontà politica che la si può riportare in auge. Occorre appunto un salto paradigmatico. Serve un nuovo modello di bicicletta, non quella vecchia. E il punto è che quel nuovo modello non è ancora emerso.
          A cavallo tra i due millenni, il movimento altermondialista ha maturato la contraddizione, lo scollamento, tra le vecchie forme del fare politica e l’attivismo politico, sociale.
          Non era e non è soltanto una questione di contenuti, insomma (essere alternativi al capitalismo o funzionali ad esso), ma anche di modelli organizzativi, di linguaggi, di modalità, che facciano i conti con uno scollamento che si è già prodotto e consumato. Grillo dà la sua risposta “casaleggiese”. Noi siamo ancora in cerca della nostra, mi pare. Anche per questo, ripeto, Genova ha aperto una ferita politica che non si è più richiusa nonostante la rimozione messa in atto. I residui della sinistra parlamentare novecentesca, in un certo senso, sono morti il 21 luglio 2001. E mi riferisco sia a quelli che ci mollarono in mezzo alla tonnara, ritirando i pullman e dicendo di abbandonarci alla repressione selvaggia delle forze dell’ordine, sia a quelli che erano là con noi e cercavano goffamente e inutilmente di restare in equilibrio tra movimento e partito (i quali hanno solo posticipato di qualche anno la propria estinzione).

        • @ WM4

          Condivido il tuo ragionamento, ma al tempo stesso lo trovo potenzialmente insidioso su un punto.

          L’equilibrio, la sintesi fra “partito” e “movimento” (fra rappresentanza e azione diretta, fra politico e socio-economico ecc.) tormenta l’analisi politica, a sinistra, dalle origini del movimento operaio e socialista. Su quel punto si sono consumate rotture, divergenze radicali, accuse reciproche di opportunismo o di estremismo ecc.

          Non c’è dubbio che oggi una sintesi di questo tipo sia necessaria, perché – e su questo penso siamo tutti abbastanza d’accordo – senza un fattore soggettivo in grado di accompagnare il processo di cambiamento, non c’è nessuna speranza di un cambiamento stabile e reale.

          Il problema allora è un altro: quali strumenti d’analisi sono più adeguati per affrontare il problema, per rendere possibile la costruzione di questo soggetto? Questa domanda ripropone, una volta di più, l’importanza dell’aspetto teorico e analitico: senza un continuo feedback fra teoria e prassi non si va da nessuna parte; una buona prassi implica una buona teoria, e una buona teoria non ha senso se non nella misura in cui interagisce con una buona prassi.

          Il mio dubbio è che, sul piano della teoria, ci si sia arenati alle presunte “conquiste” di dieci o vent’anni fa. Che strumenti potenzialmente utili siano stati liquidati troppo in fretta, e che una riflessione approfondita su simili questioni sia evitata troppo facilmente negli ambiti “maggioritari” dell’attivismo e della militanza.

          Ora, se il dibattito sulla sconfitta di Genova si limita alle “cause immediate” di quanto accaduto in quei giorni, non c’è il rischio di chiudere un po’ troppo la prospettiva? Non c’è il rischio di restare letteralmente invischiati nelle false dicotomie e nelle polemiche che hanno compromesso la formazione di una memoria collettiva sui fatti del G8 che andasse al di là di un circuito, per quanto esteso, di attivisti o di “reduci”? Non c’è il rischio di fare, una volta di più, il gioco dei mistificatori ideologici e mediatici che hanno tutto da guadagnare dalla demonizzazione della figura del manifestante e dalla criminalizzazione di Carlo Giuliani?

          Ristabilire la verità è *fondamentale*. Qualsiasi contributo – un film, un video, un dibattito – che vada in quel senso è essenziale, va fatto, va seguito. Così come il sostegno ai compagni e alle compagne vittime delle sentenze ingiuste è un dovere politico ed etico.

          Però proviamo a guardare un secondo in avanti; proviamo a gettare uno sguardo su quello che ci aspetta di qui a breve, sulle condizioni terrificanti in cui ci troviamo ad agire politicamente *oggi*… se l’analisi su Genova, sull’omicidio di Giuliani, sul movimento altermondialista (sui suoi limiti come sui suoi meriti) non si proietta in avanti, a cosa sarà servito tutto quello?

          Secondo me, nessuna proiezione in avanti è possibile senza un allargamento significativo dell’ambito di discussione, fino a prendere in esame gli elementi di analisi e prospettiva (e quindi anche i presupposti teorici, oltre che tattiche e strategie sul piano pratico) che guidano (e hanno guidato in passato) l’azione politica. So di essere forse eccessivamente insistente su questo punto. Ma per me è della massima importanza. Una nuova sconfitta, viste le condizioni che si profilano all’orizzonte, non ce la possiamo permettere.

    • @ Branzino

      Secondo me nel tuo discorso c’è un equivoco. La nostra – e di altri – critica o autocritica riguarda il modo in cui noi – ed altri – abbiamo approcciato e contribuito a costruire le giornate genovesi di allora. E’ un discorso evidentemente parziale il nostro, perché è dalla nostra parzialità che osserviamo quel momento, cioè dal modo che noi scegliemmo per stare dentro quel movimento e quell’esperienza. Questo non implica rifiutare o rinnegare l’esperienza di quel movimento, i contenuti, i discorsi, tante cose che sono sedimentate nel corso degli anni e oggi sono assai più diffuse di allora.

      Per me i tuoi tre punti sono validi, con una sola riserva sul secondo, forse. L’escalation nella gestione dell’ordine pubblico in occasione dei vertici internazionali era sotto gli occhi di tutti. Si cita spesso la repressione feroce di Napoli, ma io ricorderei anche che a Goteborg la polizia cercò già il morto (uno sbirro svedese sparò un colpo di pistola nella schiena di un manifestante).
      Alcuni poi sapevano anche più di altri. Certo non l’entità di cosa si preparava, hai ragione, quella era difficile da prefigurare. Ma gli avvertimenti diretti c’erano stati, almeno qui a Bologna, da parte di Prodi e di noti digosini del Silp. Il messaggio era semplice: “Non andate a Genova”. A noi sarebbe toccato immaginare il resto; per lo meno immaginare che si stava preparando una resa dei conti con il movimento no global e che l’Italia era il paese giuridicamente e politicamente più adatto per farlo.

      Al di là di questo, io non credo che le ragioni della sconfitta di allora siano legate alle tre giornate genovesi. Per almeno due anni, dopo il G8, il movimento ha continuato a crescere e a darsi appuntamenti con milionate di persone in giro per il mondo. Il punto è che la cesura politica che quel movimento ha rappresentato è ancora tutta qui, come giustamente fai notare, è ancora irrisolta, e i movimenti di oggi non possono che riproporla in varie forme e modalità (a pensarci bene con la stessa varietà di articolazioni). E questo dimostra appunto sia che certe istanze non sono andate perdute sia che la modalità efficace per invertire la rotta verso la rovina non è ancora stata trovata.

      • @Wu Ming 4
        Sono d’accordo con te. La mia riflessione era generale. A parte che prende spunto da una discussione che andrebbe sistematizzata: ho letto a suo tempo il vostro contributo che è circostanziato (insomma, sintetizzando: avete scritto la cantica delle moltitudini e avete riflettuto sugli effetti che ha prodotto l’agitare quell’immaginario), ma mi piacerebbe leggere anche altre riflessioni (chi altro ha scritto?). E comunque alcune domande di fondo restano: siamo sicuri che anche senza una “dichiarazione di guerra agli otto grandi” fatta in quel modo il potere non avrebbe giocato la carta della violenza? Io non lo so. Sono incerto per come ho percepito io la situazione che si respirava in quel momento. Mi ricordo anche io degli avvertimenti (la digos che dava consigli agli ultras compagni della fortitudo prima di Genova), ma ammesso – e ripeto: non concesso – che qualcuno avesse potuto convincere tutto quel movimento a sorprendere l’apparato repressivo non presentandosi a Genova, per esempio, siamo sicuri che in quell’Italia di allora sarebbe uscita migliore? I temi che portavamo in piazza avrebbero avuto più diffusione? Non lo so, non lo so davvero. Molte persone sono andate in piazza dopo quei giorni, molte altre non ci sono andate più
        In questi anni ho imparato a diffidare delle costruzioni ideologiche che costruiscono storie di masse e rivolgimenti, di guerre e sollevazioni, indolenti al sangue, all’orrore, al dolore. Ho partecipato a decine di dibattiti prima del G8, ho anche io le mie colpe pensando a quante persone ho convinto ad andare in quei giorni a Genova. Oggi penso che il minimo che si possa fare per chi a Genova è stato torturato, gasato, manganellato, brutalizzato, annichilito ed oggi anche incarcerato è continuare a discuterne, ad usare tutti gli spazi (come si è fatto al concerto per Patti Smith) per lanciare messaggi. Abbiamo un ostacolo su questo percorso: è l’altra trappola nella quale vorrebbero farci cadere. Sentirci reduci, addossarci la stigma della sconfitta per riproporci come revanscisti, farci permeare dallo stesso linguaggio d’odio e diprezzo che ci hanno versato addosso. Se Genova diventerà una storia d’altri tempi, se cominceremo a contare anche noi le sue vittime scordandoci dei nomi e delle biografie, se smetteremo di raccontare anche i motivi per i quali siamo andati lì, la gioia di sentirci parte dell’altro mondo possibile, allora sì che avremo fallito.
        Non ho risposte, è solo tutto quello che mi passa per la testa in questi giorni

  57. “Devastazione e saccheggio: analisi di un reato politico”
    Questo video – breve ma chiarissimo – andrebbe visto dal maggior numero possibile di persone. Purtroppo, anche se lo vedessero dieci milioni di paia di occhi, ciò non fermerebbe i discorsi ad mentulam basati su preconcetti e notizie di quarta mano, ma la situazione sarebbe migliore di com’è adesso, quando YouTube segna appena un migliaio di “views” :-/

    • Segnalo anche l’articolo di Livio Pepino (Magistratura Democratica) sul “manifesto” di ieri, soprattutto gli ultimi due paragrafi.
      Spiega molto bene come il reato di “devastazione e saccheggio” sia un fossile giuridico, presente nel codice penale del 1930, “riesumato” dai giudici solo negli anni ’90 in relazione a fatti avvenuti nel corso di manifestazioni di piazza. Prima ci fu una specie di “rodaggio”, nel corso degli anni ’70 e ’80, in cui l’art. 419 fu utilizzato soprattutto per reprimere gli attentati ai tralicci in Alto Adige, le rivolte in carcere e i disordini negli stadi.
      La conclusione di Pepino è che l’art. 419 è sostanzialmente uno strumento di repressione pensato per colpire i “nemici dello stato” e le “classi pericolose”; il fatto che, da qualche anno in qua, lo si applichi alle manifestazioni di piazza è di per sé molto significativo.
      L’articolo è qui:
      http://www.dirittiglobali.it/home/categorie/16-carcere-a-giustizia/34764-la-piazza-nemica.pdf

  58. Le frasi finali di questo post di Giap sono diventate un manifesto che campeggia sui muri di S. Lorenzo, a Roma:
    http://p.twimg.com/Ax848G-CEAAkR0H.jpg:large

    • visto poco meno di un’ora fa, mentre passavo in motorino, fa una certa impressione. Vorrei vederne almeno altri 100 in giro per Roma, di quelle dimensioni.

  59. Abbiamo raccolto un po’ di link e contributi apparsi qui e pubblicato un nuovo post, per limitare l’effetto dispersivo della discussione:
    http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=9052

  60. […] sto seguendo una importante riflessione collettiva nel merito sul blog dei Wu Ming, iniziata con questo post e proseguita in questo e poi in questo. Può essere l'inizio per una riflessione complessa, […]

  61. Il reato di “devastazione e saccheggio” è italico et fascista.
    Ma evidentemente si guarda a noi con attenzione: proprio qualche giorno fa il parlamento spagnolo approva l’inserimento nel codice penale di “violenza urbana”, da applicare in caso di manifestazioni.

    Qui l’ansa italiana: http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/topnews/2012/07/19/Spagna-violenza-urbana-pene-piu-dure_7208982.html

    Questo un articolo su ABC, uscito al momento della presentazione della proposta di legge
    http://www.abc.es/20120719/espana/abci-congreso-apoya-tipificar-como-201207182027.html

    Non riesco a ritrovare l’atto approvato definitivamente, ma pare che tra le azioni ascrivibili alla “violenza urbana” compare tra l’altro la resistenza passiva.
    Le immagini degli indignados seduti a terra, incordonati che prendono le mazzate in testa ce le ricordiamo. Ecco quella sarà violenza urbana.
    Quella dei manifestanti, si intende.

  62. […] Estuve en Génova aquel julio de hace once años. Estaba detrás de la primera fila de escudos de plexiglass en la via Tolemaide, cuando cargaron […]

  63. […] with a very high sentence, in one case 14 years, more than a sentence for murder. The text, originally in Italian, was published in Spanish in the latest issue of Rebellion. A French version is also available on […]

  64. @Pallinov
    Monti l’altro giorno in forma quasi intimidatoria ha parlato di “percorso di –> guerra”. Ci ricorda niente questa parola?

    @Little Commie Craig
    Qualcuno diceva, sopra, che siamo in –> guerra….

    @nuccioccio
    sconfitta ancor prima di combattere una –> guerra della quale in massima parte non percepisce neanche l’esistenza

    Proprio l’uso ad hoc del lessico, da parte del nostro attuale non eletto
    Presidente del Consiglio, mi ha indotto a scrivere:
    LA LOTTA NO E LA GUERRA SÌ?
    in http://www.valeriobruschini.info/?p=709.

    Ciao,
    Nicoletta

  65. […] A justiça italiana decidiu que cinco pessoas pagassem por todos. Por Wu Ming 4 […]

  66. […] In Italy, 11 years after the anti G8 protest in Genova,  the repression still bites the movement. On the 5th of July the Italian Supreme Court convicted thirteen police heads involved in the brutal raid at the Diaz schools of the 21st of July 2001.  Most of them, who were previously cleared, received convictions of up  to five years, even though others have been now cleared because of the 10-years-time limit that Italian law sets on trials. After eleven years, this is the very first time in which high ranking policemen have been  convicted for their brutality during the anti-G8 protests in Genova. However, none of them will ever go to jail. Meanwhile, ten activists have been under trial for street disorders. They are all accused of “Destruction and Looting”, an item introduced into the Penal Law Code under the fascist regime.  One of its features is  that people can be convicted just for  “psychological co-participation”,  without the state having to prove any  explicit association between the  defendants. http://www.10×100.it/?page_id=928 .The activists have already been sentenced for a total of 100 years combined. http://strugglesinitaly.wordpress.com/2012/07/17/en-genova-2001-11-years-later-a-bitter-sentence/ A campaign, called 10X100 (i.e., 10 people, 100 years of prison) has been launched to support the defendants. http://www.10×100.it/?page_id=40 More info: http://www.10×100.it/ [Ita] http://ilmegafonoquotidiano.globalist.it/news/piazza-alimonda-11-anni-dopo http://ilmegafonoquotidiano.globalist.it/news/la-rappresaglia-alla-diaz http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=9039#more-9039 […]