Dalle stragi italiane in Etiopia alla strage di #Lampedusa: il ritorno del rimosso coloniale (un 3 di ottobre)


Ieri in Afghanistan droni statunitensi hanno bombardato un ospedale di Medici Senza Frontiere, sollevando una giusta riprovazione in tutto il mondo, vera e di facciata.

Potrebbe essere l’occasione giusta per ricordare che, durante la guerra d’Etiopia, l’aviazione italiana bombardò più volte, intenzionalmente, ospedali della Croce Rossa. Li bombardò anche con armi chimiche. È una storia da recuperare, sotto gli strati di decenni di negazionismo e amnesia collettiva.

Uno di questi bombardamenti lo hanno raccontato i :Kai Zen: / Bhutan Clan alla serata «Resistenze in Cirenaica», il 27 settembre scorso, a Bologna. Il testo – tratto da una storia vera – si intitola «L’uomo dell’Etiopia» (scaricabile in pdf qui).

Era il 3 ottobre 1935 quando l’Italia attaccò l’Etiopia. Precisamente ottant’anni fa.
Buon anniversario, Italiani brava gente.

Ed era il 3 ottobre 2013 quando…

«…a mezzo miglio dalle coste di Lampedusa vicinissimo al porto, una barca naufragava con a bordo 540 persone circa, la maggior parte di nazionalità eritrea, provocando 366 morti accertati e circa 20 dispersi presunti. Pochi giorni dopo la tragedia veniva votato in larga maggioranza al Parlamento Europeo “Eurosur”, un sistema di sorveglianza delle frontiere marittime e terrestri dell’Ue con uso di droni. In pochi giorni veniva lanciata la missione militare Mare Nostrum, alla quale avrebbero fatto seguito le missioni Triton e Mos Maiorum.»

Questo è l’inizio di un comunicato dell’associazione Askavusa di Lampedusa, diffuso nei giorni scorsi.

La strage di due anni fa è legata a doppio filo alla smemoria nazionale, alla rimozione del passato coloniale dell’Italia, dei crimini commessi in Africa dal nostro imperialismo (ieri e oggi), del violento razzismo che ha plasmato la storia del nostro paese.

La maggior parte delle vittime di quel naufragio veniva da un’ex-colonia italiana, anzi, dalla «colonia primigenia» italiana, quella che abbiamo dominato più a lungo, per più di settant’anni: l’Eritrea.
Da oltre vent’anni l’Eritrea subisce una feroce dittatura, quella di Isaias Afewerki. È da quella dittatura che scappano gli eritrei, eppure l’UE e l’Italia la finanziano, in quanto partner nel cosiddetto «Processo di Khartoum», un programma ambiguo e fallimentare il cui scopo sarebbe contenere le migrazioni in Europa dall’Africa orientale. Come al solito, si colpisce o si finge di colpire l’ultimo anello della catena – il “trafficante”, lo “scafista” – e intanto si alimenta un circolo vizioso.

Le vittime di due anni fa, come moltissimi altri profughi e migranti morti nel Mediterraneo, erano salpate da un’altra ex-colonia italiana, la Libia, e precisamente dal porto di Misurata.
Dal 2011 in Libia è in corso una guerra senza quartiere, il territorio è controllato da diverse gang, milizie jihadiste e “governi provvisori” che si combattono tra loro.
Per i migranti diretti in Europa, fare scalo da quelle parti era già una brutta esperienza negli ultimi anni del regime di Gheddafi, quando alcuni accordi bipolari con l’Italia avevano assegnato alla Libia un ruolo da sbirro anti-immigrazione, ma oggi è peggio: si rischia proprio la testa. Letteralmente.

Quattro anni fa, l’Italia decise di celebrare il centenario della prima guerra di Libia… facendone un’altra, la terza.
La seconda fu la cosiddetta «Riconquista» avviata nel 1923, che culminò nel 1930-31 con un genocidio in Cirenaica.
Genocidio. Non c’è altro modo di definirlo, anche storici “misurati” come Giorgio Rochat e Piero Pieri lo hanno chiamato così, dicendo pane al pane e vino al vino. Cosa sa la stragrande maggioranza degli italiani di quel genocidio, della guerra chimica, della deportazione in 16 campi di concentramento di quasi tutta la popolazione civile del Gebel-Achdar?
Al comando di quel genocidio c’erano due uomini, due criminali di guerra che non solo non pagarono mai per le loro colpe, ma sono ancora oggi onorati da un paese immemore perché vigliacco: Pietro Badoglio e Rodolfo Graziani. Gli stessi due che, pochi anni dopo, furono mandati in Etiopia per fare altra guerra chimica e compiere altri massacri e pogrom.

Si diceva: nel 2011 prendemmo parte anche noi ai bombardamenti NATO sulla Libia, fortissimamente voluti dalla Francia di Sarkozy, e il risultato è sotto gli occhi di tutti.
La storia delle interferenze italiane in Libia è lunga, incoerente, burrascosa, tra partnership economiche e revanscismi, Gheddafi vituperato e poi blandito e poi vituperato. La chiave è il petrolio, ma non va dimenticato che nel 1911 (quando l’Italia invase la Libia)  e per tutti i trent’anni di colonizzazione, di quel petrolio non si sapeva ancora nulla.

La strage di Lampedusa del 3 ottobre 2013 incapsula tutto questo rimosso. Eritrei partiti dalla Libia morti nell’anniversario dell’invasione dell’Etiopia.

Il comunicato di Askavusa prosegue così:

«[Dal 3 ottobre 2013], le istituzioni ed i media con la RAI in testa, stanno cercando di occultare quello che e’ accaduto veramente in quei giorni costruendo una narrazione dei fatti che tende ad assolvere le forze preposte ai salvataggi e a screditare i soccorritori. Inoltre, come ogni anno, il 3 Ottobre 2015 Lampedusa sarà teatro di una nuova commemorazione finanziata da istituzioni italiane ed europee e dalle forze militari italiane.
Come ogni anno saremo in piazza, per opporci all’ennesima passerella istituzionale che ha lo scopo di occultare i crimini europei in materia di migrazione, per denunciare la progressiva militarizzazione di Lampedusa e del Mediterraneo e per aprire le indagini per mancato soccorso per la strage del 3 ottobre 2013.»

In tutto il paese, associazioni, centri sociali e collettivi hanno organizzato proiezioni della videoinchiesta di Antonino Maggiore che anche noi incorporiamo in questo post. La lista completa delle iniziative si trova qui.


Nella nostra città, Bologna, si terrà una manifestazione alla Stazione centrale, h. 14:30 (evento qui) e stasera, h.21:30, si proietterà il documentario all’ex-Beretta Occupato, via XXI Aprile (evento qui). Ecco il testo della convocazione:

Bologna 3 ottobre 2015 – Stop war, not people

Il 3 ottobre è l’anniversario della strage avvenuta al largo delle coste di Lampedusa, quando più di 366 persone persero la vita durante un naufragio su cui ancora deve essere fatta chiarezza. Da Lampedusa viene proposta una data che ricordi quei fatti e al contempo guardi a cosa sta avvenendo ora.

Nelle ultime settimane i migranti hanno ridisegnato i confini, imposto un cambiamento alla società che supera ogni demarcazione. Sul fronte istituzionale è il caos: la Germania ha aperto e chiuso le proprie frontiere a piacimento, l’Ungheria ha alzato altri muri, l’Italia sta attivando hotspot per dividere gli immigrati buoni da quelli che devono essere mandati indietro, sulla base di criteri del tutto discrezionali. Un piano europeo non esiste. Con la scusa della lotta ai trafficanti, si è dato il via ai respingimenti nel Mediterraneo, spostandosi sempre più vicino alle coste libiche. Con la scusa del “risolvere il problema alla radice” ci si sta preparando ad interventi militari nei paesi di provenienza. Ma gli stati europei sono parte in causa: nel corso degli anni si sono finanziate guerre, regimi,  sfruttamento della manodopera, a cui si aggiunge un passato coloniale con cui non si sono mai fatti i conti. Il 3 ottobre è anche l’anniversario dell’invasione fascista in Etiopia.

Per questo motivo il nodo di Bologna della rete No Borders convoca una manifestazione che dica chiaramente:

– No alla militarizzazione: l’esercitazione militare Trident Juncture durerà dal 3 ottobre al 6 novembre, conterà 36mila uomini e coinvolgerà i paesi del sud Italia, Spagna e Portogallo. Massacrati dai tagli delle politiche europee, ma utilissimi quando diventano avamposti verso l’Africa. Al contempo il sistema di accoglienza è interamente in mano a prefetture e questure, senza alcuno spazio per la solidarietà organizzata.

– Profughi sì, migranti anche: quella tra profughi e migranti in viaggio “per ragioni economiche” è una differenza del tutto discrezionale che non tiene conto delle responsabilità europee nello sfruttamento e nella devastazione dei paesi di provenienza. La vera accoglienza non crea distinzioni.

– Sì alla libertà di transito: e dunque no alle restrizioni della Dublino 3 che obbligano i migranti a registrarsi nel primo paese di approdo impedendogli di proseguire il viaggio.

– Sì ad un’accoglienza diversa: sulla scia degli esperimenti del presidio No Borders di Ventimiglia sappiamo che, insieme ai migranti, è possibile costruire una rete di accoglienza autogestita, condivisa, libera dalle mafie e dallo sfruttamento.

No Border Bologna

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5 commenti su “Dalle stragi italiane in Etiopia alla strage di #Lampedusa: il ritorno del rimosso coloniale (un 3 di ottobre)

  1. […] italiano nel mondo arabo e alcune prodezze dell’aviazione militare italiana. Nel post «L’uomo dell’Etiopia» abbiamo ricordato altre azioni eroiche dell’aviazione militare italiana, stavolta in Etiopia. […]

  2. Scusate la domanda un pò particolare, ma sapresti dirmi come recuperare l immagine che si vede proiettata a sfondo nel video del reading?
    quella con il militare, presumo, italiano?
    grazie

  3. […] avvenuto a Tripoli due giorni prima, con le attuali politiche dell’ENI nel Delta del Niger e con la strage di Lampedusa del 3 ottobre 2013, storie che mettono insieme resistenza al colonialismo e guerra partigiana contro il nazifascismo […]

  4. […] 1 leggerà il suo racconto Paulus dedicato a Barontini e il Bhutan Clan eseguirà il suo brano L’uomo dell’Etiopia. Saranno disponibili tutte le autoproduzioni di Resistenze in […]