Branco ’75

Unire quel che appare diviso: Salò e Amici miei, note per una visione comparata

di Wu Ming 1

“Ragazzi, come si sta bene fra noi, fra uomini! Ma perché non siamo nati tutti finocchi?”
– L’architetto Melandri (Gastone Moschin) in Amici miei

Due film del 1975

Salò o le centoventi giornate di Sodoma di Pier Paolo Pasolini, Amici miei di Mario Monicelli.
[Nei titoli di testa c’è scritto “Regia di Pietro Germi”, per un errore. Doveva dirigerlo Germi, ma morì all’improvviso, e il film lo prese in mano Monicelli.]
Due film coevi, quasi simultanei, uno “alto” e uno “basso”. Due film dai destini molto diversi:
– Amici miei
è un film godibilissimo, quando esce nelle sale fa in poco tempo 7 milioni di spettatori paganti, poi vince due David di Donatello (miglior film + miglior attore protagonista) e diventa un culto di massa tramandato di generazione in generazione, stra-citato, continuamente ritrasmesso in tv.
– Salò viene sequestrato poco dopo l’uscita e a tutt’oggi lo ha visto poca gente: in tv non può essere trasmesso (è VM18), inoltre la visione è quasi insostenibile. E tra i pochi che lo hanno visto, pochissimi hanno voluto rivederlo. Prosegui la lettura ›

Saviano libero. Appunti sulla contraddizione-Mondadori

Ricapitoliamo: Berlusconi attacca Gomorra. Lo aveva già fatto, ma stavolta è più esplicito.
Saviano giustamente fa notare che Berlusconi è proprietario della casa editrice che pubblica il libro, e chiama in causa quest’ultima: “Si esprimano i dirigenti, i direttori, i capi-collana”.
Si esprime invece Marina Berlusconi, più in veste di figlia che di editrice.
Saviano commenta la lettera di Marina senza abbozzare, senza toni concilianti, anzi, chiamando in causa la Mondadori con maggiore perentorietà. Il messaggio è: “Voglio sentire chi in casa editrice ci sta per davvero, voglio sentire chi la Mondadori la manda avanti”.

La contraddizione si acuisce. Da autore Mondadori e autore di Gomorra, Saviano occupa una postazione strategica, e più di altri può chiamare al pettine certi nodi, nodi che riguardano anche noi.
Far venire i nodi al pettine è tanto un dovere civico e politico, quanto un compito specifico dello scrittore.

Pubblicando con Mondadori, Saviano ha generato conflitto. Conflitto non effimero, ma che opera in profondità. Comunque vada, è più di quanto abbia fatto l’opposizione.
Se Saviano fosse rimasto in una nicchia di ugual-pensanti, nel ghetto dei presunti “buoni”, non avrebbe acuito nessuna contraddizione, né generato alcun conflitto.

Stare simultaneamente “dentro” e “contro”, diceva l’operaismo degli anni Sessanta. “Dentro e contro” era la posizione, era dove piazzare il detonatore. Prosegui la lettura ›

Chi ha rubato il mestiere a Uri Geller?

Il paragnosta Uri Geller

[Come molti di voi sanno, noi teniamo una rubrica sul mensile GQ, si chiama “Wumingwood” ed è un’indagine sui modelli di riferimento maschili (buoni e cattivi). L’ultimo numero del vecchio Giap (ottobre 2009) conteneva la nostra dichiarazione d’intenti e un pdf con le prime cinque puntate, dedicate a Filippo d’Edinburgo (no buono), Peter Kolosimo (buono), Mobutu Sese Seko (no buono) e Mirek Topolanek (no buono).
Da allora abbiamo curato i “ritratti” di Angus Young (buono), Jean-Marie Le Pen (decisamente no buono), Christopher Lee (buono), Johnny Thunders (boh), Uri Geller (no buono) e Gaetano Bresci (molto buono). Il prossimo numero sarà dedicato all’eroe della Resistenza Bruno Fanciullacci.
Pian piano, non seguendo alcun ordine, li pubblicheremo qui sul nuovo Giap. Iniziamo dalla puntata del mese scorso, dedicata al “sensitivo” Uri Geller. L’illustrazione, come sempre, è di David Foldvari.]

UN GERRY SCOTTI TRAVESTITO DA MANDRAKE

Dell’ex-paracadutista israeliano Uri Geller, l’uomo che “piega i cucchiai con la forza del pensiero”, si parlava moltissimo nei primi anni Settanta. Oggi è ancora famoso, ma è una stella di grandezza medio-piccola, uno dei tanti che si arrabattano per far parlare di sé: ha partecipato all’edizione inglese de L’isola dei famosi (il cimitero degli elefanti dello show-biz); manda querele a destra e a manca per futili motivi (es. ha adito le vie legali contro i Pokemon per via di un personaggio, Kadabra, concepito come sua parodia); approfittando di un guasto del Big Ben, ha dichiarato di averlo fermato lui grazie alla telecinesi (lo stato dovrebbe fargli pagare le riparazioni); ogni tanto millanta appartenenze a diversi servizi segreti (compare in questa chiave nel libro di Jon Ronson L’uomo che fissa le capre) etc. etc. Prosegui la lettura ›

La Stampa: intervista sul nuovo Giap, la rete, il copyright, l’iPad

[Quest’intervista è apparsa ieri sul sito del quotidiano La Stampa.]

I WU MING E LA SECONDA VITA DI GIAP
Dopo dieci anni, il collettivo bolognese chiude la sua storica newsletter, trasformandola in blog. Tra presente e futuro, disseminazione e razionalizzazione dei contenuti, social network, iPad e copyright, Wu Ming 1 ci spiega perché. di
Luca Castelli

Dieci anni. Oltre cento invii. Più di dodicimila iscritti. Sono i numeri di Giap, la newsletter-rivista con cui – dal 2000 all’altro ieri – il collettivo di scrittori Wu Ming ha mantenuto via email il contatto con i lettori. Articoli, riflessioni, racconti, link e battaglie: un modo innovativo, soprattutto in Italia, per sviluppare la propria presenza online. Un percorso, tuttavia, che si è pian piano rarefatto. Fino alla chiusura definitiva della newsletter, trasformata in blog e integrata con Twitter, Anobii, il mondo dei social network, dei feed, dell’aggiornamento costante e istantaneo. Protagonisti di numerose iniziative online, dal progetto transmediale di Manituana al download libero di tutti i loro libri, fin dagli albori del www i Wu Ming svolgono un ruolo di avanguardia nell’esplorare la mutazione dell’autore ai tempi delle tecnologie digitali. Per questo, prendendo spunto dalla seconda vita di Giap, abbiamo deciso di fare il punto sulla situazione con il gruppo. A risponderci, attraverso i fili invisibili di Skype, è stato Wu Ming 1.

Perché avete deciso di terminare le spedizioni di Giap?

Di fatto, l’ultimo numero di Giap risale all’ottobre 2009. La newsletter è già chiusa da tempo. Negli ultimi mesi abbiamo comunicato principalmente tramite il blog dedicato ad Altai, Twitter e sulla bacheca della nostra libreria su Anobii. Gestire una newsletter via email negli anni è diventato sempre più brigoso: tra problemi tecnici, antispam, gente che si iscrive e poi se ne dimentica e  protesta perché la riceve. Inoltre, per fare Giap era necessaria una vera e propria attività redazionale ed era uno strumento troppo lento. Per “giustificare” la spedizione di un numero c’era bisogno di una certa quantità di materiale significativo, quindi le spedizioni erano rarefatte.

E’ vero, come scrivete sul vostro sito, che avete cancellato tutti gli indirizzi degli abbonati? Un’eresia nell’era del marketing digitale…

E’ vero, erano circa 12.400 iscritti e con un solo click a mezzanotte in punto abbiamo cancellato tutto. Ricominciamo da capo, senza riposare sugli allori di un’attività telematica ultradecennale. Anche dopo l’uscita di Q, quando cambiammo nome (da Luther Blissett a Wu Ming, NdI), le reazioni nell’industria editoriale furono di sbigottimento: “Ma come, faticate anni per imporre un brand e dopo che avete successo lo distruggete?”. Noi non ragioniamo sul breve termine, guardiamo in avanti, tutte le scelte sono strategiche e devono riflettere il nostro ethos. Rinunciamo anche a “grandi” vantaggi immediati ma effimeri, come la notorietà che avremmo andando in tv, pur di non tradire il nostro stile. Questo ci porta a compiere gesti che secondo il metro dominante sembrano azzardati o addirittura incoscienti. Prosegui la lettura ›

Per Emergency

[Ieri Peace Reporter ci ha chiesto una dichiarazione su quel che sta accadendo a Emergency. Eccola.]

Quello di Emergency è il più importante gioco di verità sul fronte della sedicente “Guerra al terrore”. Il “semplice” racconto, giorno per giorno, degli effetti della guerra sui corpi e sulla vita è ciò che più mette in crisi l’informazione, oggi mera trasmissione di parole d’ordine. Il racconto di Emergency fa collassare ogni parola d’ordine, ogni giustificazione, ogni razionalizzazione di comodo sulla guerra. Ascoltandolo, scompare tutta la prosopopea della finta realpolitik. Il racconto giorno per giorno ci mostra quali sono le conseguenze; ci mostra che esiste un’altra possibilità, perché tra maciullare le gambe di un bimbo e lasciarlo correre libero, c’è sempre una scelta; ci fa sentire cose che normalmente sappiamo ma non sentiamo sulla nostra condizione, cioè sul nostro essere bersagli di propaganda. Al racconto dello scontro tra guerra e vita, i poteri costituiti rispondono in modo violento, e in questo modo entrano nel gioco di verità, confermano che il vero fronte della vera guerra è quello che vede la vita (la vita vera, non il suo feticcio) resistere ogni giorno contro i poteri che vogliono annientarla.


In alto a destra, vignetta di Mauro Biani apparsa su Megachip

Un par de palle

Riceviamo da Ivan Federico e pubblichiamo (clicca per ingrandire):

Tranquill*, è “morto” solo il formato-newsletter! Giap ha una nuova vita. Quanto al comandante Vo Nguyen Giap, a cui ci ispirammo per il nome, il 25 agosto scorso ha compiuto 100 98 anni. Di recente, il trionfatore di Dien Bien Phu ha criticato con durezza l’apertura di nuove miniere di bauxite tra le foreste degli Altipiani centrali del Vietnam. Il progetto è una joint venture tra Vinacomin (l’impresa mineraria di stato) e una compagnia cinese. In tre lettere aperte, Giap ha messo in guardia contro i rischi ambientali e politici di quella scelta. Negli ultimi anni si è sempre più distinto come “dissidente”, voce fuori dal coro, anziano fustigatore dell’andazzo generale.

Iniziamo dando i numeri. Operazione Glasnost 2010

Sono passati cinque anni da quando abbiamo inaugurato l’Operazione Glasnost, che consiste nel rendere pubblici i dati di vendita dei nostri libri. Il motivo che ci spinge a farlo è sempre lo stesso: la trasparenza nei confronti dei lettori e il rispetto verso chi sceglie di spendere i suoi soldi per acquistare i frutti del nostro lavoro. Nelle copie vendute di un singolo libro, ci sforziamo di vedere una relazione tra persone, e non soltanto un dato di magazzino e una prospettiva di guadagno al 10% del prezzo di copertina. I numeri da soli non dicono nulla, i fatti bruti non parlano, eppure non si può fare a meno di partire da lì, se si vuole raccontare una storia sensata. Viviamo in un Paese dove i partecipanti a una manifestazione di piazza possono essere un milione o centocinquantamila, a seconda che a valutarli siano gli organizzatori dal palco o la questura, e per capirci davvero qualcosa servono le riprese dall’elicottero, i giornalisti appostati sui tetti, la dinamica dei fluidi e gli assiomi di Euclide. In un paese così, dare i numeri significa davvero essere matti.
Da quest’anno, poi, abbiamo deciso di introdurre due novità. La prima e più importante sono i dati dei download: molti ce li hanno chiesti, nel corso del tempo, per studiare in maniera scientifica il nostro esperimento di pubblicazione in copyleft. Purtroppo, ci eravamo sempre limitati a trarre dal sito indicazioni di massima e soltanto nel 2009 abbiamo deciso di fare i conti con precisione. La seconda novità è che non ricaviamo più i dati di vendita dai rendiconti annuali che ci arrivano a primavera. In quei documenti, a volte, vengono fatte compensazioni e arrotondamenti. Per essere ancora più precisi, allora, abbiamo deciso di rivolgerci direttamente al magazzino di Einaudi Stile Libero: a fine gennaio 2010, una volta “atterrate” le eventuali rese del periodo natalizio, abbiamo chiesto e ricevuto tutte le cifre relative al 2009. Le abbiamo sommate ai numeri degli anni precedenti, ed ecco qua il risultato. Manca il venduto di Altai, perché è uscito solo da pochi mesi, i dati non sarebbero stati affidabili. Secondo nostri calcoli empirici, siamo tra le 40.000 e le 50.000 copie, ma è presto per dare cifre precise. Quanto al download, nel 2009 Altai non era ancora scaricabile. Prosegui la lettura ›