Anteprima #Lamacchinadelvento: un estratto del capitolo 1. In libreria dal 16 aprile 2019

L’isola di Ventotene vista da Gaeta.

[Tra una settimana esatta uscirà La macchina del vento, il nuovo romanzo di Wu Ming 1. Su Giap se ne è parlato per la prima volta all’inizio dell’anno; qualche settimana fa abbiamo pubblicato in anteprima la copertina e il calendario delle prime presentazioni; oggi pubblichiamo un estratto dal capitolo 1. Che non è l’inizio del romanzo, perché prima c’è un prologo diviso in tre parti, intitolato «Antefatti (1922-1938)».
L’intero collettivo fa propria questa raccomandazione di WM1: «Invitiamo sempre a privilegiare le librerie indipendenti, ciascuna delle quali è un importante presidio di cultura e relazioni sul territorio. Ma non in tutte le zone ci sono librerie indipendenti, e allora in subordine van bene anche quelle “di catena”. E se non ci sono nemmeno quelle, oppure si vive all’estero, allora va bene l’on line.»
La macchina del vento è già acquistabile in tutte le librerie on line. È anche già su Anobii e Goodreads.
Buona lettura.]

Poche decine di chilometri al largo della costa tirrenica, tra Lazio e Campania, c’è un rado arcipelago di isolotti, sputati da un vulcano quando Zeus era ancora in fasce. Sono le isole Ponziane: Ponza, Palmarola, Zannone, Gavi, Santo Stefano e Ventotene.
Giacomo approdò a Ventotene nella tarda mattinata di un martedì. Era il 14 novembre del ’39, giornata torva, di cielo pesante.
Il porto dell’isola era troppo piccolo e il piroscafo non poteva entrarci, così gettava l’ancora poco prima e le scialuppe facevano la spola sbarcando, nell’ordine, passeggeri, guardie, confinati e mercanzie. Fu appunto dalla barca che Giacomo li vide: dietro un muricciolo che sovrastava il porto, decine di fazzoletti salutavano i nuovi arrivati. Lo facevamo sempre, dalla piazzetta là in alto si aveva il tempo di aguzzare la vista, osservare chi arrivava, a volte riconoscere qualcuno.
Un passo, un altro ancora, e Giacomo fu sull’isola. Aveva l’occhio infossato, la barba di più giorni sul viso diafano, gli occhiali inforcati sbilenchi. Barcollava, ancora scosso per la traversata, nauseato dal mare grosso. La giacca era chiazzata di vomito secco, roba del suo stomaco e di quelli altrui, perché avevano rimesso anche i compagni, e pure un paio di carabinieri. Ma mentre i carabinieri erano liberi di sporgersi fuori bordo, muoversi, respirare a pieni polmoni, Giacomo e gli altri erano costretti nella stiva, coi ferri a mani e piedi e legati in sette alla stessa catena, perché non si era mai troppo cauti: chiusi in un piroscafo che procedeva verso il buco del culo del mondo, circondati dal Tirreno nero e furibondo, sorvegliati da uomini armati e, non bastasse, scossi dai conati, i confinandi – novelli Houdini – sarebbero potuti fuggire!
Giacomo aveva i polsi segnati. Nelle mani intorpidite sentiva i morsi di mille formiche: era il sangue che tornava a circolare. I polsi erano ossuti. Prima di essere inviato al confino, si era fatto un anno di carcere a Civitavecchia. Dal giorno del suo arresto, aveva perso quindici chili e tre decimi di vista.

Carlo e Nello Rosselli

Due anni prima, Giacomo era entrato in Giustizia e libertà, ma il suo attivismo era stato poca cosa. Il 9 giugno 1938, primo anniversario dell’uccisione dei Rosselli, aveva ricevuto…
[…]

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