Fuori dalle secche. Il teatrino politico-mediatico e l’autonomia della lotta #notav – di Wu Ming 1

Clicca sull’immagine per vedere e ascoltare la presentazione di Wu Ming 1 «Fuori dalle secche». Il video mostra l’intero incontro «La fabbrica del consenso», con tutta la sequenza di interventi – De Masi, Bertok, Pepino, WM1 e Montanari – per un totale di due ore e quarantasette minuti. Il link porta direttamente all’inizio dell’intervento di WM1, che dura una quarantina di minuti, ma ovviamente esortiamo a vedere anche gli altri, tutti molto puntuali e incisivi. L’intera giornata ha fornito una sintesi rara e preziosa su un contesto di mala informazione sistematica, pregiudizialmente a favore della grande opera e contro la lotta No Tav.

Non nascondiamocelo: il movimento No Tav ha passato un «brutto quarto d’ora» lungo un anno. Ne sta uscendo, non senza fatica ma con una nuova consapevolezza.

Domenica 31 marzo 2019, al Cinema Massimo di Torino si è svolto l’incontro «La fabbrica del consenso», organizzato dal Controsservatorio Valsusa. Sottotitolo: «Realtà/reality, vero/falso nella rappresentazione mediatica della Nuova Linea ferroviaria Torino-Lione (TAV)». Quasi tre ore di impietoso smontaggio del muro di disinformazione eretto da TV e giornali nell’autunno 2018, prima, durante e dopo la manifestazione sìTav delle cosiddette «Madamin». Un periodo di Totale Mobilmachung, di vera e propria militarizzazione dei media, di bombardamento a difesa della Grande Opera come da tempo non si vedeva.

In origine, l’incontro era nel programma di Biennale Democrazia, ma all’improvviso gli organizzatori della kermesse – tra i cui sponsor c’erano Eni, Intesa San Paolo, Compagnia di San Paolo e Fondazione CRT – hanno posto al Controsservatorio condizioni inaccettabili, e si è giustamente deciso di tenere l’iniziativa altrove, in autonomia. Amen.

Sul sito del Controsservatorio sono già disponibili → i video di tutti gli interventi: hanno parlato Gianna De Masi, Ezio Bertok, Livio Pepino, Wu Ming 1 e Tomaso Montanari.

Rispetto all’impostazione generale, Wu Ming 1 ha spostato lievemente il focus, cercando di rispondere alla domanda: che immagine di sé ha dato il movimento No Tav per gran parte del 2018 e almeno fino al febbraio scorso?

Ci si può fare una prima idea della risposta leggendo titolo e sottotitolo di uno dei riquadri della presentazione multimediale:
«L’inverno del nostro scontento. Estate 2018 – Febbraio 2019: calo di autonomia nell’immagine della lotta, calo di universalità del significante “No Tav”».
Immagine di sfondo: la faccia del ministro Toninelli.

Contro il movimento, in tutti questi anni, sono stati usati, per dirla con Alain Badiou, «nomi separatori» («i violenti», «gli antagonisti» ecc.) e, per dirla con… Wu Ming, «nomi omologanti», come «Nimby» e, con una nettissima prevalenza negli ultimi mesi, «grillini».

La tesi di WM1 è questa: mentre i No Tav non sono mai caduti nella trappola dei nomi separatori, il cui uso da parte del nemico è ogni volta caduto nel vuoto, purtroppo il nome omologante «grillini» ha fatto seri danni.

Nulla di irreparabile, ma molto su cui ragionare, mentre quella fase termina. Termina, sì, e vediamo già il ritorno all’altra strategia, quella basata sui nomi separatori, con il ritorno del frame della «violenza».
Paradossalmente, è un buon segno.

Grazie al Controsservatorio Valsusa per l’invito e l’occasione di poter dire cose che evidentemente «stavano sul gozzo» a molte e molti, a giudicare dalle reazioni in sala (che sentirete) e dai commenti ricevuti in seguito.

→ Buona visione e buon ascolto.

P.S. La presentazione – senza la voce di WM1 a commentare – è navigabile a piacimento qui.

Scarica questo articolo in formato ebook (ePub o Kindle)Scarica questo articolo in formato ebook (ePub o Kindle)

Print Friendly, PDF & Email

4 commenti su “Fuori dalle secche. Il teatrino politico-mediatico e l’autonomia della lotta #notav – di Wu Ming 1

  1. Ho ascoltato l’intervento di Wu Ming 1, ancora non ho sentito il resto, ed è stato come sempre ispirante. In questi mesi sto cercando un po’ di uscire dalla “camera dell’eco”, provando ad ascoltare anche altri punti di vista rispetto alla questione “TAV”, in generale sulle grandi opere, o il disastro ambientale.
    Si potrebbe pensare che in realtà questi punti di vista altri sono presenti ovunque, e non v’è bisogno di approfondirli. Ma non è così. Attorno a noi, nell’aria, la narrazione è sempre iperbanalizzata, ipersemplificata, distorta. Anche chi proviene dall’area liberale, o liberista, o neoliberista (ma non mi sono chiare tutte le demarcazioni) ed ha un q.i. adeguato è ben consapevole della situazione. Qualcuno addirittura sostiene che questo “liberismo” di cui tutti parlano nulla abbia a che fare con il vero liberismo – e m’ha fatto venire in mente la vexata diatriba sul socialismo reale che in realtà non si è mai visto realizzato e quindi è ancora ingiudicabile dal punto di vista storico.
    Ma non sono un economista, pertanto mi astengo da ulteriori commenti.
    Ciò che invece mi sta a cuore esternare riguarda uno dei passaggi chiave dell’intervento di cui sopra: la capacità del movimento NOTAV di essere contemporaneamente dentro il discorso “TAV” e fuori, mettendo in evidenza i legami con tutte le altre lotte di simile natura. E credo anch’io che l’emergenza ambientale sia un possibile volano e un collante eccezionale per provare ad allargare l’orizzonte.
    C’è però a mio avviso una difficoltà di fondo che sottende molte di queste lotte “ecologiste”. Noi viviamo in un sistema ben definito, che sta spremendo il pianeta oltre le sue possibilità (“sue” del sistema, perché il pianeta è piuttosto atarassico al riguardo). Ma è anche sotto ogni evidenza un sistema che ci ha dato parecchie possibilità ed occasioni, più che in ogni altra epoca della storia. E dunque nel momento in cui si cambia strada, anche nella perfetta coscienza che cambiare strada sia l’unica alternativa fattibile, beh bisogna avere un’idea la più puntuale possibile di dove andare, come e in quali tempi (lo spazio e il tempo per improvvisare non mi sembrano alla nostra portata). Quello che in didattica chiamiamo “lo sfondo integratore”. Io stesso mi trovo spesso in difficoltà nel pensare quale mondo “a scarso impatto ambientale” possa andare bene. A cosa dovremo rinunciare? Per quanto tempo?
    Certo, potrebbe anche darsi che la soluzione migliore sia una politica “a piccoli passi”, in cui man mano si proverà a costruire un futuro alternativo. Ma, storicamente, questa non è una narrazione che attecchisca bene e raccolga consensi. In giro ho letto molte proposte, alcune di queste realizzatesi in progetti concreti, eppure riguardano sempre piccoli sparuti gruppi di persone, perlopiù occidentali con un background finanziario alle spalle non ridicolo.
    Oggi per cambiare il mondo bisogna raccontare una storia a 8 miliardi di persone, e che valga per quasi tutti loro. A me sembra veramente tosta, visto che oltretutto i narratori non è che si trovino così d’accordo…

    • Sono perfettamente d’accordo. Questo secondo me è un problema molto generale: sappiamo che lo stile di vita “occidentale” è insostenibile, ma abbiamo davvero idea di cosa dovrebbe sostituirlo? Io no, per niente. Ci penso ogni volta che sento sindacalisti difendere i posti di lavoro contro le politiche predatorie dei grandi padroni, anche quando il lavoro in questione è distruttivo per l’ambiente (e, in fondo, lo sono la maggior parte dei lavori). Quando la visione di fondo di molta sinistra, anche “radicale”, è che per migliorare la situazione economica bisogna costruire più automobili.

      Ho sentito un’intervista a un operaio di un cantiere della TAV che diceva sostanzialmente che lui è contrario al reddito di cittadinanza, perché gli hanno insegnato che il lavoro è dignità e lui vuole un lavoro, non un salario. O ricordo di un editoriale di qualche giornalone tipo il Corriere dove l’autore si lasciava sfuggire che le fabbriche vanno preservate perché servono per creare lavoro. Lavoro? Non dovrebbero creare beni? A me affermazioni del genere mettono i brividi.

      Spero di non essere troppo OT.
      Saluti.

  2. […] di spinta dal basso di movimenti sociali, ma ha ben presto dimostrato la propria inconsistenza, deludendo oltremisura, e molti che l’avevano votato se ne sono andati, plausibilmente senza dare il voto a nessun […]

  3. […] e alcune scadenze legate ad appalti per l’opera, cosa ampiamente pronosticata da uno di noi nell’intervento «Fuori dalle secche», risalente al marzo […]