L’incendio in #Valsusa raccontato da dentro

Da Mompantero, oggi. Incendio domato da due giorni, nell’aria c’è ancora il fumo.

di Davide Gastaldo *

Domenica 29 ottobre, h. 4:40.
– Tocca a noi, ci sono i vigili del fuoco.
– Ok.
– Io prendo zia, cane e gatto,  attacco le gomme dell’acqua e chiudo il gas nostro e dei vicini, tu fai due borse con l’essenziale.
– Ok.
Nelle borse, oltre a un po’ di biancheria trovo: il mio vestito del matrimonio, il pelouche che mia moglie teneva nel letto da piccola, una trousse di trucchi, i passaporti…
Poco importa, tanto nella fretta spediamo il tutto fuori valle con zia e bestiole, e restiamo sfollati senza un paio di mutande di ricambio.

La Valsusa bruciava da una settimana, il lato orografico sinistro, da Foresto fino a Rubiana era un rogo che si spostava sulle ali di un vento bastardo, con raffiche fino a 100 kmh in direzione nord-ovest, ma con mulinelli ascensionali e brusche svolte.

I soccorritori – volontari AIB, Vigili del fuoco e alcuni semplici cittadini un po’ attrezzati – potevano solo contenere, seguendo gli spostamenti dei fronti di fuoco. Giornaletti locali si divertivano a scrivere «spento incendio a…» e mezz’ora dopo «nuovo incendio a…», mentre era chiaro che non si era spento nulla. Un rogo così vasto non si estingue nel giro di ore: spente le fiamme, cova nelle radici, nel terreno, e basta un refolo a farlo ripartire.
E bruciava anche fuori valle, a Cumiana, a Cantalupa… In tutto il Piemonte erano una ventina gli incendi in atto, nel silenzio della stampa mainstream che si degnava di citarli solo per motivare i valori alti di pm10 nel capoluogo. Nemmeno la morte di un ragazzo nel pinerolese – mentre cercava di mettere la propria casa al riparo dalle fiamme – aveva avuto una grande eco.

Il secondo giorno di incendio, nel fondovalle la situazione si era fatta critica e al contempo, con una dinamica che stupiva anche i professionisti dello spegnimento, il fronte risaliva controvento, iniziando a divorare le pendici del Rocciamelone.

A Mompantero la sindaca [Piera Favro, N.d.R.] chiudeva le strade montane. Non «faceva chiudere»: le chiudeva lei, letteralmente. I carabinieri locali, scarsi in organico perché impegnati su altri fronti dell’incendio, non potevano fare i posti di blocco, e quindi la prima cittadina si metteva fisicamente sulla strada a fermare il traffico. Nei giorni seguenti sarebbero arrivati guardiaparco a dar sostegno, ma al posto di blocco ci sarebbero sempre stati amministratori. E i numerosi agenti distaccati al cantiere Tav di Chiomonte?

Intanto, in maniera poco intellegibile, da valle il fronte avanzava, a strattoni. Gran parte della popolazione non si rendeva conto di niente, il brutto era in alto e spesso le persone guardano solo i propri piedi, inoltre media e istituzioni continuavano a tacere (Su Giap si è analizzata in tempo reale questa “lentezza di riflessi”, o reticenza, o malafede). Per assurdo invece chi si teneva informato sui social, anche da molto lontano, iniziava a preoccuparsi seriamente, e arrivavano messaggi di solidarietà e, sempre più fitte, richieste di poter portare aiuto: dai terremotati di Macerata, dal Salento, Milano, Firenze, Bologna, Trieste…

A tutti, mentre la solidarietà scaldava il cuore, la stessa risposta: «Grazie, non potete far nulla al momento, non venite.»
Una risposta triste, spiacevole, ma necessaria: un incendio montano lo può contrastare solo gente formata, in rete ed equipaggiata. Un incendio sul Rocciamelone lo può contrastare solo chi conosce il Rocciamelone.

Nei giorni seguenti, al posto di blocco, dove già il fumo era denso, le persone più disparate: dai ciclisti che dovevano allenarsi e non si spiegavano perché non potessero salire, al torinese disperato perché non poteva andare alla sua baita, magari chiusa da vent’anni, all’apicoltore che aveva le arnie su e «si, ti facciamo passare, ma poi? Mica puoi caricarti da solo venti arnie su un’Ape 50…», ai curiosi con reflex frustrati dal non poter immortalare le fiamme.

Intanto il fronte risaliva la valle e scendeva le pendici, contrastato solo da terra.

[Parentesi: ho sentito millanta discorsi su carenza di Canadair e dure critiche sulla presunta lentezza nel richiedere i mezzi: in Italia abbiamo pochi aeroplani per getto d’acqua, è vero, e sovente si é lenti nel muoversi per allertarli; nel nostro caso i Canadair ci sono stati sempre o quasi, la realtà é che i piloti spesso non potevano operare, perché non c’erano le condizioni di sicurezza. Quei velivoli non sono pensati per lavorare in fortissima inclinazione e con raffiche di vento importanti.]

Venerdì 27 già in mattinata si percepiva il pericolo imminente per le borgate alte, e da qui in poi il mio sguardo si é chiuso su Mompantero, del resto della valle e del resto del mondo non ho più saputo nulla. Piera ha disposto l’evacuazione delle frazioni Seghino Superiore, Seghino Inferiore e Bianchi, le più alte ad avere residenti: cinque o sei nuclei familiari, tra cui quello di Piera. Finalmente i carabinieri hanno deciso che la situazione era abbastanza grave da dare supporto logistico (ma solo a valle), la tolleranza al posto di blocco si è ridotta drasticamente e col guardiaparco Luca Giunti sono salito a verificare che non ci fosse nessuno nei gruppi di case più a monte, almeno fin dove si poteva arrivare.

Questa è la parte che uno scrittore bravo racconterebbe come un affresco dantesco, con particolari pirotecnici e drammatici fortissimi. Io mi accontento di riportarvi il lungo sguardo desolato tra me e Luca davanti alla montagna in fiamme, in un silenzio che probabilmente era solo nelle nostre menti. Non ricordo lacrime, ma forse c’erano.

Nel ridiscendere al checkpoint tanti mezzi di soccorso a correre sulle stradine scoscese, a bloccarsi, far manovra, srotolare manichette… Ogni tanto il suono sordo di un’esplosione, da bombola del gas o da granata, a seconda di chi fossero i nonni degli attuali proprietari della baita (e no, non é una battuta).

Intanto la cenere scendeva oltre il ponte del Seghino, appena una curva sotto al blocco, l’aria era quasi irrespirabile, i volti sui mezzi che salivano e scendevano si facevano sempre più torvi, e anche i guardiaparco, con cui fino al giorno prima si scambiavan battute («Se non altro abbiam risolto il problema della processionaria») eran seri, gli occhi rivolti a monte, al fumo. E il fumo lo si vedeva ormai muoversi verso Novalesa, voci lo davano già al Pampalù. Scendendo a Susa e alzando lo sguardo non si capiva un cazzo, si aveva l’impressione di una bomba atomica esplosa a metà monte. Sembrava un disaster movie in cui avessero esagerato a saturare i colori.

La bomba

L’inferno in terra. Fotografia di Vincent Spinola.

Evacuare gente di montagna non è facile, ai Bianchi ci son volute tre ore, ché i carabinieri proprio non li si voleva chiamare e quelli non volevano scendere, ma alla fine, dopo aver concesso di bagnare tutta la frazione e  tagliare il tagliabile, la pazienza dei guardiaparco ha avuto la meglio; dal Seghino invece, beh, diciamo che dal Seghino si sono evacuate le donne… Quasi tutte.

Nella nottata il fronte si era ancora allargato, in quota, abbracciando dall’alto tutta Mompantero e sconfinando su Venaus, e si era rischiato grosso con un gruppo di vigili del fuoco quasi chiusi dalle fiamme.

Sabato, al settimo giorno di roghi, Chiamparino aveva il tour mediatico del fuoco in valle (e anche in altri territori con incendi), e allora iniziavano a comparire i primi giornalisti importanti.

– Ci fate salire fino all’incendio?
– No, sareste di intralcio e in pericolo, al massimo un tornante così col teleobiettivo potete prendere l’incendio.
– Ma riusciamo a filmare qualche borgata in fiamme?

Ometto la replica del guardiaparco.

Intanto il vento era calato, il numero di soccorritori era cresciuto e i Canadair lavoravano, riuscendo a tenere in quota le fiamme e – almeno ad occhio – a ridurle notevolmente di massa. Il territorio iniziava ad essere pesantemente presidiato dai CC, dalle borgate alte arrivavano scarsissime notizie, gli evacuati di Seghino e Bianchi che in giornata erano risaliti abbandonavano tutti e celermente le frazioni su cui incombeva il rogo. Per il fondovalle, fino al pomeriggio pareva che il peggio fosse passato.

Poi il vento è tornato, con una forza preoccupante, e nel buio prematuro creato dal fumo le fiamme hanno iniziato a svettare altissime, si vedevano nitidamente mozziconi di rami staccarsi, incendiati, e rotolare per decine di metri sul pendio scosceso per poi appiccare nuovi fuochi più in basso.

Alle 5 lo sgombero di Trinità Alta (me e mia moglie compresi) e Pietrastretta (questa in modo parziale). Qui ho un buco di circa tre ore in cui io e Ileana abbiamo chiamato i vicini villeggianti affinché evacuassero le bombole e predisponessero acqua per i soccorritori, nutrito e allontanato zia, cane, gatto, fatto cambi di vestiti, dopodiché siamo andati al check point a fare viabilità, ancora abbastanza tranquilli per la nostra casa.

Le cose hanno iniziato a mettersi davvero male, una ad una. Nel corso della giornata di domenica per tutte le frazioni sono stati emessi ordini di evacuazioni (sono rimaste non sfollate credo una cinquantina di persone); le fiamme scendevano a vista d’occhio, il Canadair non riusciva ad operare e da un certo punto in poi neanche gli elicotteri; iniziavano carenze idriche, e alcuni contadini usavano i propri trattori per portar grosse botale piene d’acqua su per tutte le stradine percorribili, a supportare i vigili del fuoco che faticavano a star dietro alle fiamme; chi aveva legna accatastata la rimuoveva, si sfalciava lo sfalciabile, i tantissimi volontari giunti da fuori valle non si raccapezzavano con i nomi dei luoghi, troupes di giornalisti di ogni ordine e grado bloccavano la già difficile circolazione stradale, a Mompantero teoricamente chiusa ai civili; mancavano manichette, mancava il cibo, e il fuoco ingrossava, ingrossava…. e si avvicinava a casa mia.

Spostatici in Comune capitava di far di tutto, perché i soccorritori chiedevano le cose più disparate:
– Deviate il flusso dell’acquedotto, ché ci serve più pressione! – e l’operaio comunale partiva.
– Bisogna raccogliere tutte le bombole di Urbiano! – e il vicesindaco [Simone Leschiera, N.d.R.] andava.
– Mancano i panini! – e Ileana, con la sindaca di Almese (grazie, Ombretta!) [Ombretta Bertolo, N.d.R.] li preparava.
– Ci serve un tappo da colonnina d’acqua da 45’! – e questa davvero l’ho trovata difficile (l’ho rubata alla colonnina di Marzano Grangia, giuro che prima o poi ce la riporto).
Ma sembrava tutta fatica vana, il fuoco si ingrossava nonostante tutta l’acqua, i tagli di legna, gli sforzi di tutti.

Poi è arrivato il prefetto e ha tenuto una lunga riunione cui ha partecipato chiunque avesse una qualche mostrina. Ci son passato un attimo: discorsi seri, fermi, pacati, aggiornamenti sulla situazione, prospettive future per il Comune – brucia! – rassicurazioni sulle modalità in cui verrà monitorata l’aria – BRUCIA! – spiegazioni sull’ineccepibilità del rifiuto a volare se le condizioni non sono sicure – CAZZO, BRUCIA TUTTO!!!

Tornati per strada, era davvero surreale la quantità di fuoco sulle nostre teste, siamo andati casa per casa, scortati dai carabinieri, con mascherine per poter respirare, a notificare e rendere esecutive le evacuazioni, da Trinità bassa ai Berno, gli occhi bruciavano, la gola secca, facendoci un culo senza senso che almeno ci impediva di guardare casa. Il lavoro era reso un po’ più facile dal fatto che tutti se la facevano sotto, e molti si stavano già autoevacuando: spesso le ambulanze della Croce Rossa che dovevano portare al centro sfollati anziani e invalidi al loro arrivo se li trovavano già in strada, a fargli fretta.

Col senno di poi è a quel punto che deve essere accaduto qualcosa, un qualcosa che sul momento nessuno ha notato, me compreso.

Sul momento, però, vedevamo solo il fuoco aumentare, su San Giuseppe, su Marzano, su Trinità Alta, su Pietrastretta… Ad un certo punto, disperanti, ce ne siamo andati, con negli occhi casa nostra quasi abbracciata dalle fiamme e i Vigili del fuoco che non sapevano dirci qualcosa di rincuorante.

[Nota di WM1: in quell’esatto momento ho chiamato Davide, e nemmeno io potevo dire alcunché di rincuorante, una telefonata che non dimenticherò mai, un senso di impotenza che non smetteva di franarmi addosso, bloccato com’ero a Bologna, con amici e amiche che in valle lottavano per difendere le basi della loro esistenza… Per tutta quella notte ho temuto il peggio.]

L’ultima notte. Fotografia di Luca Perino.

A piedi, nel vento caldo, a occhi semichiusi, incrociavamo solo visi rigati da lacrime. Siamo andati a Susa a mangiare e tentare di dormire, nel cammino ho imbastito un improbabile monologo sulla bellezza di un nuovo inizio, che incredibilmente pare abbia rasserenato almeno un po’ lle.

Ma quel qualcosa era successo. Nella notte le varie squadre al lavoro hanno preso chissà dove forze inimmaginabili e hanno spinto al massimo, esaurendo tutta l’acqua di Mompantero, hanno tagliato decine di alberi, lavorato di pala, di bestemmie e forse anche di preghiere fino a che il vento, come da previsioni, ha mollato.

Il mattino seguente, verso le sette, sento il rumore del Canadair e degli elicotteri, mi accorgo che l’aria è ferma e inizio a sperare.  Siamo arrivati a piedi sotto casa, ed era ancora su! Erano su tutte le case di Trinità, di Pietra Stretta, di Marzano Grangia, di Marzano (tranne due ruderi). Incredibilmente tutte le prime case di Mompantero erano state salvate, letteralmente strappate alle fiamme!

Nella mattinata di lunedì dal cielo si è bombardato d’acqua l’incendio, annichilendolo.
Da dietro casa mia è ricomparsa, tra il fumo, semicrollata, la baita abbandonata con l’affresco di falce e martello sopra alla  porta.

Poi le passerelle dell’esercito (permanenza sul territorio comunale: 1h e 25 m), di Chiamparino, la versione Esercito + Chiamparino per la photo opportunity dal campo di battaglia, fotoreporter, giornalisti, opinionisti, e quegli altri che fanno trasmissioni tipo quasi comiche che non so come si chiamano.

Facciano pure.

Intanto il più grande incendio di cui si abbia memoria in Valsusa non ha avuto neanche un ferito serio, né un’abitazione principale distrutta.
Sono seguiti abbracci, veri, forti, e lacrime molto diverse da quelle della sera prima.

Alla gioia poi subentra la consapevolezza del patrimonio che è andato distrutto: l’unica, povera ricchezza di Mompantero era la montagna: le sue oasi xerotermiche, i suoi siti di interesse comunitario, i pascoli, i rifugi, i boschi, la Storia… e ora non ci sono più.

Mentre sto finendo di scrivere sento gli uccelli cantare a squarciagola sull’albero qua fuori. Si sfogano: hanno taciuto per un’intera settimana.

P.S.

Non ho scritto parecchie cose importanti su questa storia. Ho parlato di un crimine non menzionando i colpevoli, né le motivazioni. Non ho scritto perché non so.
Sappiamo che il rogo non è stato accidentale, sappiamo che è doloso. Io sono convinto che gli autori siano più d’uno, però il movente non lo conosco, e credo non lo conosca nessuno. Ma oltre agli autori materiali ci sono altri colpevoli, coloro che hanno deciso di spendere il denaro pubblico in armamenti e grandi opere inutili invece di usarli per la tutela e la sicurezza del territorio: incondannabili, ma colpevoli.

* Davide Gastaldo è consigliere comunale a Mompantero, dove – come nella grande maggioranza dei comuni valsusini – c’è un’amministrazione No Tav.

ALTRE LETTURE

La Valsusa brucia – di Claudio Giorno

La stampa e i roghi – di Alpinismo Molotov

Dentro e oltre l’emergenza – di notav.info

La solidarietà nata in anni di lotta No Tav aiuta i valsusini – di Domenico Quirico

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6 commenti su “L’incendio in #Valsusa raccontato da dentro

  1. Grazie davvero per averne scritto. Dalla bassa valle posso dire che le montagne qui attorno sono da sempre braccia giganti e sicure, luoghi di protezione, di certezze, perché immobili nella loro grandezza; da pendolare nella tratta verso Torino aggiungo anche che far ritorno a casa dopo una giornata in città significa tornare a ritmi più cauti, rintanarsi nei borghi storici, meno caos e aria più pulita. Vedere attaccate le montagne é sentirsi attaccati in prima persona; in questi casi sembra crollare un po’ tutto, persone comprese, ma per fortuna qui si vince sempre e torna quella “felicità di esserci ancora.” (“Nessuno era riuscito a spazzarli via.”) arvëddse :*

  2. Il comune di Mompantero ha in questi giorni ricevuto tantissima solidarietà e molti ringraziamenti, qualche critica, nelle ore più difficili… ma ci sta. Purtroppo però sono giunte anche insinuazioni, insulti e auspici di morte, in particolare per il nostro Sindaco e per il presidente dell’Unione Montana. Giá che qui compaio anche come consigliere comunale, linko il fresco C.S. del gruppo di Maggioranza del Comune.

    http://www.valsusaoggi.it/incendi-a-mompantero-messaggio-del-comune-la-crisi-non-e-finita-no-agli-insulti/

  3. Stasera allo spazio occupato #Manituana di #Torino serata di raccolta fondi per la #Valsusa.
    Con proiezione del documentario «Qui» di Daniele Gaglianone.

  4. […] a Mompantero ed è l’autoctono, l’unico che può cogliere certe sfumature nel testo. Avendo vissuto in prima persona il terribile incendio che lo scorso ottobre ha devastato la zona, gli vengono i brividi quando legge del drago di fuoco […]

  5. […] valsusa quando si sono spente le fiamme dell’incendio si sono spente anche le telecamere, le voci e le […]

  6. […] Presentazione del libro di Luisa Pulcher Il tempo è un albero che cresce (benefit per la Valsusa colpita dagli incendi e dalle loro conseguenze). Presentazione della mostra di Federica Caprioglio dal titolo: Brucio […]