A sorpresa, oggi è saltata fuori e rimbalza ovunque una poesiola #notav che lasciai come commento qui su Giap nel giugno 2011. Per la precisione, questa: http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=4575&cpage=1#comment-6533 Dopo la caduta di Luca Abbà dal traliccio e l’escalation al (fantomatico) cantiere della TAV, ci siamo ritrovati senza parole adeguate, e così abbiamo “parlato” con l’immagine qui sopra. Poche ore dopo, qualcuno ha pensato che quei versi scritti su due piedi sette mesi fa potessero avere un senso nel contesto che si è creato. In effetti, oggi “tintinnano” più di quanto facessero l’estate scorsa. Rimane una poesia mediocre, tutta “di servizio”, ma rileggendola a distanza di tempo, mi sono ritrovato più indulgente.
Non ricordavo la poesia, l’ho riletta e l’ho condivisa. Oggi a lavoro ho salutato (quasi) tutti dicendo “no tav”. Sarà stupido, sarà banale, non so. Domani continuerò a farlo e spero che qualcuno mi chieda perché.
La poesiola #notav a me piacque e piace tanto. Si trova anche sul muro della piccola sede di @Sciarada_ l’associazione culturale di cui faccio parte. Il giorno dell’inaugurazione della sede, lo scorso 19 febbraio, ne abbiamo stampate diverse copie e in molti hanno apprezzato e chiesto informazioni su dove provenissero quei versi. Insieme all’ancor più bella “la più Grande Carpa d’Occitania” http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=6972, ripescata pure da @adrianaaaaaa in un suo post http://lapentoladoro.blogspot.com/2012/02/la-rete-lacquario-lampere.html, forma una coppia di improvvisazioni narrative molto diverse tra loro che raccontano con furia ed efficacia l’assurdità del tav e la forza e le ragioni del movimento #notav. E poi, proprio su #AaAM, c’è Istituzione branco http://www.wumingfoundation.com/suoni/WM1_istituzione-branco_Aix-en-Provence_30_mar_09.mp3 altro esempio virtuoso del genere, probabilmente di un livello poetico ben maggiore dei due casi di cui sopra. Ste righe per spronarti, visto anche che le scrivi di getto e non ci perdi tempo, a non snobbare le tue doti di poeta e di applicarti più che puoi ;). Se poi hai qualche poesiola passata nel cassetto facci sapere! E i tuoi compari? Hanno fatto mai esperiementi di questo tipo?
Ho dei sentimenti discordanti dentro me circa la questione TAV. Vorrei un Italia moderna, collegata con il resto d’Europa. Ma il modo di condurre i lavori, il modo di fare le grandi opere in Italia ti fa storcere le budella. Come mi fanno storcere le budella alcune proteste contro le forze dell’ordine, che di sicuro non hanno colpe. Ho postato cmq su Facebook la poesia con l’immagine dell’anatra con la bandiera NO TAV, un bel messaggio nella giusta direzione, non so a quanto possa servire, ma nel mio piccolo “no tav”…
Non vorrei far partire una digressione OT, però voglio dirti che non poche colpe, e gravi, le hanno anche i vertici delle forze dell’ordine. Non hanno la colpa di aver voluto la TAV, perché quello non dipende da loro, ma hanno – per dirne una – quella di gestire la piazza “alla Genova 2001”. Non a caso certi nomi sono gli stessi di allora, funzionari condannati per gravi abusi ma che continuano ad avere incarichi importanti e a giocare con la vita delle persone.
Aggiungo che siamo un paese dove sono molto frequenti “misteriosi” decessi nelle questure e nelle caserme, durante o subito dopo un interrogatorio, oppure per la strada, durante o subito dopo un “controllo documenti”. Io sono ferrarese, e nella mia città brucia ancora il caso di Federico Aldrovandi. Un caso emblematico, perché di episodi del genere se ne registrano tanti, e non sempre c’è una famiglia che ha la forza e gli strumenti culturali per portare avanti una battaglia come quella dei genitori di Federico.
Aggiungiamoci i casi di “grilletto facile”: davvero si crede che uno come Spaccarotella sia solo un rambetto isolato, e che la sua condotta non c’entri nulla di nulla con una certa cultura diffusa tra le FDO?
Certo, i reparti antisommossa (i “celerini”) non sono nè possono essere l’avversario principale dei movimenti, perchè sono l’ultimo anello della catena. Solo che sono l’anello più visibile, quello col quale il contatto è più diretto, perché operano allo stesso livello dei manifestanti, lo street level. E’ dunque facile “feticizzarli”, soccombere all’effetto-sineddoche: una parte del potere (la polizia) rappresenta la totalità di quest’ultimo. L’esasperazione può portare a immaginarsi la lotta come una “sfida all’OK Corral” con gli sbirri. E’ un errore di prospettiva e di prassi in cui i movimenti incappano spesso.
Tuttavia, quello della gestione dell’ordine pubblico oggi in Italia *è* un problema. Un problema politico e culturale.
a me sconcerta quanto sia ‘socialmente accettabile’ che lo stato trasformi ogni occasione in una prova di forza. per non parlare di quanto venga giustificata la rappresaglia
Nei casi che citi sono perfettamente d’accordo con te. Le mele marce sono presenti nelle forze dell’ordine, e bisogna dirlo senza troppi problemi, e combattetele con fermezza. In alcuni casi però noto che le rabbie (giustificate) di alcuni movimenti vengono ingiustamente scaricate verso le forze dell’ordine… Per evitare ulteriori digressioni :x
“quello della gestione dell’ordine pubblico oggi in Italia *è* un problema. ”
Certamente, ma non è un problema da affrontare mentre stai facendo una lotta per tutt’altri scopi. Porselo come problema nel contesto Notav significa farsi distrarre, farsi portare sul “loro” terreno, farsi carico di un problema che non è il tuo. Si tratta di una miopia tattico-strategica rovinosa che dipende da una carenza di capacità politica. La lamentatio sterile e risentita su quanto è cattivo il potere poliziesco deve essere accantonata, devi invece dare per scontato che il potere: 1) ti batte sul piano militare; 2) sfrutta il fatto che lo Stato ha, per definizione storica e giuridica, il monopolio della violenza e che se ne avvale sul piano pratico e mediatico dichiarando pubblicamente “delinquente” chiunque si avvalga di un gesto violento (o stupidamente provocatorio) al posto suo; 3) porta preferibilmente ogni tipo di lotta davvero seria sul piano militare per potersi avvalere dei punti 1) e 2) e, perciò, ti costringe alla strada e, in questo caso, alla chiusura in valle; 4) divide le forze dell’avversario ed evita che l’avversario possa avere alleati. Lasciare che la leadership della lotta Notav sia finita, di fatto, nelle mani di una sorta di “ala militarista” ha fatto cadere il movimento in tutti e 4 i guai di cui sopra. Oltretutto, è un’ala militarista scriteriata: se fossimo davvero all’epoca della Resistenza, col cavolo che i comandanti gli lasciavano fare tutte le cazzate che hanno fatto, a partire dall’estate scorsa.
Caracaterina, la faccenda non è esattamente come la poni:
-il problema dell’ordine pubblico nasce nell’istante in cui lo stato decide di imporre militarmente un’opera contro la volontà della popolazione. Quando qualche migliaio di poliziotti, carabinieri, finanzieri, alpini e persino forestali antisommossa calano in valle, il problema c’è, è nostro e in qualche modo dobbiamo farcene carico. Con astuzia certo, ieri e l’altro ieri la sproporzione di forze era enorme, e si è cercato di opporsi con determinazione ma pacificamente, non volevamo di sicuro gli scontri. Non mi sembra un errore tattico in questo momento di lotta occupare un’autostrada e opporsi al suo sgombero. -la “lamentatio sterile e risentita” si può anche accantonare, ma quando amic* e compagn* si sono presi le botte, quando scappi con i polmoni, la gola e gli occhi in fiamme, quando per l’ennesima volta ti sei sentito in pericolo, prima che a Hobbes pensi alla rabbia che sale dalla pancia. -la leadership dell’ala militarista è espressione giornalistica con ben poca attinenza con la realtà, non saprei che persone del movimento associare a questa tua definizione. -lunedì, dopo quello che è successo a Luca, ci sono state proteste in decine di città, questa sera spero succederà di nuovo, mai come in questo momento il movimento no tav non è chiuso in valle. -in questi mesi sono continuate le iniziative di ogni tipo: serate informative, convegni, volantinaggi buca a buca, momenti di festa, manifestazioni, e un no tav tour che ci ha portati a girare l’Italia per informare sulla nostra lotta. Non abbiamo passato il tempo a ferrare i nostri bastoni.
Abbiamo limiti e problemi, questi sono giorni lunghi e difficili, ma, come si dice qui, esageroma nen.
Oddio, negli ultimi 8 mesi devo essere stato in un universo parallelo. In quello dov’ero io la figura più influente del movimento notav era Alberto Perino, nonviolento Gandhiano già dafgli anni ’70, e l'”ala militarista” (non accetto la tua definizione, la uso per brevità) masticava amaro perchè alla fine doveva sempre essere lei ad essere ‘ragionevole’ e fare quanto proposto dall’ala pacifista. Il 23 ottobre, con Perino che di sua iniziativa va davanti alle telecamere e dichiara “ok siamo arrivati fino qui, è un successo, le reti le taglieremo un’altra volta” è emblematico, ma non è l’unico caso. (intendiamoci, nel merito su quella decisione sto con lui, con la gente che era lì scappare al buio per sentieri non era saggio, ma non mi si dica che comanda l'”ala militarista”) . Anche ieri, sedersi davanti alle barricate non mi sembra una mossa tipica di un ‘”ala militarista”, portare avanti questo discorso significa essersi ingoiati l’amo gettato dai media mainstream insieme a tutta la lenza.
Mi ha fatto balzare sulla sedia questa espressione che ho letto in un commento di @wfm_83 (non me ne voglia l’utente se lo prendo ad esempio, è comunque un punto di vista molto diffuso): “Le mele marce sono presenti nelle forze dell’ordine”. Siamo sicuri che sia uno schema di interpretazione valido? Studiando i processi su Genova 2001, mi sento di condividere la conclusione di Vittorio Agnoletto: c’è un cesto marcio di mele marce in cui si trova qualche mela sana. Gli “abusi” polizieschi non sono abusi ma sono la norma, l’eccezione, che viene combattuta dall’interno dalla stessa struttura dello Stato, è il poliziotto che decide di opporsi agli abusi.
Dire questo non significa rinunciare ad ogni idea di influenzare la base dei corpi di polizia, né ratificare qualunque provocazione stupida e individualista che possa saltare in mente ad un compagno in manifestazione. Significa capire che se diciamo che bisogna democratizzare la polizia stiamo parlando di un lavoro praticamente clandestino che una manciata di “poliziotti democratici” dovrebbero fare in modo subacqueo circondati da un branco di fascisti. Non è impossibile, ma richiede un livello di influenza dei movimenti sulla società davvero profondo; il primo passo fattibile probabilmente è invece smontare l’autorità degli ufficiali sui loro sottoposti mostrando chiarezza di obiettivi, determinazione, coraggio e – lo dico? lo dico – anche “organizzazione militare”. In particolare il ruolo di movimenti con una base fortemente popolare può essere decisivo, perché sono convinto che anche il più ottuso degli sbirri di fronte per esempio ad un picchetto operaio, fatto di padri e madri di famiglia che difendono il loro posto di lavoro, disposto a resistere fino all’ultimo ad una carica, qualche domanda sugli ordini che ha ricevuto se la porrà.
Altra cosa: la denuncia politica delle violenze poliziesche. La polizia e l’arma dei carabinieri devono sentirsi addosso gli occhi di una parte di opinione pubblica, come è stato fatto nelle mobilitazioni per Aldrovandi, per Cucchi, per Sandri. L’Italia su questo è regredita di molto rispetto agli anni Settanta e rispetto ad altri Paesi, è cosa comune sentir dire “Dovrebbero ammazzarli di manganellate” appena qualcuno fa qualcosa che ci disturba o ci fa perdere cinque minuti per un corteo o un blocco stradale; il moralismo legalitario per cui “se la sarà meritata” impera rispetto a considerazioni di diritti civili in tutti i casi in cui la vittima sia un drogato, un ubriaco, un tifoso o un immigrato. Questo è un lavoro che si può fare subito e che può dare i suoi frutti, perché spesso si tratta solo di rompere una crosta di superficialità data da un senso comune autoritario che non ha sotto niente se non il fatto che tantissima gente non ha mai sentito una voce “contro”.
Tutta la faccenda mi incupisce parecchio. Mi dà un senso di isolamento, di perdita della realtà. Quasi che sia normale occupare con l’esercito…una valle? Saruman al massimo si era fermato ai bordi di una foresta…. Il carabiniere in tenuta antisommossa davanti ad un civile disarmato ‘eroe’? lacrimogeni nelle stazioni? E tutto senza altri motivi che interessi di (piccola) bottega. Un’omertà desolante, così diffusa e così penosa appunto. Fosse in gioco qualcosa almeno, un’Ordine ed una Legalità fittizie, invece sono solo appalti ed interessi mafiosi. Cos’è diventato lo Stato? Scusate il pianto.
@maurovanetti “qualche domanda sugli ordini che ha ricevuto se la porrà”. Vorrei essere così ottimista. Dopo aver letto “Le benevole” lo sono molto meno. (Ma anche dopo aver sentito il *mio* odio montare dentro ancora una volta ieri sera, e dopo la fatica e l’insonnia per ricacciarlo indietro. Se c’è da fare pulizia dei “geneticamente cattivi”, per coerenza devo stare nella lista nera, anche se non ho mai fatto niente a nessuno. “Nessuno è immune…”)
@Ponyf88 la bottega non è piccola: l’indotto delle mafie non è chiaro fin dove arriva, ma temo di non esagerare dicendo che mezza italia ci campa. Sento troppi discorsi “eh, certo, ma mica possiamo fermare tutto”.
@VecioBaeordo Non lo so, è difficile valutarlo. Quel che è sicuro è che non è con tattiche “gandhiane” che rompi i loro meccanismi mentali. Di fronte agli inermi lo sbirro intruppato si galvanizza, pensa “Quanto sono fessi questi”, non riesce ad identificarsi con un comportamento troppo “strano” e “perdente”. Io sono dell’idea che se esiste una “linea giusta” da tenere è una linea che mostri forza ma forza organizzata. Per intederci, una cosa del tipo “OK, caricateci se volete, ma vi conviene non farlo perché qualche dente lo sputate anche voi”. Devono avere l’impressione che loro stanno attaccando ma tu ti stai difendendo con tutta la forza che hai. Mi sembra anche qualcosa che può suscitare simpatia anche nella parte più combattiva dell’opinione pubblica. Ci hanno un po’ inquinato il cervello con la storia che per vincere bisogna mostrarsi remissivi e mansueti.
Poi lo so che al momento pratico è molto più complesso che uno schema di questo genere…
@maurovanetti sembrano aspettare solo quello, anzi esagerando vogliono provocare quello. Non si divertono abbastanza a menare gente che non si difende, vogliono che tu alzi le mani perché allora, finalmente, sì che possono “giocare”, allora finalmente il lavoro non è più routine ma diventa sport. Allora finalmente nessuno più potrebbe criticarli per la vigliaccheria di pestare gente che non reagisce: sarebbe molto più legittima (e spettacolare, e televisiva) una bella partita. La gente si squaglia sul divano quando i buoni vincono. Ma senza i cattivi come fanno? Tutta quella fatica di inventarli sui media… Se invece l’avversario accetta la partita, allora è tutto regolare, e tutto diventa valido. Senza contare il rischio (enorme) di escalation. Se “con tutta la forza che hai” loro escono indenni e i denti li spaccano a te (molto probabile), la volta dopo cosa farai? Starai a casa o ti cercherai un’arma? Storia già vista… :-(
sono convinto che la forza principale gandhiana non fosse il ‘pacifiscmo ad oltranza’ (versione babbonatalizzata) ma il suo “il sale è lì possiamo prenderlo”, ossia un gesto semplice e radicale di rottura.
comunque, sul dente che il carabiniere poò sputare non concordo assolutamente… specialmente perchè, considerando la mentalità purtropp diffusa tra le forze dell’ordine, questo sarebbe poco più che una ‘cicatrice da mostrare con orgoglio… e, tra l’altro, sposterebbe il focus sul piano militare che è un campo perso in partenza.
sul fatto che poi questo possa portare delle simpatie che dire.. . credo che coloro che si avicinerebbero per questo a delle lotte giuste non farebbero che male. il focus e la mobilitazione si sposterebbero sugli scontri e non sull’oggetto della lotta. meglio che gli aspiranti Che superino il tabù e vadano a giocare a paintball
lo sbirro, per quanto pezzo di merda, etc, non è l’obiettivo… è una marionetta che, lasciata agli istinti brutali di branco e rappresaglia) serve a reprimere con la forza il focolaio di dissenso ed a distogliere l’opinione pubblica sulla lotta… e per far questo servono azioni diverse… magari spettacolari ma diverse… roba per cui nessuno possa ritenere socialmente accettabile la repressione fisica.
se il campo di battaglia non ti è favorevole… cambialo
@maurovanetti Non so, io la “forza organizzata” me la ricordo. Mi ricordo di Via Corelli a Milano, quando nell’allora CPT ci entrammo eccome. Poi c’è stata Genova…
@VecioBaeordo Partiamo dal presupposto che i denti te li rompono anche se fai il pacifista, questo dopo Genova 2001 mi sembra appurato. Il meccanismo della paura o della reazione individuale (comunque la vogliamo chiamare) c’è uguale, tanti pacifisti che hanno subito abusi polizieschi a Genova non sono più scesi in piazza in vita loro. Non so se te li rompono di più se reagisci o se non reagisci, ad occhio mi sembra la seconda, ma non è il punto decisivo. Purtroppo finché lotti contro un potere soverchiante devi metterti nell’ottica di “prenderle”, più o meno metaforicamente. A me sembra che proprio la lotta No TAV, che decisamente non è una lotta gandhiana (anche se combina tattiche diverse secondo le occasioni, e questo è giustissimo), dimostri che puoi raccogliere consensi e forza anche attorno ad azioni di autodifesa organizzata che comportino qualche incisivo rotto non solo nelle nostre arcate dentali. Ovviamente l’opinione pubblica si polarizzerà e molti ti daranno contro, ma intanto in Val Susa il movimento regge l’urto e credo che possa vincere. Ad ogni modo, non vorrei dare l’impressione di avere il culto della violenza di piazza, non ce l’ho affatto e le uniche cose violente che ho fatto sono state contro i fascisti, ma mi chiedo se non sia ora di trarre qualche insegnamento dagli ultimi anni e cercare di superare la sbornia del “Cambiamo tutte le nostre modalità di lotta” (tipica degli anni Novanta e Zero) per riallacciarci alla tradizione dei movimenti di massa novecenteschi. Per dire, oggi a Pavia fanno un corteo dei miganti con tre “flash mob”; posso dirlo? a me ‘sti flash mob hanno rotto il cazzo. :-)
“movimenti di massa novecenteschi. ” Perchè, Gandhi e Martin Luther King di che secolo sono? @maurovanetti, già Vecio e figuredisfondo hanno obiettato alle tue affermazioni con concetti che quoto e aggiungo anche che condivido la tua rottura sui flashmob ma, se in Val di Susa il movimento regge l’urto non è perchè qualcuno lancia pietre, anzi, boomerang, ma, piuttosto, perchè qualcuno sa come prenderle, quando non può darle. Diventi gandhiano nel momento in cui rovesci in uno svantaggio per lo Stato proprio il terreno su cui lo Stato si sente (ed è) in vantaggio: come scrivevo prima, il potere cerca di portare le lotte importanti sul terreno militare perchè lì vince. Ma se lo Stato si trova a militarizzare in maniera evidentemente sproporzionata un terreno su cui non c’è alcun avversario militare, nemmeno scabecio, ma solo società civile che, in maniera consapevole, determinata, – e pure dolorosa e, talvolta, purtroppo, tragica,- resiste, allora e solo allora le probabilità di acquisire consensi per chi protesta aumenta. Bisogna essere assolutamente e indubitabilmente i “buoni” perchè la gente davanti alla tv parteggi per te.
Il problema è che quando il tuo nemico ha un controllo così soverchiante dei media non c’è modo di ‘essere assolutamente e indubitabilmente i “buoni”’ Con questo in tutte le manifestazioni in valle mi sono incazzato con chi tirava sassi, ma perchè erano azioni inutili se non dannose, non perchè pensi che sia sbagliato per principio
@caracaterina Buona osservazione, forse in certe pensate non c’è niente di nuovo… ma anche Gandhi e MLK sono stati criticati all’interno dei movimenti che hanno guidato proprio per la rigidità su queste tattiche.
Nella sinistra del subcontinente indiano dura da mezzo secolo la polemica della sinistra contro Gandhi, riassumendo al minimo quello che dicono i comunisti indiani o pakistani è che (1) non è vero che la lotta di liberazione nazionale è stata vinta grazie alla nonviolenza; (2) la posizione anche tattica di Gandhi era strumentale ad un progetto politico borghese e nazionalista che è sfociato nel dramma della Partizione India-Pakistan e nel fatto che dopo tutti questi decenni l’India è ancora un Paese dove si muore di fame.
Nella sinistra statunitense c’è una polemica analoga contro la nonviolenza di Martin Luther King; in particolare nel movimento per i diritti dei neri c’è tutta un’ala rivoluzionaria (Black Power, “Negroes with guns” etc.) che mette in discussione l’idea di una liberazione disarmata e mansueta.
Ovviamente, non voglio contrapporre al dogma nonviolento un dogma violento, dipende dalle circostanze, ma dire che a priori ogni tipo di resistenza attivo sia da condannare a me sembra una cosa molto “savianesca” che non ci porta lontano e che, per essere coerenti, dovrebbe spingerci a condannare il movimento No TAV o perlomeno a chiedere – come fa un Vendola – che si spacchi al suo interno tra “buoni” e “cattivi”. Ho scritto “forza organizzata” perché credo sia la sintesi migliore del concetto che, forse un po’ goffamente, sto cercando di esprimere, e non vorrei che si perdesse enfasi sull’aggettivo: “organizzata”, che può anche voler dire essere capaci in una data situazione di trattenerla e “tenerla in serbo” per momenti più propizi. Mi sembra che sia quello che sta facendo il movimento in Val Susa.
Di nuovo, frotte di ignoranti (e qualche strumentalizzatore cosciente) citano a cazzo Pasolini e la sua poesia su studenti e poliziotti. E’ un riflesso condizionato del chiacchiericcio italiano. Nessuno di costoro sa che, prima e dopo quella poesia, Pasolini denunciò sempre la repressione poliziesca. E’ di pochi mesi dopo la sua invettiva contro il comportamento delle forze dell’ordine durante l’occupazione della Mostra del cinema di Venezia. Soprattutto, nessuno dei citatori compulsivi ha letto davvero quella poesia, nessuno ne ha colto l’intento ironico e paradossale, e nessuno conosce quel che Pasolini stesso ne scrisse. Su pasolini.net c’è un dossier a riguardo, che andrebbe usato come arma ogni volta che quel testo (ormai ridotto, come ha detto un noto filosofo, a “infame mantra”) viene usato per intorbidare le acque dell’opinione pubblica e diffamare i movimenti.
Non sono assolutamente daccordo con l’impostazione (anche stilistica) della maggior parte degli ultimi post che parlano di forze dell’ordine. Intanto “i poliziotti sono tutti pezzi di merda” è una generalizzazione volgare ed inaccettabile.
Se poi vogliamo interrogarci sulla “struttura” delle forze dell’ordine, è evidente che una totale e rigida gerarchizzazione (perdippiù non motivata da alcuna quaestione di merito, quale che sia il criterio di valutazione…) è assolutamente inadatta a favorire una non-struttura libera e rizomatica, che per semplicità definisco etica. Non c’è quindi da stupirsi se una buona parte di queste persone segue un “modello” sopraffattore, violento e maschile senza avere gli strumenti per metterlo in discussione. Ma non è che uno (e neppure il più “insidioso”) dei dispositivi del potere.
Per il resto mi limito a sottolineare che la base di tali strutture arborescenti/gerarchizzate è la dicotomia (per chi le conosce meglio di me è un’algebra di Boole), la possibilità di avere solo due variabili: 0-1, vero-falso, buono-cattivo. Credo in oltre che in queste strutture sia implicita la logica (negata e rimossa) di identificazione con il nemico, e quella dello scontro muro-contro-muro. Come spesso accade, gli oppressi fanno di tutto per identificarsi con gli oppressori.
Francioso, su, la generalizzazione che denunci non l’ha fatta nessun commentatore. In questa discussione, rileggendola, non trovo nessuna descrizione come quella del tuo virgolettato (“I poliziotti sono tutti pezzi di merda”). Se rileggi il primo commento di Mauro, al contrario, trovi interrogativi su come un movimento popolare possa inserire un cuneo in quei ranghi, pungolare la coscienza dei sottoposti, perturbare la catena di comando.
Ah sì, scusa…«lo sbirro, per quanto pezzo di merda, etc, non è l’obiettivo…», per essere precisi. Hai ragione riguardo a certi post, infatti ho scritto «la maggior parte». Eppure non posso non provare un senso di disagio difronte ad una malcelata volontà di scontro…
Credo che quell’inciso – peraltro contenuto in uno dei commenti più “gandhiani” – tu lo abbia completamente frainteso e addirittura rovesciato di senso. Il significato mi sembra fosse: “Ammesso e non concesso che lo sbirro sia un pezzo di merda, in ogni caso non bisogna andare allo scontro.” Tra l’altro, la concessione non era nemmeno estesa a tutti i poliziotti.
“Ammesso e non concesso” l’hai aggiunto tu, la frase è proprio concessiva. Ma non scrivo polemicamente: ho l’impressione che sia un sentimento un po’ troppo condiviso…
Non era un’aggiunta, era una parafrasi. A prescindere da come ciascuno di noi possa pensarla, è una questione di metodo nel discutere. A me pare chiarissimo: quel commento invitava proprio a non assecondare le logiche di scontro che tu invece gli attribuisci. Ma costa così tanto scrivere qualcosa tipo: “Ah, ok, avevo letto in fretta”, “Non avevo capito”, “Sono partito in quarta” etc.?
Le logiche di scontro sono sottintese nella semplice concezione ‘noi vs loro’ che il considerare gli “sbirri” tutti uguali e tutti diversi da noi sottintende. Tra l’altro sono strategie discorsive, come dare un nomignolo spregiativo: “sbirri”. Come ho scritto più volte temo che sia una concezione condivisa aldilà dello scontro fisico.
Aggiungo un episodio. Ieri sera in assemblea Alberto Perino ha raccontato di essere stato protetto da un carabiniere che gli ha fatto scudo con il corpo dalle manganellate dei colleghi, e abbiamo saputo anche di liti tra chi nelle ffoo voleva spaccare tutte le macchine parcheggiate lungo la strada e chi glielo ha impedito, però credo che a dire che i rapporti di forza sono 10:1 si sia troppo ottimisti, per cui quando te ne trovi davanti un gruppo non agisce secondo la logica dei ‘buoni’. Un conto sono le cose da fare per cercare di avere una polizia più decente in futuro, un altro è come comportarsi quando te li trovi davanti nel presente
@Francioso la frase che citi è mia ed il senso inteso era proprio quello espresso da wm1.
spero di non risultare scortese ma mi pare che, estrapolando solo quella frase tu abbia fatto un po come quelli che stanno citando pasolini a spoposito.
Io non mi offendo, perché non sono in malafede. Mi piacerebbe però che non ci nascondessimo dietro un dito. Tu sei certo che considerare lo “sbirro” un “pezzo di merda” non sia abbastanza accettato e condiviso negli ambienti di opposizione? E da te?
che sia una convinzione diffusa non lo nego. ma ammetterai che la storia ci insegna che molto spesso non ci si è potuti fidare delle fdo. non mi riferisco solo a genova, napoli, etc. sin troppo spesso le fdo hanno seguito una ragion di stato che era in palese contrasto con la costituzione e/o si sono lasciati andare ad una logica di rappresaglia che è assolutamente inaccettabile. ma mi fermo qui perchè sarebbe un OT alla n.
che sia una convinzione onnipresente ed mi pare un’iperbole.
per quanto riguarda la mia concezione no, non lo credo assolutamente. di pezzi di merda ce ne sono ovunque, anche nei movimenti… ma mi concederai che ‘il poter giocare con le armi’ richiama un bel numero di fanatici che hanno una percezione del se come di “ultimo baluardo della civiltà” (generata da media di intrattenimento, etc) e che questa consegni una sorta di lasciapassare psicologico per commettere quelli che reputano, a torto, piccoli abusi.
il mio problema principale sta nel fatto che per “difendere l’onore del corpo” (e non solo) queste azioni vengono insabbiate e che in quello delle fdo, come e più che in altri contesti, venga spesso a galla la mentalità del branco. con tutto ciò che ne consegue
Capisco quello che dici e probabilmente hai “statisticamente” ragione (io ne faccio una questione di struttura, come ho scritto sopra, più che il “richiamo delle armi”).
Sai che però, se dovessi individuare uno “zoccolo duro”, una componente statisticamente prioritaria nelle fdo, in base alla mia esperienza personale (anche in quanto figlio di pugliesi emigrati al nord) non mi verrebber o in mente i violenti, ma i meridionali che si arruolano o entrano in polizia soprattutto perché è una delle loro poche possibilità di lavoro? Lo dico senza alcun intento polemico o ideologico.
Mi chiedo se, infondo, non siano proprio i soggetti più deboli i primi a cedere alle lusinghe del potere…
Gli abusi polizieschi non sono abusi ma sono la norma (maurovanetti), la conferma si ha quando un carabiniere provocato viene insignito di pubblico encomio per non aver reagito. Dal che si deduce che ha fatto qualcosa di straordinario (cioè:qualunque altro carabiniere avrebbe reagito,tu che non l’hai fatto meriti un premio) Appuntato sei pagato per non perdere la testa,diceva una canzone sul G8
Tempo fa (forse nel thread del 15 ottobre) su questo blog sono comparsi due (mi pare) interventi di un nickname che diceva di essere una poliziotta. Quella volta avrei voluto rispondere, raccogliere quello che poteva anche essere un segnale. Non l’ho fatto subito, forse timidamente aspettando che lo facesse qualcuno “più adatto”, più esperto in queste cose. Poi nella concitazione il discorso ha preso altre strade. Adesso mi chiedo se quella volta ho sbagliato a non rispondere. Adesso, perché si parla di democratizzare, di “influenzare la base dei corpi di polizia”. Adesso, perché il racconto di Perino citato da @RobertoG mi fa chiedere se il carabiniere che l’ha protetto abbia eventualmente pagato poi in caserma il suo gesto. Sono vecchio e ho fatto il militare, posso immaginare un po’ di cose… Allo stesso modo mi chiedo, ammesso che il nickname fosse chi diceva di essere, che vita può fare un essere umano (la poliziotta) in una situazione del genere. Certo, siamo liberi di rispondere che non sono cazzi nostri, che potevano pensarci prima invece di arruolarsi. E per metà è vero. Ma se lo fosse anche per la seconda metà, allora lasciamo perdere qualsiasi discorso di democratizzare e influenzare. Scusate l’OT.
Ripropongo qui i due commenti di lineadombre (“Gioc”), l’agente di polizia intervenuta su Giap nel dibattito sul 15 ottobre:
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So che vi faccio schifo, per il solo fatto di esistere. sono un poliziotto. vedo ciò che accade e mi sento spaccata: metà di qua, metà di là. è vero, ho scelto un mestiere di merda. è stata una scelta. una volta, tanto tanto tempo fa, pensavo che ci volesse più coraggio a tentare di cambiare le cose dall’interno. poi ho compreso che, se non facevo attenzione, sarebbero state le cose a cambiare me. ma questi sono miei problemi.
quello che volevo dire è che così non va, non risolverete nulla, non cambierete nulla. vi stanno aspettando, sanno già cosa accadrà e quando e come, prevedono ogni mossa, anzi l’anticipano.
bisogna inventarsi qualcosa di totalmente nuovo, imprevedibile, mai visto.
bisogna che convinciate i miei colleghi che è più conveniente per loro stare dalla vostra parte, non è difficile, i tempi sono quasi maturi.
usate la fantasia, invece che le molotov.
un saluto e perdonate l’intrusione.
uno sbirro di merda gioc
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“[i]Il mio problema non sono i violenti. Sig. Tremonti potrebbe restituirmi i 50 euro che mi ha tolto dal mio lauto salario, con il blocco degli avanzamenti, prima di scendere per strada a farmi delapidare? Grazie :-)))[/i]”
scusate la nuova intromissione, ma stanotte ho fatto un sogno e lo voglio condividere.
ho sognato Luther Blisset, si perchè, all’epoca, mi ero perdutamente innamorata di Luther, era meraviglioso, geniale, straordinario. stanotte nel sogno mi ha detto: “che scemi, non imparano mai! è questione di logica, non di morale. io gliel’avevo scritto come si fa. non si spaccano i bancomat e le vetrine delle banche, quelli ci ridono sopra e li riparano. tanto tempo fa si usavano le lettere di credito, ora sono soltanto byte. noi ci provammo, tanto tempo fa, avevamo già individuato il punto debole, sapevamo come farli piangere, dopo tanta violenza non volevamo più neppure torcere un capello. allora ci andò male. adesso è ancora più facile, sono soltanto byte.”
Guardate che anche Gandhi e Martin Luther King distinguevano caso per caso, a volte furono per l’autodifesa armata. Anni fa avevamo proposto, su Giap newsletter, alcune citazioni: http://www.wumingfoundation.com/italiano/Giap/giap4_Va.html#nonviolenza Insomma, “storicizzare sempre” e “storicizzare al massimo”. Soprattutto, non accontentarsi delle rappresentazioni idealizzate di un personaggio, del suo percorso, del suo pensiero.
Un elemento che vorrai portare nella discussione, che è stato sollevato in un’assemblea pubblica e che mi sembra davvero interessante, riguarda i cambiamenti che sono avvenuti nel reclutamento della polizia. Come si fa ad entrare in polizia? Lo spiega qualcuno nel forum poliziotti.it: http://www.poliziotti.it/public/polsmf/index.php?topic=3551.0
In sostanza, chi finisce a fare il poliziotto sono figli di poliziotti oppure soldati. I concorsi pubblici aperti ai civili, dicono nel forum, sono una modalità ormai “inesistente”. Questa gente applica in Val Susa, ma anche nella gestione di normali situazioni di piazza, una logica militare; i cittadini sono il nemico.
C’è quindi un collegamento tra le tendenze fasciste nella polizia e la professionalizzazione dell’esercito e l’impegno italiano in diverse avventure imperialiste all’estero. Uno dei modi per democratizzare la polizia è lottare contro le missioni militari all’estero e – sarò impopolare – per il ripristino del servizio di leva obbligatorio (possibilmente breve e con diritti democratici per le reclute).
Non mi pare proprio che quando c’era il servizio di leva obbligatorio non si facessero missioni militari all’estero (Libano ’82, Somalia ’93, Balcani, etc.). Ho l’impressione che la tendenza alla professionalizzazione dell’esercito e alla militarizzazione delle forze dell’ordine nasca a prescindere dalla leva e abbia ragioni culturali, politiche e sociali profonde. Cosa poi significhi “diritti democratici per le reclute” in un esercito – per di più non un esercito rivoluzionario – non saprei proprio.
@WM4 Sì, non intendevo dire che la professionalizzazione ha inaugurato le missioni all’estero, ma sicuramente è stata strumentale nel facilitarle. D’altronde anche i casi precedenti al 2000 potrei sbagliarmi ma mi sembra che si basassero sui corpi professionali e non su militari di leva. Le ragioni dell’abolizione della naja possono essere molte ma non riesco a considerarla una conquista, ed è coincisa come tempi con la costruzione di una portaerei, con l’acquisto di nuovi armamenti, con tutta una proiezione maggiore verso l’esterno dell’imperialismo italiano. Sospetto addirittura che il tentativo di reintrodurre il nucleare in Italia avesse un retropensiero bellico. Per “diritti democratici delle reclute” intendo quelle cose che rivendicavano i “Proletari in Divisa” organizzati da Lotta Continua: l’abolizione di pratiche degradanti e il diritto di organizzarsi politicamente e sindacalmente, di fare informazione ed eventualmente protestare su cosa succede nelle caserme ecc. Comunque non penso che sia una battaglia sensata in questo momento, sarebbe talmente impopolare che non partirebbe mai. Ci tocca tenerci l’esercito professionale con tutte le sue conseguenze, era più una provocazione per dire che abbiamo fatto un passo indietro nella possibilità di mettere sassolini nell’ingranaggio.
@Francioso Sul reclutamento basterebbe trovare dei dati, io mi limito a riportare quel che ho sentito e la voce stessa dei poliziotti sul loro forum (se cerchi in altri thread quel che dicono è sempre quello). Ad ogni modo sarà un caso ma anche la “pecorella” ha fatto lo stesso percorso (nei Carabinieri però).
@maurovanetti Libano ’82 sicuramente di leva, con notevole paga extra per la trasferta (non ho mai capito bene se solo volontari, pur essendomi applicato a fondo: ci sono voci discordanti, tutte di prima mano…)
Una cosa che non avevo ancora detto: vista la gravità del momento (le condizioni di Luca Abbà, l’allargamento del cosiddetto “cantiere” della TAV, l’occupazione dell’autostrada, le cariche e i rastrellamenti nei paesi, l’invito a “bloccare tutto” etc.), abbiamo lasciato volentieri che il thread venisse “dirottato”. C’era bisogno di uno spazio particolare dove confrontarsi su NoTav e repressione, e alcune persone lo hanno creato qui. Va bene, e ci fa anche piacere. Del resto, il post stesso era costruito su un accostamento strano, non immediato, quindi aveva un’apertura in quella direzione, o quantomeno un appiglio. Chiaramente, però, non è una cosa che possa avvenire sempre. Altrimenti si “snatura” il blog.
Io sono per una lotta non armata e non violenta… sempre!
Però, vedete, se voi desiderate prendere una lepre, che le diate la caccia con i cani o col falco, a piedi o a cavallo, resterà sempre una lepre. La libertà, invece, non rimane mai la stessa, cambia a seconda della caccia. E se addestrate dei cani a catturarla per voi, è facile che vi riportino una libertà da cani. – Machiavelli ha scritto che bisogna guardare il fine, non i mezzi. – Con gli anni, ho invece imparato che i mezzi cambiano il fine.
Questa frase per me vale da entrambi i versi, sia se è il popolo a lottare per avere la libertà sia se è un esercito a invadere un territorio per avere la libertà…
Avevo detto che tenevo la bocca chiusa, non ci sono riuscito! Sono un po’ lontano dalle idee di questo forum, pardon… cercherò di tenermi fuori, rispetto le vostre idee ma non le condivido! Chiedo venia per il mio intervento potrebbe essere fuori luogo…
@wfm_83 A me invece sembra interessante e appropriato come commento. Però come sempre si possono dare tante letture diverse (è il bello dei romanzi), forse la tua è un po’ forzata.
Un falco che caccia esercita la sua libertà in un modo violento.
Oppure: i mezzi determinano il fine? Benissimo. E allora cosa ci sarebbe di male nel fatto che come mezzi si scelgano mezzi che comportano organizzazione, determinazione, difesa dei più deboli (servizio d’ordine), unità d’azione, generosità nel mettersi in gioco, rifiuto dei soprusi?
La Resistenza è stata rovinata dal fatto che ci fossero i partigiani? A me sembra che sia piuttosto la marginalizzazione dei partigiani che ha permesso che quella lotta portasse dei frutti indesiderabili.
Insomma, stai dando per scontato che tutti i mezzi siano “brutti” e “corruttivi” tranne quelli di un certo tipo, ma qui non stiamo parlando di “guerre giuste”…
Quindi lo stesso Gandhi aveva torto nel ribadire che – riassumo rozzamente – “quando ci vuole ci vuole”? :-) E aveva torto chi si oppose con le armi al nazismo? Come suol dirsi: senza quella gente, non saremmo qui a discutere. Bisogna distinguere caso per caso, contesto per contesto, senza farsi imprigionare da un precetto che pretendiamo valido in eterno. La non-violenza è una gran bella cosa ma, come acutamente scrisse Pasolini, “la non-violenza, se è una forma di autocostrizione ideologica, è anch’essa violenza”.
Su Altai: ovviamente, il lettore ha la sua interpretazione di un brano letterario, valida quanto quella che aveva in mente l’autore. A nostro parere, in quel dialogo Ismail dice che la rivoluzione (qualunque rivoluzione) non può essere delegata, e la liberazione non può essere una concessione del potere costituito, non può calare dall’alto come regalo. Mettiamola pure che la democrazia non è “esportabile” dagli USA o dalla NATO, se vogliamo applicare la morale alla storia recente. Addestrare cani obbedienti per “catturare” la libertà non può funzionare. Il progetto di Nasi su Cipro è già pregiudicato in partenza, perché quel regno d’utopia sarebbe un regalo del Sultano, preparato a colpi di intrighi di corte e conquistato dal suo esercito di mercenari. La libertà non si “cattura” né si regala magnanimamente: la libertà si conquista dal basso, con prassi che abbiano già in sè un principio di autogoverno.
E su quest’ultimo punto, in Val di Susa credo abbiano qualcosina da insegnare a noi tutti…
@ wfm83, tu scrivi: “Sono un po’ lontano dalle idee di questo forum, pardon… cercherò di tenermi fuori, rispetto le vostre idee ma non le condivido!” Però qui si stanno confrontando, sforzandosi di argomentare e con voglia di capire, persone dalle idee diverse. Proprio sulla questione della non-violenza, sono state espresse posizioni variegate e articolate. Perché prendere le distanze in blocco, se il blocco non c’è? Perché tenersi fuori, se anche dentro c’è chi la pensa in modo molto simile al tuo?
C’è anche una 3^ versione: – Per giustificare i mezzi, c’è bisogno di creare un fine.
Per la questione esercito/polizia, la giustificazione ricorrente è: “stavo solo eseguendo gli ordini”. Dall’altra parte è:”agisco in nome della causa, della libertà, della rivoluzione etc.”. Gli ordini di chi? In nome di chi? Lacan risponderebbe: del Grande Altro.
L’uso politico del Grande Altro è questione spinosa di questi tempi e in AaAm si mette in scena proprio questa lotta. La rivoluzione ad anatropoli è una rivoluzione del e contro il “significante”. Etichette, designazioni omologanti, grandi e piccoli altri su cui specchiarsi: di questo bisogna aver paura. Da entrambi i lati.
È un discorso estremamente complesso, esporre le mie idee in modo chiaro è difficile ma ci provo. Che cosa faccio io di concreto di fronte al problema TAV: ne parlo con chi mi è vicino, faccio presente l’assurdità del budget dell’opera palesando le probabili infiltrazioni mafiose e il solito giro di mazzette politico, metto qualcosa su Facebook, cerco di smuovere le coscienze in modo che il tutto non passi inosservato. Che cosa farei se fossi del posto e quindi coinvolto direttamente: non lotterei con la forza, cercherei con maggiore sforzo di smuovere le persone, i mass media, cercherei di cambiare le cose, e ad un amico che scende in prima linea direi “vai lotta con le tue idee, ma per me non è il modo giusto”.
Ci sono dei problemi di fondo che pone la democrazia: il rispetto di quello che viene deciso ma che è contrario a quello che vogliamo; che coloro che prendono le decisioni le prendano realmente per il nostro interesse; chi controlla i controllori. Ed è qui che mi viene in mente Aldous Huxley che dice “La costituzione democratica è un mezzo per impedire che singoli governanti cedano alle tentazioni, oltremodo pericolose, che nascono quando troppo potere si concentra in troppe poche mani” ma allo stesso tempo dice che la democrazia può funzionare solo se il popolo è perfettamente informato ed è attivo nell’esercitare il proprio potere… A quanto pare siamo lontani da una perfetta informazione, quindi non siamo in una democrazia pura (ma va!). Quindi cosa fare? Lottare per una maggiore informazione o lottare nel senso stretto del termine? Non lo so, basta che ognuno nel suo piccolo si muova…
vogliamo dirlo che la nonviolenza è una pratica di guerra? è una pratica di lotta in un conflitto profondo, lungo e complesso. è dura perchè richiede azioni illegali, che sortiscono reazioni militari, a cui rispondere con altre azioni illegali che sortiscono altre reazioni militari. perciò richiede strategia e tattica, quindi anche la capacità di usare armi per autodifesa e anche, eventualmente, per offese che abbiano natura di adescamento (e che quindi non devono essere estemporanee, individuali, stupide e narcisistiche), devi sempre tener conto dell’intera strategia, che è a lungo termine, non devi demordere e devi mantenere nervi saldi e disciplina militare. esattamente come sono stati addestrati a fare coloro che ti fronteggiano. su di loro hai un vantaggio: sai che vuoi arrivare a un obiettivo che è fuori dal loro orizzonte, che loro non possono vedere, possono solo opporti ostacoli tattici e una strategia semplicemente militare. quanto a democratizzarli, aprir loro gli occhi, convertirli, rieducarli o spaccargli il cranio, se non sono pratiche puramente tattiche lascia perdere: non hai da vincere la battaglia con loro, hai da vincere la guerra con chi li manda.
Assolutamente si che lo è! E come ribadiva Wu Ming1, è anche una ‘forma di violenza’ non fisica: cerca di imporre al ‘nemico’ qualcosa che egli non desidera. La forza della nonviolenza però credo stia nel fatto che proprio per questa sua natura trasmette a chi la pratica, a chi la osserva dall’esterno e persino in chi la subisce soltanto la forza delle proprie idee. Si tralascia l’aspetto conflittuale, si mostra che non si segue una logica istintiva di lotta/dominazione/profitto, ma si dice ‘non ce l’ho con voi, ma con ciò che fate di male’. è qualcosa che attira subito simpatie ed apprezzamenti, perchè mostra anzitutto la propria ‘buona fede’, la quale si rafforza proporzionalmente alla condivisione dei principi etici e/o politici che si vuole affermare. E che lascia spazio anche al dialogo (quello vero non quello della Cancellieri).
@Ponyf88 Non ricordo più (perdonatemi) dove ho letto qualcosa, che riassumerò malissimo, riguardo alla violenza come parte costituente della nonviolenza. In primis perché per esercitarsi ha bisogno della violenza dell’avversario, in secundis perché il suo funzionamento si basa sulla “estrazione” della violenza dalla controparte, in questo modo *costringendo* il nemico ad abbassarsi, a umiliarsi, a diventare bestia, se possibile a portarlo a un punto in cui “si fa schifo da solo”. In pratica può essere vista come violenza psicologica. Possiamo aggiungere che molto spesso la nonviolenza si associa a posizioni molto intransigenti, al limite dogmatiche, e in quanto resistenza a oltranza si presta quasi meglio al muro-contro-muro che alla ricerca di un dialogo. Da questo punto di vista non credo che “si tralasci l’aspetto conflittuale”, ma piuttosto che si cerchi di portarlo al parossismo per farlo implodere. E nel metodo in sè, in quanto arma, la “buona fede” credo che non c’entri nulla.
Come dite, la non violenza è una pratica che implica grande disciplina, autoconsapevolezza, determinazione, compattezza dei ranghi, sangue freddo, e chi più ne ha più ne metta. Ricordo che l’estate scorsa vedevo un video in cui la polizia spagnola cercava di sgomberare gli indignados dalla piazza. I poliziotti manganellavano i ragazzi che erano seduti per terra, mazzate sulle gambe e sulla schiena, e quelli restavano fermi senza reagire. Mi sono chiesto quanti avrebbero lo stesso sangue freddo. Quanti non si alzerebbero in piedi per cercare di respingere i colpi. Io non so proprio come reagirei e credo che finché uno non ci si trova in una situazione del genere, difficilmente può dirlo con onestà. A Genova, il 20 luglio 2001 ero dietro la prima linea di scudi di plexiglas in via Tolemaide quando i carabinieri hanno caricato a freddo il corteo. Alle nostre spalle c’erano migliaia di persone. Impossibile arretrare. Sarebbe stata una tonnara, saremmo rimasti schiacciati gli uni sugli altri, se le prime file non avessero scatenato una sassaiola e respinto i carabinieri. Alla fine il morto ci è scappato per via della guerriglia urbana nata da quella situazione di attacco e contrattacco. Ma credo che se fossimo rimasti saldi e fermi a prenderle, a lasciarci schiacciare dai blindati, il morto poteva scapparci lo stesso. Come diceva già qualcuno qui, la non violenza non significa correre meno rischi. Il punto è che in Val di Susa non ci sono né Gandhi né i Provisional IRA. C’è gente comune. Qualcuno ha il sangue freddo, qualcun altro molto meno. Del resto lacrimogeni e manganellate mi sembrano comunque distribuiti un po’ a tutti. E la caccia all’uomo non risparmia manco i bar di paese, riclassificati come covi di pericolosissimi facinorosi: http://www.youreporter.it/video_Polizia_sfonda_vetrate_bar_a_caccia_dei_NoTav
Salve a tutt*, è il mio primo post , anche se da molto vi seguo sulla carta e sulla rete.
Oltre che ammirare ed amare i vostri libri, sono sempre piacevolmente sorpreso e stimolato dalle vs parole.
Su giap mi pare che si riesca a dialogare come oggi sembra ormai impossibile fare ancor di più sulla rete con la sua frenesia e “densità”.
E dialogare, come non avviene in nessun “talk” show o programma d’inofrmazione che dir si voglia è proprio ciò che serve oggi non solo ai movimenti,alla democrazia, ma al pianeta stesso.
Si sente proprio in momenti come questi(cm ricordava WM1) l’esigenza di una breccia un luogo dove poter parlare e confrontarsi su eventi in grado di colpire in modo così forte .
Vorrei portare una riflessione: Il governo “tecnico” dei “professori” è veramente terrorizzato di confrontarsi,dialogare ad un tavolo di questioni “tecniche” , visto che il motivo alla base della protesta e di fatto questo, su un opera che investe la vita non solo di una valle ma dell’italia intera e non, per le sue ripercussioni non solo economiche ma anche ambientali.
Questi “professori” hanno così paura di cosa potrebbe emergere da un confronto razionale su questa opera,un dialogo in cui le varie posizioni/opinioni vengono argomentate e suffragate da elementi chiari,verificabili;
un’opera che qualunque persona razionale ,appunto, leggendo uno degli innumerevoli pareri,libri,studi e articoli che illustrano da ogni possibile punto di vista(da quello ambientale a quelli logistici fino anche ai più elementari aspetti economico-finanziari) riterrebbe quantomeno “discutibile” se non assurda ed inutile.
La paura è così tanta da cercare con ogni mezzo e becero stratagemma(da Bobbio fino ai blitz passando per una qualunque delle favole che i media cercano di propinare ed arrivando alla più dura repressione e violenza) di istigare il movimento allo scontro violento per poter (come avviene di fatto anche oggi sul “mainstream”) screditare le proteste democratiche come guerre di facinorosi e spostare l’attenzione dai motivi della protesta, dalla morte della democrazia, alla cronaca dei lacrimogeni ed alle immagini di lanciatori di pietre.
E come alcuni,evidentemente già esperti suggeriscono, in un escalation violenta chi ci guadagna è chi violento e “militare” lo è già, giocare al loro gioco significa autorizzarli a massacrare la gente. Mentre invece azioni che fanno risaltare chiaramente la sproporzione tra i mezzi e le MOTIVAZIONI delle parti in campo sono , secondo me, sicuramente molto più efficaci anche nel raccogliere il consenso dell’opniione pubblica lobotomizzata(senza offesa).
Ad esempio i video che giravano stanotte sulla caccia all’uomo a bussoleno hanno un impatto, anche emotivo, molto forte in quanto percepisci proprio la paura lo sconforto di persone comuni quando trovano di fronte a se chi li dovrebbe proteggere che invece li minaccia o li manganella, io personalmente ne sono rimasto scosso,agitato ho percepito(pur non potendo averli vissuti) come un’ombra ,lo spettro dei rastrellamenti , di una paura lontana che ho conosciuto solo sui libri della resistenza.
Scusate ho quasi finito..
Insomma se anch’io, che v’assicuro non ho mai fatto male ad una mosca per davvero, come molti altri, dopo fatti del genere , in momenti del genere, di fronte a qualcosa che non puoi sopportare in silenzio ma che sai di non poter sconfiggere dalle tue mani, ho provato rabbia e ho pensato che chissà cosa avrei scatenato contro le fdo.
Ma poi leggendo e seguendo il dialogo, qui e non solo, ho capito, che al di là delle posizioni/opinioni di ognuno, equalmente degne e legittime, ciò che conta e che la cultura la conoscenza di ciò che ci precede di ciò di cui siamo fatti ; ci rende qualcosa di più di Homo sapiens, ci rende comunità, collettività in grado di rispondere,resistere e sopravvivere a forze anche immense , sproporzionatamente più grandi , perchè qualcosa di èiù grande della somma di ogni singolo elemento costituisce queste collettività,queste comunità. Cosi esse si oppongono allo scempio del territorio, alla voracità di una crescita infinita che in natura non esiste e perciò nemmeno nella realtà, alla privazione del bene comune per eccellenza la terra su cui camminiamo e che produce tutto ciò che permette la nostra vita.
So che è un poema e che forse non lo pubblicherete ma vi voglio bene lo stesso. Grazie.
@julesbonnot “Questi “professori” hanno così paura di cosa potrebbe emergere da un confronto razionale su questa opera”.
Hai detto la parola giusta: paura. Sono convinto che nessuno, al governo, in regione, in provincia, in comune, e nessuno nei partiti maggiori, abbia il *potere* non solo di fermare l’opera, ma anche solo di sollevare dubbi. Quando ne parlano tremano. Tutti. Come bambini preoccupati di non sapere la lezione durante un’interrogazione. Sembrano telecomandati, terrorizzati. Di chi sono succubi? Di chi hanno paura? Dài che ci arriviamo…
E adesso facciamo l’ipotesi che sia davvero così. Che il nemico sia più forte dello stato, e *molto* più feroce. Che il governo stia mandando i celerini nel tentativo di chiudere la gente in casa per evitare stragi, senza poterlo spiegare. (Non occorre che sia un governo “buono” per fare questo: qualsiasi governo lo farebbe, per evitare di cadere. Ricordiamoci le elezioni vinte da Zapatero sull’onda emotiva delle bugie di Aznar dopo gli attentati di Madrid).
Oh, è solo un’ipotesi, un gioco, un esercizio di fantapolitica da bar. Sono solo canzonette.
Ma in un caso del genere che ce ne faremmo della nonviolenza?
In un caso del genere non te ne fai niente nemmeno della violenza, Vecio. A meno che non siamo disposti a diventare la Libia , la Colombia, la Cecenia, Ciudad Juarez. A (dis)piacere.
A me non piace il concetto di strategia, perché è un concetto che puzza di Uno… Prendo in prestito la distinzione di Michel de Certeau tra strategia e tattica, la seconda delle quali è una sorta di riconversione frammentaria e creativa (e credo assolutamente non violenta) degli strumenti del potere.
Gli “strumenti” del potere sono prima di tutto parole, interpretazione…
io ieri ho passato due ore a guardare video e a spigolare notizie su quel che è successo negli ulltimi giorni in susa e a torino (sono molto lontana), e la mia impressione è che questo ragionamento diffuso su violenza-non violenza – ricalcato dalla piega che ha preso anche questo thread – come spesso per la val di susa non sia per nulla pertinente, e anzi che produca rumore che impedisce di afferrare cosa è successo di nuovo in questi ultimi giorni. se qualcosa di nuovo c’è stato; non ne sono sicura, sto cercado di capire.
non voglio essere fraintesa: per me la scelta fra violenza e non violenza si fa a partire dal contesto e nient’altro, e penso che una buona strategia dovrebbe sempre prevedere entrambe. e anzi, la lotta è per definizione violenta (quale che sia la violenza): altrimenti non è lotta. forme più sfumate, che implicano solo la lotta violenta, che vi alludono, che ne esprimono le forme ma senza agirle (minacciandole, spostandole, détournandole, capovolgendole carnevalescamente, ecc.), sono possibili e opportune solo quando i rapporti DI FORZA lo permettono: ci sono miriadi di versioni possibili, tutti i codici guerrieri e le arti marziali ci hanno ragionato e hanno definito le loro, antropologicamente questa ‘pratica della violenza’ in combattimento e il suo doppio, la sua ‘rappresentazione’ usate insieme tatticamente nel combattimento stesso sono un datto di fatto puro e semplice, una cosa che facciamo da sempre, e che è nata insieme al linguaggio simbolico (anzi, si puo’ argomentare che l’ha creato). quindi insomma, a me tutte ste menate sui ‘violenti’ cattivi mi fanno solo ridere, o mi scaldano la pancia e le mani ;)
per fare l’esempio di uno dei casi più ridicoli e peggiori, tratto dalla mia spigolatura di ieri: perino accusato di violenza da repubblica per aver gridato ‘siete delle merde, degli sciacalli’ a dei bastardi che volevano mangiarsi la caduta di luca dal traliccio per segnare i punti buoni-cattivi=violenti=nonviolenti, il giochino segnapunti che appassiona tutti. e perino rispondeva, come spesso fanno i valsusini: ma allora se tiriamo i sassi per difenderci siamo cattivi, e anche se saliamo sul traliccio siamo cattivi?’. perché questo è il punto ovviamente (e su questo siamo d’accordo tutti, almeno qui): si’, in tutti i casi sono (siamo) cattivi. e che siamo cattivi è buon segno, ovviamente.
ma allora, cos’hanno in mente perino e i valsusini, e tutti quelli che vedono nei no tav, in particolare valsusini, un dato nuovo negli schemi di lotta, cos’hanno in mente tutti quando pongono la domanda retorica: ‘ma allora siamo sempre cattivi?’ ? cosa chiedono retoricamente allo stato da una parte, ai poliziotti dall’altra, e poi a ‘noi’ che li appoggiamo, più o meno attivamente? qual è l’immagine positiva che sta dietro la domanda retorica, e che il giochetto violenza-non violenza copre?
io non lo so ovviamente, è questo che sto cercando di capire.
e poi un’altra cosa: il traliccio. non mi esce dalla testa. ieri ho cominciato a guardare video per questo. l’ho visto, poi ne ho visti altri. un po’ si sono confusi coi piloni per i fili tav nella veste grafica del doc “fratelli di tav” (che non avevo ancora mai visto e che mi ha dato i brividi: non so giudicare quanto quel che espone sia fondato, ma in ogni caso il quadro che fa: tav=mafia, nel senso più apocalittico possibile, a me suona plausibile; http://vimeo.com/26226413 ). poi i piloni di nuovo, in quest’immagine su giap.
io sui tralicci ci sono salita a volte, ma non cosi’ in alto e non per piantare bandiere; l’ho fatto per trespassing, franchissement, esplorazione urbana, gioco col territorio (pratica che pero’ in qualche modo è un “reclaiming” dello spazio urbano, quindi una specie di bandiera: forse la bandiera immaginaria del nemico che coi tuoi gesti acrobatici o teatrali simbolicamente strappi dal suolo). poi ho avuto paura, e coi tralicci ho smesso (continuando con tutto il resto pero’ :) ). dopo ancora, molto tempo dopo e poco tempo fa, sono stata in un museo della tecnologia in cui c’era una specie di museo dell’orrore dell’alta tensione: una massa documentaria divulgativa, dagli albori ad oggi, di quello che l’alta tensione fa a un corpo: le lacerazioni descritte in disegni, manichini, copie di cera, schemi anatomici, proclami pubblici, manualetti per le massaie per i piccoli artigiani e per le scuole. il lato oscuro di quell’altro armamentario immaginifico, quello colle fatine elettriche, che ha accompagnato ‘il progresso’.
non so bene perché racconto queste cose, sono solo assocazioni d’idee e di immagini ovviamente. forse per via del fatto che l’imago nova, il particolare fulminante che lacera il quadro, in questo caso per me sono state le ruspe e gli operai in azione intorno al corpo, che per alcuni era già cadavere. e che relazione c’è fra queste e l’azione militare-beserk del poliziotto che insegue la preda sul traliccio? al di là del contesto (militare) ovvio, intendo.
non capisco cosa mi disturba in tutto questo. come se fosse ‘solo’ un problema gestaltico, un trucchetto di completamento: c’è quasi tutta l’immagine, bisogna solo riunire i punti. qual è l’immagine?
«Dovresti vergognarti di essere immischiato in tutte queste idiozie», disse Sam. «Tu stesso preferivi l’interno di un’osteria alla facciata. Ci andavi a tutte le ore, in servizio e fuori servizio». «E ci andrei ancora, Sam, se potessi. Ma non essere severo. Che cosa posso fare? Lo sai che sono diventato Guardacontea sette anni fa prima che incominciasse tutta questa storia. Era un modo per girare il paese e vedere gente, e sentire le notizie, e sapere dov’era la buona birra. Ma ora è diverso». «Ma puoi rinunciarci, smettere di essere un Guardacontea, se non è più un lavoro rispettabile», disse Sam. «Non è permesso», disse Robin. «Se sento ancora ripetere non è permesso», disse Sam, «ti assicuro che mi arrabbio». (Il Signore degli Anelli, libro VI, cap. VIII)
Dopo il grave episodio di Abbà abbiamo avuto il monologo della pecorella, altri scontri, blocchi in diverse città, un crescendo di violenza che fa paura. Ma nessuna discussione seria ed approfondita sul perché dovremmo volere la TAV, solo slogan.
A questo punto, i casi sono due. O la TAV è davvero utile e semplicemente nessuno è riuscito a trovare argomenti validi per spiegarlo alla gente, oppure la macchina burocratica ed economica è inarrestabile, e anche se qualcuno ha pensato che la TAV sia un’idea balzana, non è più possibile fermarla. In ogni caso, lo stato è lontano anni luce dalla gente. Oggi, se lo stato fosse vicino alla gente, solo una cosa dovrebbe fare. Fermare il cantiere.
Dovrebbero poi mandare a casa poliziotti e carabinieri. Aspettare del tempo. Tanto. Rifare i conti, rivedere i progetti, ridiscutere con la gente. Aspettare altro tempo, di nuovo tanto. Se, dopo tutto questo, saremo tutti convinti che la TAV serve ancora, magari, forse, chissà, il cantiere potrà anche riaprire. In quel caso, i valsusini lo guarderanno con la speranza di un radioso futuro di sviluppo e ricchezza, e ci saranno una decina di poliziotti disarmati, giusto per scortare i curiosi qua e là. Andare avanti come si sta andando avanti adesso è folle.
Fa sempre malissimo, @wu ming 4, rievocare il luglio 2001. io sono di Genova. Ma il tuo ricordo è utile perchè mette in gioco il discorso sul territorio e sulla sua relazione col tema del conflitto e delle sue pratiche. Genova 2001 è stata la prima esperienza di militarizzazione spinta del territorio in Italia (in Europa, cortina di ferro a parte) dopo la II G.Mondiale. I vecchi, indignatissimi, dicevano anzi che, così, la città, nemmeno al tempo della guerra. Le cancellate e i muri della zona rossa ci avevano espropriato totalmente del nostro territorio, era uno smarrimento letterale e psicologico, non si sapeva più dove andare per andare dove dovevamo andare. E questo già giorni prima dell’inizio dei cortei. Il giovedì, il corteo dei migranti sembrava muoversi liberamente ma già era incanalato dai containers apparsi “magicamente” alla mattina. Il giorno dopo, venerdì, è arrivata via Tolemaide, il primo enorme errore del movimento, forse l’errore più grande. L’aver accettato quel percorso, in quelle condizioni di militarizzazione del territorio, è stato suicida. Stretti in un corridoietto di strada fra le case da una parte e il muro della ferrovia dall’altra. Presuntuosa l’idea che ci se la potesse cavare con tre gg. di esercitazioni fai-da-te di resistenza passiva. Idiota l’idea che si potesse lasciar circolare liberamente quelli che organizzavano la guerriglia urbana (si sapeva benissimo che ci sarebbero stati, noi indigeni, sugli autobus con cui rientravamo a casa aggirando la zona rossa, il giovedì sera non si parlava d’altro), come se ci “potessero pensare loro” a tener occupate le fdo. Il movimento è caduto in un’imboscata militare preparata accuratamente da settimane e settimane da strutture dello Stato addestrate a fare quello e che, come recita la prima pagina di Sun Tzu, per prima cosa avevano occupato il territorio. Come seconda avevano imbottito di propaganda le fdo e il resto dell’opinione pubblica. E che poi ci hanno tranquillamente e cinicamente stritolato fino all’orrore. C’era già stata Seattle ma non si era ancora capito niente lo stesso, perchè non c’era ancora stato Ground Zero. Il 2001 è stato l’anno del Grande Trauma. Ci sono voluti quasi 10 anni perchè il movimento (i movimenti?) ricominciasse/ro a riaversi in Italia e da cosa si è ricominciato? Dal salire in alto: gru, monumenti, tetti. Quella è stata una grande idea, un territorio nuovo, spiazzante. Letteralmente spiazzante. Perchè da noi le piazze degli Indignados non hanno funzionato e, secondo me, perchè sulla strada ha dominato, ancora e sempre, di nuovo, la tattica tradizionale e, dopo Genova, evidentemente perdente (ma quanto ci vuole a imparare le lezioni?), della guerriglia urbana. Adesso la Val di Susa. Un’esperienza di territorio nel reale senso del termine, proprio nei contenuti. E del tutto nuova sul piano strategico del mantenimento del territorio nella pratica del conflitto. La guerriglia urbana non ha nemmeno senso tentarla, perchè non è un territorio urbano, altro che fronteggiare i poliziotti come se si fosse nei dintorni di uno stadio o a Piazza San Giovanni. Ogni volta che si è caduti in pratiche che la rappresentavano o anche solo la evocavano (compreso il corteo di Torino con le sue stupide e infantili performances graffitare) è stato un autogol in termini pratici e mediatici, si è prestato il fianco agli attacchi impietosi (e perchè dovrebbero essere amichevoli, data la posta in gioco? ) degli avversari. Il territorio della Val di Susa è il teatro di un’esperienza nuova e fondamentale per il terzo millennio – e che non è nemmeno assimilabile, neppure concedendo un si parva licet, alla Resistenza partigiana, pur con tutte le suggestioni dei luoghi. Un’esperienza che richiede pratiche nuove, che la popolazione sta terribilmente sperimentando con una forza meravigliosa e che spero avrà ragione anche dell’insipienza infantile di quella che, un po’ per celia un po’ per rabbia, ho chiamato fra virgolette l'”ala militarista” i cui deboli nervi sono una minaccia. E la forza di questa gente non solo ci re-insegna, a noi urbanizzati alienati, l’importanza del territorio (dell’ambiente, dei beni comuni) ma prima di tutto ci fa lezione di quel di più giustamente ricordato qui sopra da @julesbonnot, l’essere comunità, il senso di appartenenza. Perchè è questo che dà disciplina e resistenza nelle pratiche di lotta.
Puntualmente ogni volta che nasce un movimento in questo paese siamo costretti a inscenare il rituale gioco delle parti violenza-non violenza. Non che in sè il tema non sia meritevole di riflessione, ma in questi casi l’agenda di discussione è imposta dall’alto e con una notevole dose di malafede. Le retoriche in disa delle forze dell’ordine grondano ipocrisia, come non vederlo? Ma entriamo nel merito. È ovvio che ogni movimento di protesta si muova, sia costretto per definizione a muoversi in una dimensione di illegalità (più o meno marcata a seconda dei contesti storici, un conto è fare un blocco stradale nell’Italia repubblicana, tutto sommato, altro era organizzare uno sciopero in fabbrica nell’Italia fascista). E comunque una percentuale di illegalità c’è sempre nell’atto di contrapporsi alla decisione di un governo “democraticamente” eletto. quale può essere quindi il criterio guida di un movimento? Deve esserci una intelligenza anche nella scelta delle forme di lotta, che sono altrettanto importanti dei contenuti della protesta stessa, a maggior ragione in un tempo in cui tutto è comunicazione. Detto questo è francamente insopportabile l’ondata di sdegno posticcio e finto seguito al famoso monologo della “pecorella”. Ma dico, ci siamo dimenticati delle pecorelle di Bolzaneto? Di Cucchi Aldrovandi ecc. Per non parlare delle citazioni a sproposito di Pasolini e della sua poesia sui poliziotti di Valle Giulia. Saluti a tutt*
Il discorso che fai su Genova 2001 lo condividiamo e la nostra autocritica sulla gestione tattico-strategica di quelle famigerate giornate è stata pubblica. Suntzuianamente bisognerbbe sempre essere là dove l’avversario non ti aspetta. E l’avversario non si aspettava di incontrare resistenza in Val di Susa. Non si aspettava una comunità così determinata. O per lo meno pensava di poter recludere il discorso nella dicotomia interesse nazionale/N.I.M.B.Y. Ha funzionato poco, perché la Val Susa raccoglie consensi – e soprattutto desta attenzione – in tutta la penisola, non già dicendo “fatela da un’altra parte”, ma perché dice “non fatela, non serve a niente, è solo un gigantesco affare per la mafia e una truffa all’UE”. Cioè dicendo la verità: la TAV è il Ponte di Messina che non ci hanno fatto fare. A quel punto, governanti e mass media hanno provato a variare il tema, riproponendo la dicotomia novecentesca progresso/conservazione. Il punto è che è un piano discorsivo vecchio, ormai inefficace, perché al progresso come sviluppo infinito e necessario non crede più nessuno (a parte forse Odifreddi, puvràz). Gli argomenti per giustificare l’uso della forza sono sempre più scarsi e rarefatti, e sempre più il rischio per lo stato italiano è che si affermi l’unica vera dicotomia in atto, quella tra ragione e ottusità teotecnocratica che governa il paese. E infatti si stanno preoccupando: Monti, Napolitano, i vecchi ayatollah sviluppisti e P.I.L.isti, indicono tavoli di consultazione, inchieste conoscitive, etc. Cominciano a pensare che il rumore delle manganellate dovrà aumentare, che dovrà scapparci il morto (c’eravamo quasi) e che quegli Hobbit valsusini stanno creando una rogna più dura da grattare di quanto fosse prevedibile. E l’apparato mediatico, il partitone di Repubblica in testa a tutti, decide che sfottere un agente di pubblica sicurezza è un gravissimo attacco alla sua persona, oltreché alla sua divisa, così come insultare i giornalisti che scrivono falsità e menzogne sul conto dei valsusini è un’offesa e un’onta gravissima alla libertà di cronaca. Uno ha preso un cazzotto, accidenti! Roba pesa. Ne faranno derivare a breve che lanciare un sasso è come lanciare una molotov… sperando che qualcuno ci caschi e a quel punto le molotov volino davvero. Rispetto alla resistenza in atto, e al discorso che facevi sul senso d’appartenenza e sulla comunità, viene in effetti da chiedersi se in una realtà piccola, di montagna, la tenuta collettiva non sia più forte che in una qualsiasi realtà metropolitana di pianura, parcellizzata e compartimentata (tanto per dire, nella mia città, Bologna, gli autoctoni non hanno quasi interscambi con gli studenti fuorisede, che ammontano a circa un quarto della popolazione urbana). Noi “urbanizzati alienati”, come ci chiami, facciamo più fatica. O forse il nostro territorio urbano e le nostre vite vengono violentati più lentamente, goccia a goccia, e siamo più assuefatti proprio perché il territorio non lo viviamo più, lo fruiamo e basta. Non so.
ho cominciato a leggere i commenti e ho pensato: “nooo…ancora a discutere di violenza e non violenza: devo zittirmi, non alimentare il frame non alimentare il frame non alimentare il frame”. Poi la discussione, come spesso in questo luogo, ha preso una sua strada non ottusamente dicotomica e ho pensato che se il problema delle forme di lotta è così sentito forse non è il caso di fare gli schizzinosi, quelli che sanno già, quelli che hanno già visto queste dinamiche. Quindi metto i miei violentissimi due cent. Molti commenti a sostegno di una lotta radicalmente non-violenta mi sembra si basino su due assunti non dimostrati: 1) chi decide (semplifico eh) di “prenderle e basta” dalla polizia guadagna l’appoggio dell’opinione pubblica 2) Questo appoggio è l’arma più forte che i movimenti hanno a disposizione. Ora, io penso che l’appoggio dell’opinione pubblica contro la TAV tutto sommato ci sia già: se domani si facesse un referendum, sono abbastanza convinto che la maggioranza degli italiani direbbe di non farla. Ma questo non basta perché, dato che un tale referendum non si farà mai, bisogna costringere l’avversario a rinunciare e per fare questo si è capito che non bastano gli appoggi e le convinzioni (e nemmeno la scienza): bisogna farsi valere sul territorio. Detto questo, si pone il problema di quali siano le migliori forme di lotta: ma forme di lotta per far ritirare l’avversario e non forme di lotta per avere l’appoggio dell’opinione pubblica; può sembrare che la seconda cosa sia parte della prima ma le manifestazioni del 2002-2003 ci hanno, purtroppo, insegnato che non è così.
p.s.: non prendetemi per una specie di stratega di guerra, sono d’accordo con chi dice che una lotta semplicemente “militare” è perdente su tutta la linea, e per come la vedo io non è nemmeno desiderabile. Però penso anche che in Val di Susa non stiamo assistendo assolutamente a un’escalation militare da parte dei resistenti.
Purtroppo non ho avuto ancora il tempo di seguire per bene tutta la discussione, ma riguardo allo stereotipo del poliziotto “pezzo di merda” di cui parlava @Francioso, mi sento di aggiungere una considerazione che qualche mese fa avevo avuto occasione di fare (qui).
«Gli stronzi sono ovunque, in tutte le categorie, ma abbondano ed emergono nelle categorie a cui è garantita l’impunità. Non si tratta di generalizzazioni, ma della constatazione di una verità, e anche di ragionevolezza: è ovvio che se sei stronzo e puoi vantare un potere che altri non hanno, non mancherai di far notare di averlo ogni volta che le circostanze lo rendano possibile, per esempio quando hai un manganello in mano e l’autorizzazione per usarlo. In poche parole, più potere ha uno stronzo, maggiore è la probabilità di abuso di potere.»
Io sono quasi d’accordo con te: anche secondo me la struttura in cui sono inseriti peggiora le cose. Però io direi parafrasandoti che “più potere ha un ‘ultimo’, maggiore è la probabilità che diventi uno stronzo”.
Personalmente ritengo che facciano più danni, ad esempio, gli insegnanti che le fdo: anche se sono (teoricamente) meno ‘semplici’ hanno molto più potere…
se non sbaglio ho appena sentito al TG7 la Cancellieri dire che lei ha vissuto gli anni di piombo e che assolutamente non dovranno ripetersi le cose accadute allora. Il problema è tutto qua: chi comanda sembra appartenere ad un universo distante migliaia di anni luce da un movimento che ha principalmente istanze ecologiche (e non parlo solo dell’ecologia ambientale ovviamente). La volontà di ricondurre la contrapposizione nella trama del discorso politico di quaranta anni fa per me rivela la pochissima presa che possono avere questi personaggi sia sulla Val Susa ma anche sul mondo contemporaneo. Lo trovo assolutamente frustrante.
p.s. ovviamente se fossi là, mi incazzerei ancora di più dato che quello che contiuo a dire è filtrato e ridotto entro categorie del passato. Per la serie dietrologie: È questo l’obiettivo reale del ministro dell’interno? Davvero mi sembra che le alternative siano queste due: tecniche di controllo kossighiane o totale distacco dal presente?
personalmente non starei troppo ad analizzare le parole della cancellieri o di chi per lei.non che non contino niente,anzi,ma appunto bisogna sempre cercare di capire a chi sta parlando,e perchè,e magari (?) per conto di chi..se invece è proprio per capire questo allora analizziamole pure.poi sul fatto che la maggior parte della popolazione sia contraria non so..nel senso che proprio non lo so,ieri ho fatto un salto (da osservatore,lo ammetto) in piazza a novara per capire un po’..manifestanti attivi credo una ventina,conto 4 o 5 vigili,3 carabinieri e 2 poliziotti che girano intorno..una ragazza dice a un amico ‘ancora questi?ma che cazzo vogliono ancora?’..non è ovviamente il quadro completo,dico questo solo per aggiungere un (defilato) tassello,per quel poco che vedo lontano dalla valle e lontano dai riflettori
ma la valsusa è in afghanistan, ovviamente (per abduzione: se “tutte le lotte sono la stessa lotta”). e,”ovviamente”, è per questo che c’è l’esercito.
(wu ming4, ti riferivi per caso a questo colla citazione del sesto libro ecc.? o a tutt’altro? non credo di averne capito il senso, sono lettrice plurima ma amnesica del signore degli anelli)
ma il mio dubbio cresce: qual è il senso logico-retorico delle espresioni valsusine (dove non coincida esattamente colla pura strategia di autodifesa civile, o dove la ripete, con ridondanze di cui mi sforzo di capire il senso, senza riuscirci)? a chi parlano, per esempio? qual è il soggetto ancora potenziale che le loro parole e azioni costringono all’attualità?
Scusate, non ho partecipato alla discussione dall’inizio e non vorrei essere banale, ma secondo me non è tanto il discorso sulla “forma di lotta” (semplifico) ad essere importante in Val di Susa oggi, ma il timing e il frammento narrativo che questa protesta sta portando all’attenzione nazionale. è la TAV stessa ad offrire una ricchezza infinita ad una possibile contronarrazione (perchè secondo me è questo il concetto fondamentale, non il fatto che essa attraversi momenti di scontro fisico o meno). Non solo la TAV è un’opera demenziale (non è la prima cosa demenziale, non sarà l’ultima), ma è così apertamente demenziale e viene alla ribalta in un momento storico tale da poter facilmente diventare una perfetta metafora del presente (non sarebbe l’unica, ma è quella che più efficacemente si afferma). La TAV è un parto di qualche oscuro eurocrate, che nessuno conosce, di cui nessuno sa nulla, sedutosi ad un tavolino per vivisezionare l’Europa dicendo “Qui ci facciamo un bel corridoio, qui un altro…”. è un’emanazione di un potere talmente astruso e lontano dal reale da poter essere facilmente esposta per quello che è: una mostruosità burocratico/finanziaria.
Non è certo la prima mostruosità del genere, ma in un clima come quello attuale si presta perfettamente agli scopi di una lotta (la stessa lotta che magari è risultata inefficace in altri contesti o momenti storici). Il ridicolo cui l’autorità locale (e per locale intendo nazionale che tanto fa lo stesso) viene esposta dalla contrapposizione in Val di Susa (sia che tale contrapposizione passi per un momento di scontro fisico o meno) è evidente e a mio modo di vedere efficacissima (al netto degli sforzi di criminalizzazione dei manifestanti da parte dei media).
L’imbarazzo nel giustificare la validità dell’opera supera di gran lunga il normale imbarazzo del potere nel giustificare se stesso e le sue malefatte, tant’è vero che non riesce neanche a partorire la solita retorica vuota sui benefici o lo sviluppo, ormai siamo a: “si deve fare perchè si deve fare”. O “Si deve fare perchè è una cosa europea”. Di più non si dice. Il tutto sarebbe anche esilarante se non fosse che lo si fa sulla pelle e a scapito delle persone. Non vorrei passare per illuso (poi magari lo sono) ma credo che lo stadio grezzo del capitalismo europeo attuale (mi riferisco per esempio a quanto accaduto in Grecia) offra possibilità di contronarrazione incredibilmente efficaci. Il capitale in questo frangente (e non sarà sempre così) fa talmente fatica a giustificare se stesso da non riuscire più a far breccia nelle menti adulanti dei popoli, che solo vogliono essere rassicurate. In questo senso mi sembra che in Val di Susa stiano cogliendo nel segno, e questo mi sembra l’elemento su cui riflettere maggiormente.
é la prima volta che scrivo, non vorrei essere andato OT, nel caso mi scuso.
Ho visto poco fa l’intervento e condivido il giudizio. Per rimanere ancorati ai fatti di questo psicodramma surreale mi permetto di segnalare la puntuale ricostruzione di Manuele Bonaccorsi, nell’articolo comparso sul numero 2/2011 di MicroMega dal titolo “il capitalismo cloaca”. È un po’ datato ma spiega in modo piuttosto chiaro come “il ‘modello TAV’ basato su finanza di progetto e general contractor” sia diventato il modus operandi del sistema industriale italiano post-tangentopoli. Purtroppo non ho trovato versioni digitali da linkarvi, ma se vi capita fra le mani è da leggere.
P.s. Cari WM, vi leggo molto spesso anche se non intervengo quasi mai, un po’ per mancanza di tempo (leggasi pigrizia) e un po’ per timore di non essere particolarmente originale… Morale: grazie per questo magnifico spazio di discussione che alimentate con intelligenza.
Non riesco a trovare bello l’intervento di Travaglio. Per carità, è stato certamente un intervento sottoscrivibile, ma lascia trapelare una contraddizione molto forte, che è tutta di Travaglio e della sinistra istituzionale italiana (del Pd, ma anche di Vendola e di Di Pietro). Voglio dire che la violenza o la non violenza, il boicottaggio o il sabotaggio possono essere forme di lotta, scelte strategiche, opzioni politiche ponderabili e valide a seconda dei casi, la legalità no. La legalità è un concetto generale, una presa di posizione definitiva e assoluta, una precisa scelta di campo: o si è dentro la legalità o, nel momento in cui si prevede l’illegalità come un’opzione anche solo possibile, se ne è fuori. Non si può difendere Caselli e nello stesso tempo appoggiare la lotta No Tav: c’è una contraddizione insanabile e non basta la strategia difensiva di Eichmann messa in scena ieri da Travaglio per difendere giudici e polizia, e sciogliere l’aporia. È questo che Bersani ha cercato di spiegare a Travaglio nella sua scomposta reazione. Non tanto con la difesa d’ufficio degli affari del partito (sui cui Travaglio, infatti, aveva ancora qualcosa da dire), quanto sulla questione della gestione della piazza (su cui Travaglio ha taciuto). Ho davvero l’impressione che quella che si sta giocando in questo momento sia una partita più grossa di quella che riguarda l’inutile tunnel che interessa ormai solo i comitati d’affari che ci mangeranno sopra. Quella che si sta giocando, all’indomani dell’insediamento del governo Monti, è diventata una partita politica che riguarda la rappresentanza. È questo ciò che Bersani ha rimproverato ieri a Travaglio quando gli ha detto che si sa dove si comincia e non si sa dove si finisce. Gli ha detto che quelli che dall’esterno del Pd pensano di aggredire il partito con la piazza è bene che stiano attenti perché rischiano di bruciarsi. Travaglio, è sempre bene ricordarlo, è un uomo di destra, formato alla scuola di Montanelli (anche lui molto, molto di destra – è bene ricordare anche questo): se si sporca le mani con il Tav, non lo fa senza una ragione.
Certo che è un uomo di destra, e a differenza di molti altri non fa finta di essere di sinistra, il che di per sé è apprezzabile. A me non piace per diversi motivi ma non si può negare che non sia chiaro ed efficace e che abbia una certa autorevolezza; credo che parte della popolazione che è indifferente se non ostile alla protesta no tav, *se lo dice Travaglio* possano rendersi conto che non si tratta di capricci di quattro montanari che pensano solo ai propri interessi. Non penso che sia un male
Non credo esista un monolite chiamato “popolo”, e penso che niente e nessuno possa averne “tutte” le simpatie. Ogni società è differenziata al suo interno, attraversata da tensioni e conflitti, fatta di interessi contrapposti. Chi cerca di essere simpatico a tutti quanti di solito non combina nulla di buono, perché gioca talmente al ribasso da svuotare di senso ogni discorso e ogni prassi (come il PD), oppure ha secondi fini alquanto luridi, come certi neo-ducetti populisti. Per essere davvero “popolari” bisogna avere il coraggio di una (relativa, temporanea) impopolarità, sfidare le opinioni correnti e telecomandate, puntare ad acuire le contraddizioni esistenti nel corpo sociale, per lacerare i veli dell’ideologia dominante. Si sono fatte le rivoluzioni quando chi ha sparigliato le carte ha conquistato le simpatie di settori della società in grado di mobilitarsi e produrre cambiamento.
Il monolite chiamato popolo, come dici tu, non esiste. Esiste però la massa, che sempre agisce, simpatizza, collabora con – e solo con – chi trova più vicino possibile ai propri bisogni. I NoTav, al contrario di quel che credi tu, secondo me dovrebbe invece rendersi più popolari. E’ una mia convinzione, magari errata (probabilmente una castroneria), ma finché i NoTav non raggiungeranno anche la Casalinga di Voghera credo che nulla cambierà. In Val di Susa c’è gente che a tutto il mio appoggio e la mia stima (migliori di me, in quanto loro là ed io qua). Vorrei vederli solo un po’ più appetibili alla massa. Intorno a loro c’è tantissima antipatia e secondo me quell’antipatia deve finire. Ripeto, è l’opinione di una persona lontana dal centro, all’estero. Sbaglierò ma…
Ma dove l’ho scritto che i No Tav non dovrebbero essere popolari? Ho scritto: “per essere davvero popolari bisogna avere il coraggio di una relativa, temporanea impopolarità”. Un esempio dissennato di ricerca della popolarità indiscriminata è il frame della “corsa al centro”: chi pensava che “il popolo” fosse “di centro” e composto di “moderati”, ha annacquato sempre di più la propria proposta politica, fino a non essere più in grado di parlare a nessuno né di rappresentare nessuno. Attenzione, perché per troppi anni questa semi-mitica casalinga di Voghera è stata strumentalizzata a favore dell’andazzo dominante.
Ciao, credo che l’antitesi violenza/nonviolenza sia in realtà un tranello teorico che si scioglie soltanto nelle pratiche. Quanto succede in Val di Susa lo dimostra: tutti insieme, giovani, donne, anziani, si decide come rispondere all’offensiva dello Stato. Può essere un Sit in, una manifestazione di piazza o una barricata. Del resto, come ha detto una volta Mandela, “E’ l’oppressore che impone le armi della guerra in corso”. Questa frase mi ha sempre fatto molto pensare. Il tranello teorico si trasforma in manipolazione nelle mani dei media: si astraggono i comportamenti delle persone dal contesto reale di tensione e occupazione militare di una valle e si condanna astrattamente la “violenza”. D’altra parte questo modello di narrazione a due poli che espelle la dialettica per girare in tondo all’infinito in una spirale solipsistica è ovunque: recentemente Saviano lo ha utilizzato per dare una lettura manichea e inutilmente semplicistica del dibattito teorico nel movimento operaio, contrapponendo Turati a Gramsci, riformisti a massimalisti (http://www.ilpost.it/2012/02/28/saviano-turati-riformisti/). E santificare lo stato di cose presente. Cosa c’entra la Valsusa? Beh, la domanda potrebbe essere questa: chi sono i valsusini, massimalisti o riformisti? Una domanda che nasconde un tranello, alla quale proprio per questo non ha senso rispondere. I valsusini, attualmente, sono quelli che fanno le barricate. Domani faranno la polenta. Un abbraccione. @nasosecco
@WuMing Hai ragione, ho interpretato male il passaggio. Ma una temporanea impopolarità, in Italia, tende a divenire un’impopolarità permanente. Sono un disilluso, questo è il problema. Non ci credo più. Se sul chi pensava che il popolo fosse di centro, ti riferisci al PD, concordo in pieno con te. Il PD è stata la più grande delusione della mia vita di elettore. M’illudo sperando che unendo la massa si possa risolvere qualcosa. Io non vedo un fronte compatto, vedo gruppi più o meno grandi lottare – spesso inutilmente – contro un sistema che ormai rasenta la follia. Quando dicevo popolo intendevo questo: un fronte compatto, unito, consapevole della proprio forza. Sono uscito dal seminato e me ne scuso.
Alcuni dati marginali, ma che qualcosa contano, da aggiungere alla discussione. 1. Il “monologo della pecorella” Vs il “carabiniere buono” dura circa 36 secondi. 36 SECONDI ritagliati da una sequenza che ha PRIMA il compagno No Tav che esce dal lavoro e si beve la pausa pranzo andando a difendere la propria terra (per poi tornare al lavoro, uscire, tornare al presidio e prendere botte da altri carabinieri forse meno buoni), e POI il monologo che si trasforma in dialogo tra i due quasi coetanei. Una sequnza comunicativa che inizia con l’insulto e non finisce lì, ma si evolve verso la discussione – non c’è bisogno di avere un incarico universitario per capirlo – è cosa diversa da un’azione comunicativa che si risolve nel solo insulto. Eppure sono 5 giorni che l’Italia si sta amminchiando su quel “pecorella”, mentre gli organi di stampa mainstream hanno immediatamente decretato un effetto-boomerang, tipico caso di profezia che si autoavvera. 2. A chi si riempie la bocca con la poesia di Pasolini senza averla mai letta (lo scrivo subito dopo da cosa si capisce) farei sommessamente notare che quel carabiniere lì, con 5 anni di servizio (contando anche il servizio di leva) prende cmq 100 euro al mese in più del sottoscritto, che ha 16 anni di insegnamento. E a 45 anni avrà la pensione per mestiere usurante, e potrà rifarsi una vita, magari comperandosi della terra nella sua Sardegna con la buonuscita, essendo nel pieno del vigore fisico: io in pensione ci vado a 72 anni. 3. Chi l’ha davvero letta tutta la poesia di Pasolini (che si intitola “Il PCI ai giovani”) sa non solo che finisce con la parola “Rivoluzione”, ma che Pasolini indica i veri nemici, cioè i nuovi borghesi, da attaccare – i dirigenti del PCI«amanti della litote», e i luoghi da assaltare: le Federazioni del PCI. Nessuno, mi sembra, lo ha ricordato quando i No Tav romani hanno occupato la sede del PD: neanche Bersani. Peraltro, anche quella poesia diventò nota per l’estrapolazione di alcuni versi, e non per il testo integrale, sulla quale tutti, a partire da Occhetto, intervennero: speriamo che il frame-pecorella non duri anch’esso 45 anni.
Rigiro sulla griglia il punto 1), per dargli cottura anche dall’altra parte, il carabiniere. Ci metto due cevapcici anche io.
a) L’eroificazione del comportamento del cc, visto come eccezionale al punto da meritare menzione da madama Cancellieri è il contraltare veramente agghiacciante della cosa. Significa più o meno che il Genova-style in OP è una delle opzioni immediatamente percorribili, è tra il ventaglio delle possibilità. Il solo fatto di non prendere iniziative senza ordini è considerato ammirevole, quando invece è la prima cosa che ti insegnano il primo giorno di leva. “Quando ti dico fermo stai fermo, quando ti dico vai, vai”. Fossi il carabiniere mi incazzerei: “Ma chi pensate che noi siam (per il cappello che portiam?) Abbiamo pollici opponibili e ordini da rispettare.” Una medaglia per star fermo! Poteva accadere solo nell’esercito italiano.
b) L’uso di quel frammento video sostanzialmente amputato/manipolato è imho un punto di non ritorno. Chi ha pilotato l’operazione non è più un giornalista. E’ una specie di giornalista-rocciatore, che insegue i notav sui monti, fin sui tralicci appunto, per ostacolarli, per fargli danno. Ma prima di ogni altra cosa è una merda umana. Mostrare un disprezzo – ben mirato, sulle persone giuste- è veramente il minimo. Ma nessuno li tocchi, che non è vero che pestare merde porti sempre fortuna. E’ come togliere il cilicio alla Binetti, sembra che lo fai per fargli un favore e invece gli fai un danno. Che attraversino incolumi il disprezzo.
b) Madama Cancellieri, questo comò coi cingoli, è una sagoma. La canonizzazione a reti unificate con medaglia alla fermezza (nel senso di fissità) dell’incolpevole carabiniere rappresenta anche una vetta di comicità militare involontaria che, secondo me, arriva vicino al record detenuto dai francesi da 150 anni circa.
Esattamente da quando il generale Mac Mahon (che non era un mostro di perspicacia) decise di passare in rassegna le truppe, dove per la prima volta era inquadrato un (1) soldato di colore. Arrivatogli davanti se ne uscì con quelle che dovevano essere secondo lui parole di circostanza, e invece divennero storia: “Dunque è lei il negro? Bravo, bravo, continui così”.
Solo che allora tutti risero, oggi invece tutti annuiscono ammirati. Ma cosa cazzo mettono negli acquedotti?
@ Franti Cevapcici per cevapcici, aggiungo un altro particolare (dovuto a una discussione con McSylvan, blogger d’annata per chi frequentava rekonminant). Luca Abbà ha due genitori disabili: in altri termini, assiste due genitori disabili. Luca Abbà è in ospedale, e non al pronto soccorso. In quale altro caso non avremmo avuto Porta a Porta, Matrix e altri programm che non mi vengono in mente ma ci sono accampati con la troupe A davanti all’ospedale, con la troupe B davanti alla casa dei genitori di Luca alla ricerca del caso umano? In quale altro caso non avremmo la ragazza del ferito che legge la lettera all’amore suo, con i lacrimoni e tutto il resto? E invece per leggere la lettera della compagna di Luca, senza lacrime né pentimenti, bisogna scavare nel web e arrivare qui. Invece del carabiniere immobile sappiamo tutto: età, radici, stato di famiglia, persino la dichiarazione dei redditi. Gli ha detto culo, uno così sembra fabbricato dagli sceneggiatori di “Tutti pazzi per amore”.
@Wu Ming. Volevo ringraziarvi per aver incoraggiato la mia partecipazione a questa discussione.
Ho letto che cambiano le regole per le Grandi opere: una sostanziale ammissione per le colpe dei precedenti governi, sulla gestione del progetto. C’è molto da cambiare in questo paese. Io ho trovato bello poter leggere le vostre opinioni ed esperienze, ma non sempre è cosi: quello che è insopportabile a parer mio è l’indifferenza dei molti sull’argomento. Come avevo detto io cerco nel mio piccolo di parlare con la gente: ma è difficile trovare persone con un’opinione, una qualsiasi a favore o contro la TAV…
La TAV è in realtà l’emblema dei problemi degli appalti pubblici in Italia. Io mi chiedo: quanti sono i lavori pubblici truccati, quanti giri di mazzette ci sono, quante opere sono effettuate al solo scopo delinquenziale?
Poi mi chiedevo: chi controlla i controllori? La risposta è semplice il popolo, noi tutti ci dobbiamo far carico di controllare questi politici. Come si può cambiare un sistema culturale menefreghista? Io vedo che cattivi politici fanno venire la nausea della politica, e la gente invece di avvicinarsi per dire “ehi ma che fai con i miei soldi?” si allontana… e l’Italia va verso la rovina.
Eppure a me tutto sembra banale e semplice: i politici non sono nient’altro che gli amministratori del nostro più grande condominio. Di un palazzo che sta cadendo a pezzi.
[…] 2.5) che porta lo stesso titolo del racconto Arzestula, l’ultimo della raccolta di racconti Anatra all’arancia meccanica (Einaudi 2011). Wu Ming 1 aveva già avuto una collaborazione musicale con il trio jazz degli […]
[…] 2.5) che porta lo stesso titolo del racconto Arzestula, l’ultimo della raccolta di racconti Anatra all’arancia meccanica (Einaudi 2011). Wu Ming 1 aveva già avuto una collaborazione musicale con il trio jazz degli […]
[…] 2.5) che porta lo stesso titolo del racconto Arzestula, l’ultimo della raccolta di racconti Anatra all’arancia meccanica (Einaudi 2011). Wu Ming 1 aveva già avuto una collaborazione musicale con il trio jazz degli […]
[…] Di nuovo, frotte di ignoranti (e qualche strumentalizzatore cosciente) citano a cazzo Pasolini e la sua poesia su studenti e poliziotti. E’ un riflesso condizionato del chiacchiericcio italiano.[…]
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A sorpresa, oggi è saltata fuori e rimbalza ovunque una poesiola #notav che lasciai come commento qui su Giap nel giugno 2011. Per la precisione, questa:
http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=4575&cpage=1#comment-6533
Dopo la caduta di Luca Abbà dal traliccio e l’escalation al (fantomatico) cantiere della TAV, ci siamo ritrovati senza parole adeguate, e così abbiamo “parlato” con l’immagine qui sopra. Poche ore dopo, qualcuno ha pensato che quei versi scritti su due piedi sette mesi fa potessero avere un senso nel contesto che si è creato.
In effetti, oggi “tintinnano” più di quanto facessero l’estate scorsa. Rimane una poesia mediocre, tutta “di servizio”, ma rileggendola a distanza di tempo, mi sono ritrovato più indulgente.
Non ricordavo la poesia, l’ho riletta e l’ho condivisa.
Oggi a lavoro ho salutato (quasi) tutti dicendo “no tav”.
Sarà stupido, sarà banale, non so. Domani continuerò a farlo e spero che qualcuno mi chieda perché.
La poesiola #notav a me piacque e piace tanto. Si trova anche sul muro della piccola sede di @Sciarada_ l’associazione culturale di cui faccio parte. Il giorno dell’inaugurazione della sede, lo scorso 19 febbraio, ne abbiamo stampate diverse copie e in molti hanno apprezzato e chiesto informazioni su dove provenissero quei versi. Insieme all’ancor più bella “la più Grande Carpa d’Occitania” http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=6972, ripescata pure da @adrianaaaaaa in un suo post http://lapentoladoro.blogspot.com/2012/02/la-rete-lacquario-lampere.html, forma una coppia di improvvisazioni narrative molto diverse tra loro che raccontano con furia ed efficacia l’assurdità del tav e la forza e le ragioni del movimento #notav.
E poi, proprio su #AaAM, c’è Istituzione branco http://www.wumingfoundation.com/suoni/WM1_istituzione-branco_Aix-en-Provence_30_mar_09.mp3 altro esempio virtuoso del genere, probabilmente di un livello poetico ben maggiore dei due casi di cui sopra. Ste righe per spronarti, visto anche che le scrivi di getto e non ci perdi tempo, a non snobbare le tue doti di poeta e di applicarti più che puoi ;). Se poi hai qualche poesiola passata nel cassetto facci sapere! E i tuoi compari? Hanno fatto mai esperiementi di questo tipo?
Proprio ora che WM1 ha mollato lì le traduzioni, volete farlo buttare sui versi? PROSA rulez. :-)
Ho dei sentimenti discordanti dentro me circa la questione TAV. Vorrei un Italia moderna, collegata con il resto d’Europa. Ma il modo di condurre i lavori, il modo di fare le grandi opere in Italia ti fa storcere le budella. Come mi fanno storcere le budella alcune proteste contro le forze dell’ordine, che di sicuro non hanno colpe.
Ho postato cmq su Facebook la poesia con l’immagine dell’anatra con la bandiera NO TAV, un bel messaggio nella giusta direzione, non so a quanto possa servire, ma nel mio piccolo “no tav”…
Non vorrei far partire una digressione OT, però voglio dirti che non poche colpe, e gravi, le hanno anche i vertici delle forze dell’ordine. Non hanno la colpa di aver voluto la TAV, perché quello non dipende da loro, ma hanno – per dirne una – quella di gestire la piazza “alla Genova 2001”. Non a caso certi nomi sono gli stessi di allora, funzionari condannati per gravi abusi ma che continuano ad avere incarichi importanti e a giocare con la vita delle persone.
Aggiungo che siamo un paese dove sono molto frequenti “misteriosi” decessi nelle questure e nelle caserme, durante o subito dopo un interrogatorio, oppure per la strada, durante o subito dopo un “controllo documenti”. Io sono ferrarese, e nella mia città brucia ancora il caso di Federico Aldrovandi. Un caso emblematico, perché di episodi del genere se ne registrano tanti, e non sempre c’è una famiglia che ha la forza e gli strumenti culturali per portare avanti una battaglia come quella dei genitori di Federico.
Aggiungiamoci i casi di “grilletto facile”: davvero si crede che uno come Spaccarotella sia solo un rambetto isolato, e che la sua condotta non c’entri nulla di nulla con una certa cultura diffusa tra le FDO?
Certo, i reparti antisommossa (i “celerini”) non sono nè possono essere l’avversario principale dei movimenti, perchè sono l’ultimo anello della catena. Solo che sono l’anello più visibile, quello col quale il contatto è più diretto, perché operano allo stesso livello dei manifestanti, lo street level. E’ dunque facile “feticizzarli”, soccombere all’effetto-sineddoche: una parte del potere (la polizia) rappresenta la totalità di quest’ultimo. L’esasperazione può portare a immaginarsi la lotta come una “sfida all’OK Corral” con gli sbirri. E’ un errore di prospettiva e di prassi in cui i movimenti incappano spesso.
Tuttavia, quello della gestione dell’ordine pubblico oggi in Italia *è* un problema. Un problema politico e culturale.
a me sconcerta quanto sia ‘socialmente accettabile’ che lo stato trasformi ogni occasione in una prova di forza. per non parlare di quanto venga giustificata la rappresaglia
Nei casi che citi sono perfettamente d’accordo con te. Le mele marce sono presenti nelle forze dell’ordine, e bisogna dirlo senza troppi problemi, e combattetele con fermezza. In alcuni casi però noto che le rabbie (giustificate) di alcuni movimenti vengono ingiustamente scaricate verso le forze dell’ordine… Per evitare ulteriori digressioni :x
“quello della gestione dell’ordine pubblico oggi in Italia *è* un problema. ”
Certamente, ma non è un problema da affrontare mentre stai facendo una lotta per tutt’altri scopi. Porselo come problema nel contesto Notav significa farsi distrarre, farsi portare sul “loro” terreno, farsi carico di un problema che non è il tuo. Si tratta di una miopia tattico-strategica rovinosa che dipende da una carenza di capacità politica. La lamentatio sterile e risentita su quanto è cattivo il potere poliziesco deve essere accantonata, devi invece dare per scontato che il potere: 1) ti batte sul piano militare; 2) sfrutta il fatto che lo Stato ha, per definizione storica e giuridica, il monopolio della violenza e che se ne avvale sul piano pratico e mediatico dichiarando pubblicamente “delinquente” chiunque si avvalga di un gesto violento (o stupidamente provocatorio) al posto suo; 3) porta preferibilmente ogni tipo di lotta davvero seria sul piano militare per potersi avvalere dei punti 1) e 2) e, perciò, ti costringe alla strada e, in questo caso, alla chiusura in valle; 4) divide le forze dell’avversario ed evita che l’avversario possa avere alleati.
Lasciare che la leadership della lotta Notav sia finita, di fatto, nelle mani di una sorta di “ala militarista” ha fatto cadere il movimento in tutti e 4 i guai di cui sopra. Oltretutto, è un’ala militarista scriteriata: se fossimo davvero all’epoca della Resistenza, col cavolo che i comandanti gli lasciavano fare tutte le cazzate che hanno fatto, a partire dall’estate scorsa.
Caracaterina, la faccenda non è esattamente come la poni:
-il problema dell’ordine pubblico nasce nell’istante in cui lo stato decide di imporre militarmente un’opera contro la volontà della popolazione. Quando qualche migliaio di poliziotti, carabinieri, finanzieri, alpini e persino forestali antisommossa calano in valle, il problema c’è, è nostro e in qualche modo dobbiamo farcene carico. Con astuzia certo, ieri e l’altro ieri la sproporzione di forze era enorme, e si è cercato di opporsi con determinazione ma pacificamente, non volevamo di sicuro gli scontri. Non mi sembra un errore tattico in questo momento di lotta occupare un’autostrada e opporsi al suo sgombero.
-la “lamentatio sterile e risentita” si può anche accantonare, ma quando amic* e compagn* si sono presi le botte, quando scappi con i polmoni, la gola e gli occhi in fiamme, quando per l’ennesima volta ti sei sentito in pericolo, prima che a Hobbes pensi alla rabbia che sale dalla pancia.
-la leadership dell’ala militarista è espressione giornalistica con ben poca attinenza con la realtà, non saprei che persone del movimento associare a questa tua definizione.
-lunedì, dopo quello che è successo a Luca, ci sono state proteste in decine di città, questa sera spero succederà di nuovo, mai come in questo momento il movimento no tav non è chiuso in valle.
-in questi mesi sono continuate le iniziative di ogni tipo: serate informative, convegni, volantinaggi buca a buca, momenti di festa, manifestazioni, e un no tav tour che ci ha portati a girare l’Italia per informare sulla nostra lotta. Non abbiamo passato il tempo a ferrare i nostri bastoni.
Abbiamo limiti e problemi, questi sono giorni lunghi e difficili, ma, come si dice qui, esageroma nen.
Oddio, negli ultimi 8 mesi devo essere stato in un universo parallelo. In quello dov’ero io la figura più influente del movimento notav era Alberto Perino, nonviolento Gandhiano già dafgli anni ’70, e l'”ala militarista” (non accetto la tua definizione, la uso per brevità) masticava amaro perchè alla fine doveva sempre essere lei ad essere ‘ragionevole’ e fare quanto proposto dall’ala pacifista. Il 23 ottobre, con Perino che di sua iniziativa va davanti alle telecamere e dichiara “ok siamo arrivati fino qui, è un successo, le reti le taglieremo un’altra volta” è emblematico, ma non è l’unico caso. (intendiamoci, nel merito su quella decisione sto con lui, con la gente che era lì scappare al buio per sentieri non era saggio, ma non mi si dica che comanda l'”ala militarista”) .
Anche ieri, sedersi davanti alle barricate non mi sembra una mossa tipica di un ‘”ala militarista”, portare avanti questo discorso significa essersi ingoiati l’amo gettato dai media mainstream insieme a tutta la lenza.
Mi ha fatto balzare sulla sedia questa espressione che ho letto in un commento di @wfm_83 (non me ne voglia l’utente se lo prendo ad esempio, è comunque un punto di vista molto diffuso): “Le mele marce sono presenti nelle forze dell’ordine”. Siamo sicuri che sia uno schema di interpretazione valido? Studiando i processi su Genova 2001, mi sento di condividere la conclusione di Vittorio Agnoletto: c’è un cesto marcio di mele marce in cui si trova qualche mela sana. Gli “abusi” polizieschi non sono abusi ma sono la norma, l’eccezione, che viene combattuta dall’interno dalla stessa struttura dello Stato, è il poliziotto che decide di opporsi agli abusi.
Dire questo non significa rinunciare ad ogni idea di influenzare la base dei corpi di polizia, né ratificare qualunque provocazione stupida e individualista che possa saltare in mente ad un compagno in manifestazione. Significa capire che se diciamo che bisogna democratizzare la polizia stiamo parlando di un lavoro praticamente clandestino che una manciata di “poliziotti democratici” dovrebbero fare in modo subacqueo circondati da un branco di fascisti. Non è impossibile, ma richiede un livello di influenza dei movimenti sulla società davvero profondo; il primo passo fattibile probabilmente è invece smontare l’autorità degli ufficiali sui loro sottoposti mostrando chiarezza di obiettivi, determinazione, coraggio e – lo dico? lo dico – anche “organizzazione militare”. In particolare il ruolo di movimenti con una base fortemente popolare può essere decisivo, perché sono convinto che anche il più ottuso degli sbirri di fronte per esempio ad un picchetto operaio, fatto di padri e madri di famiglia che difendono il loro posto di lavoro, disposto a resistere fino all’ultimo ad una carica, qualche domanda sugli ordini che ha ricevuto se la porrà.
Altra cosa: la denuncia politica delle violenze poliziesche. La polizia e l’arma dei carabinieri devono sentirsi addosso gli occhi di una parte di opinione pubblica, come è stato fatto nelle mobilitazioni per Aldrovandi, per Cucchi, per Sandri. L’Italia su questo è regredita di molto rispetto agli anni Settanta e rispetto ad altri Paesi, è cosa comune sentir dire “Dovrebbero ammazzarli di manganellate” appena qualcuno fa qualcosa che ci disturba o ci fa perdere cinque minuti per un corteo o un blocco stradale; il moralismo legalitario per cui “se la sarà meritata” impera rispetto a considerazioni di diritti civili in tutti i casi in cui la vittima sia un drogato, un ubriaco, un tifoso o un immigrato. Questo è un lavoro che si può fare subito e che può dare i suoi frutti, perché spesso si tratta solo di rompere una crosta di superficialità data da un senso comune autoritario che non ha sotto niente se non il fatto che tantissima gente non ha mai sentito una voce “contro”.
non me la prendo ;-)
Tutta la faccenda mi incupisce parecchio.
Mi dà un senso di isolamento, di perdita della realtà.
Quasi che sia normale occupare con l’esercito…una valle? Saruman al massimo si era fermato ai bordi di una foresta….
Il carabiniere in tenuta antisommossa davanti ad un civile disarmato ‘eroe’? lacrimogeni nelle stazioni?
E tutto senza altri motivi che interessi di (piccola) bottega. Un’omertà desolante, così diffusa e così penosa appunto.
Fosse in gioco qualcosa almeno, un’Ordine ed una Legalità fittizie, invece sono solo appalti ed interessi mafiosi. Cos’è diventato lo Stato?
Scusate il pianto.
@maurovanetti
“qualche domanda sugli ordini che ha ricevuto se la porrà”. Vorrei essere così ottimista. Dopo aver letto “Le benevole” lo sono molto meno.
(Ma anche dopo aver sentito il *mio* odio montare dentro ancora una volta ieri sera, e dopo la fatica e l’insonnia per ricacciarlo indietro. Se c’è da fare pulizia dei “geneticamente cattivi”, per coerenza devo stare nella lista nera, anche se non ho mai fatto niente a nessuno. “Nessuno è immune…”)
@Ponyf88
la bottega non è piccola: l’indotto delle mafie non è chiaro fin dove arriva, ma temo di non esagerare dicendo che mezza italia ci campa. Sento troppi discorsi “eh, certo, ma mica possiamo fermare tutto”.
@VecioBaeordo
Non lo so, è difficile valutarlo. Quel che è sicuro è che non è con tattiche “gandhiane” che rompi i loro meccanismi mentali. Di fronte agli inermi lo sbirro intruppato si galvanizza, pensa “Quanto sono fessi questi”, non riesce ad identificarsi con un comportamento troppo “strano” e “perdente”. Io sono dell’idea che se esiste una “linea giusta” da tenere è una linea che mostri forza ma forza organizzata. Per intederci, una cosa del tipo “OK, caricateci se volete, ma vi conviene non farlo perché qualche dente lo sputate anche voi”. Devono avere l’impressione che loro stanno attaccando ma tu ti stai difendendo con tutta la forza che hai. Mi sembra anche qualcosa che può suscitare simpatia anche nella parte più combattiva dell’opinione pubblica. Ci hanno un po’ inquinato il cervello con la storia che per vincere bisogna mostrarsi remissivi e mansueti.
Poi lo so che al momento pratico è molto più complesso che uno schema di questo genere…
@maurovanetti
sembrano aspettare solo quello, anzi esagerando vogliono provocare quello. Non si divertono abbastanza a menare gente che non si difende, vogliono che tu alzi le mani perché allora, finalmente, sì che possono “giocare”, allora finalmente il lavoro non è più routine ma diventa sport. Allora finalmente nessuno più potrebbe criticarli per la vigliaccheria di pestare gente che non reagisce: sarebbe molto più legittima (e spettacolare, e televisiva) una bella partita. La gente si squaglia sul divano quando i buoni vincono. Ma senza i cattivi come fanno? Tutta quella fatica di inventarli sui media… Se invece l’avversario accetta la partita, allora è tutto regolare, e tutto diventa valido.
Senza contare il rischio (enorme) di escalation. Se “con tutta la forza che hai” loro escono indenni e i denti li spaccano a te (molto probabile), la volta dopo cosa farai? Starai a casa o ti cercherai un’arma? Storia già vista… :-(
sono convinto che la forza principale gandhiana non fosse il ‘pacifiscmo ad oltranza’ (versione babbonatalizzata) ma il suo “il sale è lì possiamo prenderlo”, ossia un gesto semplice e radicale di rottura.
comunque, sul dente che il carabiniere poò sputare non concordo assolutamente… specialmente perchè, considerando la mentalità purtropp diffusa tra le forze dell’ordine, questo sarebbe poco più che una ‘cicatrice da mostrare con orgoglio… e, tra l’altro, sposterebbe il focus sul piano militare che è un campo perso in partenza.
sul fatto che poi questo possa portare delle simpatie che dire.. . credo che coloro che si avicinerebbero per questo a delle lotte giuste non farebbero che male. il focus e la mobilitazione si sposterebbero sugli scontri e non sull’oggetto della lotta. meglio che gli aspiranti Che superino il tabù e vadano a giocare a paintball
lo sbirro, per quanto pezzo di merda, etc, non è l’obiettivo… è una marionetta che, lasciata agli istinti brutali di branco e rappresaglia) serve a reprimere con la forza il focolaio di dissenso ed a distogliere l’opinione pubblica sulla lotta… e per far questo servono azioni diverse… magari spettacolari ma diverse… roba per cui nessuno possa ritenere socialmente accettabile la repressione fisica.
se il campo di battaglia non ti è favorevole… cambialo
@maurovanetti Non so, io la “forza organizzata” me la ricordo. Mi ricordo di Via Corelli a Milano, quando nell’allora CPT ci entrammo eccome. Poi c’è stata Genova…
@VecioBaeordo
Partiamo dal presupposto che i denti te li rompono anche se fai il pacifista, questo dopo Genova 2001 mi sembra appurato. Il meccanismo della paura o della reazione individuale (comunque la vogliamo chiamare) c’è uguale, tanti pacifisti che hanno subito abusi polizieschi a Genova non sono più scesi in piazza in vita loro.
Non so se te li rompono di più se reagisci o se non reagisci, ad occhio mi sembra la seconda, ma non è il punto decisivo. Purtroppo finché lotti contro un potere soverchiante devi metterti nell’ottica di “prenderle”, più o meno metaforicamente.
A me sembra che proprio la lotta No TAV, che decisamente non è una lotta gandhiana (anche se combina tattiche diverse secondo le occasioni, e questo è giustissimo), dimostri che puoi raccogliere consensi e forza anche attorno ad azioni di autodifesa organizzata che comportino qualche incisivo rotto non solo nelle nostre arcate dentali. Ovviamente l’opinione pubblica si polarizzerà e molti ti daranno contro, ma intanto in Val Susa il movimento regge l’urto e credo che possa vincere.
Ad ogni modo, non vorrei dare l’impressione di avere il culto della violenza di piazza, non ce l’ho affatto e le uniche cose violente che ho fatto sono state contro i fascisti, ma mi chiedo se non sia ora di trarre qualche insegnamento dagli ultimi anni e cercare di superare la sbornia del “Cambiamo tutte le nostre modalità di lotta” (tipica degli anni Novanta e Zero) per riallacciarci alla tradizione dei movimenti di massa novecenteschi. Per dire, oggi a Pavia fanno un corteo dei miganti con tre “flash mob”; posso dirlo? a me ‘sti flash mob hanno rotto il cazzo. :-)
“movimenti di massa novecenteschi. ”
Perchè, Gandhi e Martin Luther King di che secolo sono?
@maurovanetti, già Vecio e figuredisfondo hanno obiettato alle tue affermazioni con concetti che quoto e aggiungo anche che condivido la tua rottura sui flashmob ma, se in Val di Susa il movimento regge l’urto non è perchè qualcuno lancia pietre, anzi, boomerang, ma, piuttosto, perchè qualcuno sa come prenderle, quando non può darle.
Diventi gandhiano nel momento in cui rovesci in uno svantaggio per lo Stato proprio il terreno su cui lo Stato si sente (ed è) in vantaggio: come scrivevo prima, il potere cerca di portare le lotte importanti sul terreno militare perchè lì vince. Ma se lo Stato si trova a militarizzare in maniera evidentemente sproporzionata un terreno su cui non c’è alcun avversario militare, nemmeno scabecio, ma solo società civile che, in maniera consapevole, determinata, – e pure dolorosa e, talvolta, purtroppo, tragica,- resiste, allora e solo allora le probabilità di acquisire consensi per chi protesta aumenta. Bisogna essere assolutamente e indubitabilmente i “buoni” perchè la gente davanti alla tv parteggi per te.
Il problema è che quando il tuo nemico ha un controllo così soverchiante dei media non c’è modo di ‘essere assolutamente e indubitabilmente i “buoni”’
Con questo in tutte le manifestazioni in valle mi sono incazzato con chi tirava sassi, ma perchè erano azioni inutili se non dannose, non perchè pensi che sia sbagliato per principio
@caracaterina
Buona osservazione, forse in certe pensate non c’è niente di nuovo… ma anche Gandhi e MLK sono stati criticati all’interno dei movimenti che hanno guidato proprio per la rigidità su queste tattiche.
Nella sinistra del subcontinente indiano dura da mezzo secolo la polemica della sinistra contro Gandhi, riassumendo al minimo quello che dicono i comunisti indiani o pakistani è che (1) non è vero che la lotta di liberazione nazionale è stata vinta grazie alla nonviolenza; (2) la posizione anche tattica di Gandhi era strumentale ad un progetto politico borghese e nazionalista che è sfociato nel dramma della Partizione India-Pakistan e nel fatto che dopo tutti questi decenni l’India è ancora un Paese dove si muore di fame.
Nella sinistra statunitense c’è una polemica analoga contro la nonviolenza di Martin Luther King; in particolare nel movimento per i diritti dei neri c’è tutta un’ala rivoluzionaria (Black Power, “Negroes with guns” etc.) che mette in discussione l’idea di una liberazione disarmata e mansueta.
Ovviamente, non voglio contrapporre al dogma nonviolento un dogma violento, dipende dalle circostanze, ma dire che a priori ogni tipo di resistenza attivo sia da condannare a me sembra una cosa molto “savianesca” che non ci porta lontano e che, per essere coerenti, dovrebbe spingerci a condannare il movimento No TAV o perlomeno a chiedere – come fa un Vendola – che si spacchi al suo interno tra “buoni” e “cattivi”. Ho scritto “forza organizzata” perché credo sia la sintesi migliore del concetto che, forse un po’ goffamente, sto cercando di esprimere, e non vorrei che si perdesse enfasi sull’aggettivo: “organizzata”, che può anche voler dire essere capaci in una data situazione di trattenerla e “tenerla in serbo” per momenti più propizi. Mi sembra che sia quello che sta facendo il movimento in Val Susa.
Di nuovo, frotte di ignoranti (e qualche strumentalizzatore cosciente) citano a cazzo Pasolini e la sua poesia su studenti e poliziotti. E’ un riflesso condizionato del chiacchiericcio italiano. Nessuno di costoro sa che, prima e dopo quella poesia, Pasolini denunciò sempre la repressione poliziesca. E’ di pochi mesi dopo la sua invettiva contro il comportamento delle forze dell’ordine durante l’occupazione della Mostra del cinema di Venezia. Soprattutto, nessuno dei citatori compulsivi ha letto davvero quella poesia, nessuno ne ha colto l’intento ironico e paradossale, e nessuno conosce quel che Pasolini stesso ne scrisse. Su pasolini.net c’è un dossier a riguardo, che andrebbe usato come arma ogni volta che quel testo (ormai ridotto, come ha detto un noto filosofo, a “infame mantra”) viene usato per intorbidare le acque dell’opinione pubblica e diffamare i movimenti.
Non sono assolutamente daccordo con l’impostazione (anche stilistica) della maggior parte degli ultimi post che parlano di forze dell’ordine. Intanto “i poliziotti sono tutti pezzi di merda” è una generalizzazione volgare ed inaccettabile.
Se poi vogliamo interrogarci sulla “struttura” delle forze dell’ordine, è evidente che una totale e rigida gerarchizzazione (perdippiù non motivata da alcuna quaestione di merito, quale che sia il criterio di valutazione…) è assolutamente inadatta a favorire una non-struttura libera e rizomatica, che per semplicità definisco etica.
Non c’è quindi da stupirsi se una buona parte di queste persone segue un “modello” sopraffattore, violento e maschile senza avere gli strumenti per metterlo in discussione. Ma non è che uno (e neppure il più “insidioso”) dei dispositivi del potere.
Per il resto mi limito a sottolineare che la base di tali strutture arborescenti/gerarchizzate è la dicotomia (per chi le conosce meglio di me è un’algebra di Boole), la possibilità di avere solo due variabili: 0-1, vero-falso, buono-cattivo. Credo in oltre che in queste strutture sia implicita la logica (negata e rimossa) di identificazione con il nemico, e quella dello scontro muro-contro-muro.
Come spesso accade, gli oppressi fanno di tutto per identificarsi con gli oppressori.
Francioso, su, la generalizzazione che denunci non l’ha fatta nessun commentatore. In questa discussione, rileggendola, non trovo nessuna descrizione come quella del tuo virgolettato (“I poliziotti sono tutti pezzi di merda”). Se rileggi il primo commento di Mauro, al contrario, trovi interrogativi su come un movimento popolare possa inserire un cuneo in quei ranghi, pungolare la coscienza dei sottoposti, perturbare la catena di comando.
Ah sì, scusa…«lo sbirro, per quanto pezzo di merda, etc, non è l’obiettivo…», per essere precisi.
Hai ragione riguardo a certi post, infatti ho scritto «la maggior parte».
Eppure non posso non provare un senso di disagio difronte ad una malcelata volontà di scontro…
Credo che quell’inciso – peraltro contenuto in uno dei commenti più “gandhiani” – tu lo abbia completamente frainteso e addirittura rovesciato di senso. Il significato mi sembra fosse: “Ammesso e non concesso che lo sbirro sia un pezzo di merda, in ogni caso non bisogna andare allo scontro.” Tra l’altro, la concessione non era nemmeno estesa a tutti i poliziotti.
“Ammesso e non concesso” l’hai aggiunto tu, la frase è proprio concessiva. Ma non scrivo polemicamente: ho l’impressione che sia un sentimento un po’ troppo condiviso…
Non era un’aggiunta, era una parafrasi. A prescindere da come ciascuno di noi possa pensarla, è una questione di metodo nel discutere. A me pare chiarissimo: quel commento invitava proprio a non assecondare le logiche di scontro che tu invece gli attribuisci. Ma costa così tanto scrivere qualcosa tipo: “Ah, ok, avevo letto in fretta”, “Non avevo capito”, “Sono partito in quarta” etc.?
Le logiche di scontro sono sottintese nella semplice concezione ‘noi vs loro’ che il considerare gli “sbirri” tutti uguali e tutti diversi da noi sottintende. Tra l’altro sono strategie discorsive, come dare un nomignolo spregiativo: “sbirri”.
Come ho scritto più volte temo che sia una concezione condivisa aldilà dello scontro fisico.
Aggiungo un episodio. Ieri sera in assemblea Alberto Perino ha raccontato di essere stato protetto da un carabiniere che gli ha fatto scudo con il corpo dalle manganellate dei colleghi, e abbiamo saputo anche di liti tra chi nelle ffoo voleva spaccare tutte le macchine parcheggiate lungo la strada e chi glielo ha impedito, però credo che a dire che i rapporti di forza sono 10:1 si sia troppo ottimisti, per cui quando te ne trovi davanti un gruppo non agisce secondo la logica dei ‘buoni’. Un conto sono le cose da fare per cercare di avere una polizia più decente in futuro, un altro è come comportarsi quando te li trovi davanti nel presente
Grazie! Che non sia una sorta di “pubblicità inversa” come questa, comunicazione cortocircuitata, il pungolo di cui parliamo?
In ogni caso per non generare polemiche chiudo qui, da parte mia, questa discussione un po’ OT.
:)
@Francioso
la frase che citi è mia ed il senso inteso era proprio quello espresso da wm1.
spero di non risultare scortese ma mi pare che, estrapolando solo quella frase tu abbia fatto un po come quelli che stanno citando pasolini a spoposito.
Io non mi offendo, perché non sono in malafede.
Mi piacerebbe però che non ci nascondessimo dietro un dito. Tu sei certo che considerare lo “sbirro” un “pezzo di merda” non sia abbastanza accettato e condiviso negli ambienti di opposizione? E da te?
che sia una convinzione diffusa non lo nego. ma ammetterai che la storia ci insegna che molto spesso non ci si è potuti fidare delle fdo. non mi riferisco solo a genova, napoli, etc. sin troppo spesso le fdo hanno seguito una ragion di stato che era in palese contrasto con la costituzione e/o si sono lasciati andare ad una logica di rappresaglia che è assolutamente inaccettabile. ma mi fermo qui perchè sarebbe un OT alla n.
che sia una convinzione onnipresente ed mi pare un’iperbole.
per quanto riguarda la mia concezione no, non lo credo assolutamente. di pezzi di merda ce ne sono ovunque, anche nei movimenti… ma mi concederai che ‘il poter giocare con le armi’ richiama un bel numero di fanatici che hanno una percezione del se come di “ultimo baluardo della civiltà” (generata da media di intrattenimento, etc) e che questa consegni una sorta di lasciapassare psicologico per commettere quelli che reputano, a torto, piccoli abusi.
il mio problema principale sta nel fatto che per “difendere l’onore del corpo” (e non solo) queste azioni vengono insabbiate e che in quello delle fdo, come e più che in altri contesti, venga spesso a galla la mentalità del branco. con tutto ciò che ne consegue
Capisco quello che dici e probabilmente hai “statisticamente” ragione (io ne faccio una questione di struttura, come ho scritto sopra, più che il “richiamo delle armi”).
Sai che però, se dovessi individuare uno “zoccolo duro”, una componente statisticamente prioritaria nelle fdo, in base alla mia esperienza personale (anche in quanto figlio di pugliesi emigrati al nord) non mi verrebber o in mente i violenti, ma i meridionali che si arruolano o entrano in polizia soprattutto perché è una delle loro poche possibilità di lavoro? Lo dico senza alcun intento polemico o ideologico.
Mi chiedo se, infondo, non siano proprio i soggetti più deboli i primi a cedere alle lusinghe del potere…
Gli abusi polizieschi non sono abusi ma sono la norma (maurovanetti), la conferma si ha quando un carabiniere provocato viene insignito di pubblico encomio per non aver reagito. Dal che si deduce che ha fatto qualcosa di straordinario (cioè:qualunque altro carabiniere avrebbe reagito,tu che non l’hai fatto meriti un premio)
Appuntato sei pagato per non perdere la testa,diceva una canzone sul G8
Tempo fa (forse nel thread del 15 ottobre) su questo blog sono comparsi due (mi pare) interventi di un nickname che diceva di essere una poliziotta. Quella volta avrei voluto rispondere, raccogliere quello che poteva anche essere un segnale. Non l’ho fatto subito, forse timidamente aspettando che lo facesse qualcuno “più adatto”, più esperto in queste cose. Poi nella concitazione il discorso ha preso altre strade.
Adesso mi chiedo se quella volta ho sbagliato a non rispondere.
Adesso, perché si parla di democratizzare, di “influenzare la base dei corpi di polizia”.
Adesso, perché il racconto di Perino citato da @RobertoG mi fa chiedere se il carabiniere che l’ha protetto abbia eventualmente pagato poi in caserma il suo gesto. Sono vecchio e ho fatto il militare, posso immaginare un po’ di cose…
Allo stesso modo mi chiedo, ammesso che il nickname fosse chi diceva di essere, che vita può fare un essere umano (la poliziotta) in una situazione del genere.
Certo, siamo liberi di rispondere che non sono cazzi nostri, che potevano pensarci prima invece di arruolarsi. E per metà è vero. Ma se lo fosse anche per la seconda metà, allora lasciamo perdere qualsiasi discorso di democratizzare e influenzare.
Scusate l’OT.
Quoto e chiudo.
Ripropongo qui i due commenti di lineadombre (“Gioc”), l’agente di polizia intervenuta su Giap nel dibattito sul 15 ottobre:
—-
So che vi faccio schifo, per il solo fatto di esistere.
sono un poliziotto.
vedo ciò che accade e mi sento spaccata: metà di qua, metà di là.
è vero, ho scelto un mestiere di merda.
è stata una scelta.
una volta, tanto tanto tempo fa, pensavo che ci volesse più coraggio a tentare di cambiare le cose dall’interno.
poi ho compreso che, se non facevo attenzione, sarebbero state le cose a cambiare me.
ma questi sono miei problemi.
quello che volevo dire è che così non va, non risolverete nulla, non cambierete nulla.
vi stanno aspettando, sanno già cosa accadrà e quando e come, prevedono ogni mossa, anzi l’anticipano.
bisogna inventarsi qualcosa di totalmente nuovo, imprevedibile, mai visto.
bisogna che convinciate i miei colleghi che è più conveniente per loro stare dalla vostra parte,
non è difficile, i tempi sono quasi maturi.
usate la fantasia, invece che le molotov.
un saluto e perdonate l’intrusione.
uno sbirro di merda
gioc
***
“[i]Il mio problema non sono i violenti. Sig. Tremonti potrebbe restituirmi i 50 euro che mi ha tolto dal mio lauto salario, con il blocco degli avanzamenti, prima di scendere per strada a farmi delapidare? Grazie :-)))[/i]”
da qui
http://www.poliziotti.it/public/polsmf/index.php?topic=15822.150
interessanti consonanze, c.v.d
scusate la nuova intromissione, ma stanotte ho fatto un sogno e lo voglio condividere.
ho sognato Luther Blisset, si perchè, all’epoca, mi ero perdutamente innamorata di Luther, era meraviglioso, geniale, straordinario.
stanotte nel sogno mi ha detto: “che scemi, non imparano mai! è questione di logica, non di morale. io gliel’avevo scritto come si fa. non si spaccano i bancomat e le vetrine delle banche, quelli ci ridono sopra e li riparano.
tanto tempo fa si usavano le lettere di credito, ora sono soltanto byte.
noi ci provammo, tanto tempo fa, avevamo già individuato il punto debole, sapevamo come farli piangere, dopo tanta violenza non volevamo più neppure torcere un capello.
allora ci andò male.
adesso è ancora più facile, sono soltanto byte.”
minx che sogno stupendo!
Guardate che anche Gandhi e Martin Luther King distinguevano caso per caso, a volte furono per l’autodifesa armata. Anni fa avevamo proposto, su Giap newsletter, alcune citazioni:
http://www.wumingfoundation.com/italiano/Giap/giap4_Va.html#nonviolenza
Insomma, “storicizzare sempre” e “storicizzare al massimo”. Soprattutto, non accontentarsi delle rappresentazioni idealizzate di un personaggio, del suo percorso, del suo pensiero.
Un elemento che vorrai portare nella discussione, che è stato sollevato in un’assemblea pubblica e che mi sembra davvero interessante, riguarda i cambiamenti che sono avvenuti nel reclutamento della polizia. Come si fa ad entrare in polizia? Lo spiega qualcuno nel forum poliziotti.it: http://www.poliziotti.it/public/polsmf/index.php?topic=3551.0
In sostanza, chi finisce a fare il poliziotto sono figli di poliziotti oppure soldati. I concorsi pubblici aperti ai civili, dicono nel forum, sono una modalità ormai “inesistente”. Questa gente applica in Val Susa, ma anche nella gestione di normali situazioni di piazza, una logica militare; i cittadini sono il nemico.
C’è quindi un collegamento tra le tendenze fasciste nella polizia e la professionalizzazione dell’esercito e l’impegno italiano in diverse avventure imperialiste all’estero. Uno dei modi per democratizzare la polizia è lottare contro le missioni militari all’estero e – sarò impopolare – per il ripristino del servizio di leva obbligatorio (possibilmente breve e con diritti democratici per le reclute).
Non mi pare proprio che quando c’era il servizio di leva obbligatorio non si facessero missioni militari all’estero (Libano ’82, Somalia ’93, Balcani, etc.). Ho l’impressione che la tendenza alla professionalizzazione dell’esercito e alla militarizzazione delle forze dell’ordine nasca a prescindere dalla leva e abbia ragioni culturali, politiche e sociali profonde. Cosa poi significhi “diritti democratici per le reclute” in un esercito – per di più non un esercito rivoluzionario – non saprei proprio.
La mia esperienza personale è totalmente in disaccordo con quanto dici riguardo il reclutamento.
@WM4
Sì, non intendevo dire che la professionalizzazione ha inaugurato le missioni all’estero, ma sicuramente è stata strumentale nel facilitarle. D’altronde anche i casi precedenti al 2000 potrei sbagliarmi ma mi sembra che si basassero sui corpi professionali e non su militari di leva. Le ragioni dell’abolizione della naja possono essere molte ma non riesco a considerarla una conquista, ed è coincisa come tempi con la costruzione di una portaerei, con l’acquisto di nuovi armamenti, con tutta una proiezione maggiore verso l’esterno dell’imperialismo italiano. Sospetto addirittura che il tentativo di reintrodurre il nucleare in Italia avesse un retropensiero bellico.
Per “diritti democratici delle reclute” intendo quelle cose che rivendicavano i “Proletari in Divisa” organizzati da Lotta Continua: l’abolizione di pratiche degradanti e il diritto di organizzarsi politicamente e sindacalmente, di fare informazione ed eventualmente protestare su cosa succede nelle caserme ecc.
Comunque non penso che sia una battaglia sensata in questo momento, sarebbe talmente impopolare che non partirebbe mai. Ci tocca tenerci l’esercito professionale con tutte le sue conseguenze, era più una provocazione per dire che abbiamo fatto un passo indietro nella possibilità di mettere sassolini nell’ingranaggio.
@Francioso
Sul reclutamento basterebbe trovare dei dati, io mi limito a riportare quel che ho sentito e la voce stessa dei poliziotti sul loro forum (se cerchi in altri thread quel che dicono è sempre quello). Ad ogni modo sarà un caso ma anche la “pecorella” ha fatto lo stesso percorso (nei Carabinieri però).
@maurovanetti
Libano ’82 sicuramente di leva, con notevole paga extra per la trasferta (non ho mai capito bene se solo volontari, pur essendomi applicato a fondo: ci sono voci discordanti, tutte di prima mano…)
Una cosa che non avevo ancora detto: vista la gravità del momento (le condizioni di Luca Abbà, l’allargamento del cosiddetto “cantiere” della TAV, l’occupazione dell’autostrada, le cariche e i rastrellamenti nei paesi, l’invito a “bloccare tutto” etc.), abbiamo lasciato volentieri che il thread venisse “dirottato”. C’era bisogno di uno spazio particolare dove confrontarsi su NoTav e repressione, e alcune persone lo hanno creato qui. Va bene, e ci fa anche piacere. Del resto, il post stesso era costruito su un accostamento strano, non immediato, quindi aveva un’apertura in quella direzione, o quantomeno un appiglio.
Chiaramente, però, non è una cosa che possa avvenire sempre. Altrimenti si “snatura” il blog.
Io sono per una lotta non armata e non violenta… sempre!
Però, vedete, se voi desiderate prendere una lepre, che le diate la caccia con i cani o col falco, a piedi o a cavallo, resterà sempre una lepre. La libertà, invece, non rimane mai la stessa, cambia a seconda della caccia. E se addestrate dei cani a catturarla per voi, è facile che vi riportino una libertà da cani.
– Machiavelli ha scritto che bisogna guardare il fine, non i mezzi.
– Con gli anni, ho invece imparato che i mezzi cambiano il fine.
Questa frase per me vale da entrambi i versi, sia se è il popolo a lottare per avere la libertà sia se è un esercito a invadere un territorio per avere la libertà…
Avevo detto che tenevo la bocca chiusa, non ci sono riuscito! Sono un po’ lontano dalle idee di questo forum, pardon… cercherò di tenermi fuori, rispetto le vostre idee ma non le condivido! Chiedo venia per il mio intervento potrebbe essere fuori luogo…
Peace & Love
:)
@wfm_83
A me invece sembra interessante e appropriato come commento. Però come sempre si possono dare tante letture diverse (è il bello dei romanzi), forse la tua è un po’ forzata.
Un falco che caccia esercita la sua libertà in un modo violento.
Oppure: i mezzi determinano il fine? Benissimo. E allora cosa ci sarebbe di male nel fatto che come mezzi si scelgano mezzi che comportano organizzazione, determinazione, difesa dei più deboli (servizio d’ordine), unità d’azione, generosità nel mettersi in gioco, rifiuto dei soprusi?
La Resistenza è stata rovinata dal fatto che ci fossero i partigiani? A me sembra che sia piuttosto la marginalizzazione dei partigiani che ha permesso che quella lotta portasse dei frutti indesiderabili.
Insomma, stai dando per scontato che tutti i mezzi siano “brutti” e “corruttivi” tranne quelli di un certo tipo, ma qui non stiamo parlando di “guerre giuste”…
Quindi lo stesso Gandhi aveva torto nel ribadire che – riassumo rozzamente – “quando ci vuole ci vuole”? :-)
E aveva torto chi si oppose con le armi al nazismo? Come suol dirsi: senza quella gente, non saremmo qui a discutere. Bisogna distinguere caso per caso, contesto per contesto, senza farsi imprigionare da un precetto che pretendiamo valido in eterno. La non-violenza è una gran bella cosa ma, come acutamente scrisse Pasolini, “la non-violenza, se è una forma di autocostrizione ideologica, è anch’essa violenza”.
Su Altai: ovviamente, il lettore ha la sua interpretazione di un brano letterario, valida quanto quella che aveva in mente l’autore. A nostro parere, in quel dialogo Ismail dice che la rivoluzione (qualunque rivoluzione) non può essere delegata, e la liberazione non può essere una concessione del potere costituito, non può calare dall’alto come regalo. Mettiamola pure che la democrazia non è “esportabile” dagli USA o dalla NATO, se vogliamo applicare la morale alla storia recente. Addestrare cani obbedienti per “catturare” la libertà non può funzionare. Il progetto di Nasi su Cipro è già pregiudicato in partenza, perché quel regno d’utopia sarebbe un regalo del Sultano, preparato a colpi di intrighi di corte e conquistato dal suo esercito di mercenari. La libertà non si “cattura” né si regala magnanimamente: la libertà si conquista dal basso, con prassi che abbiano già in sè un principio di autogoverno.
E su quest’ultimo punto, in Val di Susa credo abbiano qualcosina da insegnare a noi tutti…
@ wfm83, tu scrivi:
“Sono un po’ lontano dalle idee di questo forum, pardon… cercherò di tenermi fuori, rispetto le vostre idee ma non le condivido!”
Però qui si stanno confrontando, sforzandosi di argomentare e con voglia di capire, persone dalle idee diverse. Proprio sulla questione della non-violenza, sono state espresse posizioni variegate e articolate. Perché prendere le distanze in blocco, se il blocco non c’è? Perché tenersi fuori, se anche dentro c’è chi la pensa in modo molto simile al tuo?
C’è anche una 3^ versione:
– Per giustificare i mezzi, c’è bisogno di creare un fine.
Per la questione esercito/polizia, la giustificazione ricorrente è: “stavo solo eseguendo gli ordini”. Dall’altra parte è:”agisco in nome della causa, della libertà, della rivoluzione etc.”. Gli ordini di chi? In nome di chi? Lacan risponderebbe: del Grande Altro.
L’uso politico del Grande Altro è questione spinosa di questi tempi e in AaAm si mette in scena proprio questa lotta. La rivoluzione ad anatropoli è una rivoluzione del e contro il “significante”. Etichette, designazioni omologanti, grandi e piccoli altri su cui specchiarsi: di questo bisogna aver paura. Da entrambi i lati.
ok l’avete voluto voi…
È un discorso estremamente complesso, esporre le mie idee in modo chiaro è difficile ma ci provo. Che cosa faccio io di concreto di fronte al problema TAV: ne parlo con chi mi è vicino, faccio presente l’assurdità del budget dell’opera palesando le probabili infiltrazioni mafiose e il solito giro di mazzette politico, metto qualcosa su Facebook, cerco di smuovere le coscienze in modo che il tutto non passi inosservato. Che cosa farei se fossi del posto e quindi coinvolto direttamente: non lotterei con la forza, cercherei con maggiore sforzo di smuovere le persone, i mass media, cercherei di cambiare le cose, e ad un amico che scende in prima linea direi “vai lotta con le tue idee, ma per me non è il modo giusto”.
Ci sono dei problemi di fondo che pone la democrazia: il rispetto di quello che viene deciso ma che è contrario a quello che vogliamo; che coloro che prendono le decisioni le prendano realmente per il nostro interesse; chi controlla i controllori. Ed è qui che mi viene in mente Aldous Huxley che dice “La costituzione democratica è un mezzo per impedire che singoli governanti cedano alle tentazioni, oltremodo pericolose, che nascono quando troppo potere si concentra in troppe poche mani” ma allo stesso tempo dice che la democrazia può funzionare solo se il popolo è perfettamente informato ed è attivo nell’esercitare il proprio potere… A quanto pare siamo lontani da una perfetta informazione, quindi non siamo in una democrazia pura (ma va!). Quindi cosa fare? Lottare per una maggiore informazione o lottare nel senso stretto del termine? Non lo so, basta che ognuno nel suo piccolo si muova…
vogliamo dirlo che la nonviolenza è una pratica di guerra? è una pratica di lotta in un conflitto profondo, lungo e complesso. è dura perchè richiede azioni illegali, che sortiscono reazioni militari, a cui rispondere con altre azioni illegali che sortiscono altre reazioni militari. perciò richiede strategia e tattica, quindi anche la capacità di usare armi per autodifesa e anche, eventualmente, per offese che abbiano natura di adescamento (e che quindi non devono essere estemporanee, individuali, stupide e narcisistiche), devi sempre tener conto dell’intera strategia, che è a lungo termine, non devi demordere e devi mantenere nervi saldi e disciplina militare. esattamente come sono stati addestrati a fare coloro che ti fronteggiano. su di loro hai un vantaggio: sai che vuoi arrivare a un obiettivo che è fuori dal loro orizzonte, che loro non possono vedere, possono solo opporti ostacoli tattici e una strategia semplicemente militare. quanto a democratizzarli, aprir loro gli occhi, convertirli, rieducarli o spaccargli il cranio, se non sono pratiche puramente tattiche lascia perdere: non hai da vincere la battaglia con loro, hai da vincere la guerra con chi li manda.
Assolutamente si che lo è!
E come ribadiva Wu Ming1, è anche una ‘forma di violenza’ non fisica: cerca di imporre al ‘nemico’ qualcosa che egli non desidera.
La forza della nonviolenza però credo stia nel fatto che proprio per questa sua natura trasmette a chi la pratica, a chi la osserva dall’esterno e persino in chi la subisce soltanto la forza delle proprie idee.
Si tralascia l’aspetto conflittuale, si mostra che non si segue una logica istintiva di lotta/dominazione/profitto, ma si dice ‘non ce l’ho con voi, ma con ciò che fate di male’. è qualcosa che attira subito simpatie ed apprezzamenti, perchè mostra anzitutto la propria ‘buona fede’, la quale si rafforza proporzionalmente alla condivisione dei principi etici e/o politici che si vuole affermare. E che lascia spazio anche al dialogo (quello vero non quello della Cancellieri).
@Ponyf88
Non ricordo più (perdonatemi) dove ho letto qualcosa, che riassumerò malissimo, riguardo alla violenza come parte costituente della nonviolenza. In primis perché per esercitarsi ha bisogno della violenza dell’avversario, in secundis perché il suo funzionamento si basa sulla “estrazione” della violenza dalla controparte, in questo modo *costringendo* il nemico ad abbassarsi, a umiliarsi, a diventare bestia, se possibile a portarlo a un punto in cui “si fa schifo da solo”. In pratica può essere vista come violenza psicologica.
Possiamo aggiungere che molto spesso la nonviolenza si associa a posizioni molto intransigenti, al limite dogmatiche, e in quanto resistenza a oltranza si presta quasi meglio al muro-contro-muro che alla ricerca di un dialogo. Da questo punto di vista non credo che “si tralasci l’aspetto conflittuale”, ma piuttosto che si cerchi di portarlo al parossismo per farlo implodere.
E nel metodo in sè, in quanto arma, la “buona fede” credo che non c’entri nulla.
Come dite, la non violenza è una pratica che implica grande disciplina, autoconsapevolezza, determinazione, compattezza dei ranghi, sangue freddo, e chi più ne ha più ne metta.
Ricordo che l’estate scorsa vedevo un video in cui la polizia spagnola cercava di sgomberare gli indignados dalla piazza. I poliziotti manganellavano i ragazzi che erano seduti per terra, mazzate sulle gambe e sulla schiena, e quelli restavano fermi senza reagire. Mi sono chiesto quanti avrebbero lo stesso sangue freddo. Quanti non si alzerebbero in piedi per cercare di respingere i colpi. Io non so proprio come reagirei e credo che finché uno non ci si trova in una situazione del genere, difficilmente può dirlo con onestà.
A Genova, il 20 luglio 2001 ero dietro la prima linea di scudi di plexiglas in via Tolemaide quando i carabinieri hanno caricato a freddo il corteo. Alle nostre spalle c’erano migliaia di persone. Impossibile arretrare. Sarebbe stata una tonnara, saremmo rimasti schiacciati gli uni sugli altri, se le prime file non avessero scatenato una sassaiola e respinto i carabinieri. Alla fine il morto ci è scappato per via della guerriglia urbana nata da quella situazione di attacco e contrattacco. Ma credo che se fossimo rimasti saldi e fermi a prenderle, a lasciarci schiacciare dai blindati, il morto poteva scapparci lo stesso. Come diceva già qualcuno qui, la non violenza non significa correre meno rischi.
Il punto è che in Val di Susa non ci sono né Gandhi né i Provisional IRA. C’è gente comune. Qualcuno ha il sangue freddo, qualcun altro molto meno. Del resto lacrimogeni e manganellate mi sembrano comunque distribuiti un po’ a tutti. E la caccia all’uomo non risparmia manco i bar di paese, riclassificati come covi di pericolosissimi facinorosi: http://www.youreporter.it/video_Polizia_sfonda_vetrate_bar_a_caccia_dei_NoTav
Salve a tutt*, è il mio primo post , anche se da molto vi seguo sulla carta e sulla rete.
Oltre che ammirare ed amare i vostri libri, sono sempre piacevolmente sorpreso e stimolato dalle vs parole.
Su giap mi pare che si riesca a dialogare come oggi sembra ormai impossibile fare ancor di più sulla rete con la sua frenesia e “densità”.
E dialogare, come non avviene in nessun “talk” show o programma d’inofrmazione che dir si voglia è proprio ciò che serve oggi non solo ai movimenti,alla democrazia, ma al pianeta stesso.
Si sente proprio in momenti come questi(cm ricordava WM1) l’esigenza di una breccia un luogo dove poter parlare e confrontarsi su eventi in grado di colpire in modo così forte .
Vorrei portare una riflessione:
Il governo “tecnico” dei “professori” è veramente terrorizzato di confrontarsi,dialogare ad un tavolo di questioni “tecniche” , visto che il motivo alla base della protesta e di fatto questo, su un opera che investe la vita non solo di una valle ma dell’italia intera e non, per le sue ripercussioni non solo economiche ma anche ambientali.
Questi “professori” hanno così paura di cosa potrebbe emergere da un confronto razionale su questa opera,un dialogo in cui le varie posizioni/opinioni vengono argomentate e suffragate da elementi chiari,verificabili;
un’opera che qualunque persona razionale ,appunto, leggendo uno degli innumerevoli pareri,libri,studi e articoli che illustrano da ogni possibile punto di vista(da quello ambientale a quelli logistici fino anche ai più elementari aspetti economico-finanziari) riterrebbe quantomeno “discutibile” se non assurda ed inutile.
La paura è così tanta da cercare con ogni mezzo e becero stratagemma(da Bobbio fino ai blitz passando per una qualunque delle favole che i media cercano di propinare ed arrivando alla più dura repressione e violenza) di istigare il movimento allo scontro violento per poter (come avviene di fatto anche oggi sul “mainstream”) screditare le proteste democratiche come guerre di facinorosi e spostare l’attenzione dai motivi della protesta, dalla morte della democrazia, alla cronaca dei lacrimogeni ed alle immagini di lanciatori di pietre.
E come alcuni,evidentemente già esperti suggeriscono, in un escalation violenta chi ci guadagna è chi violento e “militare” lo è già, giocare al loro gioco significa autorizzarli a massacrare la gente.
Mentre invece azioni che fanno risaltare chiaramente la sproporzione tra i mezzi e le MOTIVAZIONI delle parti in campo sono , secondo me, sicuramente molto più efficaci anche nel raccogliere il consenso dell’opniione pubblica lobotomizzata(senza offesa).
Ad esempio i video che giravano stanotte sulla caccia all’uomo a bussoleno hanno un impatto, anche emotivo, molto forte in quanto percepisci proprio la paura lo sconforto di persone comuni quando trovano di fronte a se chi li dovrebbe proteggere che invece li minaccia o li manganella, io personalmente ne sono rimasto scosso,agitato ho percepito(pur non potendo averli vissuti) come un’ombra ,lo spettro dei rastrellamenti , di una paura lontana che ho conosciuto solo sui libri della resistenza.
Scusate ho quasi finito..
Insomma se anch’io, che v’assicuro non ho mai fatto male ad una mosca per davvero, come molti altri, dopo fatti del genere , in momenti del genere, di fronte a qualcosa che non puoi sopportare in silenzio ma che sai di non poter sconfiggere dalle tue mani, ho provato rabbia e ho pensato che chissà cosa avrei scatenato contro le fdo.
Ma poi leggendo e seguendo il dialogo, qui e non solo, ho capito, che al di là delle posizioni/opinioni di ognuno, equalmente degne e legittime, ciò che conta e che la cultura la conoscenza di ciò che ci precede di ciò di cui siamo fatti ;
ci rende qualcosa di più di Homo sapiens, ci rende comunità, collettività in grado di rispondere,resistere e sopravvivere a forze anche immense , sproporzionatamente più grandi , perchè qualcosa di èiù grande della somma di ogni singolo elemento costituisce queste collettività,queste comunità.
Cosi esse si oppongono allo scempio del territorio, alla voracità di una crescita infinita che in natura non esiste e perciò nemmeno nella realtà, alla privazione del bene comune per eccellenza la terra su cui camminiamo e che produce tutto ciò che permette la nostra vita.
So che è un poema e che forse non lo pubblicherete ma vi voglio bene lo stesso.
Grazie.
Ora e sempre NO TAV
lungo ma interessante…
@julesbonnot
“Questi “professori” hanno così paura di cosa potrebbe emergere da un confronto razionale su questa opera”.
Hai detto la parola giusta: paura.
Sono convinto che nessuno, al governo, in regione, in provincia, in comune, e nessuno nei partiti maggiori, abbia il *potere* non solo di fermare l’opera, ma anche solo di sollevare dubbi.
Quando ne parlano tremano. Tutti. Come bambini preoccupati di non sapere la lezione durante un’interrogazione. Sembrano telecomandati, terrorizzati. Di chi sono succubi? Di chi hanno paura? Dài che ci arriviamo…
E adesso facciamo l’ipotesi che sia davvero così. Che il nemico sia più forte dello stato, e *molto* più feroce. Che il governo stia mandando i celerini nel tentativo di chiudere la gente in casa per evitare stragi, senza poterlo spiegare.
(Non occorre che sia un governo “buono” per fare questo: qualsiasi governo lo farebbe, per evitare di cadere. Ricordiamoci le elezioni vinte da Zapatero sull’onda emotiva delle bugie di Aznar dopo gli attentati di Madrid).
Oh, è solo un’ipotesi, un gioco, un esercizio di fantapolitica da bar. Sono solo canzonette.
Ma in un caso del genere che ce ne faremmo della nonviolenza?
In un caso del genere non te ne fai niente nemmeno della violenza, Vecio. A meno che non siamo disposti a diventare la Libia , la Colombia, la Cecenia, Ciudad Juarez. A (dis)piacere.
A me non piace il concetto di strategia, perché è un concetto che puzza di Uno…
Prendo in prestito la distinzione di Michel de Certeau tra strategia e tattica, la seconda delle quali è una sorta di riconversione frammentaria e creativa (e credo assolutamente non violenta) degli strumenti del potere.
Gli “strumenti” del potere sono prima di tutto parole, interpretazione…
io ieri ho passato due ore a guardare video e a spigolare notizie su quel che è successo negli ulltimi giorni in susa e a torino (sono molto lontana), e la mia impressione è che questo ragionamento diffuso su violenza-non violenza – ricalcato dalla piega che ha preso anche questo thread – come spesso per la val di susa non sia per nulla pertinente, e anzi che produca rumore che impedisce di afferrare cosa è successo di nuovo in questi ultimi giorni. se qualcosa di nuovo c’è stato; non ne sono sicura, sto cercado di capire.
non voglio essere fraintesa: per me la scelta fra violenza e non violenza si fa a partire dal contesto e nient’altro, e penso che una buona strategia dovrebbe sempre prevedere entrambe. e anzi, la lotta è per definizione violenta (quale che sia la violenza): altrimenti non è lotta.
forme più sfumate, che implicano solo la lotta violenta, che vi alludono, che ne esprimono le forme ma senza agirle (minacciandole, spostandole, détournandole, capovolgendole carnevalescamente, ecc.), sono possibili e opportune solo quando i rapporti DI FORZA lo permettono: ci sono miriadi di versioni possibili, tutti i codici guerrieri e le arti marziali ci hanno ragionato e hanno definito le loro, antropologicamente questa ‘pratica della violenza’ in combattimento e il suo doppio, la sua ‘rappresentazione’ usate insieme tatticamente nel combattimento stesso sono un datto di fatto puro e semplice, una cosa che facciamo da sempre, e che è nata insieme al linguaggio simbolico (anzi, si puo’ argomentare che l’ha creato).
quindi insomma, a me tutte ste menate sui ‘violenti’ cattivi mi fanno solo ridere, o mi scaldano la pancia e le mani ;)
per fare l’esempio di uno dei casi più ridicoli e peggiori, tratto dalla mia spigolatura di ieri: perino accusato di violenza da repubblica per aver gridato ‘siete delle merde, degli sciacalli’ a dei bastardi che volevano mangiarsi la caduta di luca dal traliccio per segnare i punti buoni-cattivi=violenti=nonviolenti, il giochino segnapunti che appassiona tutti.
e perino rispondeva, come spesso fanno i valsusini: ma allora se tiriamo i sassi per difenderci siamo cattivi, e anche se saliamo sul traliccio siamo cattivi?’.
perché questo è il punto ovviamente (e su questo siamo d’accordo tutti, almeno qui): si’, in tutti i casi sono (siamo) cattivi. e che siamo cattivi è buon segno, ovviamente.
ma allora, cos’hanno in mente perino e i valsusini, e tutti quelli che vedono nei no tav, in particolare valsusini, un dato nuovo negli schemi di lotta, cos’hanno in mente tutti quando pongono la domanda retorica: ‘ma allora siamo sempre cattivi?’ ? cosa chiedono retoricamente allo stato da una parte, ai poliziotti dall’altra, e poi a ‘noi’ che li appoggiamo, più o meno attivamente? qual è l’immagine positiva che sta dietro la domanda retorica, e che il giochetto violenza-non violenza copre?
io non lo so ovviamente, è questo che sto cercando di capire.
e poi un’altra cosa: il traliccio. non mi esce dalla testa.
ieri ho cominciato a guardare video per questo. l’ho visto, poi ne ho visti altri. un po’ si sono confusi coi piloni per i fili tav nella veste grafica del doc “fratelli di tav” (che non avevo ancora mai visto e che mi ha dato i brividi: non so giudicare quanto quel che espone sia fondato, ma in ogni caso il quadro che fa: tav=mafia, nel senso più apocalittico possibile, a me suona plausibile; http://vimeo.com/26226413 ). poi i piloni di nuovo, in quest’immagine su giap.
io sui tralicci ci sono salita a volte, ma non cosi’ in alto e non per piantare bandiere; l’ho fatto per trespassing, franchissement, esplorazione urbana, gioco col territorio (pratica che pero’ in qualche modo è un “reclaiming” dello spazio urbano, quindi una specie di bandiera: forse la bandiera immaginaria del nemico che coi tuoi gesti acrobatici o teatrali simbolicamente strappi dal suolo).
poi ho avuto paura, e coi tralicci ho smesso (continuando con tutto il resto pero’ :) ). dopo ancora, molto tempo dopo e poco tempo fa, sono stata in un museo della tecnologia in cui c’era una specie di museo dell’orrore dell’alta tensione: una massa documentaria divulgativa, dagli albori ad oggi, di quello che l’alta tensione fa a un corpo: le lacerazioni descritte in disegni, manichini, copie di cera, schemi anatomici, proclami pubblici, manualetti per le massaie per i piccoli artigiani e per le scuole. il lato oscuro di quell’altro armamentario immaginifico, quello colle fatine elettriche, che ha accompagnato ‘il progresso’.
non so bene perché racconto queste cose, sono solo assocazioni d’idee e di immagini ovviamente.
forse per via del fatto che l’imago nova, il particolare fulminante che lacera il quadro, in questo caso per me sono state le ruspe e gli operai in azione intorno al corpo, che per alcuni era già cadavere.
e che relazione c’è fra queste e l’azione militare-beserk del poliziotto che insegue la preda sul traliccio? al di là del contesto (militare) ovvio, intendo.
non capisco cosa mi disturba in tutto questo.
come se fosse ‘solo’ un problema gestaltico, un trucchetto di completamento: c’è quasi tutta l’immagine, bisogna solo riunire i punti.
qual è l’immagine?
scusate il lungo lungo commento.
«Dovresti vergognarti di essere immischiato in tutte queste idiozie», disse Sam. «Tu stesso preferivi l’interno di un’osteria alla facciata. Ci andavi a tutte le ore, in servizio e fuori servizio».
«E ci andrei ancora, Sam, se potessi. Ma non essere severo. Che cosa posso fare? Lo sai che sono diventato Guardacontea sette anni fa prima che incominciasse tutta questa storia. Era un modo per girare il paese e vedere gente, e sentire le notizie, e sapere dov’era la buona birra. Ma ora è diverso».
«Ma puoi rinunciarci, smettere di essere un Guardacontea, se non è più un lavoro rispettabile», disse Sam.
«Non è permesso», disse Robin.
«Se sento ancora ripetere non è permesso», disse Sam, «ti assicuro che mi arrabbio».
(Il Signore degli Anelli, libro VI, cap. VIII)
Dopo il grave episodio di Abbà abbiamo avuto il monologo della pecorella, altri scontri, blocchi in diverse città, un crescendo di violenza che fa paura. Ma nessuna discussione seria ed approfondita sul perché dovremmo volere la TAV, solo slogan.
A questo punto, i casi sono due. O la TAV è davvero utile e semplicemente nessuno è riuscito a trovare argomenti validi per spiegarlo alla gente, oppure la macchina burocratica ed economica è inarrestabile, e anche se qualcuno ha pensato che la TAV sia un’idea balzana, non è più possibile fermarla. In ogni caso, lo stato è lontano anni luce dalla gente. Oggi, se lo stato fosse vicino alla gente, solo una cosa dovrebbe fare. Fermare il cantiere.
Dovrebbero poi mandare a casa poliziotti e carabinieri. Aspettare del tempo. Tanto. Rifare i conti, rivedere i progetti, ridiscutere con la gente. Aspettare altro tempo, di nuovo tanto. Se, dopo tutto questo, saremo tutti convinti che la TAV serve ancora, magari, forse, chissà, il cantiere potrà anche riaprire. In quel caso, i valsusini lo guarderanno con la speranza di un radioso futuro di sviluppo e ricchezza, e ci saranno una decina di poliziotti disarmati, giusto per scortare i curiosi qua e là. Andare avanti come si sta andando avanti adesso è folle.
Fa sempre malissimo, @wu ming 4, rievocare il luglio 2001. io sono di Genova.
Ma il tuo ricordo è utile perchè mette in gioco il discorso sul territorio e sulla sua relazione col tema del conflitto e delle sue pratiche.
Genova 2001 è stata la prima esperienza di militarizzazione spinta del territorio in Italia (in Europa, cortina di ferro a parte) dopo la II G.Mondiale. I vecchi, indignatissimi, dicevano anzi che, così, la città, nemmeno al tempo della guerra. Le cancellate e i muri della zona rossa ci avevano espropriato totalmente del nostro territorio, era uno smarrimento letterale e psicologico, non si sapeva più dove andare per andare dove dovevamo andare. E questo già giorni prima dell’inizio dei cortei. Il giovedì, il corteo dei migranti sembrava muoversi liberamente ma già era incanalato dai containers apparsi “magicamente” alla mattina. Il giorno dopo, venerdì, è arrivata via Tolemaide, il primo enorme errore del movimento, forse l’errore più grande.
L’aver accettato quel percorso, in quelle condizioni di militarizzazione del territorio, è stato suicida. Stretti in un corridoietto di strada fra le case da una parte e il muro della ferrovia dall’altra. Presuntuosa l’idea che ci se la potesse cavare con tre gg. di esercitazioni fai-da-te di resistenza passiva. Idiota l’idea che si potesse lasciar circolare liberamente quelli che organizzavano la guerriglia urbana (si sapeva benissimo che ci sarebbero stati, noi indigeni, sugli autobus con cui rientravamo a casa aggirando la zona rossa, il giovedì sera non si parlava d’altro), come se ci “potessero pensare loro” a tener occupate le fdo. Il movimento è caduto in un’imboscata militare preparata accuratamente da settimane e settimane da strutture dello Stato addestrate a fare quello e che, come recita la prima pagina di Sun Tzu, per prima cosa avevano occupato il territorio. Come seconda avevano imbottito di propaganda le fdo e il resto dell’opinione pubblica. E che poi ci hanno tranquillamente e cinicamente stritolato fino all’orrore.
C’era già stata Seattle ma non si era ancora capito niente lo stesso, perchè non c’era ancora stato Ground Zero. Il 2001 è stato l’anno del Grande Trauma.
Ci sono voluti quasi 10 anni perchè il movimento (i movimenti?) ricominciasse/ro a riaversi in Italia e da cosa si è ricominciato? Dal salire in alto: gru, monumenti, tetti. Quella è stata una grande idea, un territorio nuovo, spiazzante. Letteralmente spiazzante. Perchè da noi le piazze degli Indignados non hanno funzionato e, secondo me, perchè sulla strada ha dominato, ancora e sempre, di nuovo, la tattica tradizionale e, dopo Genova, evidentemente perdente (ma quanto ci vuole a imparare le lezioni?), della guerriglia urbana.
Adesso la Val di Susa. Un’esperienza di territorio nel reale senso del termine, proprio nei contenuti. E del tutto nuova sul piano strategico del mantenimento del territorio nella pratica del conflitto. La guerriglia urbana non ha nemmeno senso tentarla, perchè non è un territorio urbano, altro che fronteggiare i poliziotti come se si fosse nei dintorni di uno stadio o a Piazza San Giovanni. Ogni volta che si è caduti in pratiche che la rappresentavano o anche solo la evocavano (compreso il corteo di Torino con le sue stupide e infantili performances graffitare) è stato un autogol in termini pratici e mediatici, si è prestato il fianco agli attacchi impietosi (e perchè dovrebbero essere amichevoli, data la posta in gioco? ) degli avversari. Il territorio della Val di Susa è il teatro di un’esperienza nuova e fondamentale per il terzo millennio – e che non è nemmeno assimilabile, neppure concedendo un si parva licet, alla Resistenza partigiana, pur con tutte le suggestioni dei luoghi. Un’esperienza che richiede pratiche nuove, che la popolazione sta terribilmente sperimentando con una forza meravigliosa e che spero avrà ragione anche dell’insipienza infantile di quella che, un po’ per celia un po’ per rabbia, ho chiamato fra virgolette l'”ala militarista” i cui deboli nervi sono una minaccia. E la forza di questa gente non solo ci re-insegna, a noi urbanizzati alienati, l’importanza del territorio (dell’ambiente, dei beni comuni) ma prima di tutto ci fa lezione di quel di più giustamente ricordato qui sopra da @julesbonnot, l’essere comunità, il senso di appartenenza. Perchè è questo che dà disciplina e resistenza nelle pratiche di lotta.
Scusate la prolissità. Davvero. Buona notte.
Puntualmente ogni volta che nasce un movimento in questo paese siamo costretti a inscenare il rituale gioco delle parti violenza-non violenza. Non che in sè il tema non sia meritevole di riflessione, ma in questi casi l’agenda di discussione è imposta dall’alto e con una notevole dose di malafede. Le retoriche in disa delle forze dell’ordine grondano ipocrisia, come non vederlo? Ma entriamo nel merito. È ovvio che ogni movimento di protesta si muova, sia costretto per definizione a muoversi in una dimensione di illegalità (più o meno marcata a seconda dei contesti storici, un conto è fare un blocco stradale nell’Italia repubblicana, tutto sommato, altro era organizzare uno sciopero in fabbrica nell’Italia fascista). E comunque una percentuale di illegalità c’è sempre nell’atto di contrapporsi alla decisione di un governo “democraticamente” eletto. quale può essere quindi il criterio guida di un movimento? Deve esserci una intelligenza anche nella scelta delle forme di lotta, che sono altrettanto importanti dei contenuti della protesta stessa, a maggior ragione in un tempo in cui tutto è comunicazione. Detto questo è francamente insopportabile l’ondata di sdegno posticcio e finto seguito al famoso monologo della “pecorella”. Ma dico, ci siamo dimenticati delle pecorelle di Bolzaneto? Di Cucchi Aldrovandi ecc. Per non parlare delle citazioni a sproposito di Pasolini e della sua poesia sui poliziotti di Valle Giulia.
Saluti a tutt*
@ caracaterina
Il discorso che fai su Genova 2001 lo condividiamo e la nostra autocritica sulla gestione tattico-strategica di quelle famigerate giornate è stata pubblica.
Suntzuianamente bisognerbbe sempre essere là dove l’avversario non ti aspetta. E l’avversario non si aspettava di incontrare resistenza in Val di Susa. Non si aspettava una comunità così determinata. O per lo meno pensava di poter recludere il discorso nella dicotomia interesse nazionale/N.I.M.B.Y. Ha funzionato poco, perché la Val Susa raccoglie consensi – e soprattutto desta attenzione – in tutta la penisola, non già dicendo “fatela da un’altra parte”, ma perché dice “non fatela, non serve a niente, è solo un gigantesco affare per la mafia e una truffa all’UE”. Cioè dicendo la verità: la TAV è il Ponte di Messina che non ci hanno fatto fare.
A quel punto, governanti e mass media hanno provato a variare il tema, riproponendo la dicotomia novecentesca progresso/conservazione. Il punto è che è un piano discorsivo vecchio, ormai inefficace, perché al progresso come sviluppo infinito e necessario non crede più nessuno (a parte forse Odifreddi, puvràz). Gli argomenti per giustificare l’uso della forza sono sempre più scarsi e rarefatti, e sempre più il rischio per lo stato italiano è che si affermi l’unica vera dicotomia in atto, quella tra ragione e ottusità teotecnocratica che governa il paese. E infatti si stanno preoccupando: Monti, Napolitano, i vecchi ayatollah sviluppisti e P.I.L.isti, indicono tavoli di consultazione, inchieste conoscitive, etc. Cominciano a pensare che il rumore delle manganellate dovrà aumentare, che dovrà scapparci il morto (c’eravamo quasi) e che quegli Hobbit valsusini stanno creando una rogna più dura da grattare di quanto fosse prevedibile. E l’apparato mediatico, il partitone di Repubblica in testa a tutti, decide che sfottere un agente di pubblica sicurezza è un gravissimo attacco alla sua persona, oltreché alla sua divisa, così come insultare i giornalisti che scrivono falsità e menzogne sul conto dei valsusini è un’offesa e un’onta gravissima alla libertà di cronaca. Uno ha preso un cazzotto, accidenti! Roba pesa. Ne faranno derivare a breve che lanciare un sasso è come lanciare una molotov… sperando che qualcuno ci caschi e a quel punto le molotov volino davvero.
Rispetto alla resistenza in atto, e al discorso che facevi sul senso d’appartenenza e sulla comunità, viene in effetti da chiedersi se in una realtà piccola, di montagna, la tenuta collettiva non sia più forte che in una qualsiasi realtà metropolitana di pianura, parcellizzata e compartimentata (tanto per dire, nella mia città, Bologna, gli autoctoni non hanno quasi interscambi con gli studenti fuorisede, che ammontano a circa un quarto della popolazione urbana). Noi “urbanizzati alienati”, come ci chiami, facciamo più fatica. O forse il nostro territorio urbano e le nostre vite vengono violentati più lentamente, goccia a goccia, e siamo più assuefatti proprio perché il territorio non lo viviamo più, lo fruiamo e basta. Non so.
ho cominciato a leggere i commenti e ho pensato: “nooo…ancora a discutere di violenza e non violenza: devo zittirmi, non alimentare il frame non alimentare il frame non alimentare il frame”. Poi la discussione, come spesso in questo luogo, ha preso una sua strada non ottusamente dicotomica e ho pensato che se il problema delle forme di lotta è così sentito forse non è il caso di fare gli schizzinosi, quelli che sanno già, quelli che hanno già visto queste dinamiche. Quindi metto i miei violentissimi due cent.
Molti commenti a sostegno di una lotta radicalmente non-violenta mi sembra si basino su due assunti non dimostrati: 1) chi decide (semplifico eh) di “prenderle e basta” dalla polizia guadagna l’appoggio dell’opinione pubblica 2) Questo appoggio è l’arma più forte che i movimenti hanno a disposizione.
Ora, io penso che l’appoggio dell’opinione pubblica contro la TAV tutto sommato ci sia già: se domani si facesse un referendum, sono abbastanza convinto che la maggioranza degli italiani direbbe di non farla. Ma questo non basta perché, dato che un tale referendum non si farà mai, bisogna costringere l’avversario a rinunciare e per fare questo si è capito che non bastano gli appoggi e le convinzioni (e nemmeno la scienza): bisogna farsi valere sul territorio.
Detto questo, si pone il problema di quali siano le migliori forme di lotta: ma forme di lotta per far ritirare l’avversario e non forme di lotta per avere l’appoggio dell’opinione pubblica; può sembrare che la seconda cosa sia parte della prima ma le manifestazioni del 2002-2003 ci hanno, purtroppo, insegnato che non è così.
p.s.: non prendetemi per una specie di stratega di guerra, sono d’accordo con chi dice che una lotta semplicemente “militare” è perdente su tutta la linea, e per come la vedo io non è nemmeno desiderabile. Però penso anche che in Val di Susa non stiamo assistendo assolutamente a un’escalation militare da parte dei resistenti.
Scusate la lunghezza
Purtroppo non ho avuto ancora il tempo di seguire per bene tutta la discussione, ma riguardo allo stereotipo del poliziotto “pezzo di merda” di cui parlava @Francioso, mi sento di aggiungere una considerazione che qualche mese fa avevo avuto occasione di fare (qui).
«Gli stronzi sono ovunque, in tutte le categorie, ma abbondano ed emergono nelle categorie a cui è garantita l’impunità. Non si tratta di generalizzazioni, ma della constatazione di una verità, e anche di ragionevolezza: è ovvio che se sei stronzo e puoi vantare un potere che altri non hanno, non mancherai di far notare di averlo ogni volta che le circostanze lo rendano possibile, per esempio quando hai un manganello in mano e l’autorizzazione per usarlo. In poche parole, più potere ha uno stronzo, maggiore è la probabilità di abuso di potere.»
Io sono quasi d’accordo con te: anche secondo me la struttura in cui sono inseriti peggiora le cose.
Però io direi parafrasandoti che “più potere ha un ‘ultimo’, maggiore è la probabilità che diventi uno stronzo”.
Personalmente ritengo che facciano più danni, ad esempio, gli insegnanti che le fdo: anche se sono (teoricamente) meno ‘semplici’ hanno molto più potere…
Sugli insegnanti forse ho un po’ esagerato… :)
se non sbaglio ho appena sentito al TG7 la Cancellieri dire che lei ha vissuto gli anni di piombo e che assolutamente non dovranno ripetersi le cose accadute allora. Il problema è tutto qua: chi comanda sembra appartenere ad un universo distante migliaia di anni luce da un movimento che ha principalmente istanze ecologiche (e non parlo solo dell’ecologia ambientale ovviamente). La volontà di ricondurre la contrapposizione nella trama del discorso politico di quaranta anni fa per me rivela la pochissima presa che possono avere questi personaggi sia sulla Val Susa ma anche sul mondo contemporaneo. Lo trovo assolutamente frustrante.
p.s. ovviamente se fossi là, mi incazzerei ancora di più dato che quello che contiuo a dire è filtrato e ridotto entro categorie del passato. Per la serie dietrologie: È questo l’obiettivo reale del ministro dell’interno? Davvero mi sembra che le alternative siano queste due: tecniche di controllo kossighiane o totale distacco dal presente?
personalmente non starei troppo ad analizzare le parole della cancellieri o di chi per lei.non che non contino niente,anzi,ma appunto bisogna sempre cercare di capire a chi sta parlando,e perchè,e magari (?) per conto di chi..se invece è proprio per capire questo allora analizziamole pure.poi sul fatto che la maggior parte della popolazione sia contraria non so..nel senso che proprio non lo so,ieri ho fatto un salto (da osservatore,lo ammetto) in piazza a novara per capire un po’..manifestanti attivi credo una ventina,conto 4 o 5 vigili,3 carabinieri e 2 poliziotti che girano intorno..una ragazza dice a un amico ‘ancora questi?ma che cazzo vogliono ancora?’..non è ovviamente il quadro completo,dico questo solo per aggiungere un (defilato) tassello,per quel poco che vedo lontano dalla valle e lontano dai riflettori
“se la Valsusa è in Italia, e non in Afghanistan”, ecc.
(su “la caduta di luca nel falso cantiere” , riportato in homepage da http://www.notavtorino.org/)
ma la valsusa è in afghanistan, ovviamente (per abduzione: se “tutte le lotte sono la stessa lotta”).
e,”ovviamente”, è per questo che c’è l’esercito.
(wu ming4, ti riferivi per caso a questo colla citazione del sesto libro ecc.? o a tutt’altro? non credo di averne capito il senso, sono lettrice plurima ma amnesica del signore degli anelli)
ma il mio dubbio cresce: qual è il senso logico-retorico delle espresioni valsusine (dove non coincida esattamente colla pura strategia di autodifesa civile, o dove la ripete, con ridondanze di cui mi sforzo di capire il senso, senza riuscirci)?
a chi parlano, per esempio? qual è il soggetto ancora potenziale che le loro parole e azioni costringono all’attualità?
idee?
Scusate, non ho partecipato alla discussione dall’inizio e non vorrei essere banale, ma secondo me non è tanto il discorso sulla “forma di lotta” (semplifico) ad essere importante in Val di Susa oggi, ma il timing e il frammento narrativo che questa protesta sta portando all’attenzione nazionale. è la TAV stessa ad offrire una ricchezza infinita ad una possibile contronarrazione (perchè secondo me è questo il concetto fondamentale, non il fatto che essa attraversi momenti di scontro fisico o meno). Non solo la TAV è un’opera demenziale (non è la prima cosa demenziale, non sarà l’ultima), ma è così apertamente demenziale e viene alla ribalta in un momento storico tale da poter facilmente diventare una perfetta metafora del presente (non sarebbe l’unica, ma è quella che più efficacemente si afferma). La TAV è un parto di qualche oscuro eurocrate, che nessuno conosce, di cui nessuno sa nulla, sedutosi ad un tavolino per vivisezionare l’Europa dicendo “Qui ci facciamo un bel corridoio, qui un altro…”. è un’emanazione di un potere talmente astruso e lontano dal reale da poter essere facilmente esposta per quello che è: una mostruosità burocratico/finanziaria.
Non è certo la prima mostruosità del genere, ma in un clima come quello attuale si presta perfettamente agli scopi di una lotta (la stessa lotta che magari è risultata inefficace in altri contesti o momenti storici). Il ridicolo cui l’autorità locale (e per locale intendo nazionale che tanto fa lo stesso) viene esposta dalla contrapposizione in Val di Susa (sia che tale contrapposizione passi per un momento di scontro fisico o meno) è evidente e a mio modo di vedere efficacissima (al netto degli sforzi di criminalizzazione dei manifestanti da parte dei media).
L’imbarazzo nel giustificare la validità dell’opera supera di gran lunga il normale imbarazzo del potere nel giustificare se stesso e le sue malefatte, tant’è vero che non riesce neanche a partorire la solita retorica vuota sui benefici o lo sviluppo, ormai siamo a: “si deve fare perchè si deve fare”. O “Si deve fare perchè è una cosa europea”. Di più non si dice. Il tutto sarebbe anche esilarante se non fosse che lo si fa sulla pelle e a scapito delle persone. Non vorrei passare per illuso (poi magari lo sono) ma credo che lo stadio grezzo del capitalismo europeo attuale (mi riferisco per esempio a quanto accaduto in Grecia) offra possibilità di contronarrazione incredibilmente efficaci. Il capitale in questo frangente (e non sarà sempre così) fa talmente fatica a giustificare se stesso da non riuscire più a far breccia nelle menti adulanti dei popoli, che solo vogliono essere rassicurate. In questo senso mi sembra che in Val di Susa stiano cogliendo nel segno, e questo mi sembra l’elemento su cui riflettere maggiormente.
é la prima volta che scrivo, non vorrei essere andato OT, nel caso mi scuso.
Molto bello l’intervento di Marco Travaglio sulla questione NoTav di ieri sera a Servizio Pubblico. Merita davvero: http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/03/02/alta-voracita/195078/
Ho visto poco fa l’intervento e condivido il giudizio.
Per rimanere ancorati ai fatti di questo psicodramma surreale mi permetto di segnalare la puntuale ricostruzione di Manuele Bonaccorsi, nell’articolo comparso sul numero 2/2011 di MicroMega dal titolo “il capitalismo cloaca”.
È un po’ datato ma spiega in modo piuttosto chiaro come “il ‘modello TAV’ basato su finanza di progetto e general contractor” sia diventato il modus operandi del sistema industriale italiano post-tangentopoli.
Purtroppo non ho trovato versioni digitali da linkarvi, ma se vi capita fra le mani è da leggere.
P.s. Cari WM, vi leggo molto spesso anche se non intervengo quasi mai, un po’ per mancanza di tempo (leggasi pigrizia) e un po’ per timore di non essere particolarmente originale… Morale: grazie per questo magnifico spazio di discussione che alimentate con intelligenza.
Non riesco a trovare bello l’intervento di Travaglio. Per carità, è stato certamente un intervento sottoscrivibile, ma lascia trapelare una contraddizione molto forte, che è tutta di Travaglio e della sinistra istituzionale italiana (del Pd, ma anche di Vendola e di Di Pietro). Voglio dire che la violenza o la non violenza, il boicottaggio o il sabotaggio possono essere forme di lotta, scelte strategiche, opzioni politiche ponderabili e valide a seconda dei casi, la legalità no. La legalità è un concetto generale, una presa di posizione definitiva e assoluta, una precisa scelta di campo: o si è dentro la legalità o, nel momento in cui si prevede l’illegalità come un’opzione anche solo possibile, se ne è fuori. Non si può difendere Caselli e nello stesso tempo appoggiare la lotta No Tav: c’è una contraddizione insanabile e non basta la strategia difensiva di Eichmann messa in scena ieri da Travaglio per difendere giudici e polizia, e sciogliere l’aporia. È questo che Bersani ha cercato di spiegare a Travaglio nella sua scomposta reazione. Non tanto con la difesa d’ufficio degli affari del partito (sui cui Travaglio, infatti, aveva ancora qualcosa da dire), quanto sulla questione della gestione della piazza (su cui Travaglio ha taciuto). Ho davvero l’impressione che quella che si sta giocando in questo momento sia una partita più grossa di quella che riguarda l’inutile tunnel che interessa ormai solo i comitati d’affari che ci mangeranno sopra. Quella che si sta giocando, all’indomani dell’insediamento del governo Monti, è diventata una partita politica che riguarda la rappresentanza. È questo ciò che Bersani ha rimproverato ieri a Travaglio quando gli ha detto che si sa dove si comincia e non si sa dove si finisce. Gli ha detto che quelli che dall’esterno del Pd pensano di aggredire il partito con la piazza è bene che stiano attenti perché rischiano di bruciarsi. Travaglio, è sempre bene ricordarlo, è un uomo di destra, formato alla scuola di Montanelli (anche lui molto, molto di destra – è bene ricordare anche questo): se si sporca le mani con il Tav, non lo fa senza una ragione.
Certo che è un uomo di destra, e a differenza di molti altri non fa finta di essere di sinistra, il che di per sé è apprezzabile.
A me non piace per diversi motivi ma non si può negare che non sia chiaro ed efficace e che abbia una certa autorevolezza; credo che parte della popolazione che è indifferente se non ostile alla protesta no tav, *se lo dice Travaglio* possano rendersi conto che non si tratta di capricci di quattro montanari che pensano solo ai propri interessi. Non penso che sia un male
Sì, Travaglio ripete ste cose da mesi, doveva cadere uno da un traliccio perché Santoro si decidesse a fargliele dire nel suo programma
Certo Francesca, sono d’accordissimo con te. Dico solo che la posizione di uno come Travaglio aveva altre priorità che non la difesa delle ragioni no tav. Questa mattina ho letto un pezzo interessante di Gherardo Bortolotti sulla questione mediatica che gira intorno alla Val di Susa e che può essere letto anche come interpretazione dell’intervento di Travaglio e di quello che dici tu qui sopra. Si trova qui e, se non sono troppo OT, lo segnalo volentieri: http://www.nazioneindiana.com/2012/03/03/notav-e-lo-spazio-comunicativo-delle-istituzioni/?utm_source=feedburner&utm_medium=feed&utm_campaign=Feed%3A+NazioneIndiana+%28Nazione+Indiana%29
Si può fare una Rivoluzione senza avere tutte le simpatie del popolo?
No.
Non credo esista un monolite chiamato “popolo”, e penso che niente e nessuno possa averne “tutte” le simpatie. Ogni società è differenziata al suo interno, attraversata da tensioni e conflitti, fatta di interessi contrapposti. Chi cerca di essere simpatico a tutti quanti di solito non combina nulla di buono, perché gioca talmente al ribasso da svuotare di senso ogni discorso e ogni prassi (come il PD), oppure ha secondi fini alquanto luridi, come certi neo-ducetti populisti.
Per essere davvero “popolari” bisogna avere il coraggio di una (relativa, temporanea) impopolarità, sfidare le opinioni correnti e telecomandate, puntare ad acuire le contraddizioni esistenti nel corpo sociale, per lacerare i veli dell’ideologia dominante. Si sono fatte le rivoluzioni quando chi ha sparigliato le carte ha conquistato le simpatie di settori della società in grado di mobilitarsi e produrre cambiamento.
Il monolite chiamato popolo, come dici tu, non esiste. Esiste però la massa, che sempre agisce, simpatizza, collabora con – e solo con – chi trova più vicino possibile ai propri bisogni.
I NoTav, al contrario di quel che credi tu, secondo me dovrebbe invece rendersi più popolari. E’ una mia convinzione, magari errata (probabilmente una castroneria), ma finché i NoTav non raggiungeranno anche la Casalinga di Voghera credo che nulla cambierà. In Val di Susa c’è gente che a tutto il mio appoggio e la mia stima (migliori di me, in quanto loro là ed io qua). Vorrei vederli solo un po’ più appetibili alla massa. Intorno a loro c’è tantissima antipatia e secondo me quell’antipatia deve finire.
Ripeto, è l’opinione di una persona lontana dal centro, all’estero. Sbaglierò ma…
Ma dove l’ho scritto che i No Tav non dovrebbero essere popolari? Ho scritto: “per essere davvero popolari bisogna avere il coraggio di una relativa, temporanea impopolarità”.
Un esempio dissennato di ricerca della popolarità indiscriminata è il frame della “corsa al centro”: chi pensava che “il popolo” fosse “di centro” e composto di “moderati”, ha annacquato sempre di più la propria proposta politica, fino a non essere più in grado di parlare a nessuno né di rappresentare nessuno. Attenzione, perché per troppi anni questa semi-mitica casalinga di Voghera è stata strumentalizzata a favore dell’andazzo dominante.
@Andrea C. Prando
Scrivi: “finché i NoTav non raggiungeranno anche la Casalinga di Voghera credo che nulla cambierà”
Ieri a Pavia abbiamo fatto un presidio No TAV, c’era anche una compagna di Voghera, è una mamma ma non so se fa la casalinga…
Ciao,
credo che l’antitesi violenza/nonviolenza sia in realtà un tranello teorico che si scioglie soltanto nelle pratiche. Quanto succede in Val di Susa lo dimostra: tutti insieme, giovani, donne, anziani, si decide come rispondere all’offensiva dello Stato. Può essere un Sit in, una manifestazione di piazza o una barricata. Del resto, come ha detto una volta Mandela, “E’ l’oppressore che impone le armi della guerra in corso”. Questa frase mi ha sempre fatto molto pensare.
Il tranello teorico si trasforma in manipolazione nelle mani dei media: si astraggono i comportamenti delle persone dal contesto reale di tensione e occupazione militare di una valle e si condanna astrattamente la “violenza”.
D’altra parte questo modello di narrazione a due poli che espelle la dialettica per girare in tondo all’infinito in una spirale solipsistica è ovunque: recentemente Saviano lo ha utilizzato per dare una lettura manichea e inutilmente semplicistica del dibattito teorico nel movimento operaio, contrapponendo Turati a Gramsci, riformisti a massimalisti (http://www.ilpost.it/2012/02/28/saviano-turati-riformisti/). E santificare lo stato di cose presente.
Cosa c’entra la Valsusa? Beh, la domanda potrebbe essere questa: chi sono i valsusini, massimalisti o riformisti? Una domanda che nasconde un tranello, alla quale proprio per questo non ha senso rispondere. I valsusini, attualmente, sono quelli che fanno le barricate. Domani faranno la polenta.
Un abbraccione.
@nasosecco
@WuMing
Hai ragione, ho interpretato male il passaggio.
Ma una temporanea impopolarità, in Italia, tende a divenire un’impopolarità permanente.
Sono un disilluso, questo è il problema. Non ci credo più.
Se sul chi pensava che il popolo fosse di centro, ti riferisci al PD, concordo in pieno con te. Il PD è stata la più grande delusione della mia vita di elettore.
M’illudo sperando che unendo la massa si possa risolvere qualcosa. Io non vedo un fronte compatto, vedo gruppi più o meno grandi lottare – spesso inutilmente – contro un sistema che ormai rasenta la follia.
Quando dicevo popolo intendevo questo: un fronte compatto, unito, consapevole della proprio forza.
Sono uscito dal seminato e me ne scuso.
Alcuni dati marginali, ma che qualcosa contano, da aggiungere alla discussione.
1. Il “monologo della pecorella” Vs il “carabiniere buono” dura circa 36 secondi. 36 SECONDI ritagliati da una sequenza che ha PRIMA il compagno No Tav che esce dal lavoro e si beve la pausa pranzo andando a difendere la propria terra (per poi tornare al lavoro, uscire, tornare al presidio e prendere botte da altri carabinieri forse meno buoni), e POI il monologo che si trasforma in dialogo tra i due quasi coetanei. Una sequnza comunicativa che inizia con l’insulto e non finisce lì, ma si evolve verso la discussione – non c’è bisogno di avere un incarico universitario per capirlo – è cosa diversa da un’azione comunicativa che si risolve nel solo insulto. Eppure sono 5 giorni che l’Italia si sta amminchiando su quel “pecorella”, mentre gli organi di stampa mainstream hanno immediatamente decretato un effetto-boomerang, tipico caso di profezia che si autoavvera.
2. A chi si riempie la bocca con la poesia di Pasolini senza averla mai letta (lo scrivo subito dopo da cosa si capisce) farei sommessamente notare che quel carabiniere lì, con 5 anni di servizio (contando anche il servizio di leva) prende cmq 100 euro al mese in più del sottoscritto, che ha 16 anni di insegnamento. E a 45 anni avrà la pensione per mestiere usurante, e potrà rifarsi una vita, magari comperandosi della terra nella sua Sardegna con la buonuscita, essendo nel pieno del vigore fisico: io in pensione ci vado a 72 anni.
3. Chi l’ha davvero letta tutta la poesia di Pasolini (che si intitola “Il PCI ai giovani”) sa non solo che finisce con la parola “Rivoluzione”, ma che Pasolini indica i veri nemici, cioè i nuovi borghesi, da attaccare – i dirigenti del PCI«amanti della litote», e i luoghi da assaltare: le Federazioni del PCI. Nessuno, mi sembra, lo ha ricordato quando i No Tav romani hanno occupato la sede del PD: neanche Bersani. Peraltro, anche quella poesia diventò nota per l’estrapolazione di alcuni versi, e non per il testo integrale, sulla quale tutti, a partire da Occhetto, intervennero: speriamo che il frame-pecorella non duri anch’esso 45 anni.
@girolamo
Veramente ben detto.
Rigiro sulla griglia il punto 1), per dargli cottura anche dall’altra parte, il carabiniere. Ci metto due cevapcici anche io.
a) L’eroificazione del comportamento del cc, visto come eccezionale al punto da meritare menzione da madama Cancellieri è il contraltare veramente agghiacciante della cosa.
Significa più o meno che il Genova-style in OP è una delle opzioni immediatamente percorribili, è tra il ventaglio delle possibilità.
Il solo fatto di non prendere iniziative senza ordini è considerato ammirevole, quando invece è la prima cosa che ti insegnano il primo giorno di leva.
“Quando ti dico fermo stai fermo, quando ti dico vai, vai”.
Fossi il carabiniere mi incazzerei: “Ma chi pensate che noi siam (per il cappello che portiam?) Abbiamo pollici opponibili e ordini da rispettare.”
Una medaglia per star fermo! Poteva accadere solo nell’esercito italiano.
b) L’uso di quel frammento video sostanzialmente amputato/manipolato è imho un punto di non ritorno.
Chi ha pilotato l’operazione non è più un giornalista. E’ una specie di giornalista-rocciatore, che insegue i notav sui monti, fin sui tralicci appunto, per ostacolarli, per fargli danno.
Ma prima di ogni altra cosa è una merda umana. Mostrare un disprezzo – ben mirato, sulle persone giuste- è veramente il minimo. Ma nessuno li tocchi, che non è vero che pestare merde porti sempre fortuna.
E’ come togliere il cilicio alla Binetti, sembra che lo fai per fargli un favore e invece gli fai un danno. Che attraversino incolumi il disprezzo.
b) Madama Cancellieri, questo comò coi cingoli, è una sagoma.
La canonizzazione a reti unificate con medaglia alla fermezza (nel senso di fissità) dell’incolpevole carabiniere rappresenta anche una vetta di comicità militare involontaria che, secondo me, arriva vicino al record detenuto dai francesi da 150 anni circa.
Esattamente da quando il generale Mac Mahon (che non era un mostro di perspicacia) decise di passare in rassegna le truppe, dove per la prima volta era inquadrato un (1) soldato di colore.
Arrivatogli davanti se ne uscì con quelle che dovevano essere secondo lui parole di circostanza, e invece divennero storia:
“Dunque è lei il negro? Bravo, bravo, continui così”.
Solo che allora tutti risero, oggi invece tutti annuiscono ammirati. Ma cosa cazzo mettono negli acquedotti?
@ Franti
Cevapcici per cevapcici, aggiungo un altro particolare (dovuto a una discussione con McSylvan, blogger d’annata per chi frequentava rekonminant). Luca Abbà ha due genitori disabili: in altri termini, assiste due genitori disabili. Luca Abbà è in ospedale, e non al pronto soccorso. In quale altro caso non avremmo avuto Porta a Porta, Matrix e altri programm che non mi vengono in mente ma ci sono accampati con la troupe A davanti all’ospedale, con la troupe B davanti alla casa dei genitori di Luca alla ricerca del caso umano? In quale altro caso non avremmo la ragazza del ferito che legge la lettera all’amore suo, con i lacrimoni e tutto il resto? E invece per leggere la lettera della compagna di Luca, senza lacrime né pentimenti, bisogna scavare nel web e arrivare qui. Invece del carabiniere immobile sappiamo tutto: età, radici, stato di famiglia, persino la dichiarazione dei redditi. Gli ha detto culo, uno così sembra fabbricato dagli sceneggiatori di “Tutti pazzi per amore”.
@Wu Ming. Volevo ringraziarvi per aver incoraggiato la mia partecipazione a questa discussione.
Ho letto che cambiano le regole per le Grandi opere: una sostanziale ammissione per le colpe dei precedenti governi, sulla gestione del progetto. C’è molto da cambiare in questo paese. Io ho trovato bello poter leggere le vostre opinioni ed esperienze, ma non sempre è cosi: quello che è insopportabile a parer mio è l’indifferenza dei molti sull’argomento. Come avevo detto io cerco nel mio piccolo di parlare con la gente: ma è difficile trovare persone con un’opinione, una qualsiasi a favore o contro la TAV…
La TAV è in realtà l’emblema dei problemi degli appalti pubblici in Italia. Io mi chiedo: quanti sono i lavori pubblici truccati, quanti giri di mazzette ci sono, quante opere sono effettuate al solo scopo delinquenziale?
Poi mi chiedevo: chi controlla i controllori? La risposta è semplice il popolo, noi tutti ci dobbiamo far carico di controllare questi politici. Come si può cambiare un sistema culturale menefreghista? Io vedo che cattivi politici fanno venire la nausea della politica, e la gente invece di avvicinarsi per dire “ehi ma che fai con i miei soldi?” si allontana… e l’Italia va verso la rovina.
Eppure a me tutto sembra banale e semplice: i politici non sono nient’altro che gli amministratori del nostro più grande condominio. Di un palazzo che sta cadendo a pezzi.
Posso suggerire, con ritardo, lo splendido articolo di Lorenza Ghinelli su Carmilla con cui mi trovo pienamente d’accordo?
http://www.carmillaonline.com/archives/2012/03/004221.html
Suggerisco anche la più recente risposta (non del tutto convincente, secondo me) di Alessandra Daniele:
http://www.carmillaonline.com/archives/2012/03/004222.html#004222
Non c’è miglior modo, credo, per festeggiare l’8 marzo.
[…] 2.5) che porta lo stesso titolo del racconto Arzestula, l’ultimo della raccolta di racconti Anatra all’arancia meccanica (Einaudi 2011). Wu Ming 1 aveva già avuto una collaborazione musicale con il trio jazz degli […]
[…] 2.5) che porta lo stesso titolo del racconto Arzestula, l’ultimo della raccolta di racconti Anatra all’arancia meccanica (Einaudi 2011). Wu Ming 1 aveva già avuto una collaborazione musicale con il trio jazz degli […]
http://video.corriere.it/i-no-tav-ecco-violenze-poliziotti/e11500b4-782b-11e1-978e-bf07217c4d25
Forse ho sbagliato! Le mele marce sono troppe nella polizia. Devo rivedere un po’ le mie idee.
[…] 2.5) che porta lo stesso titolo del racconto Arzestula, l’ultimo della raccolta di racconti Anatra all’arancia meccanica (Einaudi 2011). Wu Ming 1 aveva già avuto una collaborazione musicale con il trio jazz degli […]
[…] Di nuovo, frotte di ignoranti (e qualche strumentalizzatore cosciente) citano a cazzo Pasolini e la sua poesia su studenti e poliziotti. E’ un riflesso condizionato del chiacchiericcio italiano.[…]