La guerra all’#ISIS, il ruolo del #PKK e la zona autonoma del #Rojava

Kurdistan

Una settimana fa abbiamo diffuso via Twitter, in 30 punti numerati, uno scarno sunto di quel che sta accadendo in Nord Iraq (Kurdistan meridionale) e nella zona autonoma del Rojava (Kurdistan occidentale, in territorio siriano), e cosa colleghi gli eventi delle due zone.

Nemmeno un grammo di quella farina era del nostro sacco. Nulla di originale, sono cose che fuori dall’Italia si dicono ormai ovunque, in reportages, analisi e cronache in tempo reale, ma che i nostri media mainstream tendono a ignorare o sottovalutare.

Non siamo certo esperti o “analisti” di Medio Oriente, siamo persone che leggono, cercano di informarsi. Leggendo dell’ISIS / Stato Islamico e della situazione in Nord Iraq ci siamo accorti di due grandi rimozioni da parte dei commentatori nostrani: il ruolo imprescindibile delle formazioni rivoluzionarie curde e l’esistenza del Rojava.

Solamente in Italia osservazioni tanto basilari e banali potevano risultare “sorprendenti” e avere la circolazione che hanno avuto. Altrove si legge ben di meglio, e stiamo per dimostrarlo. Dopo il momento dell’estrema sintesi, ecco quello dell’approfondimento. Riproponiamo i 30 punti, ri-raggruppandoli per temi e commentandoli, linkando tutte le fonti utilizzate e segnalando gli aggiornamenti.

Prosegue qui. Buona lettura.

N.B. I commenti a questa inchiesta saranno aperti qui sotto tra 72 ore, per dare il tempo di leggere con calma e stimolare risposte meditate e, soprattutto, pertinenti.

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30 commenti su “La guerra all’#ISIS, il ruolo del #PKK e la zona autonoma del #Rojava

  1. […] importantissima l’inchiesta, ma è importante anche il post scriptum. I Wu Ming ripropongono e ampliano i trenta punti diffusi su Twitter a proposito di quanto avviene in Nord […]

  2. Non so se sono pertinente (è la prima volta che scrivo un commento) però leggendo questo resoconto così preciso e ricco di fatti è difficile non fare un commento sul giornalismo italiano.
    Escludendo i commentatori prezzolati che devono orientare l’opinione pubblica (i consumatori?) verso precise prese di posizione che fanno l’interesse dell’establishment (sono sempre i soldi alla fine l’obiettivo), noto nel nostro giornalismo un desolante
    ricorso alla retorica per legare, solleticare l’interlocutore. Ho nostalgia per Foucault e il suo “coraggio della verità”, la ricerca del vero anche mettendo a rischio la relazione con l’interlocutore. C’è una corsa ad essere più realisti del re, più furbi dei furbi che che hanno il potere.
    Sulla psicologia della paura: trovare un nemico, brutto e impresentabile (e quanto lo sono quelli dell’ISIS!) ha sempre funzionato per far accettare le peggiori nefandezze. Inoltre un nemico “esterno” fa sempre comodo, sopratutto a casa propria.
    Ultima cosa: dopo il crollo del muro, l’ultimo tabù, la cosa innominabile e immonda è “l’autodeterminazione delle persone”, (cosa che avviene ci spiegano i Wu Ming in Rojava) è cosa intollerabile e si farà di tutto per spazzarla via, non sia mai che anche noi ci si faccia un pensiero…

    • Lo stato del giornalismo italiano è più grave di quel che appare, perché certe condizioni sono “di sistema”, anche se affiorano solo come lacune o vuoti informativi. Lo scorso anno una free lance, Francesca Borri (una che ha lavorato nei Balcani e in Siria e ha ottenuto dei riconoscimenti per i propri reportage, quindi non l’ultima arrivata) ha scritto un duro pezzo sulle condizioni di lavoro dei free lance, qui (la traduzione italiana qui). Riporto un passo: «la cosa più frustrante, qui, è che scrivi da Roma o scrivi da Aleppo, per loro è uguale. Ti pagano uguale: 70 dollari a pezzo [=circa 50€]. Luoghi in cui ogni cosa costa il triplo, perché poi in guerra si specula su tutto, e per dire, dormire, qui, sotto il tiro dei mortai, un materasso per terra e l’acqua gialla che domani ho di nuovo il tifo, costa 50 dollari a notte, l’auto 250 dollari al giorno. Con il risultato che finisci per massimizzare, non minimizzare, il rischio. Perché non solo non puoi permetterti un’assicurazione, quasi mille dollari al mese, ma più in generale, non puoi permetterti un fixer, cioè un locale che ti curi la logistica, l’organizzazione, non puoi permetterti un interprete». Tolti i giornalisti indipendenti, restano, a parte quelli che lavorano per piccole agenzie di stampa indipendenti (che si ritrovano nelle stesse condizioni quando devono piazzare il pezzo) i giornalisti delle grandi testate, che in genere stanno negli alberghi delle grandi città [caso limite, indicativo: per quasi tutta la recente guerra di Gaza, il TG3 si è collegato con una giornalista che stava a Tel Aviv e citava come fonte la televisione israeliana], o quelli che accettano di essere embedded, come [sempre su Gaza] gli autori dello “scoop” sui tunnel fotografati dall’interno: lavorano al seguito di uno degli eserciti in campo, ne ricevono protezione e occasione di notizie, ma solo all’interno dei limiti costituiti dall’essere interni a una forza in campo [nel caso dei tunnel: quei giornalisti sono avanzati e arretrati sul terreno a seconda dei movimenti dei soldati israeliani, senza muoversi in modo libero e indipendente per Gaza], e con ovvie autocensure sul contenuto. Aggiungi il fatto che l’inviato occasionale di solito non parla la lingua locale – ad es., quanti giornalisti parlano l’arabo?

      • concedetemi una battuta ot riguardo ai problemi sistemici o la poverta` di metodo: durante i mondiali di calcio e la confederation cup l`anno prima in brasile, tutte le testate italiane hanno mandato per strada, in ambienti comunque non cosi` pericolosi per loro come il medio oriente sebbene in riot, non so quanto costosi, al massimo giornalisti che parlavano spagnolo. Non penso che non sapessero che li` si parla il portoghese (se poi parliamo di calcio, il pt brasiliano dovrebbe essere la seconda lingua di ogni giornalista di settore!)..

  3. spero di fare cosa gradita segnalandovi, riguardo al punto 9 che almeno MISNA (http://www.misna.org) ha parlato in due occasioni del PKK e PYD ancor prima che ci fosse l’escalation, in particolare vi segnalo “CONTINUA AFFLUSSO PRUFUGHI NEL KURDISTAN IRACHENO” del 11 aprile e “Siria. Soldati, ribelli, jihadisti…” del 1 marzo
    Daniele

  4. Avrei diversi commenti, che probabilmente metterò insieme e posterò. Questo è giusto per dirvi che Salim Idris non è alla guida dell’ESL da più o meno il febbraio del 2013. L’articolo che avete citato è di quel periodo.

  5. Grazie, Lorenzo, hai ragione. Quel passaggio in fondo è stato scritto in fretta e ne è venuta fuori una confusione di passato e presente. Volevamo scrivere che già precedenti accordi con le YPG stipulati da parte dell’FSA erano stati sconfessati da altre parti dell’FSA. Lo scrivevamo la mattina del 28 agosto, il nuovo accordo era nelle ultime notizie e e ne abbiamo parlato giusto per dire che la situazione era (ed è, viste le ultimissime vittorie YPG) in continua evoluzione. Correggeremo quelle frasi. Ribadiamo, siamo ben lungi dall’essere esperti di Siria o Iraq.

  6. Visto che si ricorda il trattamento vergognoso subito da Ocalan ad opera del governo D’Alema, per completezza ricorderei anche che fu Ramon Mantovani, all’epoca parlamentare di Rifondazione Comunista ad andare fisicamente in Russia a prendere il leader del PKK per portarlo in Italia. Tanto per dire che non proprio tutti tutti erano d’accordo con D’Alema :)
    Per il resto, grazie di questo lavoro

  7. Ciao,
    innanzitutto complimenti e grazie per questo lavoro: puntuale, chiaro ed efficae.

    Mi rendo conto che avete utilizzato molteplici fonti in lingua inglese per crearlo tuttavia mi chiedo se non è il caso di tradurlo direttamente tutto in inglese – sopratutto le vostre puntualizzazioni.

    Secondo me ne varrebbe davvero la pena.

    Detto questo volevo soffermarmi su una vostra considerazione finale che è un po’ il punto su cui mi arrovello in queste settimane quando penso a quanto stanno facendo i compagni/e del PKK.

    Verso la fine scrivete:

    “Ad ogni modo, sembra che la resistenza curda voglia coinvolgere più forze sunnite arabe (e probabilmente non solo quelle), in una versione XXI secolo della strategia cominternista di “fronte popolare contro il fascismo”. Strategia rischiosa, che allargandosi troppo potrebbe portare a una perdita di autonomia. Staremo a vedere.”

    Temete anche voi che una eventuale apertura a forze *altre* o *diverse* possa mettere a repentaglio le conquiste del Rojava?

    C’è effettivamente il rischio di una nuova Spagna ’36 dove si ripresenta il pernicioso e fuorviante AUT AUT “o rivoluzione o guerra “che costringerebbe quindi a sacrificare e mettere da parte le realizzazioni sociali a beneficio di una alleanza più larga e più o meno eterogenea che si concentrerebbe solo sulla guerra?

    • Ciao Paul_o,
      non abbiamo sufficienti elementi per dire con certezza se il rischio esista esattamente in questi termini.

      In generale, direi che quel rischio c’è *sempre*, in ogni situazione di conflitto, anche non di guerra guerreggiata. È il complesso equilibrio tra autonomia e alleanze. L’autonomia conquistata e necessaria può sopravvivere senza alleanze? A quanta autonomia si può rinunciare in nome delle alleanze? Quali alleanze vanno bene e quali no?

      Detto questo, però, noi sul Rojava siamo solo degli “orecchianti”, giriamo la tua domanda a chi ne sa più di noi.

  8. Vi prego di prendere ciò che scrivo come un contributo alla discussione e non come una polemica.

    Vorrei inserire la questione curda, del PKK e delle formazioni “cugine” in Siria in un contesto un po’ più ampio di quello che voi presentate, specialmente in relazione alla vicenda della “collaborazione” o “cooperazione” con altre realtà, armate o meno, in Siria.

    Dal 2011 a oggi il Curdistan siriano non è stato mai preso di mira dal regime di Bashar al-Asad. Nei primi mesi del 2011, quando le proteste contro il regime stavano mutando nella richiesta di caduta del regime, in un contesto ancora pacifico e nonviolento cui la sicurezza siriana reagiva sparando sulle folle, Asad decise di dare la cittadinanza a quei curdi ai quali per decenni non era stata data.

    Promise, anche, una certa autonomia delle province curde.

    Con il precipitare della rivolta in conflitto armato, Asad ha lasciato a se stesse tutte le aree per lui non strategiche, l’est della Siria e con esso il Curdistan siriano. Qui, pur mantenendo diversi presidi militari, ha tenuto le sue truppe nelle caserme e ha lasciato che (buona) parte delle attività amministrative fossero svolte e organizzate dai curdi. La cosa ha prodotto da una parte alcuni importanti esperimenti di autogoverno e dall’altra un generale posizionamento “neutrale” dei curdi nel contesto del conflitto.

    Questa neutralità dei curdi nel conflitto siriano, che per molto tempo è andata di pari passo con una politica filo-Asad (tesa certamente a guadagnare l’autonomia) ha generato la convinzione, nelle file della rivoluzione siriana, che i curdi fossero in definitiva “collaborazionisti”. Dall’altra parte i curdi, in qualche forma riprendendo il mantra del regime, rifiutavano qualsiasi contatto con l’ESL considerata un’organizzazione “dittatoriale”.

    Quello che possiamo definire se volete un “pregiudizio” nei confronti dei curdi da parte dei siriani impegnati nella rivolta armata veniva a consolidarsi nel tempo. Piccola panoramica ben poco esaustiva: nel 2012 ad Aleppo la neutralità dell’area curda della città fermò, probabilmente, l’avanzata dell’ESL nella città. In quell’anno la formazione di gruppi armati curdi era vista come una reazione al possibile attacco dell’ESL alle regioni curde dopo la caduta di Asad. Nel 2013 un leader del PYD disse che secondo lui Asad non era dietro agli attacchi chimici a Damasco (http://mg.co.za/article/2013-08-26-kurdish-pyd-leader-assad-is-not-to-blame). Date anche un’occhiata qui: http://mabisir.wordpress.com/2012/11/26/clashes-between-arabs-and-kurds-in-syria-october-november-2012/, un pezzo del 2012 di Andrea Glioti (che parla curdo ed è stato in Curdistan fino, tipo, a l’altro ieri) nel quale si legge anche:

    Il possibile scontro tra opposizione araba e curda è chiaramente negli interessi del governo siriano, che spera di trascinare il Pkk e la Turchia nel conflitto. Di fatto, l’esercito siriano continua a sconfinare nei Paesi vicini alla ricerca di una via di salvezza nell’internazionalizzazione della crisi.
    Anche l’attentato suicida verificatosi per la prima volta a Qamishli (Kurdistan siriano) il 30 settembre sembra confermare il ruolo siriano nell’alimentare tensioni tra arabi e curdi. “L’intelligence siriana ha orchestrato l’esplosione […] per far credere ai curdi che l’Esercito Libero sia entrato a Qamishli,” rivela il miliziano Dlshad. Damasco è inoltre in grado di sfruttare i suoi legami storici con il Pkk-Pud, fondati sul contenimento della Turchia, per istigare un conflitto arabo-curdo.
    Per quanto riguarda invece la Turchia, tutti i partiti curdi iracheni e siriani avvertono benissimo lo sguardo di Ankara sulle loro mosse, motivo per cui il Pdk di Barzani preferisce negare l’esistenza del suddetto campo militare coogestito con il Pkk. “Esiste solo il campo profughi di Domiz e non abbiamo allestito nessun accampamento militare,” afferma ‘Abdul-Wahhab ‘Ali, portavoce del Pdk a Sulaymanya, “durante la rivoluzione curda del ’61, i combattenti curdi sono arrivati [in Iraq] da Siria e Iran, hanno acquisito ottime competenze militari e si sono stabiliti qui.”
    D’altra parte, l’accordo di Erbil sembra concepito per tenere sotto controllo le fazioni curde ostili ad Ankara come il Pud. “Facciamo in modo che il Pud la pensi come noi e vogliamo che l’Europa ci riconosca il merito di aver tentato di allontanare il Pkk da Siria e Iran,” afferma orgogliosamente Nuri Brimo del Consiglio Nazionale Curdo. Il riferimento non è esplicitamente alla Turchia, ma non si può certo escludere un nesso tra Ankara e un simile proposito di “addomesticamento” del Pkk. Senza dimenticare che la Turchia è stata rassicurata sull’assenza di ambizioni separatiste dal testo stesso dell’accordo.
    Le cose, poi, si sono complicate molto, e non stiamo qui a tracciare tutto il lungo percorso degenerativo che ha portato alla situazione odierna. Qui è importante sottolinearvi che sarebbe bene anche considerare l’aspetto “proxy war” del quale PKK, ESL (e ciò che è diventato ora) etc. etc. sono state, e forse sono ancora, “pedine”.

    L’altra cosa di cui mi premeva parlarvi riguarda l’auto-organizzazione della rivoluzione siriana. Sotto le bombe, nonostante le carneficine gli attivisti siriani per mesi, per anni e in parte tuttora hanno dato vita a importantissime esperienze in questa direzione.

    Vi chiedo di dare un’occhiata a questo pezzo del giugno 2013.

    http://islametro.altervista.org/la-mappa-concettuale-della-siria-civile/

    Cito un pezzettino:

    “Questa mappa contiene la gran parte delle attività e iniziative civili all’interno della sollevazione siriana che siamo in grado di documentare”, scrivono [gli attivisti del Movimento Nonviolento Siriano].
    Non parliamo, dunque, di Consigli Nazionali all’estero, di partiti politici più o meno islamisti, più o meno di sinistra più o meno storici.
    Non parliamo di estremisti violenti, di agenti del caos.
    Parliamo di associazioni e organizzazioni che stanno dentro la Siria e che sono nate e cresciute nonostante l’indifferenza e/o l’ostilità dei più.
    Il complesso dell””attivismo sociale” viene suddiviso in “iniziative civili, comitati della società civile e attivismo nonviolento”.
    Sarà una sorpresa, per alcuni, scoprire che in Siria, oggi, sotto le bombe, ci sono 127 comitati locali e 183 coordinamenti.

    Non vi sfuggirà la differenza che passa fra l’auto-organizzarsi in mezzo a un lago di sangue e l’auto-organizzarsi con (relativa) calma. Ma non è questo il punto, ovviamente.

    C’è anche questa cosa, davvero da leggere:

    Abou Kamel (Omar Aziz)
    Sous le feu des snipers, la révolution de la vie quotidienne
    Programme des « comités locaux de coordination » de Syrie

    è scaricabile qui

    http://www.editionsantisociales.com/pdf/Abou_Kamel.pdf

    Se vi piace posso mandarvi il testo in italiano (tradotto dall’originale arabo con integrazioni sul tema dell’auto-organizzazione che sto cercando di pubblicare in qualche forma).

    Certo, ora è (quasi) tutto macerie e disperazione, ma mi piacerebbe che qualcuno sapesse di ciò che è stato (e di ciò che parzialmente potrebbe ancora essere, nonostante tutto).

    Con tutto l’amore possibile per la causa curda.

    • Grazie del contributo, Lorenzo. Ti espongo cosa non mi è chiaro dopo la tua ricostruzione, e lo metto in forma di quesiti.

      1) Nel quadro di lettura che proponi ci sono solo il regime di Asad, i curdi siriani (il cui autogoverno in Rojava sarebbe poco più di una gentile concessione di Asad) e l’Esercito Siriano Libero.
      E’ completamente assente l’IS.
      Non c’è nemmeno Al-Nusra.
      Potresti reinserire questi attori e dirci quale ruolo interpretano?

      2) Pensi che oggi le YPG, oltre a difendere l’autonomia del Rojava da continui e violentissimi attacchi dell’IS, dovrebbero combattere contro l’esercito di Asad che non la sta minacciando?
      [Chiarisco che noi per il regime di Asad non nutriamo la minima simpatia, e per questo abbiamo polemizzato anche con compagni che invece lo difendono.]

      3) ESL e YPG hanno tentato vari accordi anti-IS, e forse adesso sono riusciti a raggiungerne uno più stabile.
      Significa che oggi l’ESL ritiene la guerra contro l’IS il conflitto prioritario, e questo fa passare in secondo piano i “pregiudizi” pregressi dovuti alla “neutralità” del Rojava verso Asad?

      4) Se – ripeto: se – oggi l’ESL ritiene più importante fare la guerra all’IS insieme alle YPG, questo ci dice o no qualcosa di interessante sulla strategia adottata tre anni fa dal Rojava?

      Provo ad articolare meglio la domanda:

      mentre gli USA appoggiavano – tramite Arabia Saudita e Qatar, e senza dimenticare la Turchia – anche opposizioni anti-Asad qaediste e salafite, forze ultrareazionarie che subito hanno attaccato e continuano ad attaccare i curdi, la scelta curda di astenersi da un “fronte popolare anti-Asad” e difendere la propria zona autonoma (accogliendovi però popolazioni in fuga dalla barbarie) non ha, retrospettivamente, chiari elementi di ragionevolezza e lungimiranza, sia sul piano politico sia su quello militare?

      Tre anni dopo, se guardiamo le forze sul campo, le YPG e le HPG sono l’unico soggetto credibile contro l’IS. IS che è cresciuto e diventato forte anche e soprattutto grazie alla guerra contro Asad.
      Non è che, mentre l’ESL si martoriava e divideva facendo la guerra al regime, per poi doversi difendere dalle altre opposizioni rivelatesi un nemico anche peggiore, le YPG si preparavano a quello che si sta rivelando essere il conflitto primario?

      Sono domande non retoriche ma vere, cerco davvero risposte.

  9. Eccomi.

    1) Sulla “gentile concessione”: è un dato di fatto che i curdi non hanno combattuto per difendersi da Asad. Non ho intenzione con questo di screditare qualcuno o sminuirne l’iniziativa. Brevemente: la Nusra entra in gioco all’inizio del 2012 e per diverso tempo non si affaccia nelle aree di cui parliamo. Con questo primo nuovo attore cambiano le carte in tavola. L’ESL dapprima non ha rapporti, poi si “piega” a “coordinamenti sul campo” vista la maggiore organizzazione della Nusra e il miglior equipaggiamento. La cosa va di pari passo con lo sfaldamento dell’ESL, oggi ridotto al lumicino, e il gonfiarsi di nuove formazioni jihadiste, non legate ad al-Qaida, che – quelle sì, e apertamentamente – ricevono soldi e armi dai paesi del golfo: erano entrati in campo alla luce del sole, nel gioco delle guerre per procura. Poi ad aprile 2013 nasce ISIS e Nusra rifiuta di fondersi con ISIS. Al-Qaida/al-Nusra va da una parte e ISIS da un’altra. Dopo qualche mese iniziano le “sortite” in Iraq di ISIS e poi arriva la conquista di Raqqa in Siria. Di lì il confronto con i curdi che, come giustamente noti, si difendono da chi li attacca,
    Restano le posizioni di partenza, diverse, di ESL e curdi, che – non ne discuto la legittimità – hanno reso difficili e rapporti. L’accordo recente è per me una buona notizia, fatte però le dovute tare, nel senso che ESL adesso ha una forza sul campo molto ridotta.

    2) No, non lo penso, hanno già tanti problemi esterni e interni. Penso che i curdi in Siria stiamo cercando autonomia e non lo trovo di per sé sbagliato, anche se – conoscendo come vanno a finire le cose da quelle parti – temo che per questo spazio di libertà qualcuno alla fine chiederà il conto.

    3) Penso di sì, almeno in quella zona della Siria. Ricordo che ormai la Siria è fatta a fette molto sottili e spesso cambiando area cambiano le dinamiche, anche gli accordi fra gruppi armati. Bisogna però ancora davvero stabilire quale forza reale abbia l’ESL nel suo complesso, ritengo che sia abbastanza scarsa.

    4) Può essere ma, come dicevo prima, bisognerebbe valutare la cosa chilometro per chilometro. Negli ultimi tempi ISIS ha fatto grossi passi avanti nel nord, minacciando di nuovo aree, ad esempio il valico di frontiera di bab al-salam/azaz da cui erano stati scacciati. Si approssima anche ad Aleppo dove le “zone liberate” sono cinte d’assedio. Da quel versante non c’è l’esercito di Asad, e neanche Asad ha intenzione di muoversi verso quella direzione. E’ nell’interesse dell’ESL in quellla zona e delle YPG ricacciare ISIS indietro. Non credo che l’ESL si ponga il problema nei termini in cui se lo pongono i curdi, cioè quello di conquistare e mantenere un’autonomia. Temo invece che la cosa sia solo di tipo militare, che l’ESL stia cercando di sopravvivere.

    Ripeto: il conflitto sul versante “arabo” si è terribilmente sfilacciato e poco ha a che vedere con ciòche era qualche anno fa.

    «Provo ad articolare meglio la domanda:
    mentre gli USA appoggiavano – tramite Arabia Saudita e Qatar, e senza dimenticare la Turchia – anche opposizioni anti-Asad qaediste e salafite, forze ultrareazionarie che subito hanno attaccato e continuano ad attaccare i curdi, la scelta curda di astenersi da un “fronte popolare anti-Asad” e difendere la propria zona autonoma (accogliendovi però popolazioni in fuga dalla barbarie) non ha, retrospettivamente, chiari elementi di ragionevolezza e lungimiranza, sia sul piano politico sia su quello militare?»

    Non intendevo in alcun modo negarlo. Temo una “resa dei conti” finale.

    «Tre anni dopo, se guardiamo le forze sul campo, le YPG e le HPG sono l’unico soggetto credibile contro l’IS. Quest’ultimo è cresciuto e diventato forte anche e soprattutto grazie alla guerra contro Asad.»

    Questo non è esatto. Potremmo dire che è diventato forte “infiltrando” la guerra contro Asad. ISIS ha attaccato Asad solo recentemente. Prima non faceva che prendere possesso con la forza di aree abbandonate dal regime e amministrate dai civili siriani (uccidendoli e torturandoli). In Siria, anzi, l’ISIS ha sparato molto più contro l’ESL e gli altri gruppi jihadisti, compresa la Nusra.

    «Non è che, mentre l’ESL si martoriava e divideva facendo la guerra al regime, per poi doversi difendere dalle altre opposizioni rivelatesi un nemico anche peggiore, le YPG si preparavano a quello che si sta rivelando essere il conflitto primario?»

    Penso che le YPG, come i curdi in generale, stessero guardando al loro tornaconto, e ciò non è in alcun modo condannabile, visti anche i risultati.

    • Dico che l’IS è cresciuto e diventato forte “anche e soprattutto grazie alla guerra contro Asad” (e a come USA e loro alleati hanno agito nel conflitto e, più a lunga gittata retrospettiva, nell’intera area) perché senza quella guerra non sarebbe ciò che è ora. Che stia sparando di più contro le altre forze in campo è abbastanza visibile anche da qui, e – trattandosi della premessa generale all’accordo YPG-ESL – è proprio una delle cose di cui ti chiedevo conferma.

      Per il resto: mi fa piacere che tu confermi la nostra intuizione da assoluti “orecchianti”, e cioè che la strategia dei curdi siriani avesse forti elementi di lungimiranza e raziocinio, e che fare la guerra ad Asad non possa essere la loro priorità.

      Sul fatto che per l’autonomia del Rojava (e delle vittorie del PKK in Iraq) qualcuno prima o poi chiederà il conto, ci si può mettere la mano sul fuoco.

  10. Ultima nota, per fare chiarezza. Sommariamente la storia dell’ESL si divide in due. Nel primo periodo riceveva pochi aiuti sebbene ne chiedesse a gran voce. In questa forma l’ESL, che fra l’altro nell’ultimissima fase si radicalizzava in senso confessionale perché gli unici soldi che arrivavano venivano dal golfo, è stato praticamente fatto evaporare. E’ nato il “più golfo friendly” Fronte islamico, i jihadisti non qaidisti di cui sopra. Nella nuova forma l’ESL riceve armamenti dagli americani (è alla luce del sole, non sto dicendo niente di segreto o cospirativo) ma la sua forza numerica e militare è estremamente ridotta. E’ una sorta di “piede americano” nel conflitto per alcuni aspetti.

  11. Scusate, questo è solo per ricevere gli aggiornamenti e per affermare che in tutto ciò il mio “cuore” non è con l’ESL ma con le decine di migliaia di attivisti che hanno lottato in questi anni con le armi dell’opinione e del lavoro sul campo, quasi sempre nonviolento. E che ora sono morti, o in prigione, o in fuga, o nascosti chissà dove.

  12. Volevo segnalarvi questo brevissimo reportage (si tratta di poco più di 6 minuti) trasmesso martedì sera in seconda serata (credo intorno alle 22) dall’ARD tedesca, primo canale nazionale: come dice il sottotitolo “Report München è riuscito a visitare una guarnigione [perdonatemi gli errori di traduzione] nel Kurdistan siriano. La zona, delle dimensioni del Saarland, è sotto controllo e gestione dei gruppi popolari di difesa curdi, YPG (reportage di: Ahmet Senyurt)”. Alla fine vengono intervistate delle persone che raccontano dell’abbandono dei Peshmerga delle zone, e, trattandosi di tele tedesca, nella traduzione ripetono che la Germania sta sbagliando di grosso fornendo loro armi. Ve l’ho segnalato perché, anche se brevissima e in seconda serata, mi è sembrato interessante. Se fuori luogo o ormai non rilevante, cancellate tranquillamente il mio commento, ho pensato che per email sarebbe stato troppo invadente! http://www.ardmediathek.de/tv/report-M%C3%BCnchen/Das-Bollwerk-aus-kurdischen-K%C3%A4mpferinnen/Das-Erste/Video?documentId=23394434&bcastId=431936

  13. Molto interessante: è sempre più difficile recuperare fatti oggettivamente valutabili dal nostro sistema di informazione. Fortunatamente parte della stampa di altri paesi continua a fare il lavoro per cui è nata, anche se, forse, anche lì con sempre minore convinzione (ma questo è un altro discorso). Ritengo molto opportuno questo intervento perché non appena la questione IS sarà in qualche modo risolta, per la Rojava possano iniziare guai anche peggiori. Perché nonostante gli aiuti agli Yazidi in fuga e le batoste rifilate all’IS, mi sembra che il copione prevede altri vincitori “buoni”, che, va da sé, cercheranno di estirpare o depotenziare vicini troppo scomodi. E su chi ha la patente internazionale di “buono” spesso si chiudono entrambe gli occhi.
    L’IS/ISIS l’ho sempre visto come un esercito di invasione creato appositamente per tre obiettivi:
    1) togliere spazio ad al Quaida o comunque ad altre organizzazioni islamiste radicali ma con uno spessore politico e sociale diverso, attraverso una formazione ancora più estremista e delirante, così selvaggiamente brutale da alienare molte simpatie (ed aiuti finanziari) ai movimenti di cui sopra.
    2) Fare in modo che diversi sciroccati che vivono in occidente si arruolino nell’IS. In altre parole invece di averli in giro per le città occidentali, col rischio che cerchino di fabbricare una bomba al ketchup questi vanno a rinchiudesi volontariamente in uno scatolone di sabbia dove diventa assai più facile eliminarli, senza polizia, processi ecc. E mi pare che sotto questo profilo il tempo sia prossimo a scadere.
    3) Già che ci siamo, non appena ci sarà qualche parvenza di incidente, si bombarderà anche Assad (che non piace neppure a me), in modo che anche lì i “buoni” vincano.
    grazie dello spazio

  14. Il video dell’operazione

    https://www.youtube.com/watch?v=EOIJrL9QnmE&feature=youtu.be

    Qua mi fermo. Buona giornata

  15. Segnalo un’analisi politico-militare dello YPG, qui. Avvertenza importante: IHS Jane’s è un sito di analisi militari ritenuto vicino ai servizi militari statunitensi (non nel senso che ne è un’emanazione, ma che da lì provengono, o proverrebbero, le sue informazioni, sempre molto precise e documentate), quindi ogni singola affermazione va soppesata con cura, sia per quello che dice, sia per quello che non dice. È “interessante” il fatto che se ne parli.

  16. è successa questa cosa alla Camera dei deputati:

    http://www.uikionlus.com/odg-su-rojava-approvato-dalla-camera-dei-deputati/

    [Odg su Rojava approvato dalla Camera dei Deputati]

  17. […] La guerra all’#ISIS, il ruolo del #PKK e la zona autonoma del #Rojava. Inchiesta a cura dei Wu Ming […]

  18. […] informazioni le fornisce baruda). Preziose informazioni base sul Rojava le hanno fornite i Wu MIng. Pagina dell’iniziativa Napoli per […]

  19. in maniera poetica, intelligente, e toccante da par suo, David Riondino sottolinea il ruolo delle donne in questa guerra…http://www.titoloprovvisorio.it/la-ragazza-di-kobane/

    a proposito, questo esperimento di giornalismo messo in poesia e cantato assomiglia ad un UNO? può rientrare nelle metodologie miste che contraddistingono gli oggetti narrativi non identificati (non me ne vogliate, ma da divoratore non professionista di romanzi sono curiosamente attratto da questa novità)

  20. […] contenuto nel commento di Fabio Marcelli, l’ampia rassegna stampa meritoriamente compilata dalla Wu Ming Foundation) – l’intervento americano potrebbe comunque scongiurare ulteriori massacri e quindi realizzare […]