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Eddi, «sorvegliata speciale», resiste per tutte e tutti noi

Eddi. All’ombra di un’emergenza che oscura ogni altra questione e in un momento nel quale l’azione collettiva è concretamente impossibile causa quarantena, una compagna viene definita «socialmente pericolosa» e condannata a subire dure restrizioni della propria libertà, identiche a quelle del confino fascista.
Non c’è da stupirsi: la «sorveglianza speciale» discende per via diretta dal confino fascista.
Le restrizioni imposte a Eddi dureranno ben oltre l’attuale regime di quarantena, e ben dentro gli strascichi dell’attuale situazione. Quel che le sta accadendo deve spingerci a una riflessione più lucida e acuminata su quel che può accadere a noi tutte e tutti, sulle nostre libertà, sulla permanenza nel nostro ordinamento giuridico di strumenti che consentono, nel tempo di uno schiocco di dita, di ledere o annullare libertà fondamentali.
E cosa significa «socialmente pericolosa»? A quale idea di società fa riferimento l’avverbio? Per quale società vogliamo lottare? Per quella di adesso, un arcipelago di solitudini in cui la «sorveglianza» è nel tessuto stesso dei rapporti sociali – e social – e l’atomizzazione impera, o per un’altra, davvero sociale, nella quale si possano esprimere con pienezza forme di vita solidale e felicemente corporea?
Quel che sta accadendo a Eddi deve portarci a una pratica più consapevole e determinata delle nostre libertà, pratica dentro la quale dobbiamo far brillare già ora la società che vogliamo, rifiutando quella che vogliono imporci.
Ecco l’aggiornamento che ha scritto per Giap Davide Grasso. Buona lettura. [WM]

di Davide Grasso *

Alla vigilia dell’anniversario della morte in battaglia di Lorenzo Orsetti, caduto con l’uniforme delle Unità di protezione del popolo curde (Ypg) mentre affrontava gli ultimi miliziani dello Stato islamico, la sezione per le Misure di prevenzione del Tribunale di Torino ha decretato che la sua compagna in quelle battaglie, Maria Edgarda Marcucci, detta Eddi, è «socialmente pericolosa», confinandola alla misura restrittiva della sorveglianza speciale. Si era arruolata nel 2017 nell’esercito gemello delle Ypg di Lorenzo, le Unità di protezione delle donne (Ypj), e si erano trovati alla prima esperienza sullo stesso fronte, ad Afrin, nella provincia di Aleppo, nella proibitiva difesa di un cantone invaso da ventimila miliziani jihadisti sostenuti da terra e dal cielo dalla Turchia. Prosegui la lettura ›

La procura di Torino contro chi ha combattuto l’Isis: le fasi finali

Tavola tratta da Macelli di Zerocalcare, 2019.

di Davide Grasso *

Lunedì 16 dicembre si terrà l’episodio conclusivo di una vicenda surreale che ha costellato la storia dell’ultimo anno. Alcuni ragazzi che sono stati in Siria negli anni della guerra contro il “Califfato” dell’Isis, per sostenere le popolazioni che combattevano i miliziani fondamentalisti responsabili di massacri, decapitazioni, stupri di massa e genocidi, si troveranno alla sbarra al Tribunale di Torino per poi affrontare la decisione dei giudici.

Maria Edgarda Marcucci, Jacopo Bindi e Paolo Pachino hanno fatto parte rispettivamente delle Unità di protezione delle donne (Ypj), del Movimento per la società democratica (Tev Dem) e delle Unità di protezione del popolo (Ypg) nella regione della Siria settentrionale nota come Rojava o Kurdistan siriano, partecipando alla vita civile trasformata dai curdi e dai solidali arabi e siriaci in democrazia radicale, egualitaria, ecologista e femminista, mettendo a rischio la propria vita in scontri cruciali come quello di Tabqa, alle porte di Raqqa, o di Afrin, dove per la prima volta la Turchia attaccò i curdi siriani.

Perché persone che hanno fatto qualcosa di così ammirevole sono trascinate in Tribunale? Cosa ci sarebbe di male in ciò che hanno fatto? Non sono accusati di nessun reato, e questo perché non sarebbe possibile individuare un reato che abbiano commesso. Non hanno sostenuto gruppi classificati come terroristici, e tantomeno hanno portato avanti attività finalizzate al terrore: le hanno anzi combattute, proprio nel momento in cui l’Isis era forte e arrivava a colpire anche l’Europa.

Come possono, allora, trovarsi in questa situazione? Prosegui la lettura ›

Ipocrisie del secolo: la criminalizzazione italiana delle #Ypg. Solidarietà a Luisi Caria

Luisi Caria

di Davide Grasso *

Questo mese di marzo, oltre ad essere il primo anniversario della caduta della città rivoluzionaria siriana di Afrin e il primo mese senza califfato in Siria, sarà il mese della tentata criminalizzazione degli italiani che il califfato, in Siria, lo hanno combattuto. Proprio mentre migliaia di jihadisti e jihadiste dello Stato islamico invocano la possibilità di tornare nei nostri paesi «per ricostruirsi una vita», l’amico Luisi Caria, detto «Luiseddu», un ragazzo sardo della provincia di Nuoro, viene proposto dalla procura di Cagliari per la misura di prevenzione della sorveglianza speciale, già proposta anche per me e per altri quattro torinesi, per essere andato a combattere in Siria contro il sistema di morte e persecuzione che quelle persone avevano messo in piedi. Quasi tutti, tra i proposti per la sorveglianza speciale a Torino e Nuoro, siamo stati parte delle Unità di protezione del popolo (Ypg) nel Rojava e nella Siria del nord. Prosegui la lettura ›

Per Hîwa Bosco, morto al confine tra Siria e Turchia, primo caduto italiano nella rivoluzione in #Rojava

Hîwa Bosco (Giovanni Francesco Asperti)

È la notizia che da tempo temevamo di ricevere. La morte è sempre stata ai margini del quadro, sottesa a ogni discorso, a ogni aggiornamento sulla situazione, da quando compagne e compagni hanno cominciato a partire per la Siria del Nord con l’intenzione di dare un contributo alla rivoluzione del confederalismo democratico.

Va sempre ricordato, che c’è una rivoluzione. Non si è mai trattato “solo” di combattere contro l’ISIS – che già non sarebbe poco, da qui le virgolette –, ma di farlo in nome di una nuova società in costruzione, di un’esperienza comunitaria innovativa e preziosa.

Senza quella molla, la lotta di YPG e YPJ contro Daesh non sarebbe stata tanto efficace. Di più: senza quella molla, YPG e YPJ non esisterebbero.

Occorre avere presente la genealogia di quell’esperienza, per capire cosa spinga i combattenti autoctoni, i volontari internazionali e l’intera popolazione del Rojava. Prosegui la lettura ›

La Procura di Torino chiede la sorveglianza speciale… per chi ha lottato contro l’ISIS

Due giorni fa la Procura di Torino ha notificato una richiesta di sorveglianza speciale – con divieto di dimora a Torino – per «pericolosità sociale» nei confronti di cinque attiviste e attivisti dei movimenti cittadini. L’udienza si terrà il 23 gennaio.

Tre di questi «socialmente pericolosi» li conosciamo di persona, e almeno uno lo conosce anche chi segue Giap e le attività della Wu Ming Foundation: Davide Grasso, autore dei libri Hevalen. Perchè sono andato a combattere l’ISIS in Siria – uscito nella collana Quinto Tipo diretta da Wu Ming 1 per le Edizioni Alegre – e Il fiore del deserto. La rivoluzione delle donne e delle comuni tra l’Iraq e la Siria del Nord – uscito da poco per Agenzia X.

La copertina di Hevalen – lo apprendiamo direttamente da Davide, che ha scritto un primo commento qui – è inclusa nel fascicolo con cui la PM Emanuela Pedrotta – vecchia conoscenza di chi segue la lotta No Tav in Valsusa – accompagna la sua richiesta. Si tratta di una raccolta di «indizi fattuali» sulla pericolosità sociale di Davide e degli altri: Paolo, Eddi, Jack e Jacopo.

La loro “colpa”, infatti, è aver preso parte, in varie modalità, alla rivoluzione in Siria del Nord, ovvero alla lotta dei popoli del Rojava contro l’ISIS. Prosegui la lettura ›

#Kobane, la rivoluzione oltre il mito

Kobane, giugno 2018. La scuola e convitto per orfani «L'arcobaleno di Alan», finanziato dalla provincia di Trento nell'ambito di un progetto di Docenti Senza Frontiere e dell'Ufficio informazioni del Kurdistan in Italia (UIKI).

Kobane, giugno 2018. La scuola e convitto per orfani «L’arcobaleno di Alan», finanziato dalla provincia di Trento nell’ambito di un progetto di Docenti Senza Frontiere e dell’Ufficio informazioni del Kurdistan in Italia (UIKI).

di Tommaso Baldo *

«Quando siamo venute qui, un mese dopo la liberazione, era tutto distrutto», mi dice Patrizia Fiocchetti mentre il furgoncino su cui viaggiamo entra a Kobane. «C’erano macchine scagliate dalle esplosioni al terzo o quarto piano dei palazzi. Ma la gente aveva già iniziato a tornare e ricostruire. Ricordo un uomo, il proprietario di una ferramenta completamente distrutta che assieme ai suoi due figli piccoli frugava tra le macerie del suo negozio per raccogliere le viti, i chiudi e i bulloni sparsi in giro.»

Gli abitanti di questa cittadina di 40mila persone erano tornati appena finita la battaglia, varcando in massa il vicino confine turco e mettendosi all’opera per ricostruire la propria città. Potevano contare solo sull’aiuto fornito loro dalle amministrazioni rette dall’HDP (il Partito democratico dei popoli) nel Kurdistan settentrionale, cioè nella vicina Turchia. Da quando Erdogan le ha fatte commissariare e i loro co-sindaci sono stati arrestati anche quel sostegno è venuto meno.

Patrizia e Carla Centioni avevano varcato clandestinamente il confine turco per venire qui nel febbraio 2015. In quel momento il 48 per cento degli edifici di Kobane era completamente distrutto. Secondo i dati elencati nel «Report sulla situazione attuale a Kobane», diffuso nel marzo 2017 dall’Ufficio di Informazione del Kurdistan in Italia, dopo la cacciata dell’Isis dalla città di 4.284 case non restavano che cumuli di macerie, altre 5.864 erano state danneggiate in modo più o meno grave e solo 630 non avevano subito alcun danno. Tra le officine e i negozi quelli completamente distrutti erano 1.604, 2.182 quelli danneggiati e 1.882 quelli intatti. Prosegui la lettura ›

#Afrin (non) è sola? – di Davide Grasso #BreakSilenceOnAfrin

Conferenza stampa dei rappresentanti del cantone di Afrin e delle forze YPG/YPJ, 18 marzo 2018.

di Davide Grasso *

Nella giornata di ieri, 18 marzo, milizie jihadiste sostenute dall’esercito turco hanno fatto ingresso in alcuni quartieri di Afrin, prendendoli sotto il loro controllo. Hanno umiliato e torturato civili, decapitato pubblicamente due combattenti, saccheggiato le abitazioni. Le forze confederali della Federazione del Nord o Rojava, per fortuna, avevano appena evacuato migliaia di civili, che si trovano adesso nella vicina regione di Sheeba, sempre nei pressi di Aleppo. Questi eventi sono arrivati dopo due mesi di strenua resistenza da parte delle unità popolari e femminili YPG-YPJ, che hanno il compito di difendere la rivoluzione delle donne e delle comuni, nelle campagne attorno alla città, pur nella disparità di mezzi. Le forze rivoluzionarie hanno dichiarato che questi eventi segneranno il passaggio dalla guerra aperta alla continuazione della resistenza sotto forma di guerra di guerriglia. Prosegui la lettura ›