Contro la politica della paura, «rovesciare passando da sotto»! #WM1ViaggioNoTav

Nicoletta Dosio e la sua tartaruga. Prendersi il proprio tempo.

a cura di Wu Ming 1

«Fuori dagli Stati maggiori dei partiti come dai cervelli dei Clausewitz radicali, può nascere una nuova intelligenza sociale, attraverso l’elaborazione spontanea e brancolante di una strategia sovversiva che eviti le vecchie trappole […] Se la sovversione aggira, “passa sotto” la violenza dello stato, non è soltanto per necessità tattica. È perché è innanzitutto, fin dai primi balbettii, il contrario di una guerra nella quale il nemico, l’altro, non esiste. L’arma principale della sovversione è la trasformazione sociale. Trasformazione che si rivolge tanto a coloro che la mettono in atto quanto a quelli con i quali essi si confrontano. Perché è immediatamente affermazione di un rapporto sociale diverso dal rapporto capitalista.»

Serge Quadruppani

Così scrive Serge Quadruppani nel suo La politica della paura (Lantana, Roma 2013).
Con l’espressione che dà il titolo al libro, il nostro compagno d’Oltralpe descrive l’uso strumentale dell’emergenza-terrorismo, la costruzione di sempre nuovi «nemici pubblici», lo spaccio all’ingrosso e al dettaglio di un immaginario securitario sempre più pervasivo, il tutto allo scopo di normare, sorvegliare e controllare meglio la nostra società.
Una società mai così sondata, interrogata, misurata, scansionata, eppure mai così incomprensibile ai poteri costituiti, mai così misteriosa e incline a divenire riottosaingovernabile.

La paura di cui scrive Serge, infatti, non è solo quella che viene iniettata nei governati – paura di attentati, paura del «degrado», degli zingari, dei migranti, dell’«invasione», di questo o quel complotto… – ma anche quella che hanno in corpo i governanti, sempre più ritirati nelle loro cerchie, a frequentarsi tra simili, “scollati” dal mondo, estranei alla realtà e dunque privi di ogni immaginazione.
Lo stiamo vedendo nella parabola del renzismo. I governanti sono autoreferenziali, e quindi pavidi di fronte alle contraddizioni, ai conflitti. Perché nei conflitti, anche quelli più modesti, l’Uno autoreferente è costretto a diventare (almeno) Due. Prosegui la lettura ›

Appunti sul Social-fascismo. La condivisione delle «idee senza parole»

L’articolo che proponiamo è tratto dall’ultimo numero di Nuova Rivista Letteraria, semestrale di letteratura sociale fondato da Stefano Tassinari e pubblicato dalle Edizioni Alegre. Il n.4 della nuova serie è  interamente dedicato al linguaggio, alle ideologie che lo informano, alle sue potenzialità inesplorate, ai suoi usi (anche) politici. Tra gli autori, oltre ai redattori “storici” e ad Alberto Prunetti, ci sono Giuliano Santoro, Girolamo De Michele, Selene Pascarella, Claudio Dionesalvi, Wolf Bukowski… Clicca sulla copertina per leggere l’indice e, se ti va, abbonarti. Due numeri all’anno costano 15 euro (20 se richiedi la spedizione via corriere).

di Alberto Prunetti *

0. Ieri: la lingua del duce

Le retorica teatrale di Mussolini ̶ perentoria, decisionale, volontaristica, carica di iperboli e di allitterazioni  ̶ non doveva convincere ma sedurre: era magia fonetica priva di semantica. Il suo lessico era povero di elementi tecnici ma carico di velleità nominaliste che attingevano ora dal registro spiritualista («idea», «fede», «martirio», «comunione», «credere»), ora da quello militarista («combattere», «battaglia»), come dal volontarismo dell’azione («audacia», «dinamico», «formidabile», «osare»…). Quanto alla sua ironia, era una sarabanda fonetica che irrideva la vittime e strizzava l’occhio al carnefice: suffissi e postfissi, meta e –iolo, «ultrascemo» e «panciafichista», «partitante» e «schedaiolo». Le maiuscole abbondano, come le equazioni farneticanti: «Fascismo uguale Combattimento, uguale Vittoria», con l’enfasi militarista e guerrafondaia. Dopo l’autarchia linguistica, sono guardati con sospetto i forestierismi: «tassellato» per «parquet», «arlecchino» per «cocktail», «scialle da viaggio» per «plaid». Un repertorio indigesto che include la deformazione del nome del nemico; la posa pseudo-dotta satura di latinismi dannunziani, che alimentano l’immagine littoria e imperiale del regime; la confusione ideologica, con la capacità di arruffare dalla semantica di ogni campo ideologico, con l’occupazione strategica e lo svuotamento del campo semantico della sinistra, con la parola «rivoluzione» che viene adottata per privarla di senso. Ecco la «rivoluzione fascista», ovvero una reazione borghese antirivoluzionaria. Ecco la pretesa di andare oltre le vecchie ideologie, «l’essere né di destra né di sinistra», che è il metodo più furbo per far transitare a destra concetti della sinistra, privando quest’ultima di forze e di consenso. Con uno sforzo risibile la lingua si sforza di maschilizzarsi. È una lingua alla ricerca della virilità, proposito che la trasforma pateticamente in lingua morta, piena di forme logore e fatiscenti. Con la decadenza del progetto fascista e la fase cruenta dell’infame Repubblica sociale, l’effetto perlocutivo è spinto all’estremo nel tentativo di «rimettere in riga» e disciplinare in maniera paternalista gli italiani, trasformandoli in soldatini, trattandoli come bambini impertinenti, comunicando al tempo stesso l’immagine di un potere politico che non vuole rappresentarsi allo sbando: un potere risolutivo, imperativo, decisionale, esecutivo. In realtà un potere fantoccio dei nazisti. Prosegui la lettura ›

Il Passante di #Bologna, seconda puntata | Arrivano i facilitatori!

Bologna, Alto Palatinato

Passava per caso su Google Immagini ed è diventato il Passante di Bologna. Alto Palatinato, Germania, incrocio tra le autostrade A6 e A93.

Mentre nel PD bolognese «volano gli stracci» proprio sul Passante (il giorno dopo la sconfitta al referendum*, guarda un po’ la coincidenza), noi andiamo avanti con il nostro reportage su questa Grande Opera Dannosa, Inutile e Imposta.

Come promesso, nella seconda puntata raccontiamo nei dettagli il cosiddetto «processo partecipativo», spiegando che ruolo ha giocato nella partita il gruppo di «facilitatori» di Avventura Urbana. In incognito, siamo andati agli incontri con la cittadinanza. Abbiamo visto, poi abbiamo approfondito. Su Internazionale. Buona lettura.

* A Bologna ha vinto il Sì, ma con il 52%, e grazie al voto dei quartieri-bene (Santo Stefano e Savena). Nei quartieri storici del consenso granitico al Partito – Navile e San Donato – il Sì ha vinto con il 50,5% e un distacco di soli 300 voti. A livello regionale, il Sì ha vinto con il 50,4%. Per gli standard dell’Emilia-Romagna è una sconfitta, già annunciata dal clamoroso «sciopero del voto» alle Regionali di due anni fa. Ma il sindaco Merola ha detto: «Il PD deve ripartire da Bologna, dove il Sì ha vinto!» Diritti contro un muro. Bene così.

La sconfitta di Renzi, le vittorie #notav e una «reticensione» di Gian Carlo Caselli #WM1ViaggioNoTav

Caselli su Un viaggio che non promettiamo breve

Gian Carlo Caselli recensisce Un viaggio che non promettiamo breve.

«…È stato, io credo, per l’assenza da tempo in questa storia di una sinistra che difendesse proletari e reietti invece di schierarsi ciecamente con i concreti sostenitori e impositori di un’idea di sviluppo supina agli interessi della grande finanza, che mai è stata così cieca nei confronti degli interessi collettivi e così disinteressata a quelli degli ultimi, dei “perdenti”.»

Sono parole di Goffredo Fofi. Stava commentando il risultato del referendum costituzionale e le ragioni per cui la controriforma Boschi-Renzi è stata respinta? No, queste frasi sono state pubblicate il 2 dicembre. Fofi stava recensendo Un viaggio che non promettiamo breve e spiegando come mai la lotta No Tav non ha ancora il posto che merita nell’immaginario nazionale, nemmeno dopo venticinque anni di lotte, di tenace resistenza di massa, e di successi. Prosegui la lettura ›

Il «Passante di #Bologna»: una disavventura urbana – di Wu Ming e Wolf Bukowski, 1a puntata

I piloni del cosiddetto «People Mover» di Bologna. Foto di Michele Lapini.

I piloni del cosiddetto «People Mover» di Bologna. Foto di Michele Lapini.

Da alcuni mesi facciamo inchiesta su una grande opera inutile e imposta: il cosiddetto «Passante di Bologna». Il caso è molto interessante e ha rilevanza nazionale, per diversi motivi.

Le ipotesi per risolvere i problemi di traffico del nodo bolognese si rincorrono ormai da vent’anni. Nel 2005 ha iniziato a consolidarsi quella del cosiddetto «Passante Nord», una bretella autostradale che doveva tagliare la campagna a Nord della città, collegando Anzola Emilia (A1), Altedo (svincolo A13) e San Lazzaro (Uscita A14). Quel progetto, già finanziato, è stato respinto l’anno scorso, grazie all’azione di un comitato e dei sindaci dei comuni interessati. Ma il comitato ha scelto di «non dire soltanto no» e ha proposto una “brillante” alternativa: l’allargamento di una corsia per senso di marcia dell’infrastruttura congiunta autostrada/tangenziale, che già ammorba la periferia bolognese. E così, un comitato che all’inizio contestava la ratio stessa del progetto, ha finito per scaricare il barile sui cittadini di un altro territorio.
Prosegui la lettura ›

Ancora sull’uso politico delle querele: il caso «Periferia Degrado Ruspa» #Bolzano

La locandina che Filippo Maturi, consigliere comunale leghista a Bolzano, ha trovato diffamatoria. Maturi, famoso per le battaglie contro i profughi ed il WiFi pubblico, ha sporto denuncia per diffamazione riconoscendosi nella locandina. Maturi aveva difeso il responsabile locale di casapound da una denuncia simile da parte del Sindaco, rappresentato in un volantino come un ubriacone. In quell'occasione si erano sprecati i riferimenti alla libertà di espressione e satira.

La locandina che Filippo Maturi, consigliere comunale leghista a Bolzano, ha trovato diffamatoria. Una curiosità: da praticante avvocato, Maturi – famoso in città per eroiche battaglie contro i profughi e il wi-fi pubblico – difese Andrea Bonazza, leader locale di Casapound, da una querela molto simile sporta dall’allora sindaco Luigi Spagnolli, rappresentato in un volantino come un ubriacone. Era il 2015. In quell’occasione si sprecarono i riferimenti alla libertà di espressione e di satira. Bonazza usò addirittura lo slogan (invero pleonastico) «#JeSuisBonazza».

[Riceviamo e volentieri pubblichiamo quest’addendum al post del marzo scorso Periferia, degrado, RUSPA! La serata di #Bolzano che non è piaciuta a Lega, Casapound… e altri. Da parte nostra, massima solidarietà a Dada Rose, Inchiostro Lisergico e tutte le compagne e i compagni di Bolzano. WM]

di Dada Rose

A Marzo scorso abbiamo organizzato la conferenza «Periferia, degrado, RUSPA!»: tre scrittori [Giuliano Santoro, Valerio Renzi e Wolf Bukowski, introdotti da Flavio Pintarelli] hanno provato a decostruire la retorica del «degrado» e descrivere la sua funzione nei processi di gentrificazione. Il fenomeno è globale e come sappiamo ha finito per coinvolgere anche la nostra città, per questo abbiamo pensato di invitare tre autori di spicco che fossero in grado di analizzarlo nei suoi diversi aspetti, senza la necessità di entrare nello specifico della realtà bolzanina. Prosegui la lettura ›