#ScheggeDiShrapnel e fucilazioni a Nord Est. Da Marano Vicentino a Marano di Valpolicella, passando per Noventa Padovana.

Giovedì 30 novembre, all’Auditorium Comunale di Marano Vicentino, il Wu Ming Contingent suonerà dal vivo Schegge di Shrapnel, lo spettacolo di parole e musica collegato a L’invisibile ovunque e composto a partire da diari, testimonianze, cartelle cliniche e poesie scritte durante la Prima Guerra Mondiale.

Tra i testi proposti, ci sarebbe stato bene anche questo articolo de L’Avanti!:

«Noventa di Padova, 3.11.1917 ore 16.30 circa. Il generale Graziani di passaggio vede sfilare una colonna di artiglieri da montagna. Un soldato, certo Ruffini di Castelfidardo, lo saluta tenendo la pipa in bocca. Il generale lo redarguisce e riscaldandosi inveisce e lo bastona. Il soldato non si muove. Molte donne e parecchi borghesi sono presenti.

Un borghese interviene e osserva al generale che quello non è il modo di trattare i nostri soldati. Il generale, infuriato, risponde: “Dei soldati io faccio quello che mi piace” e per provarlo fa buttare contro un muricciuolo il Ruffini e lo fa fucilare immediatamente tra le urla delle povere donne inorridite.

Poi ordina al T. colonnello Folezzani (del 280 artiglieria campale) di farlo sotterrare: “È un uomo morto d’asfissia” – e, salito sull’automobile, riparte. Il T. colonnello non ha voluto nel rapporto [porre] la causa della morte. Tutti gli ufficiali del 280 artiglieria campale possono testimoniare il fatto.»

Noventa Padovana è a una sessantina di chilometri da Marano Vicentino.

Il 5 novembre scorso, nella piazza del paese, si è svolta una commemorazione dell’artigliere Alessandro Ruffini da Castelfidardo, fucilato per ordine del generale Andrea Graziani. Alla targa che già esisteva, se n’è aggiunta un’altra, che racconta la vicenda e riporta l’articolo de L’Avanti!, pubblicata il 28 luglio 1919. Sul muro, una lastra di plexiglass protegge i fori dei prioiettili che uccisero il soldato marchigiano. Quei cinque buchi, sopratutto durante il fascismo, sono stati spesso ricoperti e intonacati, ma nottetempo, c’era sempre qualcuno che grattava via la calce, e in paese si diceva che fosse lo spirito di Ruffini, che tornava per chiedere giustizia. Oggi, nell’aiuola di fronte, cinque sagome di soldati puntano i fucili e prendono la mira.

Foto di Giovanni Bertoli

A segnalarci l’iniziativa è stato Paolo Malaguti, autore – tra gli altri – del romanzo Prima dell’alba (Neri Pozza, 2017), dedicato alla memoria di Ruffini, e costruito intorno al “giallo” della morte di Graziani, il cui cadavere venne ritrovato sui binari della ferrovia Firenze – Prato, il 27 febbraio 1931. Le cause del decesso non furono mai accertate e il caso venne chiuso in fretta, come «caduta accidentale dal treno».

Graziani, già da otto anni, ricopriva la carica di luogotenente generale con compiti ispettivi della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale. Il fascismo lo aveva premiato, mentre l’esercito, dopo l’inchiesta su Caporetto, lo aveva messo a riposo, nel gennaio ’19, e poi comunque promosso, nel ’27, Generale di Corpo d’Armata della Riserva.

Al processo per l’omicidio di Ruffini, Graziani aveva rivendicato la sua macelleria, come pure in una lettera, pubblicata su L’Avanti! dove sosteneva di aver voluto «dare un esempio terribile atto a persuadere i duecentomila sbandati che da quel momento vi era una forza superiore alla loro anarchia». Si diceva anche convinto di aver risparmiato, con quell’esempio, «molte vite di cittadini e anche di militari» e di aver compiuto «quanto ritenevo indispensabile per il bene della Patria in pericolo».

Paolo Malaguti ci ha inviato un fascicolo di 12 pagine, a firma M. Vaccari, composto per una commemorazione del generale Graziani, celebrata dal battaglione Monte Baldo del 10° reggimento alpini, il 20 novembre 1938. Il testo immagina che Graziani sia in Paradiso, «poichè in Paradiso vanno le anime di tutti gli uomini prodi che servono con lealtà e con onore il loro paese». Qui gli fanno visita i suoi soldati, «a partire dai veterani del 1887, i volontari d’Eritrea solenni e rigidi nelle antiche divise coloniali”. Passati in rassegna i caduti, “dileguano tutte le ombre nel crepuscolo roseo”, e il generale rimane solo, «il volto velato da un sudario di santità». «Il suo pensiero torna rapido ai primi tempi subito dopo la grande guerra. Oh, mio popolo buono, perché allora mi hai colpito così?». Un dubbio tormenta l’anima del defunto: «egli pensa che la sua inflessibilità di capo abbia forse valicato i limiti delle leggi umane». Ecco allora che si levano alcune voci, sono «le ombre oscure, cui non è consentita la luce. I vinti dalla sconforto, i ribelli alla legge». «Siamo i decimati dalla scure della tua sentenza» – dicono quelle voci – «ed una voce più flebile soggiunge: sono il fucilato di Noventa, colui che bestemmiò alla Patria, nel momento della sua sciagura!». I fucilati dichiarano a Graziani di aver compreso, grazie all’eterno riposo, «che la nostra morte è stata una necessità generatrice di vittoria. Era necessaria la tragedia nostra di morire e quella tua di farci uccidere. Era necessaria questa verità terribile, noi di espiare, tu di farci espiare colpe forse non nostre».

Il documento è davvero un’eccezionale testimonianza del culto fascista per la morte e della sua retorica, capace di celebrare i peggiori massacri. Ed è comunque significativo che in un testo del genere, le decimazioni ordinate da Graziani, e la fucilazione di Alessandro Ruffini, non siano potute passare sotto silenzio, censurate, perché ormai troppo note, e dunque bisognose di un maquillage, più che di un colpo di forbice.

Le parole che avete appena letto vennero pronunciate «per la riconsacrazione in Valgatara del monumento e della memoria del Generale Andrea Graziani»

Quel monumento, a Valgatara, frazione di un’altra Marano, quella della Valpolicella (VR), fa ancora bella mostra di sè di fianco al monumento ai caduti.

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Ricordiamo che nel 2018, oltre a suonare “Schegge di Shrapnel”, il Wu Ming Contingent sarà in tour con La Terapia del Fulmine, la lettura concerto scritta e pensata per il quarantesimo anniversario della Legge 180 (la cosiddetta “Legge Basaglia”) e per il concomitante ottantesimo dell’invenzione (italiana) dell’elettrochoc. Dopo le quattro “prove generali” del 2017 (le prime due a Torino, poi Recanati e Vignola), lo spettacolo è pronto per calcare altri palchi. Chi fosse interessato, ci può contattare alla solita mail.

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