Il sentiero delle case ribelli. Sulle tracce della 36ª Brigata Garibaldi.

Nella primavera di tre anni fa si concludeva con successo la raccolta fondi per Grüne Linie, il progetto fotonarrativo di Giancarlo Barzagli e Wu Ming 2 dedicato alla “Repubblica del Carzolano”, una piccola valle dell’Appennino Tosco-Romagnolo, liberata dall’occupazione nazifascista nell’estate del ’44. Il libro pubblicato grazie a quel crowdfunding contiene un racconto (“Basta chiederlo ai faggi”) scritto da Wu Ming 2 dopo aver percorso il cammino che da Imola portava ragazzi e ragazze, medicine, armi, lettere e informazioni fino alle basi della 36ª Brigata Garibaldi, nel cuore della Linea Gotica. Quest’anno, ai primi d’ottobre, sarà possibile seguire lo stesso tragitto, in compagnia di Wu Ming 2 e in collaborazione con Viaggi&Miraggi, cooperativa sociale che dai primi anni Novanta propone viaggi alternativi al turismo di massa.

“Il sentiero delle case ribelli” si snoda per quattro giorni, più uno di arrivo a Imola, conoscenza reciproca e scoperta dei luoghi della città legati alla Resistenza e all’antifascismo (nonché al nostro Asce di guerra). Il programma completo, tappa per tappa, si può consultare qui, insieme alle informazioni su costi, date e prenotazioni. Sia il punto di partenza del percorso (Imola) che quello di arrivo (Crespino del Lamone) sono serviti dalla ferrovia e non è quindi necessario raggiungerli in automobile.

Il nome che abbiamo scelto per questo cammino fa riferimento alle 12 case sparse, nella Valle del torrente Rovigo, che ospitarono le compagnie della Trentaseiesima, quando la brigata contava più di 1500 uomini e donne. Di questi antichi edifici in sasso, otto sono ormai diroccati, uno è un bivacco incustodito, e i restanti tre sono piccole strutture ricettive (in una delle quali è previsto il pernottamento all’ultima tappa, sicuramente allietato da schiere di fantasmi).

Questa è la presentazione del percorso che trovate anche sul sito di Viaggi&Miraggi:

«In questo cammino si passa dalla pianura padana alle prime colline imolesi, tra calanchi e vigneti, per poi spingersi attraverso le rupi abbacinanti della Vena del Gesso Romagnola, fino a superare i crinali al confine con la Toscana. E’ lì che si annida, profondissima, la valle smeraldo del torrente Rovigo, uno scrigno di faggi e borghi abbandonati, di castagneti e pietra serena, di storie montanare e partigiane.
Il percorso ricalca i sentieri che seguirono i ragazzi della zona di Imola per raggiungere  “la Repubblica del Carzolano”, un pugno di casolari immersi nei boschi, dove i nazifascisti non si azzardavano a salire, e la Trentaseiesima Brigata Garibaldi aveva le sue basi di resistenza.
Lungo la strada, ogni rudere e ogni anfratto raccontano di battaglie e fughe precipitose, di inverni impossibili ed estati di lotta, di errori clamorosi e magnifiche intuizioni, di uomini e donne che si allearono al paesaggio per liberarsi da una dittatura di morte, razzismo e sopraffazione.
Un paesaggio che conserva memoria di quanto accadde in quei mesi, e la mescola ad ogni passo con quanto è avvenuto nel frattempo, suggerendo, a chi lo interroga con i piedi, che un altro mondo si può ancora costruire.»

Qui di seguito potete ascoltare il racconto dei primi tentativi di resistenza armata sull’Appennino imolese e nei luoghi attraversati dal sentiero: audio registrato su invito dell’ANPI Pavia – Sezione Onorina Brambilla Pesce, in occasione del 25 aprile 2020.

Wu Ming 2 – I diciotto di Cortecchio – Durata: 20’07”
Wu Ming 2 – I diciotto di Cortecchio

Infine, concludiamo con l’incipit del racconto “Basta chiederlo ai faggi“, che potete leggere per intero nella versione sfogliabile on-line di Grüne Linie.

«Stanco e appagato, Sandro Davoli calpestò il sentiero in mezzo all’erba giovane, diretto al bivacco sullo sperone di roccia. Solo il comignolo e la porta lucidata distinguevano l’edificio dalle pietre della montagna. Le stesse pietre dei muri, del tetto. Più antiche della vita, sconosciute alla morte. Intere anche quando spezzate. Senz’altro assillo che assaporare la polvere, il vento, le tempeste, il tempo. Minuscolo cubo di sassi, dimora da gnomi, che chiamerò casa fino a domattina. Poco più grande di un essiccatoio, di quelli che s’incontrano nei castagneti. Eppure ha ospitato un’intera compagnia. Mi pare fosse l’ottava. Comandante, Sergio Bonarelli, detto Sergio. Nato a Ozzano, nel 1920. Sottotenente carrista, poi disertore e renitente alla leva. Commissario politico, Renato. Di lui non so nient’altro. Circa sessanta partigiani, ai primi d’agosto del ’44. Caldo estivo, notti asciutte. Si vede che dormivano fuori, sulla paglia. Oppure il casolare è quello che resta di un fabbricato più grande. Fienile, stalla, magazzino. Macerie nascoste sotto le piante, coperte dai merletti dei fiori d’achillea. Qui abitava Domenico Tagliaferri, coltivatore diretto. Ancora non ho capito se avesse famiglia o stesse da solo. Il suo cognome ricorre, nelle case d’appoggio alla brigata. Stirpe di fabbri, oppure di cavalieri talmente forti, da tranciare con la spada l’armatura dei nemici. Tagliaferri a Pian dell’Aiara, Val Cavaliera, L’Altello, I Diacci, Serra, Molino dei Diacci. Tagliaferri sul campanile, sulle lapidi e sulle buche da lettere, nel borgo di Casetta di Tiara, l’unico ancora vivo di questa vallata.

Uno sciame di farfalle bianche sorvolò il prato e due sostarono in cima a un palo, dalla corteccia scura, che sembrava pure lui aver messo radici, in quel terreno di selci e piante clandestine. Sandro salì i gradini di terra e lastre d’arenaria, tra due balaustre di tronchi sottili, e dal terrazzo aperto alla valle, si sporse coi gomiti sulla ringhiera. Ecco dove accadde. Lui è arrivato qui. Questi faggi, ora cresciuti sugli orti d’un tempo, gli hanno dato rifugio. Questa fortezza di foglie e dirupi, che oggi pare così dolce, lo vide combattere e rischiare la vita. Un nemico mai dimenticato e la miseria, ancor più delle sue bombe, l’hanno infine svuotata. Resta uguale la luce, in questo pomeriggio di fine primavera, spalmata come resina su qualunque sporgenza.

Perché si inseguono le ombre? Perché pedinare un uomo che non c’è più, imitare i suoi passi dopo tre quarti di secolo, vedere dove lo portò la fuga da casa?
Mentre studiavo le mappe, mi dicevo che Mirco è morto, a novant’anni suonati, e siccome era il più giovane della brigata, sarà stato di certo uno degli ultimi ad andarsene. Tempo di passare il testimone, di chiudere un’epoca. Non ascolteremo più le avventure della Trentaseiesima dalla voce dei protagonisti, com’è capitato ai miei alunni, quando Mirco è venuto a scuola e abbiamo conosciuto la sua risata. Cristallina, ma a labbra strette, quasi avesse pudore di scovare ancora il lato buffo degli umani. D’ora in avanti, l’unico essere vivente che potrà raccontarci quelle storie sarà il paesaggio. I luoghi che ne sono intessuti.»

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