«A noi rimane il mondo». Un documentario sulla Wu Ming Foundation / Prima parte (di 2)

Il moodboard di accompagnamento alla sceneggiatura del 2018. Clicca per ingrandire.

[WM: A metà dicembre dell’anno scorso, in un post di notizie dal mondo del cinema, abbiamo rivelato per la prima volta che «una troupe bolzanina, diretta dal regista Armin Ferrari, sta girando in questi mesi un documentario sulla Wu Ming Foundation, ovvero sullo strano caso di collettivi e comunità sorte a partire dalle discussioni su un blog di romanzieri, per poi occuparsi di sentieri, di guerriglia odonomastica, di J.R.R. Tolkien, di bufale storiografiche, di cambiamenti climatici, di scrittura collettiva, di colonialismo…»
Per meglio spiegare di che si tratta, abbiamo chiesto ad Armin di raccontare la genesi dell’idea e il dipanarsi delle riprese dal vivo, che insieme a tanti materiali d’archivio andranno a comporre la traccia visiva del documentario. A questo proposito, chiediamo a tutte le giapster e i giapster in possesso di materiali audiovisivi – ma anche di foto e audio interessanti – su una qualche attività della Wu Ming Foundation, di mettersi in contatto con Armin e la produzione, scrivendo all’indirizzo info AT riffvideo.it.]

di Armin Ferrari

– E questa stanza è lontana? 
– In linea retta un 200 metri ma qui, purtroppo, vie dirette non ce ne sono.

A. Tarkowskij, Stalker,1978.

Febbraio 2015 – Marzo 2020

I primi barlumi di idee erano arrivati all’inizio del 2015. In quei giorni ero reduce da una fase totalizzante, nella quale andavo a caccia di ogni cosa targata Wu Ming. Scritti, parole, musica e quant’altro mi rimbombavano in testa divorando pensieri.
Avevo bisogno di sbloccare queste sensazioni, aprire la valvola e far fluire tutto.

Camminavo, quel giorno di sei anni fa, e camminare aiuta perché i pensieri, invece di rimbalzare su quattro pareti, viaggiano liberi, incontrano prospettive, planano sopra radure, respirano, si rispecchiano nei paesaggi e quando tornano indietro hanno un sapore nuovo, profumano di ispirazione.

La mia ispirazione fu tutto sommato semplice: perché non fare un documentario su Wu Ming?

Più facile a dirsi che a farsi perché io stesso, dopo tutti quei mesi di immersione, non avrei saputo definire il fenomeno senza aprire svariate parentesi.

Allora forse bisognava partire proprio dalle parentesi e invece di raccontare “la storia di un collettivo di scrittori”, provare a mostrare il modo in cui schiere di persone, ispirate a vari livelli dalla produzione letteraria di Wu Ming, si erano messe in moto pensando, scrivendo, agendo, ampliando discorsi, costituendo a loro volta collettivi.

Il punto di ingresso narrativo mi pareva mettesse sufficientemente al riparo dal rischio di diventare didascalici e prometteva una esplorazione creativa, trasversale ed indiretta di un mondo complesso come quello che si era andato a costruire negli anni attorno al collettivo, offrendo al contempo la possibilità di sviscerare la poetica nata e cresciuta nel grembo dei loro numerosi libri, senza la quale nulla di tutto ciò sarebbe potuto sorgere.

L’embrione era diventato un’idea e nei mesi successivi l’idea era diventata qualcosa che, più che a una sceneggiatura, somigliava a una visione che mi avrebbe accompagnato negli anni a venire, mutando lentamente insieme alla mia vita, diventandone parte.

Decisivo era stato nel 2017 l’incontro con Roberto Cavallini, produttore, coautore e giapster il cui talento unito al pragmatico entusiasmo avevano permesso al progetto di diventare, nell’arco di una manciata di mesi, un vero e proprio “documentario in produzione”.

Gli intenti, riscrittura dopo riscrittura, si erano finalmente delineati.

Il documentario avrebbe raccontato, attraverso differenti linee narrative e concentrandosi su determinati soggetti singoli o multipli, la Wu Ming Foundation, ovvero un collettivo di collettivi, un contenitore di idee, ideali, poetiche, parole, una confluenza costante che per definizione non può essere mai uguale a sé stessa pur senza mai tradire il proprio spirito originario.

L’obiettivo era quello di trasmettere il senso più profondo del tutto senza soffermarsi troppo a contemplare la scena, evitando così di farsi travolgere dall’immensità dei dettagli presenti nel codice miniato della Wu Ming Foundation. Un obiettivo da raggiungere cucendo assieme esperienze, sfocando figure, amalgamando le pennellate fino ad ottenere il racconto impressionistico di una moltitudine di storie legate tra loro da una poetica condivisa.

Avevamo anche il titolo: A noi rimane il mondo.

Marzo 2020

6 marzo 2020, in un dedalo di storie.

Alle porte della primavera 2020 è finalmente tempo di strappare dalle mani dell’astratto qualcosa da far vedere sullo schermo. Assediati da una pandemia ormai imminente siamo nel rione Cirenaica, pronti a catturare il primo frammento di questa storia.

Le strade semideserte e l’atmosfera innaturale sono prodromi del tempo che verrà.

Harald, il nostro direttore della fotografia, cui spetta l’arduo compito di tradurre le idee in immagini, accende la camera e le riprese cominciano ufficialmente.

Nell’arco di tre giorni appassionanti mettiamo davanti alla macchina da presa, con forme e approcci vari, il piccolo – grande mondo di Resistenze in Cirenaica, uno dei molteplici temi che troveranno spazio nel documentario. Situazioni dinamiche, spesso in cammino, nelle quali Jadel Andreetto e molti altri componenti del collettivo illustrano con parole, azioni e musica le svariate anime del loro progetto. Un blocco narrativo ambientato interamente nel piccolo, affascinante rione che dà nome e anima al gruppo. Luoghi e memoria storica si abbracciano e diventano racconto.

È un inizio promettente. Al netto di un teaser di presentazione, messo insieme quasi due anni prima, questo è il primo vero test sul campo, in cui vediamo concretizzarsi le idee che, stesura dopo stesura, sono diventate la sceneggiatura di A noi rimane il mondo.

7 marzo 2020, racconti dalla Cirenaica

La fitta tre giorni si conclude con un pranzo collettivo in un ristorante letteralmente deserto. Chiacchiere e considerazioni aprono strade e gettano nuova luce sulle riprese a venire.

Sulla via del ritorno il rollio del furgone sull’asfalto accompagna le voci che dalla radio danno quasi per certa l’imminente chiusura totale del paese. Prevale il silenzio, gioia e angoscia si dividono equamente lo spazio. Le riprese non proseguiranno per lungo tempo.

Marzo – Settembre 2020

L’orologio ticchetta stanco, i mesi sono infiniti, il mondo smette quasi di ruotare e con esso il documentario, una creatura che ha spinto niente più che un arto fuori dal suo bozzolo virtuale mentre il resto se ne rimane lì, inespresso. La mia paura è di perdere l’attimo.

Ma non c’è nessun attimo da perdere perché, come continuerò a scoprire, un documentario è un processo, una creatura viva, che si ciba di complessità e non teme i cambiamenti, anzi, li brama.

Il tempo sospeso ha costretto a pensare, dando il modo alle nuove idee di fluire e rendendo quelle prime riprese di marzo l’ennesimo processo di scrittura del film sul quale rimodulare quelle a venire.

Ad agosto mi nasce una figlia, un altro meraviglioso scossone ad ogni certezza. A fine settembre siamo di nuovo pronti all’azione.

25 settembre 2020, prospettive notturne

25 Settembre 2020

Il primo giorno siamo nuovamente a Bologna, ci portiamo via un po’ di suggestioni urbane e un paio di scene a completamento del blocco dedicato a Resistenze in Cirenaica. Ci reimmergiamo nell’atmosfera, recuperiamo rapidamente il gusto dell’azione e ci prepariamo ai giorni successivi, nei quali ci allontaneremo dalla città per cominciare a costruire un’altra importante sezione del documentario.

I paesaggi sono romanzi e i Wu Ming lo sanno bene avendone fatto uno dei perni principali della loro poetica.

Il paesaggio parla di noi, di come abitiamo il mondo, dei danni che facciamo, delle occasioni che perdiamo, dei gradi di separazione che mettiamo tra noi ed esso. Il paesaggio è una trama complessa, affascinante, assoluta.

26 settembre 2020, dove comincia il paesaggio?

26 settembre 2020

Ed eccoci incastonati nell’Appennino, a caccia di paesaggi in compagnia di Wu Ming 2.

Per una giornata intera ci muoviamo a piedi e in macchina lungo il tracciato da lui già raccontato diversi anni fa ne “Il sentiero degli Dei”.
Tra spettri di cave abbandonate, fondovalle squarciati da binari e scenari da romanticismo pittorico ci si para davanti un mondo paradossale e affascinante, che non può lasciarci indifferenti.

Parcheggiamo, ci addentriamo, ci affatichiamo, respiriamo, e, quando troviamo uno scenario promettente, Maurizio accende i microfoni dentro i quali Wu Ming 2 riversa storie raccolte dal luogo che ci circonda, mentre Harald punta la macchina intorno traducendo il paesaggio in mirabili inquadrature.

Concludiamo la giornata con gli occhi pieni di immagini potenti e le orecchie cariche di parole ispirate. Emozioni che cercheremo di trasferire intatte dagli hard disk al documentario.

A Badolo, una notte silenziosa ci permette di metabolizzare i mondi che abbiamo incontrato. L’indomani ci attendono altri scenari.

26 settembre 2020, l’eterna transizione dei luoghi

27 e 28 settembre 2020

Il giorno successivo scendiamo verso la pianura per seguire il Canale Navile, raggiungere Ferrara e poi il Basso Ferrarese. Svariate tappe lungo il percorso ci permettono di raccogliere quadri di viaggio che arricchiscono il mosaico visivo del nostro racconto collettivo.

C’è qualcosa di religioso nel fermarsi a catturare luoghi, prendendosi il tempo di cercare e di osservare, imboccando strade secondarie e assecondando l’ispirazione. Un pellegrinaggio dell’immagine che regala suggestioni impreviste.

L’incontro coi fenicotteri rosa, sospesi metafisicamente sulle Valli di Comacchio, chiude il breve viaggio e la giornata di riprese.

27 settembre 2020, Harald distilla fascino da ogni situazione

Di prima mattina fendiamo la Valle del Mezzano. Strada dritta, filari di alberi a destra e a sinistra oltre i quali nient’altro che un mare di terra. L’Appennino è lontano milioni di chilometri.

Stiamo andando a incontrare Wu Ming 1 la nostra guida di oggi. È legato a queste terre da questioni sia anagrafiche sia narrative, poiché da tempo sta sviluppando il tema dell’innalzamento del livello del mare con la conseguente potenziale scomparsa di quei luoghi in un futuro non troppo prossimo.

È come se attraversando la Valle del Mezzano avessimo attraversato un portale, capitando in una sorta di rarefatto incrocio tra neorealismo rurale e allucinazioni poetiche sfuggite da un film di Tarkovskij.

Per tutto il giorno, sotto la tavola monocromatica di un cielo grigio slavato, percorriamo e immortaliamo chilometri di nulla contrappuntati da sporadici paesi sorpresi nella ragnatela di un territorio sagomato dai corsi d’acqua artificiali.

Wu Ming 1 commenta le scene, disseppellisce storie, concatena pensieri. Noi catturiamo tutto.

28 settembre 2020, evocando lo spirito guida di Andrej Tarkovskij

Un altro ritorno verso nord, un altro capitolo chiuso. L’abitacolo del furgone veicola considerazioni. Ripresa dopo ripresa, la rigidità delle idee su carta lascia spazio alla fluidità. Sublimazione dei dogmi, argini che cedono, piani che confluiscono a beneficio di un racconto corale. Bene così.

Settembre – ottobre 2020

Le attese sono interregni in cui far decantare esperienze dentro le quali il film immaginato è una proiezione ogni volta un po’ diversa. A ogni riscrittura mentale si aggiungono dettagli, idee, possibilità. Attenzione però a non strafare, mi dico, perdere l’equilibrio è un attimo. Non si tratta solo di cosa tenere dentro alla scena, ma anche di quel che resta oltre i margini della cornice, quello che non vedi, ma che immagini possa esserci. Una modulazione continua.

A ottobre Roberto ed io alziamo il bordo di quella cornice per acciuffare una storia e portarla dentro all’inquadratura. È una sorpresa anche per noi, non ce l’aspettavamo. Verso fine mese quella storia è su un treno che la sta portando diritta da noi. Questa volta si gira a Bolzano.

Fine prima parte.
La seconda è qui.

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