«Come si dice “partigiano” in tedesco?» (Tanti auguri a Mario Fiorentini)

diario_1912[Il 7 novembre scorso ha compiuto 95 anni Mario Fiorentini, partigiano comunista, comandante del Gap centrale “Gramsci”, “assessore alla Cultura della Roma occupata”, secondo la definizione di Rosario Bentivegna.
Anni fa, Mario Fiorentini mise Lorenzo Teodonio e Carlo Costa sulle tracce di un partigiano molto particolare, Giorgio Marincola, contribuendo così a quel “progetto transmediale multiautore” che ha visto nascere Razza Partigiana, Quale Razza, Basta uno sparo e Timira.
Per fargli gli auguri di compleanno, Lorenzo Teodonio ci ha mandato il testo che segue, inizio di un lungo saggio (ancora in fieri) che il collettivo “Razza Partigiana” dedica al rapporto fra politica e città. Si analizza la formazione politica di tre scrittori/filosofi come Gramsci, Slataper (cfr. Point Lenana) e Michelstaetder nell’Italietta giolittiana. Quasi coetanei e provenienti da zone periferiche, i tre si sono formati in città (Firenze per i due giuliani, Torino per il sardo) sviluppando fra loro risonanze carsiche.]

Ma come si dice partigiano, in tedesco?

di Lorenzo Teodonio

«Le ineffabili “terze pagine” del conservatorismo considerarono perfino il pensiero molle troppo osé: lì ha dominato e domina la necrosofia mitteleuropea della Magris Company. Per un lungo periodo, scorrendo “Il Corriere”, sembrò di leggere, nelle sue “terze pagine”, il malessere di un club di zitelle della Bassa Sassonia o, ancor peggio, l’infelicità di una piccola comunità di ebrei rumeni.»

E davvero la Magris Company rimanda a un’idea di Mitteleuropa infelice, mediocre, lagnosa, ben lontana dall’idea di resistenza che l’autore del precedente brano (Antonio Negri, La differenza italiana , Nottetempo, 2005) vuole invece esaltare in quegli scrittori/filosofi nati da qualche parte fra Trieste e il Baltico.

La lettura di Point Lenana (Einaudi, 2013) ha, fra i non pochi pregi, quello di ricostruire i primi anni del Novecento a Trieste e rievocare personaggi, come Scipio Slataper, ridotti a reminescenze scolastiche, a nomi di caserme o, peggio, a toponomastica (a Roma la strada è ai Parioli, vicino il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri). Un libro, insomma, che ci fa concordare con Negri: la Mitteleuropa è anche resistenza!

Nel 1912 un piccolo e glorioso editore di Lanciano, Rocco Carabba, pubblica il Diario di Friedrich Hebbel, tradotto e curato proprio da Slataper.

Hebbel è un drammaturgo tedesco dell’Ottocento (1813-1863), il cui Diario (una raccolta di aforismi, brani autobiografici, piccoli racconti) ha influenzato molto autori, da Kafka a Lukács, e che tutt’oggi ha una certa fama. Tanto da essere pubblicato in varie forme: Carabba ha fatto uscire la copia anastatica dell’edizione del 1912; Adelphi ha pubblicato, quest’anno, un’antologia ( Giudizio Universale con pause ) a cura di Alfred Brendel; Diabasis, nel 2009, ha fatto uscire un’altra antologia a cura di Lorenza Rega (con prefazione del fantomatico Magris).

L’aforisma, numero 2613 nell’edizione tedesca B. Behr’s Verlag, Berlino 1905, scritto il 24 ottobre 1842 ad Amburgo, recita “ Leben heißt parteiisch sein”.

In italiano Slataper traduce “Vivere significa esser partigiani”.

indifferentiQuesta frase sarà utilizzata nel 1917, da un piccolo, grande sardo, Antonio Gramsci. Quando, infatti, si trova a scrivere, in perfetta solitudine, la rivista La città futura, cita proprio nell’incipt dell’articolo (Indifferenti): Odio gli indifferenti. Credo come Federico Hebbel che “vivere vuol dire essere partigiani”. La citazione, non proprio letteraria, è importante per la presenza della parola “partigiano”. Una parola che tanta importanza avrà in Italia e che Gramsci stesso utilizza più volte nel resto dell’articolo. La conclusione è infatti:

«Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze virili della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano nel sacrifizio; e colui che sta alla finestra, in agguato, voglia usufruire del poco bene che l’attività di pochi procura e sfoghi la sua delusione vituperando il sacrificato, lo svenato perché non è riuscito nel suo intento. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.»

Quel ” virili” suona machista, ma a Gramsci lo perdoniamo. Come perdoniamo la citazione vagamente critica alla Ginestra leopardiana (la catena sociale […] non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini).

L’ottimo Slataper, dunque, traduce parteiisch con partigiano. Ma come è stato tradotto “parteiisch sein” nelle altre edizioni dei Diari di Hebbel? Nell’antologia Adelphi non c’è proprio il pensiero; in quella della Rega vi è la traduzione “essere di parte”. Grammaticalmente non fa un piega: sein è l’infinito di essere e parteiisch significa “di parte”. Ma certo, all’orecchio italiano, risulta un po’ triste: la parola partigiano, inevitabilmente, ha un’altra risonanza. E poi, nel tedesco attuale (non certo all’epoca di Hebbel!), “parte” si preferisce esprimere con Teil; Partei significa, più propriamente, “partito” nel senso politico del termine. Nella versione dei Diari della Magris Company, poi, non si cita l’uso gramsciano dell’aforisma e la data dell’edizione curata da Slataper è palesemente sbagliata. Viene infatti fissata al 1919, inducendo il povero Magris a scrivere che il libro uscirà […] dopo la sua morte (Slataper muore nel 1915, durante la guerra).

hebbel_originale

La parola Partigiano risale al medioevo (la usa anche Machiavelli: Qualunque volta quelli che sono nimici hanno occasione di assaltare, lo fanno partigianamente, e quegli altri defendano tepidamente ). Già: ma come si dice in tedesco “partigiano”? Il problema ha molto appassionato Carl Schmitt. Nella Teoria del Partigiano (Adelphi, 2005) scrive esplicitamente che si dice Parteigänger, ossia, in italiano, “membro di partito”. La locuzione Partisan (scelta nel titolo del saggio, in tedesco, Theorie des Partisanen) è tratta dalle lingue romanze, in particolare spagnolo e francese, anche se in queste lingue è “una denominazione assolutamente generica, polisemica, diventata all’improvviso un termine eminentemente politico”. Dopo la Teoria (uscita nel 1963), in una conversazione con un maoista , Jaochim Schichel, avvenuta il 25 aprile (ironie della storia!) 1969, trasmessa alla radio e trascritta (Carl Schmitt, Un giurista davanti a se stesso, Neri Pozza, 2005) – Schmitt torna sull’etimologia del termine confermando il significato di “membro di partito” (Parteigänger). Poiché, continua Schmitt: “qualsiasi pensiero politico comincia con un prender partito”. “Prender partito” è la traduzione di Parteinug: per quello la Teoria del Partigiano è, nell’idea di Schmitt, come evidenzia il sottotitolo, un’integrazione al concetto di politico. L’analisi schmittiana ha un afflato più filosofico-politico che storico in senso stretto. Ecco perché in questa Teoria la Resistenza europea ha un ruolo infimo: si passa direttamente dai primi partigiani delle guerre napoleoniche a Guevara, passando per l’esotico Mao. Per cui di partigiani non aderenti a partiti, o di altre vicende particolari della Resistenza europea, non vi è traccia. In attesa di un qualche prode che faccia la storia della parola partigiano e del suo uso, noi, comunque, continuiamo a odiare gli indifferenti perché, come finisce l’opera più bella di Slataper, vogliamo amare e lavorare.

Scarica questo articolo in formato ebook (ePub o Kindle)Scarica questo articolo in formato ebook (ePub o Kindle)

Print Friendly, PDF & Email

16 commenti su “«Come si dice “partigiano” in tedesco?» (Tanti auguri a Mario Fiorentini)

  1. Una curiosità: chi ha usato per la prima volta la parola “partigiano” (o qualche suo calco in altre lingue) nel senso di “guerrigliero”?

  2. Credo che la parola “partigiano” sia giunta a denotare la guerriglia contro un’invasione – cosa che secondo i dizionari enciclopedici è avvenuta a partire dal XVII secolo – perché la parola “parte” (italiano) o “partie” (francese) va intesa nel senso di banda, di formazione irregolare. Il processo potrebbe essere, più o meno: “parte” come risultato di una partizione, di una divisione, cioè – nel contesto di operazioni militari – di un separarsi [dalle forze armate regolari] e riaggregarsi in nuove formazioni [in bande]. “Partigiani”/”partisans”, quindi, come membri di divisioni irregolari, non appartenenti a forze armate legali.

  3. XVII secolo! E’ una parola nobile e antica.

    Per riempire il post, metto qua una canzone dei resistenti tedeschi degli anni trenta:

    http://youtu.be/nTKBJgkVe8o

    così, tanto per ricordarmi che in tedesco si è cantato e si canta anche di resistenza e di rivoluzione, e che non ci sono solo le marcette zumpappà e i ridicoli walzer in costume che piacciono tanto ai miei concittadini.

  4. Grazie per la segnalazione. Quando wm2 stava a Berlino gli citai “Ognuno muore solo” di Fallada che e´un libro POTENTISSIMO (a proposito di resistenza tedesca).

    Segnalo anche questo sito:
    http://www.partigiani.de/
    Un sito tedesco sui resistenti italiani (e usano la parola “partigiani”). Ci fu con loro anche uno scambio di mail tempo addietro.

  5. Ho chiesto alla mia ragazza (austriaca che ha studiato scienza politiche ed italiano e lo parla senza dubbio meglio di me) come tradurrebbe partigiano.
    Mi ha risposto che per tradurre la parola “partigiano” nel senso di combattente/guerriero come usata in italiano per definire chi ha combattuto i nazifascisti durante la seconda guerra mondiale, si usa “partisane” (come già detto da voi), poi mi ha proposto “widerstandskämpfer” che letteralmente vuol dire combattente (kämpfer) della resistenza (widerstand), da notare che la parola widerstand si usa proprio come in italiano (quindi con tutti i significati ad essa associati) e “freiheitskämpfer”, letteralmente combattente della libertà.

    Aggiungo che solo in ambito accademico si usa l’espressione “politische partei” (partito politico) a sottolineare su cosa si è di parte, dato che “partei” ormai per tutte le persone comuni indica solo ed esclusivamente il “partito politico” (tranne in alcune locuzioni fisse, da cui si può risalire ad un significato più generico, es. “partei ergraifen für” traducibile con “prendere la parte di” qualcuno, qualcosa).

    eventuali errori di tedesco sono miei :(

  6. Bellissimo articolo e davvero interessante. Circa un annetto fa ero rimasta molto sorpresa dal fatto che due miei amici tedeschi conoscessero “Bella Ciao” non solo come “canzone carina da canticchiare” ma che ne conoscessero il significato. Al che avevo chiesto come avrebbero tradotto in tedesco la parte “o partigiano portami via” o “e questo è il fiore del partigiano” ecc… ma avevano mantenuto sempre la parola “partigiano” in italiano. Pensavo che lo ritenessero un termine che nella canzone non era traducibile, ma mi avevano detto che anche in contesti differenti, in cui si parlava di resistenza, avevano sempre sentito/usato la parola “partigiano” in italiano.
    Questo è giusto un aneddoto che mi è tornato alla memoria leggendo il pezzo. Mi è (ri)venuta però la curiosità di leggere qualcosa sulla resistenza tedesca, le persone che conosco qui io ne sanno veramente pochissimo se non niente, qualcuno mi sa indicare qualche libro?

    • Grazie mille a te e agli altri per i complimenti (sono l’autore del pezzo sotto nickname).

      Su in altro consigliavo “Ognuno muore solo” di Hans Fallada romanzo sulla resistenza a Berlino. Molto, molto bello. Esiste un’edizione italiana.

      Poi se trovi c’è molto sulla Rosa Bianca, il movimento capeggiato da Kurt Huber a Monaco. C’hanno fatto anche il film…

      Ultimo consiglio potrebbe essere l’ottimo libro di Sergio Bologna (Nazismo e lotta di classe):
      http://www.lumhi.net/libri_centrale.htm
      Qui ti puoi scaricare il file.

      • Grazie mille, mi sa che inizierò dal libro di Fallada, ho visto che c’è un’edizione di Sellerio e un paio di Einaudi, appena torno per Natale in Italien faccio scorta.
        E grazie anche a Wu Ming 2 per quelli sull’Orchestra Rossa che è l’unica organizzazione di cui abbia sentito vagamente parlare dagli autoctoni, partirò da Perrault. Vediamo così di iniziare a mettere insieme i pezzi di una fase storica interessante.

      • Grazie mille, ho letto il tuo commento sopra sul libro di Fallada che non conoscevo ma che mi procurerò appena possibile, ho visto che ci sono due edizioni di Einaudi e una di Sellerio, con qualche giretto in libreria a Natale dovrei riuscire a trovarlo e anche quello di Bologna ovviamente. Ringrazio anche Wu Ming per il libro sull’Orchestra Rossa di Perrault, altro tassello della mia piccola ricerca che non mi farò mancare.

    • @serenissima

      bella ciao auf deutsch. un gruppo di musicisti di strada a rostock nel 2007, durante la manifestazione anti g8.

      http://youtu.be/l37c_wVF5Gc

  7. Io ho una passione per le imprese dell’Orchestra Rossa/Rote Kapelle. A Correggio ho conosciuto Hans Coppi jr., figlio di Hans Coppi e Hilde Rake, nato in una prigione nazista: il padre vide il figlio neonato una volta soltanto, prima di essere ucciso. Alla madre venne dato il permesso di allattarlo al seno fino a otto mesi, poi la ghigliottinarono.
    In italiano esiste il testo di Gilles Perrault, L’orchestra rossa, uscito per Bompiani molti anni fa e l’introvabile diario di Leopold Trepper, Il grande gioco.

    http://it.wikipedia.org/wiki/Hilde_Coppi
    http://it.wikipedia.org/wiki/Orchestra_Rossa
    http://it.wikipedia.org/wiki/Hans_Coppi
    http://it.wikipedia.org/wiki/Leopold_Trepper

  8. Ciao a tutti.
    Tanto per cambiare, articolo molto interessante!
    Faccio una segnalazione anch’io. Anzi due. La prima è letteraria: tempo fa un compagno berlinese mi consigliava il romanzo “Die Ästhetik des Widerstands” (L’estetica della resistenza) di Peter Weiss. Non ho più approfondito, ma questo post mi ha fatto tornare in mente il consiglio. Se non ho capito male si concentra sulla narrazione/le narrazioni della resistenza contro il nazifascismo, sulla costruzione del mito “Resistenza”, dal punto di vista del proletariato tedesco. Sembra quindi particolarmente WuMinghiano.
    La seconda segnalazione è musicale e rivolta ai Giapsters berlinesi: questa sera dalle 18, alla Meuterei in Reichenberger Str., c’è una serata dedicata ai canti partigiani e rivoluzionari. Se ho ben inquadrato la cosa, si tratta di una serata tra goliardia e nostalgia-DDR… Il coro che si esibirà ha normalmente in scaletta canzoni come:
    – la bellissima e già citata “Die Moorsoldaten”
    – Saigon ist frei
    – Arbeitereinheitsfront
    – Solidaritätslied
    – Somos los revolucionarios
    – Partisanen vom Amur
    – Matrosen von Kronstadt
    – Arbeiter von Wien
    – Bella Ciao
    – Der heimliche Aufmarsch

  9. Mi sposto un po’ più a sud, perchè per chi scrive e legge da Trieste è fondamentale, e dico due parole su “Arbeiter von Wien”. La musica è ripresa da una canzone della rivoluzione russa (Белая армия, чёрный барон). Il testo in tedesco è di Fritz Brügel e fu scritto durante la rivolta operaia del luglio 1927- Sette anni più tardi, nel 1934, la canzone divenne l’inno degli insorti viennesi e stiriani contro l’austrofascismo.

    Su youtube se ne trovano parecchie versioni, da quelle epiche, col coro e l’orchestra, a quelle street punk.

    Io metto questo video, che magari in modo un po’ ingenuo collega le lotte di ieri a quelle di oggi.

    http://youtu.be/JkcC0_qBeNo