Fantasmi di #Expo2015. Un libretto e una camminata li dirotteranno!

Genomi Giap

[Pubblichiamo qui sotto l’introduzione, scritta da Wu Ming 2, per la raccolta GENomi antiFUFFA, frutto di un laboratorio di narrazioni collettive, prodotto da Re:Common, che ha coinvolto circa 20 persone, da marzo a ottobre 2015. Il libretto verrà presentato a Milano, il 1° novembre, in concomitanza con un rituale apotropaico. Info, notizie e spiegazioni subito dopo il testo.]

Sono passati cinque anni da quando Milano ha presentato il dossier ufficiale per Expo 2015 al Bureau International des Exposition. Da allora, molto si è scritto per denunciare gli errori, le contraddizioni, i bluff e i disastri del Grande Evento Nutriente. Poi, con un tempismo catastrofico, la più vasta rete di soggetti critici e attivi contro l’esposizione, è entrata in crisi proprio nel giorno della cerimonia inaugurale. Tuttavia, anche tenendo conto di questa défaillance, l’ondata di entusiasmo che ha accompagnato gli ultimi due mesi della manifestazione sembra dar ragione a Gabriel Tarde, quando scriveva che «la società è imitazione e l’imitazione è una forma di sonnambulismo». Expo s.p.a. aveva puntato su venti milioni di visitatori paganti, duecentoventimila al giorno, ma sono bastate le foto di qualche sabato da tutto esaurito, per diffondere quintali di ottimismo, e soprattutto, per trasmettere l’idea che quello di Milano fosse un evento da non perdere, uno di quegli appuntamenti che “ci devi andare”, a prescindere dal contenuto, fosse anche solo per fare sette ore di coda.
Di fronte a un meccanismo del genere, il dubbio è la vittima sacrificale che santifica la festa. Se prima il dissenso erano gufate, oggi è la rosica dell’invidia. Expo è bellissima, come la stazione di Calatrava, e poiché ci hanno insegnato che la bellezza ci salverà, ogni valutazione su costi e benefici è superflua, dinnanzi al Verbo.

I numeri del successo provengono in coro unanime dagli stessi soggetti che hanno speso ogni energia per convincerci che l’Evento era una grande opportunità: per costoro, statistica e marketing coincidono, non possono certo perdere la faccia, e i loro dati sono credibili quanto i milioni di copie strillate in copertina sui libri da autogrill. “Dieci miliardi di valore aggiunto per il Sistema Paese, due virgola tre per la sola Lombardia, riflessi mondiali sul Made in Italy”. Nessuno sembra interessato a dati più neutrali. Così come pare normale che solo a poche settimane dalla chiusura del baraccone, si cominci a immaginare un futuro per il suo cemento, per l’Albero della Vita, per il Padiglione Italia – costo finale 53 milioni di euro, il doppio del previsto. Una sola cosa pare certa: metà della superficie sarà adibita ad area verde. Perché ormai nemmeno il Gran Visir del Calcestruzzo progetta le sue colate senza promettere un parco, una pista ciclabile, qualche panchina e un bel percorso di urbanistica partecipata.

Per uno strano paradosso, la rimozione dei dubbi è tanto più rapida quanto più la critica era precisa. Le infiltrazioni mafiose documentate? Sì, certo, ma è acqua passata, e il risultato finale è comunque entusiasmante. Come dire: purtroppo ci sono state, ma a prescindere da quello, l’evento è riuscito, ce l’abbiamo fatta, colpo di reni italico e arte di arrangiarsi. E così via per ogni centimetro di galleria degli orrori: contratti di lavoro, consumo di suolo, sperpero di denaro. Tutti effetti collaterali, inciampi di un percorso glorioso. Contingenze.

In maniera non dissimile, c’è chi difende il fascismo sostenendo che il regime, se non avesse fatto la guerra e le leggi razziali, sarebbe passato alla storia per la bonifica dell’agro pontino. Il punto, come ha scritto qualcuno, è che il fascismo, se non avesse fatto la guerra e le leggi razziali, non sarebbe stato il fascismo. E se avesse fatto solo la bonifica pontina, beh, sarebbe stato un consorzio di bonifica e non una dittatura.

Gli autori dei racconti che state per leggere si sono trovati a riflettere su questi nodi qualche mese prima dell’inaugurazione, giudicando indispensabili le critiche puntuali su come l’evento veniva costruito giorno per giorno. Se il recipiente è ammuffito prima ancora di riempirlo, qualunque contenuto è destinato a marcire. Non per questo bisogna trascurare l’analisi del contenuto stesso. Infatti, mentre i cantieri a un certo punto chiudono, i contratti di lavoro scadono e il denaro viene speso, i simboli e le favole che il Grande Evento inocula rimangono vivi. Certo: il debito e il cemento lasciano eredità pesantissime, fantasmi voraci, ma li lasciano in quanto morti. L’infezione dell’immaginario, invece, rimane pericolosa se i batteri che la diffondono sono attivi, se non incontrano anticorpi.

Ci siamo chiesti quali fossero i principali temi delle narrazioni di Expo, le questioni più generali, le morali della favola, gli archetipi al di là dei nomi propri, dei luoghi geografici, dei personaggi sulla scena. Quali tossine di quella narrazione rimarrebbero indigeste, anche in un mondo alla rovescia, dove il contenitore Expo fosse pulito, economico e in materiali riciclabili.

Abbiamo chiamato questi elementi expoemi, per analogia con i mitologemi, materiali mitici che vengono continuamente plasmati, rivisitati e riorganizzati. Sono mitologemi il diluvio, lo scontro con una fiera selvaggia, l’astuto che si finge sciocco, lo straniero che arriva in città, l’evento casuale che trasforma in eroe l’uomo comune, il viaggio agli inferi…
Expoemi sono dunque le radici dalle quali gemmano le narrazioni di Expo, a prescindere dal loro aspetto finale, dalle singole cifre, da Milano e dal governo Renzi. A prescindere pure dal nome Expo: chiamiamolo GEN – Grande Evento Nutriente, chiamiamolo F.U.F.F.A., Fiera Universale del Fashion Food e dell’Agrobusiness.

Togli a Expo tutti questi elementi e rimarranno comunque alcuni discorsi, alcune storie. Togli a quelle storie i dettagli – le pannocchie o i pomodori, la TEEM o la Pedemontana – e avrai ottenuto gli expoemi.
Trovati gli expoemi, si tratta di capire come utilizzarli.
Fare un elenco può essere interessante, ma c’è la stessa differenza che passa tra “l’evento casuale che trasforma l’uomo comune in eroe” e le storie di Artù o Kung Fu Panda.
Il posto di un mitologema è dentro una storia: senza quella intorno, le sue parole si raffreddano.
Per questo, abbiamo deciso di costruire, con alcuni expoemi, cinque storie alternative, cinque favole che Expo non vi ha raccontato, cinque contronarrazioni per riattivare il dubbio.
Le abbiamo scritte a piccoli gruppi, collettivamente, perché pensiamo che anche il modo di produrre una storia faccia parte dell’altrimenti che si vuol raccontare, desiderare e infine costruire.

Buona lettura e buoni dubbi.

***

GENomi antiFUFFA verrà presentato, insieme agli autori, al Raduno Nazionale di Genuino Clandestino, presso l’Arco della Pace di Piazza Sempione, a Milano, nel primo giorno senza Expo, il 1° novembre 2015, alle ore 16.
In quello stesso giorno si terrà una camminata per proteggere la città dai fantasmi di Expo, scatenati dalla concomitanza di Halloween con la fine del Grande Evento Nutriente, e alimentati fino a scoppiare da mesi di pattume spazzato sotto il tappeto e di lustrini-camouflage a reti unificate.
Anche gli expottimisti più incalliti sanno che c’è da preoccuparsi, ora che la bolla scoppia, non c’è più niente da fotografare, e il carrozzone va smontato, riutilizzato e giustificato.
Noi gufi, noi rosiconi, che comunque non ci auguriamo il trionfo di quei fantasmi, abbiamo capito che per dirottarli serve una rogazione laica, una benandanza cittadina, uno charivari al contrario, un’amburbale senza sacrifici di tori, pecore e porci.
Cammineremo da Piazza Duomo fino all’ingresso Expo di Cascina Merlata. Al ritorno, su un tracciato diverso, sosteremo all’Arco della Pace, per la presentazione del libretto.
Evocheremo la storia di Milano, dai torturati di Villa Triste alle lotte operaie del Portello, dalla macerie sepolte sotto Monte Stella alle carpe del Lago dei Tigli, sepolte sotto uno svincolo stradale. Attraverseremo il cimitero Maggiore e visiteremo il Parco Pertini al Gallaratese, salvato dagli scavi della Via d’Acqua. Esploreremo il condominio Monte Amiata, residuo di un’architettura che ancora si proponeva di migliorare la vita degli abitanti.
Come vittima sacrificale, durante tutto il giro, ci porteremo in spalla un mattone, che poi spaccheremo all’arrivo, a Parco Sempione, sede dell’esposizione milanese del 1906.
Se tutto andrà bene, i fantasmi di Expo eviteranno la città e colpiranno i promotori di FICO, la Disneyland del cibo che doveva partire a Bologna, subito dopo il Grande Evento, e invece è già slittata al 2017. Se tutto va bene, dovremmo riuscire a farla slittare agli inferi.
La marcia ghostbuster sarà un rito informale: ci si trova alle 8 del 1° novembre, in piazza Duomo, sotto Vittorio Emanuele a cavallo e si torna, dopo 23 chilometri, in tempo per la presentazione di GENomi antiFUFFA. Chi vuole, può anche unirsi lungo il percorso e abbandonarlo a piacere.
Fantasmi di Expo è un’appendice del Sentiero Luminoso da Bologna a Milano, che WM2 ha percorso nel marzo di quest’anno, e dunque si carica di tutte le energie, positive e negative, raccolte lungo quel cammino.

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24 commenti su “Fantasmi di #Expo2015. Un libretto e una camminata li dirotteranno!

  1. Mi trovo in parte d’accordo e in parte no.
    Io ho visitato l’expo e ho visto nell’expo tante belle cose.per la cronaca ci sono stato nella seconda settimana.

    L’incontro di popoli è sempre bello e pieno di fascino, ti prende la speranza è la voglia di lottare per un mondo migliore.

    l’expo è pieno di lati negativI, di cui avete ampiamente discusso e che condivido in pieno. Ciò che non condivido e l’idea che alcune cose non valga la pena farle.

    Io sono dell’opinione che dobbiamo lottare per imparare a fare le grandi opere. Dove la parola “trasparenza” deve essere vista come il principale obiettivo. imparare dagli errori senza bendarci gli occhi e impegnarsi a fare meglio.

  2. “L’incontro di popoli è sempre bello e pieno di fascino, ti prende la speranza è la voglia di lottare per un mondo migliore.”

    Magari però un incontro di popoli vero, invece che una mega-adunata di catene commerciali, multinazionali che impoveriscono il mondo che dicono di “nutrire”, imprenditoria del finto “tipico”, artisti mercenari… Un incontro non preconfezionato, un incontro come quelli che avvengono fuori da lì tutti i giorni… Un incontro senza una cornice del genere, e senza tutti gli sperperi, la devastazione e i crimini che c’erano a monte… Ecco, quello sì farebbe venire la voglia di lottare per un mondo migliore. A me prende la speranza quando vedo le lotte per la casa o le lotte nella logistica portate avanti insieme da italiani/e da migranti provenienti da ogni dove. E mi diverto di più alla festa interetnica del rione Cirenaica. Anche dalle tue parti, in Veneto, è pieno di associazioni che fanno cose con i migranti, è pieno di rassegne e festival… Non c’è bisogno di Expo2015 per avere un incontro di popoli. C’è bisogno di Expo2015 per avere un incontro di popoli mercificato e farlocco, questo sì.

    • Abbiamo detto la stessa cosa…
      oggi io ho dimenticato i popoli, ho perso la speranza. E anche se expo è farlocco a me prende la voglia di un qualcosa di vero.

      Oggi abbiamo, oppure ho, perso la voglia di un mondo migliore. Expo in me ha fatto venire questa voglia.

      Senza sogni non ci possono essere lotte.

      • Ehm, no, non abbiamo detto la stessa cosa. Dai tuoi commenti non si capisce se Expo ti ha fatto venire voglia di un mondo migliore perché hai visto lo squallore intrinseco a un simile evento (essendo farlocco fa venir voglia di qualcosa di vero), o se hai visto in Expo un esempio di mondo migliore (“cose bellissime”, “incontro di popoli”, “speranza”)… Se è la seconda, e mi pare sia quella, abbiamo detto cose ben diverse.

        • Ok forse mi sono espresso male… ma potenzialmente expo potrebbe essere qualcosa di bellissimo.

          Io condivido tutte le analisi negative. Expo oggi è farlocco e pieno di imbrogli.

          Ma nei miei occhi da ragazzo qualunque,ho bisogno di una meta, di pensare a cosa voglio. Purtroppo non per me, ma al massimo per i miei figli Ho voglia di un mondo migliore, dove i popoli si incontrano e fanno una vera festa.

          Oggi i giovani sono tutti passivi. Anche io. E ci serve uno stimolo, qualcosa che ci ispiri a lottare o semplicemente a volere un mondo che non sia fatto di falsità e ipocrisia.

        • Ma non capisco perché spendere dei soldi e andare a fare la fila per vedere qualcosa di farlocco allo scopo di rimpiangere qualcosa di vero. Soprattutto se ti dici d’accordo sugli aspetti negativi del baraccone, che non sono roba da poco. Se ti serve uno stimolo, di situazioni che possono dartene di seri e importanti ce ne sono, non c’è alcun bisogno di Expo.

          • Di base sono curioso. E ho voglia di tastare con le mie mani.

            E accetto suggerimenti per cose interessanti e positive. Non i vostri libri perché li leggo già. Ora ho sotto mano il tuo ultimo libro (con tanto di dedica, firmata a Castelfranco). Mi piace molto, come tutti i vostri lavori del resto , sono ben fatti.

            Non voglio creare polemica ho solo voluto esprimere un mio pensiero personale.

            • Lo so che non volevi fare polemica, è stata la frase “ho visitato l’expo e ho visto nell’expo tante belle cose […] L’incontro di popoli è sempre bello e pieno di fascino, ti prende la speranza è la voglia di lottare per un mondo migliore” a incuriosirmi e farmi intervenire, per dirti che secondo me l’incontro di popoli avviene altrove, e se l’Expo rinnova la mia voglia di lottare per un mondo migliore, è perché lo vedo come un esempio di mondo peggiore.

  3. Approfitto dello spazio, e soprattutto del fatto che ci sono molti lettori, per un paio di numeri sul “successo” dell’Expo che ha fatto parlare al presidente Mattarella di “metodo Expo”. Dopo una dichiarazione di Giuseppe Sala, i media mainstream hanno parlato di “20 milioni di visitatori” – ad esempio, il Corriere della sera, qui . Falso: Sala ha parlato di “biglietti emessi”. L’ex contabile e cassiere che è in me sa bene la differenza: quando hai uno spettacolo in carico, vai alla SIAE e compri i blocchetti dei biglietti (paghi un tot di acconto per evitare che po scappi con la cassa, a fine spettacolo fai la somma algebrica fra quello che devi e quello che ti hanno già prelevato). Quelli sono i “biglietti emessi”: i blocchetti numerati, nella cui somma sono compresi sia quelli già sbigliettati, sia quelli che hai ancora intatti nel cassetto e che restituirai intonsi. E chiunque abbia un minimo di pratica sa che di biglietti ne devi prendere sempre in eccesso, perché se ti finiscono a evento in corso non puoi acquisirne altri just in time, tantomeno puoi emettere titoli sostitutivi. Quindi 20 milioni non è neanche l’obiettivo massimo, ma il migliore dei mondi possibili, che fa da orizzonte irraggiungibile rispetto a quelli che è realistico pensare che venderai: cioè meno di 20 milioni.
    Che, dice l’informazione mainstream, e anche il cantore del “metodo Expo”, sono comunque un botto: no, sono quasi il 20% in meno rispetto a quelli che servivano per fare pari e patta con i conti di apertura Expo (che s’è poi scoperto erano sottostimati, per cui il pareggio di bilancio sarebbe ancora più in alto). E quella cifra, l’asticella del pareggio, quella per cui non ci rimetti, ma a condizione di pagarti di tasca tua persino il camparino al bar per festeggiare la fine dell’impresa, era di 24 milioni, parole di Giuseppe Sala. Tradotto: dopo aver scoperto che i conti sono più alti del previsto, non ci hanno neanche provato a procurarsi i biglietti necessari per pareggiare. Erano tanto sicuri di non farcela, da aver ritenuto che non conveniva rimetterci gli interessi bancari sull’anticipo dei diritti SIAE (l’anticipo SIAE è capitale immobilizzato che ti viene reso senza interessi).

  4. Salve a tutti.
    Che l’Expo *non* sia quel successo mediatizzato in ogni dove è abbastanza evidente e qualche volta emerge anche nelle dichiarazioni degli ultras delle grandi opere à la Severgnini. Da qualche tempo va di moda accusare Roma di ogni nefandezza nazionale, ma per riuscire ad aprire in tempo la manifestazione evitando che si rubassero anche i posacenere hanno dovuto piazzare un “commissario unico” che di fatto sta gestendo tutte le finanze milanesi che in qualche modo entrano a che fare con l’Expo (cioè da qualche anno tutti i soldi pubblici che transitano per Milano). Poi c’è il discorso sui biglietti che ricordava giustamente Girolamo: 20 milioni di biglietti *emessi* costituivano la soglia minima da raggiungere, e in genere queste soglie minime sono pubblicizzate esattamente per essere raggiunte senza problemi, senza contare appunto la differenza tra l’emissione di biglietti e i visitatori effettivi.
    A luglio, per cogliere in prima persona il gap tra narrazione mediatica e realtà dei fatti mi sono fatto un giro all’Expo, da cui ci ho tratto un raccontino uscito sul Manifesto.
    Era un sabato ma l’ingresso era (guarda un pò) vuoto, poca gente in giro e nessuna coda. Eppure era un sabato estivo, uno di quei giorni di punta che a sentire i media neanche a Rimini a ferragosto.
    Che poi il problema non è tanto la quantità di gente che ha effettivamente visto la manifestazione. I padiglioni sono, francamente, delle vetrine turistiche appaltate alle multinazionali del settore alimentare e/o turistico; molti padiglioni sono direttamente gestiti dagli enti dei turismo dei vari paesi; inoltre, il prezzo medio del cibo è decisamente fuori portata (come il biglietto d’ingresso, peraltro). Una festa per ricchi insomma, inutile stare a parlare di incontro tra popoli perchè l’unico “popolo” effettivamente visibile è composto da quella massa di lavoratori sottopagati o direttamente non retribuiti attraverso cui il carrozzone Expo ha potuto abbattere una parte dei costi.
    Detto questo, da qualche tempo vedo un limite nella battaglia politica al concetto di “grande opera”. Un conto è la lotta a “l’ideologia delle grandi opere”, portata giustamente avanti da Wu Ming e benissimo articolata nell’ultimo numero di Letteraria. Un conto è porsi per principio contro qualsiasi opera pubblica di impatto rilevante. Voglio dire, tutta una parte di modernità che oggi diamo per scontata è il frutto di qualche “grande opera” costruita nei decenni o secoli passati. Dalle ferrovie agli aeroporti, dai porti alle autostrade, dall’elettrificazione alle attività estrattive, stiamo parlando di opere altamente invasive e per certi versi lesive delle comunità che ne venivano toccate più o meno direttamente, ma questo non oscurava il generale progresso che tali opere portavano con sè (poi possiamo ragionare della sostanza di questo “progresso”, ma è inevitabile ammettere che una parte dello sviluppo economico ci ha semplificato e migliorato la vita). Anche oggi, forse, la questione è capire cosa sono le grandi opere, quali quelle necessarie e quali invece quelle inutili, e soprattutto il come vengono costruite, da chi, con quali soldi, con quale fine sociale. Il problema non è la “grande opera”, ma l’ideologia della grande opera, cioè la forma neoliberista che questa ha assunto in deroga ad ogni diritto economico e/o sociale delle popolazioni residenti e lavoranti. Non so se sono ovvietà ma secondo me è una differenza che l’opinione pubblica fatica a percepire, certo ostacolata da un racconto mediatico volto al boicottaggio di ogni ragionamento alternativo, ma che pure dobbiamo porci se vogliamo veicolare il messaggio.

    • *piccola nota,
      il cibo da strada presente in varie zone era venduto al prezzo dei cibi da strada che su trova in qualsiasi altra fiera. Più che altro la fascia dei prezzi del cibo era molto estesa, se ti fermavi a mangiare in preda ai morsi dalla fame non sai cosa poteva capitarti sotto mano. Ma curiosando Sì potevano trovare buoni prezzi. Io mangiai tante sfiziosita’ provenienti dall’Africa. Poi mangiai giapponese nel ristorante subito aver visto il loro padiglione (vittima del loro marketing), spesi venti euro per qualcosa di davvero buono. E poi in serata mangiai il “cuoppo” il fritto misto napoletano.

      In realtà mangiai anche un cannolo siciliano… ma quello non rientra nel giro che feci. Mi ero volutamente perso perché la mia ragazza non voleva più che mangiassi “schifezze” in giro.

      Insomma se si vuole fare i giornalisti… la verità bisogna dirla tutta.

      • Premesso che per argomentare non occorre insultare, faccio notare che il problema del costo del cibo è stato rilevato anche dal Corriere della Sera, cioè il più grande sponsor di Expo che ha addirittura un presidio permanente alla manifestazione: http://milano.corriere.it/notizie/cronaca/15_maggio_04/giungla-prezzi-tavola-expo-menu-fregature-5-90-euro-a68bfb6e-f22b-11e4-88c6-c1035416d2ba.shtml
        Per di più, nell’articolo si consigliano alcuni posti “per non farsi fregare” (ammettendo dunque implicitamente che la fregatura è dietro l’angolo e non a caso il ristorante più frequentato è McDonalds), dove vengono spacciate per occasioni: “panini a 5 euro”, un “piatto di quinoa a 10 euro”; “un insalta di wurstel a 9,5 euro”. Prezzi leggermente fuori mercato, e dopo aver pagato 34 euro di ingresso.
        Qui la questione non è tanto che il cibo è di ottima qualità. Effettivamente, la qualità del cibo mi è sembrata elevatissima, ma è proprio qui il problema: se vuoi “mangiare bene”, te lo devi poter permettere economicamente. Per chi non se lo può permettere, c’è il cibo spazzatura. E mangiare bene non significa caviale e fois grais per colazione mentre al popolo vengono riservati cibi “semplici”. Significa che il cibo basilare (pasta, riso, cereali e legumi, latte, carne, eccetera), cioè proprio quel cibo “semplice” destinato all’alimentazione quotidiana, se lo vuoi di qualità (non alterato chimicamente, non Ogm, non invaso da pesticidi o antibiotici cancerogeni, eccetera) lo devi pagare caro. Ecco il messaggio di Expo ai popoli del mondo.

      • Premessa:
        Mi capita di andare a fiere o feste e l’ingresso da diritto semplicemente all’ingresso, questo accade alla fiera del libro come alla fiera del paese. Perché all’expo avrebbe dovuto essere diverso?

        I prezzi del cibo.
        Vicino caso ho un Mc Donalds, un ristorante stellato e tante piccole varianti in mezzo. Non vado mai agli estremi, ma cerco sempre un buon rapporto prezzo qualità. Perché all’expo avrebbe dovuto essere diverso dal mondo reale?
        Dire che l’expo è caro è una offesa verso chi offriva prezzi bassi e verso chi offriva una qualità alta al giusto prezzo. Se vicino casa il ristorante Feva (vivo a Castelfranco può essere che ne esistano altri con lo stesso nome) offre un menù che si aggira intorno ai 90 euro a persona non è detto che a prescindere sia caro. Può essere che ne valga la pena. Io sono un tipo da trattoria, ma non penso possa interessare.

        Quello che voglio dire.
        L’expo si rivolge verso un target eterogeneo di persone, quelli come me e quelli che vanno ai ristoranti come il Feva. Quindi nel principio democratico se una persona ha voglia di spendere molto al cibo perché non dovrebbe farlo?

        Era offerta una varietà di prezzo?
        I padiglioni africani offrivano menù a 10 euro e sfiziosita’ a 4, come anche altri. Io ad esempio amo il giapponese, ho trovato un banchetto con sushi a 8 euro (saltato), ma ho ceduto al ristorante giapponese all’interno dello stesso padiglione (con un piatto a 20 euro), prezzo medio-alto come da qualsiasi menù a la cart giapponese a Milano, ma il piatto era molto buono. Sono venuto anche a conoscenza tramite i media di un piccolo ristorante da 20 posti con prezzi altissimi. Da un ristorante con soli 20 posti a sedere (solo su prenotazione) cosa ci si aspetta?

        All’expo era possibile mangiare bene, provare cibi che difficilmente si avrà mai la possibilità di assaggiare e si aveva anche la possibilità di spendere quando si voleva. Il consumatore era solo pregato di accertarsi di cosa aveva davanti, un po’ come accade in una località turistica.

        L’expo ha tanti aspetti negativi che parlare male a prescindere di tutto mi pare scorretto.

        Andando al bar si sente parlare male dell’expo, ma se chiedi: – Sei stato all’expo? – ti rispondono di no. Chi è andato ha un’idea completamente diversa da chi non c’è stato, questo forse è anche colpa di chi fa informazione.

        L’expo prima di iniziare era gestito dai politici: hanno fatto un pessimo lavoro, non un problema dell’expo ma un problema di metodo. Se cambiano un tombino sotto casa il costo viene pompato come è stato per costruire l’expo. Questo è il marciume che deve cambiare e lo si può fare dalle grandi opere. Si deve trovare un metodo trasparente per fare i lavori pubblici. Dove chi spende più del dovuto: perde il posto di lavoro, come minimo, e vada in carcere se implicato in associazioni mafiose.

        L’expo durante è stato gestito da vari paesi e varie aziende che secondo me non hanno fatto un brutto lavoro. I padiglioni all’interno erano belli e solo pochi erano deludenti. Un sette e mezzo: per me.

        Ora ci sarà il post expo e tutto tornerà in mano ai politici… bisogna evitare che facciano lo stesso schifo del pre.

        Però bisogna fare Buona informazione, se è discutibile vendere un prodotto per come il cliente lo vuole, non lo è per l’informazione.

        • Ragazzi, sinceramente a me di come e cosa si mangiava all’Expo non me ne frega un cazzo. Non è questione di “diritti dei consumatori”. I problemi sono la montagna di lavoro precario, sprechi, devastazioni e propaganda di regime su cui il Grande Evento è stato allestito, la falsità dei contenuti veicolati (“Nutrire il pianeta” con McDonald’s e compagnia brutta), il modello allucinante che presto verrà riproposto a Bologna con Fico, la voragine di debito pubblico che l’Expo lascia in eredità a tutti noi e, non ultima, la convinzione diffusa, prodotta da un bombardamento mediatico incessante, che Expo sia andato bene e sia stato una buna cosa. Chi si beve il “grande successo” di Expo può bersi qualunque cosa, anche il piscio di Farinetti aromatizzato al bergamotto sfusato di Poggio Renatico. I nodi verranno tutti al pettine, come per le olimpiadi di Torino nel 2006, delle quali non si poteva parlare male (“il no non è più popolare e glamour”) poi si è visto che hanno lasciato rovine. Rovine per le quali paghiamo tutti.

          • Ok … la smetto. Ma ti giuro che ho riso da Matti leggendo il commento.
            E non so sei arrivato alla fine (ti do del tu, perdonami) del mio commento, ma segnalo il problema del post expo… che mi preoccupa parecchio. Sarà un nuovo magna magna.

            • Non “sarà”: lo è sempre stato, dall’inizio, incessantemente, in ogni minuto di questa pagliacciata, e continua a esserlo, perché è stato concepito per esserlo, doveva essere solo un magna magna, le altre finalità erano puramente di facciata, accessorie e strumentali. E non è un magna magna solo per colpa dei politici. I politici sono i servi delle grandi aziende che hanno avuto appalti e subappalti, e delle multinazionali che in quella cornice hanno celebrato il proprio dominio sulle nostre vite.

  5. […] E’ online su Giap l’introduzione, scritta da Wu Ming 2, per la raccolta GENomi antiFUFFA, frutto di un laboratorio di narrazioni collettive, prodotto da Re:Common, che ha coinvolto circa 20 persone, da marzo a ottobre 2015. Il libretto verrà presentato a Milano, il 1° novembre, in concomitanza con un rituale apotropaico. Info, notizie e spiegazioni subito dopo il testo. […]

  6. Beh, si, però se ad una manifestazione convocata sul tema del diritto al cibo (sottointeso: per la popolazione povera, chè quella ricca accede da sè ad ogni diritto) questo diritto viene negato in partenza tramite una selezione di classe, questa cosa riguarda in qualche modo i più generali “diritti dei lavoratori”. E se questo “diritto al cibo”, questo “nutriamo il pianeta”, è appaltato alle aziende private e alle multinazionali del comparto alimentare nonchè al buisness dell’economia presuntamente ecosolidale, l’approccio neoliberista della privatizzazione dei diritti è la conseguenza diretta. E questo fa il paio con il farinettismo, che infatti è la declinazione locale di questa ideologia privatizzante ed escludente. Vabbè mi fermo qui perchè ho la sensazione che stiamo dicendo la stessa cosa presa da due punti differenti. Anche perchè il tema vero è la narrazione velenosa che parte dal sillogismo: “finchè l’organizzazione era in mano alle istituzioni pubbliche, c’era corruzione, sprechi e malaffare; da quando è stata consegnata ai privati, è stata un successo di pubblico e di efficienza”. Ecco, non solo non è stato quel successo raccontato (per dire, se fossero veri i 21 milioni di visitatori, calcolando 7 milioni di stranieri che dicono i giornali, significherebbe che un italiano su 4 – ultranovantenni e bimbi in fasce compresi – è stato a Expo: ma stiamo scherzando?), ma il messaggio per cui l’economia alimentare dev’essere appaltata al privato per superare le diseguaglianze è un ribaltamento ideologico (cioè non basato su alcun dato di fatto) della realtà. E’ proprio la gestione privata del comparto alimentare che blocca sul nascere ogni possibile indipendenza alimentare delle popolazioni povere.

  7. Alcune considerazioni su punti emersi nei commenti. Avevo già provato a postare ma non ha funzionato, ne approfitto x spiegarmi meglio.
    1) il successo di expo. Intendiamoci. Il successo di expo non è quello dei numeri o del raggiungimento del break-even etc. Quei dati li hanno costruiti loro, amministrati loro e infine presentati loro su i power point del trionfo. È scontato che siano capaci di farlo. Non escludo che i 21 milioni siano veri. Se conti i milanesi che ci sono andati più volte a fare l’ape con ingresso a 5 euro sono cifre possibili. Non dedicherei tante energie a confutarli, per quanto dirò tra un momento.
    Il successo di expo è stata la sua capacità di mettere in ombra tutte le critiche/criticità che erano emerse a ridosso dell inizio e nel primo periodo. Da quelle sul lavoro, sulle infiltrazioni malavitose negli appalti, debito pubblico etc.
    Io non so in che bar vada wfm83, in quelli in cui vado io si parla sempre bene di expo. Anche se poi si dice che c’è chi ci mangia sopra etc, ma va bene lo stesso. Bello. Anche la zia c’è andata, sai che nel padiglione biodiversita ha preso una bustina di semi? E alla coop l’assaggio di mortadella. Anche lo scivolo della Germania è emozionante a Expo. Uno scivolo!
    Il successo di expo è stato nel ricostruire attorno a sé una narrazione così solida e coesa da far scivolar via tutto il male. Una narrazione shitproof, per così dire.

    2) le GO e i G Eventi costruiscono il loro successo. Il successo fa parte delle premesse. La TAV è un successo – facile facile: hanno cancellato gli altri treni. Per Expo è in po’ diverso, uno a Expo poteva anche non andarci. Ma poi alla fine c’è andato. I bambini con la scuola, i sindacati in direttivo, il gruppo vacanze Piemonte in gita. I buoni di expo con i convegni buonisti alla cascina Triulza. Tante cose convergono, e fanno di expo un successo. Anche se i numeri dicessero di no, è quel tipo di successo che si costruisce con una narrazione subdola e penetrante e pervasiva. In quel successo ci sono cose più grosse in ballo dei numeri. Tipo l’ orgoglio di essere italiani che ho sentito dichiarare oggi proprio a expo. Rinazionalizzazione delle masse in corso. La nostra critica deve essere su questo livello, non (solo) ragioneristica.
    3) è chiaro che l’approccio giusto è quindi quello tentato dal libretto. Certo: dobbiamo trovare le falle nella loro storia, nei loro biglietti e nelle loro cifre gonfiate. Ma quella rimane la loro storia, la storia della competitività dei e tra i territori che si incarna, qui e ora, in expo, e del nazionalismo soft di cui sopra.
    Dunque il punto è -mi ripeto – raccontare le vicende del nostro presente in modo del tutto autonomo, e non sperando che quelli, pur avendo tutti i media, i soldi, il potere politico dalla loro parte facciano degli sbagli.
    4) la vicenda expo è la forse ormai inutile dimostrazione che il mondo politico e i poteri economici vivono una luna di miele e si dotano una narrazione autosufficiente e potentissima. Un evento potentemente politico come expo si presenta come operazione economico-commerciale, e quindi ha il diritto sacrosanto di pagarsi (di farci pagare) i suoi intellettuali e propagandisti/pubblicitare. Questi però fanno politica, e negano di farla. Insomma il paradigma berlusconiani del partito azienda diventa, con expo, quello dello stato-azienda.
    Da questa confusione anche le rivendicazioni del buoni di expo: vogliamo voce dentro expo. Come se expo fosse un’istituzione. Però expo in effetti è anche istituzione. Insomma, sono passaggi grossi nelle forme di governo e disciplinamento della società. A fronte di questi, che i milioni di visitatori siano stati 21 o 19 cosa cambia?
    Cmq bisognerà tornarci sopra. Il libretto è una feconda occasione

    • Non sarei così frettoloso nel mettere da parte i numeri( mi riferisco in particolare a quelli del commento di Girolamo).
      Un’Obiezione tipica in cui uno si puo’imbattere quando cerca di parlare di grandi eventi in generale è quella del tipo ” ma hanno fatto pari,no!?? e allora non rompere i coglioni”.
      Il rispondere a quest’obiezione con altri numeri, con i quali si dimostra invece che non si sono nemmeno avvicinati alla soglia del pareggio, puo’aprire le porte a tutti gli altri contenuti sacrosanti di cui nel tuo commento

      • Ok e se il pareggio invece l’hanno fatto? Vengono forse meno le ragioni della critica? Viene forse meno il cripto-corporativismo della “competitività territoriale”, laddove devi lasciarti sfruttare perché altrimenti il tuo padrone, e il tuo e suo territorio ci “rimettono”? E il cripto-fascismo dell’ ideologia turistica, dove ci vogliono ordine, disciplina e manganello perché i turisti non siano disturbati dal conflitto sociale nella città-disneyland? In questo senso dico: la critica sociale non è revisione contabile. Poi se abbiamo l’energia di fare anche quella, grasso che cola…

        • @ wolfbukowski
          La critica sociale non è revisione contabile, non ci piove: ma altrettanto vero è che un po’ di sana critica dell’economia politica, dei suoi feticci e delle sue fantasmagorie non è mera acribia contabile. Fare la punta ai numeri non è un’alternativa alla destrutturazione della narrazione-Expo, perché a sua volta significa:
          1. mettere in discussione la narrazione (cito dal testo di WM2) che fa collassare l’una sull’altra statistica e marketing, e spaccia i numero come feticci di un’oggettività a priori, invece che come dati che diventano fatti se e solo se vengono interpretati;
          2. posto che il pareggio non l’hanno fatto – persino i Tiggi nazionali sono costretti ad ammettere uno sbilancio fra i 1.300 mln di costi e i 500 mln di entrate –, esiste un uso politico della crisi, che comporta una narrazione della crisi come necessaria e/o inevitabile, e financo salvifica, che in questi anni ha funzionato in modo potente come dispositivo disciplinante, e che va anch’essa smontata ;
          3. sottolineare che anche la contabilità è una narrazione, perché non è un fatto neutro né neutrale spostare fondi da una colonna (scuola, casa, servizi e ammortizzatori sociali) all’altra (poniamo difesa & armamenti, rendita finanziaria, ecc.). Se Expo è andato sotto il pareggio di bilancio, è una battaglia politica capire come e di quanto, per capire quali rendite sono state favorite, e dove quei soldi sono stati tagliati.
          Poi, com’è giusto che sia, che ognuno faccia il tipo di critica che gli riesce meglio, l’importante è riconnettere tutti i pezzi.

  8. con un pò di ritardo rispetto alla discussione, visto che si è un pò parlato di conti, ho appena letto quest’articolo (preso da infoaut) che presenta alcuni conti di Expo
    http://www.infoaut.org/index.php/blog/italian-connection/item/16175-discorsi-renziani-finti-ottimismi-e-menzogne-sull-expo