Human Pass. Torna il Wu Ming Lab di scrittura collettiva all’Università di Bologna.

A febbraio 2022 parte la 9ª edizione del laboratorio di scrittura collettiva meticcia, condotto da Wu Ming 2, in collaborazione con Eks&Tra e con il Dipartimento di Italianistica dell’Università di Bologna.

Il laboratorio è gratuito e le iscrizioni chiudono il 30 gennaio. Per partecipare non è necessario essere studenti, basta seguire le istruzioni indicate qui o scrivere ai contatti presenti sulla pagina. I posti ancora disponibili sono pochi, quindi meglio affrettarsi.

Il percorso si articola in 10 incontri, da febbraio a maggio, che si terranno il lunedì, dalle 15 alle 19, nell’aula Pascoli di via Zamboni, 32. Il calendario esatto è qui.

La ricetta, con qualche ritocco, è quella messa a punto in questi anni: piccoli gruppi di 4/5 persone elaborano un testo narrativo a partire da uno spunto comune. La scrittura collettiva viene stimolata con esercizi, riflessioni teoriche, esperimenti e revisioni. Wu Ming 2 ne parla più in dettaglio in due interviste, pubblicate da Tracce Migranti: qui e qui.

L’obiettivo, oltre alla stesura del racconto, è quello di usare il linguaggio narrativo per esplorare un tema. Questa edizione si intitola: Human Pass. Nuove mobilità e consueti impedimenti. La pagina di presentazione del laboratorio illustra così la nostra scelta:

«La gestione della pandemia da parte dei governi nazionali ha imposto notevoli limitazioni alla libertà di movimento: il confinamento e il distanziamento sociale hanno determinato uno stravolgimento delle abitudini, dell’uso degli spazi sia pubblici sia privati e della loro relazione. Allo stesso tempo, le migrazioni sono continuate, anzi aumentate, ma la politica e l’opinione pubblica le hanno relegate in secondo piano,  troppo impegnate ad occuparsi della salute dei “cittadini” e non di quella dei “clandestini”: salvare le vite con due pesi e due misure. Si tratta di un’evidente messa in atto delle strategie più subdole della “biopolitica” per condizionare l’esistenza degli individui.

Tale discriminazione risulta ancora più evidente nel momento in cui la crisi pandemica sembra superata nei paesi occidentali e si stanno pianificando ripartenze e riaperture: infatti, il dibattito è monopolizzato dalle modalità d’uso del passaporto vaccinale, necessario per i viaggi internazionali e il turismo, il cosiddetto Green Pass; mentre quello in merito alle nuove leggi sull’accoglienza dei migranti sembra quasi inesistente, lasciando la possibilità ai singoli stati di prendere decisioni sempre più restrittive. Ancora una volta, una politica disumana, frutto della guerra di esclusione che la Fortezza Europa sta combattendo, in nome dell’egoismo e del razzismo, porta a sbarrare mari e monti, attraverso i quali per millenni sono transitate popolazioni, idee e culture, in un continuo scambio tra patria e mondo, fissato da testimonianze narrative di esperienze singole o di intere comunità: i corridoi umanitari sono meri proclami e siamo ancora molto lontani da uno “Human Pass” che consenta una vera libertà di movimento globale e un vero sistema di accoglienza.

Gli esercizi narrativi del Laboratorio di scrittura interculturale vogliono perciò rispondere alla necessità di mantenere aperti e attivi quei percorsi di dialogo e di scambio, oltre ogni barriera, e offrirsi come luogo per sperimentare nuove comunità meticce, attraverso lo sviluppo condiviso di storie, racconti, narrazioni, per superare gli stereotipi negativi dell’epopea delle migrazioni, anche interne agli spazi nazionali. Inoltre, non secondaria è la possibilità offerta dal laboratorio di far interagire studenti italiani,  internazionali e richiedenti asilo accolti da Unibo, oltre a un buon numero di persone esterne all’Università, confrontandosi sulle diverse esperienze di studio e di mobilità.»

Al termine del laboratorio, i racconti verranno pubblicati in un e-book, curato dall’associazione Eks&Tra.

I risultati delle passate edizioni sono raccolti in otto antologie: Intrecci (2012), Un passo dopo (2014), Mari & Muri (2015), Dall’altra parte del mare (2017), Aspettano di essere fatti uguali (2018), Porti sbarrati, pagine aperte (2019), Prima gli italiani? (2020) e infine i racconti del 2021, già presenti sul sito di Eks&Tra, ma non ancora raccolti in un unico volume, con un unico titolo.

Capita poi che i gruppi di scrittura nati all’interno del laboratorio proseguano l’esperienza, com’è accaduto al collettivo Joana Karda, oggi formato da quattro donne, autrice dei libri Schischok e Le molte vite di Magdalena Valdez.

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11 commenti su “Human Pass. Torna il Wu Ming Lab di scrittura collettiva all’Università di Bologna.

  1. Desidererei molto ardentemente partecipare, purtroppo Bologna mi rimane un po’ “fuori mano”. Non è che per caso si può partecipare online, magari anche solo seguire?

    Approfitto dello spazio che resta per salutare tutto il Giap. Se non mi leggete è perché quando capisco quel tanto che basta per seguire ma non per commentare, mi dedico al seguire, in silenzio e, quando ho tempo, a colmare lacune leggendo.
    Grazie ai WM per l’articolo sul passante di Bologna e agli strumenti che offrite per sbertucciare questi cazzari, d’altronde, parlando di realtà di movimento fagocitate, siamo tutti bolognesi, anzi io, essendo romano, sono bolognese^1000.

    • Ciao Fabio, il laboratorio è in presenza, perché la scrittura collettiva, per come la conosco e per come la so proporre, nasce dall’incontro fisico, dal condividere lo stesso tavolo, per squadernarci sopra testi e scarabocchi. In questi due anni, ci è toccato trasferire sulle piattaforme on-line diversi incontri, ma sempre tra persone che almeno una volta erano state insieme nella stessa stanza. E anche così, è stato difficilissimo arrivare in fondo “a distanza”. Sperando che quell’epoca triste sia terminata, confidiamo in un laboratorio davvero conviviale.

  2. Gentile Wu Ming 2, è la prima volta che scrivo in questo blog, ma da diversi anni sono lettore sia dei vostri libri che di questo spazio. Avevo aderito alla vostra proposta di laboratorio di scrittura collettiva e inviato la richiesta di partecipazione. Pochi minuti fa mi è giunta la risposta con cui mi si comunica che la mia domanda è stata accolta, ma che per accedere al laboratorio è necessario il green pass. Ora, mi chiedo e chiedo anche a voi il senso di proporre una serie di incontri dal titolo “Human Pass” per ragionare e scrivere di confini imposti e relativi passaporti e intanto richiedere un lasciapassare discriminatorio o tessera di regime per accedervi. Certo ci sono regole, leggi, dpcm, ma mi pareva che – almeno a parole – foste critici verso questo tipo di politica. Saluti

    • Ciao Massimo, la nostra posizione sul Green Pass rimane quella che abbiamo espresso nelle due puntate di “Ostaggi in Assurdistan”. Nella pratica, d’accordo con chi ci invita e chi ci ospita, cerchiamo di costruire iniziative che non escludano nessuno. Ad esempio, in un caso recente, permettendo di fare un tampone rapido all’ingresso, senza bisogno di lasciapassare. D’altra parte, ci rendiamo conto che esistono luoghi dove l’alternativa al Green Pass è la chiusura forzata o la rinuncia a riprendere qualsiasi attività. Avremmo potuto scegliere di disertarli, attendendo tempi migliori, per non incappare in fastidiose contraddizioni. Ma ci sarebbe sembrato tutto sommato molto facile: a differenza di chi lavora solo col teatro, o nella formazione, noi possiamo permetterci di non andare in scena e di non insegnare. Avremmo potuto quindi lavarcene le mani e gettare la croce addosso ai piccoli teatri che chiedono il Green Pass, dopo mesi di chiusura, alle compagnie che fanno spettacoli solo per un pubblico “certificato”, e via discorrendo. Abbiamo preferito farci carico della contraddizione e provare volta per volta a forzare le situazioni. In certi casi ci si riesce, in altri no. In questa circostanza, per il laboratorio all’Università, non abbiamo ottenuto niente di meglio, ed è chiaro che affronteremo la questione con i partecipanti e negli scritti che verranno prodotti. In questo caso è poca cosa, ma cancellare il laboratorio non ci sarebbe sembrato un maggior successo.

  3. Lascio volentieri a voi le contraddizioni. Comunicherò alla segreteria che ritiro la mia iscrizione al laboratorio.
    Preferisco fare un passo indietro perché nella mia lettura delle cose in questa fase il compromesso rafforza un nemico già molto forte e pronto ad approfittare delle nostre debolezze.
    Detto questo credo ci sia comunque sempre lo spazio per scegliere.
    Vi auguro, e auguro anche a me stesso, di prendere parte a nuove iniziative in ambiti diversi da quelli istituzionali e ufficiali in cui sia possibile instaurare relazioni e collaborazioni sane, dirette, umane, aldilà delle etichette e delle imposizioni esterne. Spero che iniziative di questo tipo saranno sempre più diffuse nei prossimi mesi.
    Saluti

    • Sinceramente però io non capisco lo stupore. Come ci saremmo comportati in casi come questo lo abbiamo scritto a chiare lettere nella seconda parte di Ostaggi in Assurdistan, che è del 9 settembre scorso. Dirò di più: Ostaggi in Assurdistan prendeva il titolo proprio da questa condizione, dal fatto di doverci muovere in questo scenario. Riporto alcuni brani da quel testo:

      «Veniamo da movimenti e cicli di lotte in solidarietà a chiunque si ritrovasse “clandestino”. Abbiamo gridato: “No border!”; “Siamo tutti sans papiers!”; “Nessun essere umano è illegale!”

      Figurarsi, dunque, se ci fa piacere che all’ingresso di un nostro evento sia necessario mostrare un documento altrimenti si resta fuori! È una cosa che ci dà la nausea, che ci suscita ribrezzo.

      Nondimeno, dobbiamo tornare in strada. Per diversi motivi.

      A parte Giap, per noi c’è solo la strada. Come riassumevamo due anni fa, noi “cerchiamo di evitare foto e video, non andiamo ospiti in TV, non offriamo le nostre vite al gossip. Appariamo soltanto dal vivo, di persona, nel modo meno mediato possibile. Se qualcuno ci riconosce per la via, significa che è stato a una nostra presentazione, reading, laboratorio, seminario, trekking urbano o quant’altro. Il suo corpo ha condiviso coi nostri uno spazio fisico e un’esperienza concreta.”

      Nel lungo periodo in cui è stato impossibile organizzare eventi dal vivo, noi ci siamo rifiutati di surrogarli con “eventi” on line […]

      Non andiamo in tv, non stiamo sui social, non facciamo eventi on line. C’è solo la strada. Se d’ora in poi facessimo “obiezione di coscienza”, se ci rifiutassimo di fare iniziative “perché c’è il green pass” (alcuni artisti hanno già fatto dichiarazioni in questo senso), la quantità di autolimitazioni e rinunce si farebbe soverchiante e metterebbe a repentaglio la tenuta del nostro progetto.

      Oltre a questo, sentiamo fortissima la responsabilità nei confronti di altri soggetti: associazioni, circoli, piccoli teatri, librerie, singoli promotori di eventi… Insomma, tutta la gente che si è sbattuta per organizzarci date. Sono quasi sempre realtà indipendenti, duramente provate da questi terribili diciotto mesi, che oggi provano a ripartire. Non possiamo lasciarli a terra per il lusso di prendere una posizione ipercoerente.

      Insomma, siamo ostaggi in Assurdistan.

      Come molte altre persone, ci toccherà fare lo slalom tra le norme, tentare stratagemmi, trovare escamotages… In sostanza, bere l’amaro liquido verde. Non possiamo nemmeno aggiungere “fino alla feccia”, perché è tutta feccia, fin dal primo sorso.»

      Non possiamo soffocare a forza di autolimitazioni. Il nostro è un progetto culturale articolato e in perenne evoluzione che ha bisogno di spazi per respirare e muoversi. E non parlo di reddito: come diceva WM2, sotto quell’aspetto noi potremmo anche pazientare, stare fermi qualche altro giro e intanto permetterci il lusso del “gran rifiuto”. La maggior parte delle presentazioni la facciamo a semplice rimborso spese, la quota di reddito che ci deriva da eventi o corsi è minima. Noi viviamo principalmente grazie alla vendita dei nostri libri, in Italia siamo tra i pochi che riescono davvero a farlo e non hanno un altro lavoro. A permetterci di farlo sono oltre vent’anni di catalogo, cioè di titoli che continuano a essere ristampati, e gli anticipi sulle royalties dei libri futuri (e naturalmente è di supporto il fatto che lavorino anche le nostre mogli).

      Ma se non facciamo laboratori, reading, presentazioni, escursioni e quant’altro, allora fare questo lavoro diventa molto più triste.

  4. Segnalo qui, sperando di fare cosa grata, l’ultimo articolo di Stefania Consigliere, Alessandro Pacco, Cristina Zavaroni, per me è come quando.esce l’ultimo libro.dell’autore preferito, o l’ultimo film colossal dal quale si.spera di capire qualcosa di.piu del precedente, in questo.caso della propria, altrui e collettiva esi/resistenza..

    Questa parte, in questo -lungo- momento di delirio planetario mi ha strappato un sorriso:

    “Scomparsa delle soglie – Perché i luoghi possano esercitare le funzioni per cui sono previsti, è indispensabile non solo che siano costruiti in modi specifici, ma anche che fra di loro vi siano soglie, varchi, membrane. Ogni luogo è un setting, a partire dalle stanze casalinghe (gestione della cucina, occupazione del bagno, accesso regolato alle camere altrui) fino ad arrivare alle “stanze tecniche” (lo studio di un medico, una chiesa, una sala operatoria, un’aula scolastica ecc.); e ogni setting ha le sue regole: così come i cani non entrano in chiesa, nel setting psicoterapico i cellulari non suonano. Le soglie hanno dunque una funzione cruciale e il loro venir meno è causa di sofferenza (v. la coabitazione coatta dei detenuti o l’impossibilità di svolgere certe funzioni in vista di altri). Durante il lockdown, gli spazi sono stati riconfigurati all’insegna della sparizione delle soglie e della più totale confusione: il salotto che diventa l’ufficio, la cucina che diventa il bar, l’antibagno che diventa l’aula, con genitori che cucinano, fratelli che urlano, gatti che mangiano i cavi. L’impossibilità tecnica di fare quel che, pure, saremmo chiamati a fare (imparare, insegnare, lavorare, curare, riflettere) va di pari passo con la violenza simbolica che reinquadra ciascun “libero e uguale cittadino” all’interno delle sue condizioni materiali di esistenza.”

    https://www.carmillaonline.com/2022/02/05/rieducational-channel-il-lockdown-come-dispositivo-di-rieducazione-politica/

    Spero tutti stiate bene..

    Come sempre, grazie alle autrici/autore!

    • Il nuovo articolo di Consigliere, Zavaroni e Pacco non è apparso su Giap, e in generale in questa fase non stiamo pubblicando articoli di nessun genere, perché non siamo più in grado di seguire, figurarsi gestire, le conseguenti e interminabili discussioni. Non ne abbiamo né il tempo né le energie. Gli ultimi due anni sono stati massacranti e non possiamo tornare a quella dimensione. La “supplenza” svolta da Giap è stata un’emergenza nell’emergenza e non è più necessaria, perché nel corso del 2021 le voci critiche si sono moltiplicate, e noi da tempo siamo tornati in full immersion sul nuovo romanzo e sui progetti che più ci sono consoni. Invitiamo perciò a non avviare una discussione qui, in calce a un post di segnalazione su un laboratorio tenuto da WM2.

      • Approfitto di questo passaggio per ringraziare (a nome mio, ma anche a nome di moltissimi altri, fra cui i miei coautori) i Wu Ming, e in particolare Wu Ming 1, per la quantità di lavoro, connessione, pensiero, attenzione, pazienza che hanno profuso, in questo due anni, per tenere aperto uno spazio critico. Anzi: LO spazio critico, a lungo il solo a livello nazionale. Nella primavera del 2020 Giap è stato, per molti di noi, il solo filo per non smarrire del tutto la sanità mentale.

        Avendo provato in prima persona, per quattro volte, cosa significa seguire la discussione di un blog come questo – così popoloso e dal “general intellect” così attivo e generoso -, non so come abbiano fatto a reggere la fatica.

        E per finire: il transito per questo blog, per questa forma di scrittura non accademica, per la discussione pubblica e per tutto quel che ne segue è stato, per me, uno dei passaggi (e degli apprendimenti) fondamentali di questi due anni. Quindi, appunto: grazie, ai Wu Ming e a tutti i giapster. E a presto ritrovarci, magari per strada, a un concerto o a un laboratorio.

        • Aprofitto per unirmi ai ringraziamenti di Stefania per tutti i compadres, della quale condivido ogni singola parola. Forse sullo sfinimento, che è il prodotto di una disparità di forze alla quale eravamo abituati ma forse non in misura così larga, dovremmo prima o poi tornare per capire come maneggiarlo. Oltre alla gestione della discussione, scrivere di questi tempi è stato più sofferto del solito e da solo non ci sarei mai riuscito, né qui né altrove, non è certo un caso che la maggior parte dei pezzi li abbiamo scritti insieme ad altri e anche quelli firmati da soli senza giap e il poco altro che abbiamo avuto in questi due anni non sarebbero mai esistiti. Grazie ancora ma non è un congedo eh?

          • Con qualche giorno di ritardo, grazie a tutt’e due per le vostre parole. No, non è un congedo. «Ma lasciarci non è / possibile… No, lasciarci non è / possibile…» :-)