La sconfitta di Renzi, le vittorie #notav e una «reticensione» di Gian Carlo Caselli #WM1ViaggioNoTav

Caselli su Un viaggio che non promettiamo breve

Gian Carlo Caselli recensisce Un viaggio che non promettiamo breve.

«…È stato, io credo, per l’assenza da tempo in questa storia di una sinistra che difendesse proletari e reietti invece di schierarsi ciecamente con i concreti sostenitori e impositori di un’idea di sviluppo supina agli interessi della grande finanza, che mai è stata così cieca nei confronti degli interessi collettivi e così disinteressata a quelli degli ultimi, dei “perdenti”.»

Sono parole di Goffredo Fofi. Stava commentando il risultato del referendum costituzionale e le ragioni per cui la controriforma Boschi-Renzi è stata respinta? No, queste frasi sono state pubblicate il 2 dicembre. Fofi stava recensendo Un viaggio che non promettiamo breve e spiegando come mai la lotta No Tav non ha ancora il posto che merita nell’immaginario nazionale, nemmeno dopo venticinque anni di lotte, di tenace resistenza di massa, e di successi.

Con Matteo Renzi e Graziano Delrio, il movimento No Tav ha già visto passare 14 presidenti del consiglio e 12 ministri dei trasporti. E non ha mancato di farlo notare.

Se fosse passata la controriforma Boschi/Renzi, al comma 4 dell’articolo 117 della nuova Costituzione si sarebbe letto questo: «Su proposta del Governo, la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale.»

Tradotto in un italiano più comprensibile: nel mondo parallelo dove questa controriforma è passata, se una questione di competenza regionale è dichiarata fondamentale per l’interesse nazionale (e di solito si tratta di grandi opere inutili e imposte), lo Stato centrale legifera in materia scavalcando la Regione. Si chiama «clausola di supremazia». Come disposto nel comma 4 dell’art. 70, questa legge viene approvata dalla Camera. Il Senato – ridotto a un’assemblea di amministratori locali a mezzo servizio – ha soltanto dieci giorni di tempo per esaminarne il testo e proporre modifiche. Modifiche delle quali la Camera può tranquillamente non tenere conto.

Già con la «Legge Obiettivo» del 2001 – poi definita «criminogena» sia dal presidente dell’Anticorruzione Raffaele Cantone sia dall’ex-sindaco di Venezia Massimo Cacciari – e con il decreto «Sblocca Italia» del 2014, oltre a svariate norme inserite nelle «leggi di stabilità», lo stato centrale ha tolto voce ai territori, sottraendo loro leve e strumenti, rendendo più facile calare dall’alto progetti devastanti. Il governo Renzi stava per assestare il colpo di grazia. Non c’è da stupirsi che tutti i movimenti contro le grandi opere inutili abbiano fatto campagna per il NO.

La costituzione renziana, d’impronta centralistica e autoritaria, era confezionata su misura per il capitalismo di rapina (scusate il pleonasmo). Non a caso era appoggiata da banche, Confindustria, Lega Coop, Marchionne, gli Elkann, Juncker, Wall Street Journal… Ma è stata fermata, e il colpo è stato dato al renzismo. Non è quello di grazia, ma è un bel colpo.

Lasciamo perdere le sigle partitiche, le fesserie sul NO come voto tout court «di destra» e quant’altro. Lasciate perdere il focus su Salvini, Grillo… Erano fesserie prima del voto, lo sono a maggior ragione dopo. Fesserie, se non indegne vigliaccate, come le accuse all’ANPI di «stare con Casapound», quando invece il PD dovrebbe guardarsi in casa.

A quella narrazione balorda poteva credere solo chi vive in una bolla, si informa su Repubblica e crede che l’Italia sia come la raccontano i suoi editorialisti e opinionisti. I quali vivono fuori dalla realtà e si frequentano solo tra simili, in una camera dell’eco. Per questo non ne azzeccano mai una.

Non è difficile capire perché abbia vinto il NO.

Da due anni Renzi non poteva più parlare in una pubblica piazza: ben 117 contestazioni, estese anche ai suoi ministri, monitorate grazie all’hashtag #Renziscappa e rappresentate in una mappa interattiva. I media trattavano ogni contestazione come un «episodio», e invece era la tendenza.

Tendenza facilmente spiegabile: con il «Jobs Act» e la lingua in bocca a Marchionne e compagnia, Renzi si era inimicato il mondo del lavoro dipendente; con la «Buona Scuola» si era inimicato buona parte del corpo docente italiano (e molti studenti); con lo «Sblocca Italia» e l’appoggio alle grandi opere si era inimicato movimenti forti e radicati nei territori; con il «Salvabanche» si era inimicato molti risparmiatori; con l’arroganza culturale e la volontà di fare tabula rasa di ogni retaggio di sinistra e antifascista, si era inimicato l’ANPI.

Tutti questi mondi hanno votato NO. Un trasversale, orizzontale rigetto della controriforma, del governo e di tutto il suo operato. Una parte di elettorato di sinistra che aveva smesso di votare è tornata a farlo per liberarsi di Renzi. Non bisogna guardare alle sigle, né ai personaggi che si vedono nei talk-show. Bisogna guardare alla società. L’espressione movimentista «NO sociale» era criptica prima del voto, ora è chiarissima.

Quella del NO è anche una vittoria dei No Tav. I dati in Val di Susa parlano chiaro: un plebiscito contro la riforma Boschi e contro Renzi. A Bruzolo, Bussoleno, Chianocco, Chiusa San Michele, Exilles  e Venaus il NO intorno al 71% e anche oltre. A San Didero 73%. A Meana di Susa 74%. A Mattie sfiora l’80%. A Moncenisio arriva al 91%. In quasi tutta la bassa valle è sopra il 60%. Il NO ha vinto anche in alta valle, dove il movimento No Tav è meno forte. Una grande vittoria.

E un’altra vittoria il giorno dopo, a Torino, quando il consiglio comunale ha votato a larga maggioranza (26 a 6) l’uscita del comune dall’Osservatorio sulla Torino-Lione, luogo di finta partecipazione ormai ridotto alla lisca di quel che era nel 2008.

E mettiamoci anche la vittoria – parziale ma importante – della mobilitazione No DAPL in North Dakota, salutata anche qui con alte grida di giubilo. Si tratta di un movimento d’oltreoceano che ha moltissime analogie con quello No Tav. Leggendo il bel reportage del gruppo #IndianWinter, come non pensare alla Libera Repubblica della Maddalena, alle bandiere No Tav lungo le strade, alle numerose, variegate tattiche per disturbare il cantiere in val Clarea?

[Promemoria. Cosa chiedere quest’anno a Babbo Natale: un movimento così contro il Passante di Bologna.]

Insomma, un weekend da leoni!

E oggi, lo ricordiamo, è il 6 dicembre. Undici anni fa, la polizia sgomberava con grande violenza la Libera Repubblica di Venaus. Ma il movimento è ancora qui, e su quegli stessi terreni si svolge il festival Alta Felicità. Chi la dura la vince.

Torniamo a Un viaggio che non promettiamo breve. Uscito il 31 ottobre scorso, il libro è già in ristampa. Con quasi tutte le copie già distribuite, c’era il rischio di trovarsi sotto le feste coi magazzini vuoti. E così, nuova infornata.

E intorno al libro si scalda il dibattito. Domenica 4 dicembre, su Il Fatto Quotidiano, ne ha scritto addirittura il dottor Gian Carlo Caselli. Lo ha fatto nella cornice di un vero e proprio speciale sul libro, con recensione pro e recensione contro. Un format che piace al direttore Travaglio.
Caselli, in realtà, non ha scritto solo «contro»: nella premessa ha definito Un viaggio che non promettiamo breve un libro importante, un’opera da non sminuire né sottovalutare. Solo che…
Solo che lo speciale non forniva alcune informazioni basilari, imprescindibili elementi di contesto. Per questo, dopo aver riportato la recensione di Caselli nella sua interezza, aggiungeremo qualcosa.

Nessuna epopea gloriosa, ma il vuoto che genera violenza

Gian Carlo Caselli

Gian Carlo Caselli.

di Gian Carlo Caselli

Se qualcuno – un giorno – volesse mai scrivere una storia dei vari  movimenti No Tav (quello valsusino soprattutto, ma anche il cosiddetto Terzo valico tra Genova e l’Alessandrino; e ancora la galleria di base del Brennero in Trentino Alto-Adige e il completamento dell’Av Milano – Venezia) non potrà  ignorare il libro intitolato Un viaggio che non promettiamo breve di Wu Ming 1 (Einaudi). Una raccolta immensa (652 pagine) di narrazioni, testimonianze, cronache e documenti. Una vasta silloge – ordinata, ragionata e metodica – che potrà essere utile ai cittadini, ai politologi e agli studiosi interessati.

Il materiale è certamente importante, ma anche lacunoso, perché contiene prevalentemente (se non esclusivamente) la versione dei militanti, spesso chiusi nella superbia di  giudizi trancianti. Convinti di essere i soli depositari di verità incontestabili ancorché  indimostrate. Una sorta di autismo, cioè di assorbimento esclusivo nelle proprie convinzioni che sbiadisce  il mondo reale. Manca lo scrupolo di presentare, nei casi controversi, tutte le versioni. Chi la pensa diversamente non compare, se non per essere tacciato di inattendibilità, malafede o provocazione con una raffica di accuse malevole che colpiscono in particolare ogni politico, giornalista o tecnico che voglia “dissentire”. Spesso poi si coglie una grottesca sproporzione tra la realtà e i “bollettini di guerra”, quando ad esempio si parla di militarizzazione del territorio, truppe di occupazione, espropriazione di una intera (?) valle, giustizia con l’elmetto …: esagerazioni consolatorie, buone per chi voglia alimentare un vittimismo autoreferenziale. Salvo ricorrere ogni tanto ad alleggerimenti linguistici di tipo giustificazionista, come quando l’impedimento prolungato di ogni libero transito sulla Torino-Oulx diventa una «assemblea» sull’autostrada, o quando le scritte minacciose e violente tracciate sui muri diventano «imbrattamenti». Nel qual caso al racconto che spiega si sostituisce la narrazione di pura conferma  ideologica, mentre affiora la tendenza a rileggere il passato arricchendolo con profili di epica popolare. Perché il mito di un’epopea gloriosa può anche servire a oscurare il manicheismo dilagante, stemperando nel contempo la vacuità politica che origina gli episodi di violenza.

Ma si tratta pur sempre di un rilevante contributo alla conoscenza, perché tutti sappiamo quale valore abbiano –per lo studio di un fenomeno – anche le esperienze e percezioni soggettive, insieme alle parole che le esprimono, compresi gli slogan politico-propagandistici. In particolare per l’esplorazione e la ricostruzione – almeno nelle grandi linee – dell’itinerario politico-psicologico dei militanti No Tav, delle loro matrici, della loro evoluzione o trasformazione, delle strategie elaborate e delle imprese compiute. Del perché (pur trattandosi – in Italia e in Francia – della stessa montagna e dello stesso “buco”, con gli stessi identici problemi) vi siano stati  in Italia «venticinque anni di lotte» – sottotitolo del libro –, e per contro in Francia quasi nulla.

Inevitabili (un tributo che si deve pagare al movimento, se si vuole evitare di essere considerati dei «venduti») le frequenti cadute di stile sui magistrati. Trattati – a prescindere – come personaggi brutti e cattivi, maniaci del rispetto della  legge. Gentaglia. Il vulnus della delegittimazione del controllo di legalità (introdotto dal ventennio berlusconiano) continua a generare l’idea di una giustizia à la carte valida per gli altri ma mai per sé.

Senonché il pregiudizio – a forza di ripeterlo – alla fine può anche attecchire. Come prova, per restare in tema, una recensione del libro di Wu Ming 1 comparsa sul Corriere della Sera del 30 ottobre. Parlando dei processi No Tav, Daniele Giglioli ci infila un attacco al  sottoscritto in quanto procuratore che «credette al bacio fra Andreotti e Riina, perché se Andreotti è cattivo allora deve per forza aver baciato il diavolo, come le streghe nei sabba.»

A parte il logoro ritornello della caccia alle streghe (tipico di chi non digerisce i processi contro gli imputati “eccellenti”), citare Andreotti nel  contesto Tav è come farla fuori del vaso. In ogni caso Giglioli potrebbe  informarsi meglio su Andreotti. Scoprirebbe fatti – provati fino a sentenza di Cassazione – sconvolgenti: tipo un paio di incontri dell’imputato con Stefano Bontade (boss dei boss noto come «Principe di Villagrazia») per discutere di questioni criminali gravissime ruotanti intorno all’omicidio dell’onesto e  incorruttibile Piersanti Mattarella. Un sabba, anche questo.

[ Nota di WM.
Poiché nella recensione non viene mai ricordato, per dovere di completezza specifichiamo che il dottor Caselli, dal 2008 al 2013, è stato procuratore capo a Torino.
■ Sotto la guida del dottor Caselli, la Procura ha creato un «pool» di magistrati interamente e indefessamente dediti alla repressione del movimento No Tav.
■ Grazie alla linea impressa alla Procura dal dottor Caselli, il movimento No Tav ha avuto un numero record di inquisiti: all’incirca un migliaio dal 2011 al 2015.
■ Gli impianti accusatori di importanti istruttorie contro il movimento No Tav – si veda il celebre «processo del Compressore» – sono stati smontati dalla Corte di Cassazione. A difendere quegli impianti, il dottor Caselli era intervenuto più volte in prima persona.
■ La Procura e il dottor Caselli stesso sono stati accusati di esercitare l’azione penale usando due pesi e due misure, ignorando le violenze commesse dalle forze dell’ordine. Su questo si veda il documentario Archiviato. L’obbligatorietà dell’azione penale in Valsusa (qui il trailer).
■ Il dottor Caselli ha ripetutamente preso di mira intellettuali e scrittori, rei di appoggiare i No Tav e sottovalutare – o, chissà, addirittura fiancheggiare – presunte «derive terroristiche» del movimento. Si era anche già occupato di un nostro libro.
■ Il dottor Caselli non lo dice, ma Un viaggio che non promettiamo breve si occupa molto di lui, critica il suo operato, smonta e analizza diverse sue esternazioni.
■ Tra le fonti citate in Un viaggio che non promettiamo breve c’è anche una «piccola controbiografia» del dottor Caselli. Si intitola La notte del procuratore ed è apparsa in quattro puntate su Infoaut. Ecco i link:
Introduzione: Quel che è Stato è Stato
La notte del procuratore (1) Parte Prima: Gli anni Settanta
La notte del procuratore (2) Parte Seconda: La Sicilia
La notte del procuratore (3) Parte Terza: Il ritorno a Torino
La notte del procuratore (4) Parte Quarta: La sconfitta in Valsusa
■ Chi s’imbattesse nella recensione scritta dal dottor Caselli senza avere già letto il libro e senza aver seguito le vicende No Tav, si farebbe l’idea di un recensore super partes, non direttamente coinvolto.
■ L’ex-procuratore capo ha scelto di bollare il libro come «ideologico» e fazioso, ma senza entrare nel merito. Entrando nel merito, avrebbe dovuto rispondere sul proprio stesso operato. Si può dunque parlare, a nostro avviso, di una recensione reticente. Una reticensione.]

Luca Mercalli su Un viaggio che non promettiamo breve

Luca Mercalli su Un viaggio che non promettiamo breve.

A seguire la reticensione del dottor Caselli, ce n’era una firmata  dal meteorologo Luca Mercalli.

[Facciamo notare che nel testo Mercalli usa l’espressione «uomini e donne normali», mentre nel titolo – che è redazionale – le donne scompaiono.]

Ricordiamo che, pochi mesi fa, la trasmissione sull’ambiente Scala Mercalli, che andava in onda su Rai 3, è stata “silurata” dai vertici Rai dopo duri attacchi da parte del PD, nella persona del solito senatore Stefano Esposito. La puntata che gli ha fatto saltare i nervi la trovate subito dopo la recensione.

Solo uomini normali contro abusi di Stato, mafie e costruttori

Luca Mercalli

Luca Mercalli

di Luca Mercalli

Non è affatto breve il viaggio che promette questo libro (Un viaggio che non promettiamo breve. Venticinque anni di lotte No Tav, di Wu Ming 1ed edito da Einaudi), seicento pagine e venticinque anni di frustrazione di una comunità che non è soltanto della Val di Susa ma del mondo: quella vessata dalle grandi opere inutili e dannose. Quella di Wu Ming 1 è una lunga cronaca che emerge inattesa da un territorio alpino fino a pochi anni fa conosciuto a stento per gli sport invernali dell’alta valle, Sestriere, Bardonecchia, zone peraltro non interessate dal progetto di Nuova Linea Ferroviaria Torino-Lione (“il Tav”).Qui affiora invece la personalità della parte medio bassa della Val di Susa, quella che si apre su Torino, misto di natura meravigliosa ad alta quota, abbandono delle borgate montane, industrializzazione e villettizzazione del fondovalle, pendolarismo, lotte operaie e battaglie partigiane, grandi appetiti facinorosi e piccole meschinità. Un bel crogiolo sociale che ha creato ibridazioni sorprendenti, esplose con l’imposizione da parte del potere economico torinese, a partire dal 1991, di un progettone-panettone che già allora appariva così indispensabile e strategico che ancora non è fatto e tutti vivono bene lo stesso.

Wu Ming ha esplorato per tre anni boschi martoriati dai reticolati bellici, cantieri difesi da militari, e presìdi di resistenza civile bollati della peggior etichetta terroristica. Come residente di valle, come componente del gruppo di tecnici contro il Tav Torino-Lione militante dal 1998, confermo che dati e fonti sono affidabili e verificate. La lettura lascia il senso di una storia paradossale vissuta da uomini e donne “normali” che di fronte all’ennesimo assalto alla terra (non solo alla loro piccola terra, questo sarebbe Nimby, ma alla Terra in generale) hanno rischiato sulla propria pelle e pagato un prezzo repressivo e giudiziario sproporzionato. Non hanno ancora sconfitto “l’Entità”, ma hanno acceso una fiaccola di consapevolezza ben più importante di quella torcia olimpica transitata vigliaccamente per la valle nel 2006.

Il racconto colpisce per l’intollerabile sospensione della democrazia: pestaggi, arresti, processi, pene esemplari. E giornalisti che tramano per depistare le indagini. Molte gaffe della milizia suscitano riso amaro: imputati identificati sommariamente che al momento di una baruffa erano altrove e hanno potuto dimostrarlo con un biglietto aereo! Molti altri che invece sono finiti nell’ingranaggio della “furia giudiziaria” anche per una sola parola, il caso di Erri De Luca su tutti.

Wu Ming 1 chiarisce il vero nocciolo della questione, che è in parte un grande affare di poteri tecno-cementizi sui quali si insinua l’ombra della truffa, come dimostrato dai processi a ditte locali pro-Tav in odore di malavita, dall’altro è la sfida dello Stato ai cittadini: lo stesso procuratore Marcello Maddalena ha dichiarato che «realizzare la Torino-Lione, utile o inutile che fosse, era per lo Stato una questione di principio». E il deus ex machina Mario Virano concede da parte di Telt, la società costruttrice, il «riconoscimento del dissenso e della piena legittimità purché espresso nella legalità». Chi costruisce la superferrovia dà per scontato che le sue ragioni siano inattaccabili, e dice alla gente: protestate pure, ma io vado avanti lo stesso perché lo Stato mi protegge con le armi e con la legge. I cittadini protestano, ma non ottengono mai l’analisi seria e imparziale dei dati che sconfessano i criteri di utilità e redditività della grande opera. La giustizia assume che l’opera possa anche essere sbagliata o inutile, ma indaga solo sui lanci di pietre, mai su quel punto. Se lo facesse, i numeri parlerebbero chiaro e tutto il castello cadrebbe.

Mi chiedo come fanno a dormire gli uomini “Sì Tav”, difesi sì dalle truppe militari e dai tribunali, ma sotto l’influsso del disprezzo di decine di migliaia di persone che vogliono solo veder trionfare la verità e un progetto di sviluppo del territorio più sobrio e proficuo del gigantismo penetrativo della Tunnel Boring Machine.

Ho letto questo libro su treni regionali, da Bergamo a Mantova mentre un guasto a Cremona provocava lunghi ritardi. Mentre le pagine di Wu Ming favoleggiavano di super-tunnel alpini, sui cessi murati della piccola stazione di Castellucchio, che nel 1874 quando fu costruita erano però aperti, leggevo una scritta di un writer: «Fino a quando il potere dell’amore non supererà l’amore per il potere il mondo non conoscerà pace». I valsusini tentano di costruire un nuovo amore per questa terra martoriata, a cominciare da quella sotto i loro piedi.

Una recensione molto bella l’ha scritta Giuliano Spagnul per il blog La bottega del Barbieri. Si intitola Molti mondi oltre le colline e inizia da una riflessione sulla fantascienza. Spagnul ha fatto parte del collettivo «Un’ambigua utopia» ed è coautore, con Antonio Caronia e altri, del seminale Nei labirinti della fantascienza (Feltrinelli, 1979).

Una lunga recensione/riflessione, che consigliamo di leggere con attenzione, è apparsa sul blog Scartafaccio.

Intanto, prosegue il tour che non promettiamo breve.

Al Communia di Roma, il 19 novembre scorso, Elio Germano ha letto la sequenza della «battaglia navale» a Venezia (pagg. 596 – 600). Prossimamente, l’audio della serata.

Elio Germano legge da Un viaggio che non promettiamo breve

Elio Germano legge da Un viaggio che non promettiamo breve. Clicca per ingrandire

Al Vag61 di Bologna, l’11 novembre scorso, c’è stato il reading/concerto Wu Ming 1 + Bhutan Clan. Suoni cupi e rumori industriali, una serenata all’Entità. Qui audio, video e foto della serata e dell’intera due-giorni di Resistenze in Cirenaica.

All’Askatasuna di Torino, il 2 dicembre scorso, Militant A degli Assalti Frontali ha presentato il libro con WM1 e Lele Rizzo, e ha letto diverse pagine. La lotta No Tav con il flow di Militant A. Connubio perfetto. Prossimamente, l’audio dell’evento.

Un viaggio che non promettiamo breve all'Askatasuna di Torino

Un viaggio che non promettiamo breve all’Askatasuna di Torino, 2 dicembre 2016.

Il tour continua, e venerdì 9 dicembre toccherà Modena. Il calendario completo è qui. Si va avanti. A sarà düra.

«E sono un entusiasta, di primo approccio
dico sempre a tutti: «Ciao, che bello, che fate? Dammi un abbraccio»
È un lavoro anche quello, torno a casa uno straccio
Adesso vieni con me, ti faccio vedere quello che faccio.»
Assalti Frontali, Io sono con te

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14 commenti su “La sconfitta di Renzi, le vittorie #notav e una «reticensione» di Gian Carlo Caselli #WM1ViaggioNoTav

  1. Se Gian Carlo Caselli decide di (o viene sollecitato a) prendere la parola sul movimento no tav, è ragionevole attendersi che la sua opinione diverga dalle tesi di Un viaggio che non promettiamo breve. È ragionevole attenderselo, perché il Gian Carlo Caselli pubblicista si è espresso molte volte, e nettamente, sul tema.
    A contrapporsi, nel confronto tra il libro di Wu Ming 1 e la recensione che ne ha fatto l’ex magistrato, sono anzitutto due strategie retoriche: nel discorso del libro è preponderante uno scopo argomentativo, che procede dall’accumulazione delle evidenze fattuali alla formulazione delle conclusioni. Nella recensione la scelta discorsiva è rovesciata: lo stile è esortativo, in un movimento dall’asserto del recensore alla prova che lo giustifica.
    Qualche esempio, Procedendo dal particolare al generale: il giurista torinese critica a Wu Ming 1 il ricorso ad «alleggerimenti linguistici di tipo giustificazionista», adducendo a motivo che «le scritte minacciose e violente tracciate sui muri diventano «imbrattamenti”». Ma “imbrattamento” è esattamente il nome che il codice penale dà alla condotta descritta (art. 639): se è così, allora non si tratta di alleggerimento linguistico, ma di corretta denominazione dei fatti. Nell’appunto di Gian Carlo Caselli c’è però qualcosa di più, c’è un assunto indimostrato: l’ex pm riferisce di «scritte minacciose e violente»: non dice però quali siano, né in che punto del libro esse siano riportate. Il lettore della recensione è tenuto, in base a questa modalità discorsiva, ad assumere che nel libro si parli di scritte violente e minacciose, e che esse siano definite “imbrattamenti”.
    Così in altri passaggi dell’articolo. Al libro ed al suo autore è mosso un addebito d’un certo peso: «Chi la pensa diversamente non compare, se non per essere tacciato di inattendibilità, malafede o provocazione con una raffica di accuse malevole che colpiscono in particolare ogni politico, giornalista o tecnico che voglia “dissentire”». Ma quali sono i fatti posti a fondamento dell’addebito, quali sono i passi del libro su cui il giudizio si impernia? Nella recensione di Gian Carlo Caselli non è detto. O ancora: perché un altro recensore del libro, Daniele Giglioli, non dovrebbe digerire i processi ai potenti? Perché attribuisce a Gian Carlo Caselli di aver creduto al bacio tra Andreotti e Riina? Ma da questo fatto non è possibile inferire logicamente quel giudizio. Caselli avrebbe semmai dovuto rimproverare a Giglioli che la sua affermazione è errata, e spiegarne il perché.
    In questo mio commento però ho fatto anch’io un’asserzione indimostrata: ho scritto che lo stile discorsivo di Un viaggio che non promettiamo breve procede dall’accumulazione delle evidenze fattuali alla formulazione delle conclusioni, ma non ho fatto nessun esempio. Lo faccio ora, per introdurre il punto che m’interessa di più. Nel libro sono testualmente citate ordinanze cautelari dell’ufficio GIP/GUP di Torino, sentenze di primo e secondo grado del Tribunale e della Corte d’appello piemontesi, due sentenze di Cassazione emesse in altrettante vicende cautelari: riportati i provvedimenti giudiziari, vengono esposte e commentate le critiche che a tali provvedimenti sono mosse dagli avvocati che difendono gli attivisti e le attiviste no tav e dall’ex magistrato Livio Pepino. In sintesi, le critiche riguardano una eccessiva dilatazione della nozione di concorso morale, la sostenibilità giuridica della nota accusa di delitto con finalità terroristiche (art. 270-sexies del codice penale) mossa ad alcuni imputati in procedimenti riguardanti i fatti avvenuti in Valsusa, la fondatezza del giudizio di sussistenza delle esigenze cautelari poste alla base di alcuni provvedimenti restrittivi. Nelle “spigolature”, in fondo al libro, sono citati gli atti, pubblicati da Giappichelli, di un convegno in cui queste problematiche sono state discusse da tecnici del diritto di varia estrazione e formazione. Di tutto ciò, Gian Carlo Caselli sceglie nella sua recensione di non parlare. Eppure si tratta della questione su cui il giurista, nella sua veste di pubblicista, avrebbe potuto dare il contributo più rilevante alla discussione: verosimilmente respingendo le tesi del libro,ma almeno esprimendo il suo punto di vista ad un pubblico generalista. Operazione che l’ex magistrato ha fatto in più occasioni, riguardo ad altri temi, nella quale in questa recensione ha deciso di non cimentarsi.

    • La cosa che mi ha colpito di più nella ‘recensione’ di Caselli è il rifiuto totale delle evidenze, il tentativo costante e scoordinato di fuggire in una realtà parallela dove l’autorevolezza (autocertificata, of course) dell’oratore è l’unica possibile garanzia di verità. Non che questo sia una novità per il pensionato torinese, che ha costruito la sua carriera sulla granitica certezza di essere nel giusto, però colpisce leggere un articolo così traballante scritto da chi in teoria dovrebbe aver basato la sua professionalità sulla capacità di descrivere fatti reali e stabilire tra di essi nessi logici credibili. Parlare di uomini “Convinti di essere i soli depositari di verità incontestabili ancorché indimostrate” da parte di chi ha diretto la procura di Torino negli ultimi anni, tenendo i comportamenti descritti nel libro (e i molti altri che non vi hanno trovato spazio) è una di quelle affermazioni che farebbero ridere se le ricadute non fossero state così gravi.
      Purtroppo a causa di questa ostinazione a sostenere accuse infondate, tanto da essere respinte in tutti i gradi di giudizio, quattro persone si sono fatte più di un anno di isolamento in carcere.

  2. una precisazione sulla sconfitta di renzi al referendum. all’indomani dell’approvazione della riforma costituzionale renziana, a fianco di Marco Travaglio e del suo giornale, schieratosi subito per il No, mi pare che ci furono solo dei magistrati e dei costituzionalisti. quindi, sul fatto che i tutti i magistrati siano brutti e cattivi , anche per questo motivo, ma non solo, dissento. che tutti i magistrati siano reazionari e amanti della repressione è una bugia. su caselli non mi pronuncio, perche’ non conosco tutte le sue azioni, ne’ ho visto le carte dei procedimenti che ha promosso nei confronti del movimento no tav.

    • leo, credo che quando si dice “tutti i magistrati” si faccia una specie di generalizzazione empirica (vabbè, magari non troppo empirica). Quando si dice gli “italiani”, i “comunisti”, i “meridionali”, i “giovani” non è che chi ne sta parlando non sia consapevole delle eccezioni. In sociologia queste si chiamano però “inferenze deboli”, esistono ma non smentiscono l’interpretazione principale. Nel nostro caso i magistrati sono reazionari e amanti della repressione, non sarà qualche esempio isolato a smentire l’affermazione. Fai come alcuni che criticano gli antiamericanisti citando Woody Allen o la beat generation o chissà cosa: grazie la conosciamo tutti, semplicemente si sta parlando d’altro.

    • Questo commento non l’ho capito, leo, a chi e cosa stai rispondendo? Chi ha detto che i magistrati sono tutti reazionari? Cosa c’entra il NO del Fatto Quotidiano? Cosa c’entrano i magistrati con la sconfitta di Renzi?

  3. […] hanno ragione i Wu Ming, quando dicono che considerare la vittoria del No al referendum come la vittoria di Grillo e Salvini va bene solo per gli editorialisti di Repubblica […]

  4. Mi limito a ricopiare pedestremente un tratto della reticensione che mi ha assai colpito:

    “…chiusi nella superbia di giudizi trancianti. Convinti di essere i soli depositari di verità incontestabili ancorché indimostrate. Una sorta di autismo, cioè di assorbimento esclusivo nelle proprie convinzioni che sbiadisce il mondo reale. (omissis). Chi la pensa diversamente non compare, se non per essere tacciato di inattendibilità, malafede o provocazione con una raffica di accuse malevole”.

    L’ho riletto tre volte per essere sicuro che nelle intenzioni di Caselli questo passo fosse riferito ai NoTav. Non riesco a immaginare se si sia accorto o no di aver descritto con estrema precisione gli atteggiamenti e i comportamenti dei fautori, dei difensori, dei sacerdoti e dei talebani del Dogma della Grande Opera.

    Spero che l’abbia fatto apposta.

  5. Nel frattempo la mappa #Renziscappa è stata aggiornata. Il numero di contestazioni subite da #Renzi e dai suoi ministri è più alto di quello fornito nel post, che era il dato fino a ottobre incluso. Siamo a 132. E pare che domenica notte abbia detto: «Non credevo che mi odiassero tanto.» Fuori dal mondo. Una visione del Paese ogni volta filtrata da dieci schiere di celerini (e dagli editoriali di Repubblica).

    • Update: mappa #Renziscappa aggiornata a oggi stesso, con la fuga dalla direzione del PD per non sostenere un dibattito sulla sconfitta. Con le dimissioni appena rassegnate al Colle, finisce la prima serie. Nonostante il bassissimo indice di gradimento del protagonista, probabilmente toccherà girarne una seconda. Speriamo sia più breve…

  6. […] Se lo si guarda da un punto di vista europeo, questo referendum,ha molto più a che fare con l’Oxi greco che con la Brexit. Nonostante la vulgata mainstream e lo storytelling apocalittico tenti di spacciarlo ad ogni angolo come tale, recintando quel No in un confine fatto di populismo e destra varia e posto perennemente sotto i riflettori. Che quella croce sul No contenga un po’ di tutto, anche rigurgiti xenofobi, sovranisti e destre in generale è sicuramente vero ma cancellarne la componente forte, decisiva e di sinistra è più un’operazione di marketing politico che un’analisi. […]

  7. […] Nello scorso speciale su Un viaggio che non promettiamo breve, abbiamo riportato la recensione apparsa su «Il Fatto Quotidiano» del 4 dicembre a firma del […]

  8. […] Del resto, non era nemmeno mai accaduto che un nostro libro fosse recensito (o reticensito) dal più famoso magistrato italiano… […]

  9. […] in romanzo horror. Ripeto, nessuno ha avuto da ridire. Nemmeno il quadragonissimo Caselli, che ha criticato il libro sotto tutt’altri aspetti, ma non […]

  10. […] quel referendum votarono oltre cinque milioni di persone in più rispetto alle Europee, e il Sì fu sconfitto con sei milioni di voti di distacco, tondi […]