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Esternazioni

#Kobane, la rivoluzione oltre il mito

Kobane, giugno 2018. La scuola e convitto per orfani «L'arcobaleno di Alan», finanziato dalla provincia di Trento nell'ambito di un progetto di Docenti Senza Frontiere e dell'Ufficio informazioni del Kurdistan in Italia (UIKI).

Kobane, giugno 2018. La scuola e convitto per orfani «L’arcobaleno di Alan», finanziato dalla provincia di Trento nell’ambito di un progetto di Docenti Senza Frontiere e dell’Ufficio informazioni del Kurdistan in Italia (UIKI).

di Tommaso Baldo *

«Quando siamo venute qui, un mese dopo la liberazione, era tutto distrutto», mi dice Patrizia Fiocchetti mentre il furgoncino su cui viaggiamo entra a Kobane. «C’erano macchine scagliate dalle esplosioni al terzo o quarto piano dei palazzi. Ma la gente aveva già iniziato a tornare e ricostruire. Ricordo un uomo, il proprietario di una ferramenta completamente distrutta che assieme ai suoi due figli piccoli frugava tra le macerie del suo negozio per raccogliere le viti, i chiudi e i bulloni sparsi in giro.»

Gli abitanti di questa cittadina di 40mila persone erano tornati appena finita la battaglia, varcando in massa il vicino confine turco e mettendosi all’opera per ricostruire la propria città. Potevano contare solo sull’aiuto fornito loro dalle amministrazioni rette dall’HDP (il Partito democratico dei popoli) nel Kurdistan settentrionale, cioè nella vicina Turchia. Da quando Erdogan le ha fatte commissariare e i loro co-sindaci sono stati arrestati anche quel sostegno è venuto meno.

Patrizia e Carla Centioni avevano varcato clandestinamente il confine turco per venire qui nel febbraio 2015. In quel momento il 48 per cento degli edifici di Kobane era completamente distrutto. Secondo i dati elencati nel «Report sulla situazione attuale a Kobane», diffuso nel marzo 2017 dall’Ufficio di Informazione del Kurdistan in Italia, dopo la cacciata dell’Isis dalla città di 4.284 case non restavano che cumuli di macerie, altre 5.864 erano state danneggiate in modo più o meno grave e solo 630 non avevano subito alcun danno. Tra le officine e i negozi quelli completamente distrutti erano 1.604, 2.182 quelli danneggiati e 1.882 quelli intatti. Prosegui la lettura ›

(Nessuna) Pietà per la nazione che crede alle bufale su #Pasolini

Pietà per la nazione

Una poesia di Lawrence Ferlinghetti, per giunta scritta trentadue anni dopo la morte di Pasolini, prima viene attribuita a quest’ultimo, poi viene usata come pezza d’appoggio per sostenere che era… cosa? Nazionalista? «Sovranista»? Non l’hanno nemmeno letta: plausibilmente, qualcuno ha visto la parola «nazione» e si è eccitato all’istante.

di Wu Ming 1
(con la collaborazione di Yàdad de Guerre e Nicoletta Bourbaki)

INDICE
1. Pietà per la nazione?
2. Ancora il tormentone del «Caro Alberto»
3. Chi ha fabbricato il meme del «Caro Alberto»
4. Due parole in più su questo “network”
5. Scritti corsari fa ormai più danni delle cavallette
6. Ma sempre Pasolini? Come mai?

Lo psichiatra di destra e personaggio televisivo Alessandro Meluzzi è solo uno dei tanti diffusori del meme che vedete qui sopra.

È composto da una delle più celebri foto di Pier Paolo Pasolini e da una traduzione italiana di Pity The Nation, componimento di Lawrence Ferlinghetti, 99 anni, poeta e scrittore, libraio ed editore, esponente di spicco e mentore della Beat Generation, pilastro della letteratura e della controcultura americana del XX secolo. Un libertario che si è sempre espresso contro ogni nazionalismo, bigottismo, razzismo e ha scritto: «I am waiting for the final withering away of all governments» [Attendo la scomparsa definitiva di ogni governo].

Nel meme, la poesia è però firmata «P. P. P.». Meluzzi, poi, l’introduce con una balzana domanda retorica: «Anche Pasolini era fascista?»

Il senso sembra essere: voi che chiamate “fascista” chi ama la propria nazione, beccatevi questa poesia di Pasolini contro chi non la ama!

Vale a dire: se hanno letto la poesia (cosa di cui dubito), l’hanno capita esattamente al contrario.

Diamole un’occhiata. Prosegui la lettura ›

The Student Hotel, lo studentato per «creativi» che vampirizza i quartieri popolari

Orlok allo Student Hotel

29 settembre 2015. Da destra, Corien Wortmann-Kool (presidente del fondo ABP), Charlie MacGregor (fondatore di The Student Hotel) e il conte Orlok all’inaugurazione dello Student Hotel di Amsterdam-West.

di Wolf Bukowski *

«Everybody should like everybody».

La scritta inizia in via Fioravanti, poi gira l’angolo e si conclude in via Tiarini. È una frase tracciata sul muro, a lettere enormi, di fronte al municipio di Bologna, senza pietà alcuna per la graffitofobia degli amministratori.

È dagli anni zero di Cofferati che ogni giunta dichiara l’allarme «tag» e predispone «task force» per mettere a tacere i muri. A breve la squallida crociata verrà condotta sfruttando il lavoro forzato  pardon, il «volontariato»  dei richiedenti asilo.

Ma la scritta che correrà lungo The Student Hotel non turba gli assessori, e non sarà cancellata. Essa è propaganda del capitale, è marketing, e quindi è legale, bella, e non fa «degrado».

E poi, diciamocelo, che male può mai fare un così bel messaggio, un così innocuo appello all’amore (o al piacionismo?) universale? Così universale e seriale da essere lo stesso  identico  che orienta i passanti a Groningen, lampeggiando dall’alto del mastodontico Student Hotel della città neerlandese. Prosegui la lettura ›

Una frase di Samora Machel contro l’immigrazione impazza sui social. È un falso. Chi l’ha inventata di sana pianta e perché.

Samora Machel immigrazione falsificazione

Machel contro l’immigrazione? Clicca e leggi lo smontaggio fatto da Nicoletta Bourbaki.

Tra quanti si adoperano a fornire pezze d’appoggio “rosse” all’odio contro i migranti e alle politiche di Matteo Salvini, da un po’ di tempo a questa parte va forte lo stralcio di un discorso di Samora Machel (1933-1986).

Machel fu un grande leader rivoluzionario africano, capo del FRELIMO (Fronte di Liberazione del Mozambico) e primo presidente del Mozambico dopo la fine dell’impero coloniale portoghese. Nella frase che gli viene attribuita, attacca «il mito dell’emigrazione» e, all’osso, descrive gli africani che lasciano il loro continente come controrivoluzionari, pedine dell’imperialismo e quant’altro.

Una frase davvero strana, sia per il contenuto — Machel stesso era stato un emigrante, veniva da una famiglia di emigranti e, da internazionalista, mai avrebbe seminato zizzania tra proletari che vivevano e lavoravano in paesi diversi  sia per lo stile, poco somigliante a quello del suo presunto autore.

Nel corpus di scritti e discorsi di Machel, quel passaggio non risulta da nessuna parte. Lo avevamo già fatto notare in un box dentro la seconda puntata di Lotta di classe, mormorò lo spettro. Ora possiamo dire qualcosa di più. Prosegui la lettura ›

Lotta di classe, mormorò lo spettro. Una miniserie in due puntate / 2

«Abbiamo tutti un’amica, un compagno, un amante, una parente, un vicino di casa, una collega che fino a pochi anni fa era inequivocabilmente di sinistra, ma da qualche tempo ha la mania di leggere dei blog un po’ ambigui, di seguire pagine Facebook che ci lasciano perplessi, di citare cazzari patentati come se fossero importanti pensatori controcorrente, di fare discorsi che riecheggiano quelli di Salvini ma in versione “comunista”…»
Uno spettro ci porta in volo nei luoghi della lotta di classe, dove si vede che certi discorsi “marxisti” contro l’immigrazione non solo di marxista non hanno nulla, ma sono una truffa ai danni delle lavoratrici e dei lavoratori. Di tutti i lavoratori: immigrati e autoctoni.


di Mauro Vanetti

[La prima puntata è qui.]

indice della seconda puntata

6. Terza notte
7. Lenin No Border
8. L’ultima notte
9. La «bella sinistra di una volta» vi schifava uguale
10. Poscritto

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Lotta di classe, mormorò lo spettro. Una miniserie in due puntate / 1

«Abbiamo tutti un’amica, un compagno, un amante, una parente, un vicino di casa, una collega che fino a pochi anni fa era inequivocabilmente di sinistra, ma da qualche tempo ha la mania di leggere dei blog un po’ ambigui, di seguire pagine Facebook che ci lasciano perplessi, di citare cazzari patentati come se fossero importanti pensatori controcorrente, di fare discorsi che riecheggiano quelli di Salvini ma in versione “comunista”…»
Uno spettro ci porta in volo nei luoghi della lotta di classe, dove si vede che certi discorsi “marxisti” contro l’immigrazione non solo di marxista non hanno nulla, ma sono una truffa ai danni delle lavoratrici e dei lavoratori. Di tutti i lavoratori: immigrati e autoctoni.

di Mauro Vanetti

indice della prima puntata

1. Prima notte
2. Quelli come Diego
3. Marx e l’esercito industriale di riserva
4. Seconda notte
5. Marx e il buonismo

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#Tolkien in Italia: la strada prosegue ancora

Esattamente un anno fa Wu Ming 4 spediva questa lettera nella mailing list dell’Associazione Italiana Studi Tolkieniani:

Bologna, 20 giugno 2017

Cari tutti e tutte,

da un po’ di tempo meditavo di scrivervi questa lettera per comunicarvi un paio di cose che riguardano l’associazione e il sottoscritto. Finalmente posso farlo, perché qualche giorno fa è giunto il “sì” della Tolkien Estate che aspettavo.

Non tocca a me dare la notizia, lo farà qualcun altro, dico solo che la interpreto come un segno, ovvero un giro di boa nell’ancor breve storia dell’AIST. E questo mi spinge ad annunciare un cambiamento che mi riguarda. Alcuni di voi penseranno che sono fin troppo presuntuoso nel volerlo comunicare per iscritto, ma, che ci crediate o no, è un’esigenza nata dall’affetto e dal rispetto che nutro per l’associazione, oltre che per quelli di voi che conosco direttamente. Prosegui la lettura ›