Con La farina dei partigiani di Piero Purich e Andrej Marini torna la collana Quinto Tipo diretta da Wu Ming 1

La farina dei partigiani

Clicca per ingrandire e vedere la copertina completa, con quarta e alette.

Racconto del «secolo breve» e di tre generazioni, La farina dei partigiani ha l’andamento di una tromba d’aria: comincia a ruotare in Bisiacaria – il territorio tra Trieste e il Friuli – per poi allargarsi all’Europa e al mondo intero.
Con il cuore che batte nella Resistenza e i piedi piantati nelle lotte sul lavoro, Piero Purich – storico e narratore – e Andrej Marini – discendente della dinastia operaia e antifascista Fontanot-Romano-Marini – ricostruiscono una vera e propria saga familiare e proletaria.

La storia, molte storie, vicissitudini di lavoratori comunisti a cavallo tra confini e culture, tra epoche ed epopee. Dai campi profughi austriaci durante la grande guerra all’emigrazione clandestina in America, dalle lotte nei cantieri navali di Monfalcone alla guerra partigiana in Italia e Slovenia, dall’idealistica partenza per «costruire il socialismo» in Jugoslavia alle amare delusioni nei confronti di Tito, dello stalinismo e del Partito comunista italiano, per arrivare al tardo Novecento, alle esperienze di Andrej a Panama, in Nigeria, in Libia e in Giordania.

Biografie incredibili ma vere, messe insieme col rigore di chi lavora sulle fonti e narrate con la penna del romanziere. Vite che incarnano il grande sogno della sinistra europea e mondiale. Vite di chi non si è mai arreso di fronte alle difficoltà e alle delusioni più cocenti. Vite all’insegna della libertà mosse da un ideale intramontabile: la fine dello sfruttamento.

«Corre su e giù per lo scalo, urla ai compagni, controlla i pezzi, fa ungere ancora qua e là le traversine dove gli sembra che l’attrito potrà creare problemi. Di tanto in tanto guarda su: un muro di venti metri di acciaio, altissimo. Ma ci è abituato.
Ora l’importante è che tutto fili liscio. Sicuramente non per quegli sfruttatori dei Cosulich, per i dirigenti del cantiere o per gli ingegneri: su tutti i giornali hanno scritto che la nave è – assieme alla gemella varata l’anno prima – l’orgoglio della flotta. No, dei padroni non gliene frega niente: quella nave è l’orgoglio della classe operaia, di chi ci ha lavorato.»

Piero Purich

Piero

Piero Purich (Trieste, 1968), storico e musicista, ha conseguito il dottorato in storia contemporanea presso l’Università di Klagenfurt. È autore di diversi saggi, tra i quali Metamorfosi etniche. I cambiamenti di popolazione a Trieste, Gorizia, Fiume e in Istria. 1914-1975 (KappaVu, Udine 2014). Nel 2017 ha ripreso il cognome di famiglia che era stato italianizzato in Purini durante il fascismo. Collaboratore di lungo corso di Giap, è autore di alcuni dei post più letti nella storia di questo blog, su tutti «Quello che Cristicchi dimentica. Magazzino 18, gli “italiani brava gente” e le vere larghe intese» e «Come si manipola la storia attraverso le immagini: il Giorno del Ricordo e i falsi fotografici sulle foibe», senza dimenticare «Cos’è stata la “Fase 1” dell’emergenza coronavirus? Uno storico getta un primo sguardo retrospettivo».

Andrej Marini

Andrej nel 1969

Andrej Marini (Fiume, 1948) è stato operaio nel cantiere di Monfalcone. Ha lavorato poi come carpentiere in ferro in quattro continenti. In seguito si è dedicato alla cucina trasformando una passione in professione.

La farina dei partigiani è il sedicesimo titolo della collana Quinto Tipo diretta da Wu Ming 1 per le Edizioni Alegre e sarà in libreria da domani, 3 dicembre 2020. Puoi comprarlo anche direttamente dal sito di Alegre.

A Quinto Tipo ci si può abbonare: con soli 45 euro, usufruendo mediamente del 30% di sconto, quattro UNO – «Unidentified Narrative Objects» – atterreranno a casa tua senza spese di spedizione per l’Italia, a partire proprio da La farina dei partigiani. Se vuoi abbonarti, → visita questa pagina.

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3 commenti su “Con La farina dei partigiani di Piero Purich e Andrej Marini torna la collana Quinto Tipo diretta da Wu Ming 1

  1. Per me che ho sposato una bisiaca e che di tanto in tanto frequento queste lande desolate, è una splendida notizia. Mi ha fatto molto piacere vedere decine di copie di questo libro in bella mostra in una (grossa) libreria locale. Vuol dire che nonostante le politiche di intolleranza, c’è consapevolezza nella ricchezza di una regione che ha una storia che si ramifica in tutto il mondo, dal classico incrocio tra mondo latino, germanico e slavo che chi segue la Wu Ming Foundation e le pubblicazioni di Purich conosce bene, all’esplosione multietnica degli ultimi anni (più di un monfalconese su cinque non è italiano).

    Riguardo il cantiere di Monfalcone, meriterebbe un commento il recente MuCa, museo della cantieristica, che pure nel bel contesto architettonico e museografico è palesemente eretto alla gloria dei Cosulich e, circa i temi dell’amianto, dell’attuale sindaco di estrema destra Cisint.

    Finisco con una domanda: nella libreria che citavo, sullo stesso tema era anche esposto “Gli italiani di Tito” di Enrico Miletto (2019). Sapete dirmi qualcosa di questo libro?

  2. Il quotidiano triestino «Il Piccolo» recensisce a tutta pagina La farina dei partigiani.

    Peccato solo il sottotitolo dove Piero diventa «Paolo» Purich.

  3. ciao Roy, scusa il ritardo ma ho dovuto documentarmi per risponderti.
    Il MuCa è un ottimo museo, condivido però la tua critica secondo cui è eccessivamente apologetico dei Cosulich. Decisamente scandalosa è stata invece la mostra “Idrovolanti: l’epopea dei Cant tra le due guerre” tenuta con il patrocinio del Comune di Trieste presso il Palazzo Gopcevich (ma che ha girato per qualche tempo anche in altre città italiane) in cui c’era materiale sui Cosulich, sugli ingegneri, sui piloti, ma nemmeno una parola sulle maestranze operaie.
    Nel libro che ho scritto con Andrej mi sarebbe piaciuto affrontare anche le questioni dell’amianto e dello sfruttamento delle maestranze bengalesi, ma purtroppo esulavano dall’arco temporale del racconto (e avrebbero reso ancor più corposo un volume già impegnativo).
    Per quanto riguarda il libro di Miletto non l’ho letto (mi riservo di farlo), ma non ne ho sentito parlare molto bene: ci sono degli errori marchiani (Zara nella Zona B della Venezia Giulia, il piano Delta confuso con il concentramento di truppe italiane nell’estate del ’53) ed è scritto con un andamento molto episodico. Inoltre, come nel succede con il 90% degli storici che si occupano del “confine orientale”, mi pare che Miletto non abbia alcuna competenza linguistica relativa al serbocroato (o allo sloveno) il che gli preclude completamente l’accesso ad una visione più complessa ed organica delle questioni che affronta.