Speciale #Lamacchinadelvento: reading, interviste, recensioni

La macchina del vento

La macchina del vento è uscito da poco più di un mese e proprio oggi sono arrivate in libreria le copie della terza edizione.

Dall’ultimo speciale tutto ha continuato a muoversi: il tour conta già nove presentazioni e la decima è imminente (dettagli in fondo a questo post); sono uscite diverse recensioni importanti e sta nascendo un reading/concerto tratto dal romanzo (ve ne offriamo qui una testimonianza sonora). È dunque tempo di fare di nuovo il punto.

Andiamo in ordine cronologico inverso. Proprio ieri sul sito della rivista Il Mulino, è uscita un’intensa e bella recensione di LMDV, a firma di una vecchia conoscenza: il collettivo di scrittori Lou Palanca.

Considerato che Altiero Spinelli fu tra i redattori più importanti della rivista e tra i fondatori dell’omonima associazione/casa editrice, fa un certo effetto leggere proprio su quel sito certe considerazioni. Non siamo stupiti, però, ecco, una cosa del genere non è mai scontata.

→ La macchina del vento: Wu Ming 1 contro la retorica di Ventotene e sull’Europa di oggi

Un estratto:
«Molte pagine del romanzo sono dedicate proprio a questo Manifesto, sottratto da Wu Ming 1 al giudizio strumentale ed “eroico” che oggi lo accompagna e ricondotto a quello che esso veramente fu: un documento certamente originale che però incontrò critiche robuste già sull’isola di Ventotene e che conteneva una serie di contraddizioni che gli stessi confinati avevano colto ed espresso […] appare evidente lo sforzo di strappare il Manifesto di Ventotene, o meglio la sua proiezione mitica, alla retorica delle forze politiche che hanno guidato la torsione tecnocratica dell’Unione; da altro versante, si percepisce la volontà di sfuggire all’identificazione tra il Manifesto di Spinelli e l’esperienza del confino, che fu tante, e anche più importanti, cose: sofferenza, solitudine, incontri, resistenza, pensiero politico complesso e diversificato […] Nella Macchina del vento Ventotene non è l’isola dove nasce l’Europa, ma il luogo in cui prende avvio la Resistenza. E oggi abbiamo bisogno di Resistenza più che di Europa, sembra pensare Wu Ming 1.»

Pochi giorni prima, sulla rivista on line di cultura militante La balena bianca era uscita, a firma di Paolo Saporito, quella che al momento è forse la recensione più approfondita del romanzo:

→ Incontri che sconfinano: La macchina del vento di Wu Ming 1

Un estratto:
«[La macchina del vento] indaga le forme di resistenza possibili all’interno del confino stesso. Questa esperienza non spinge l’immaginazione a generare solo fughe dalle costrizioni del reale, fughe che, se accolte acriticamente, potrebbero rinchiudere il fuggiasco in una dimensione totalmente sconnessa dal reale stesso. L’esperienza di Erminio trasforma l’immaginazione in un potere performativo di intervento nella realtà […] È l’incontro con l’altro nel kairòs a far scaturire idee, “universi e futuri” alternativi, come si legge nel libro. Un incontro non imposto, ma spontaneo, non controllato e diretto da un potere forte, ma aperto al diverso in quanto tale e non aderente ad una norma necessaria. È questa la tesi con cui, a margine delle vicende, Erminio critica il manifesto di Spinelli e Rossi. La critica, che in forma di lettera occupa un intero capitolo del romanzo, attacca quei punti del federalismo degli albori […] che oggi ritroviamo nell’Europa degli ultimi anni, troikizzata e BCEntralizzata.»

Una recensione piuttosto divertita di LMDV è uscita anche sul supplemento Tuttolibri de La Stampa, il 18 maggio scorso, firmata da Mirella Serri:

→ Polifemo ha la pensione d’invalidità e incontra Pertini confinato a Ventotene

L’inizio:
«Fascisti ante marcia? Il ciclope Polifemo che gode della pensione da invalido di guerra anche se l’occhio di cui è privo non lo ha perso nel primo conflitto mondiale ma in uno scontro con gli Arditi del Popolo. C’è poi il gigante Anteo che, divenuto caporione della Milizia, si è trasferito in Cirenaica agli ordini del generale Graziani, e c’è anche Poseidone, dio del mare e dei terremoti…»

Una videorecensione di LMDV è stata realizzata da Marco Niro del collettivo di scrittori Tersite Rossi:


Passiamo ora ai materiali audio.

In occasione della presentazione di LMDV a Latina, organizzata dal Collettivo Swamp, Wu Ming 1 è stato intervistato da Licia Pastore di Radio Luna. La chiacchierata dura 12 minuti e → si può ascoltare qui.

Marco Messina (99 Posse, Elem)

Il 9 maggio, al Mezzocannone Occupato di Napoli, Wu Ming 1 ha letto cinque brani del romanzo accompagnato in diretta dalle musiche di Marco Messina (membro storico dei 99 Posse, co-fondatore del trio Elem e non solo) e Fabrizio Elvetico (co-fondatore degli Elem e di Illachime Quartet), ovvero il duo che già aveva composto la colonna sonora per la versione teatrale de L’Armata dei Sonnambuli.

Su questa formula continueremo a lavorare, e in autunno riproporremo il reading in giro per l’Italia. Intanto, come teaser, ecco uno stralcio di quella prima «prova aperta». Buon ascolto.

Il discorso di Atena
Il discorso di Atena
Estratto del capitolo 3, Prima parte, pagg. 71-73. Durata: 7’22”.

Ci congediamo, infine, coi dettagli della prossima presentazione.

30 maggio
REGGIO EMILIA
Wu Ming 1 presenta La macchina del vento.
h.21, Biblioteca Ettore Borghi di Istoreco,
(Istituto per la Storia della Resistenza e della Società contemporanea)
via Dante 11.
In collaborazione con Casa popolare Spartaco.
Evento Facebook qui.

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7 commenti su “Speciale #Lamacchinadelvento: reading, interviste, recensioni

  1. Riproporremo il reading/concerto tratto da #Lamacchinadelvento a #Roma domenica #9giugno, al festival Contrattacco, Communia – Spazio di mutuo soccorso, Viale dello Scalo S. Lorenzo 33. h.21. Ancora una volta in trio: WM1, Fabrizio Elvetico, Marco Messina.

  2. CONTIENE SPOILER!!

    Ho letto un libro che parla di storia, la nostra storia.
    Ho letto un libro che trasuda emozioni e solo uno scrittore come WM1 poteva tenere una scrittura così asciutta e scorrevole senza farsi prendere dal pathos, che c’è e si percepisce.
    Ero di fianco a Pertini quando si rivolge ai fascisti per reclamare il corpo del compagno ucciso dagli squadristi, ero lì con tutti loro e ho visto i “magnifici volti da pendagli da forca” degli anarchici, in quella stanza carica di tensione.
    Ero in quella stanza, su una brandina con l’orecchio teso ad ascoltare i discorsi dei confinati, a respirare le loro emozioni e paure. Ero nella testa di Erminio e Giacomo, dietro i loro passi ad ascoltare le conversazioni e avrei voluto dirgli qualcosa, dirgli che alla fine ce la faremo.
    Ero con loro perché “La maggioranza dei confinati era gente che, in fondo, si era limitata a non portare il cervello all’ammasso.”
    Perché anche io, tutti noi, siamo stati “(…) antifascisti “senza tribù”: uomini che avevano opposto al regime un rifiuto etico e del tutto personale, oppure comunisti espulsi dal partito per “deviazionismo”, “avventurismo”, “opportunismo”, “bordighismo”, “trotskismo” e altri “-ismi”.”

    Ho letto questo libro, l’ho amato e sentito sotto pelle, l’ho regalato e ne ho parlato con tutti.

    Poi ho visto un film.
    Un film con protagonista quel pazzo di Wu Ming 1 che, alla presentazione al VAG61 di Bologna, ha detto che ha trascorso il tempo a Ventotene a contare i passi e le distanze da un luogo all’altro, perché le conversazioni tra i confinati dovevano durare quel tot, esattamente il tempo di percorrere da A a B.
    L’ho visto affacciato al dirupo, in cima alle scale da dove è “caduto” Giacomo. E poi in fondo, a guardare il mare e gli scogli e a pensare dove doveva essere finito il corpo.
    L’ho visto fissare l’orologio fermo del campanile e pensare, pensare come scriverlo.
    Grazie per la tua follia.

    La Macchina del Vento è la nostra storia, la storia che da lì a poco sarebbe stata scritta da uomini che ancora ricordiamo e ai quali diciamo grazie. Grazie perché siamo vivi, grazie perché ci avete dato l’esempio e le parole. Sempre le stesse, che parlano di libertà.

  3. […] ■ Nello scorso speciale su La macchina del vento abbiamo proposto la videorecensione realizzata da Marco Niro del […]

  4. Stamane ero alla festa di chiusura della scuola di mia figlia, la Eugenio Colorni di Milano.
    Ieri sera ho concluso la lettura de La macchina del vento. Cosa posso dire? Mi ha emozionato e commosso, credo sia l’esito di WM1 più poetico e intenso, non casualmente uscito pochi mesi dopo Proletkult.
    E’ riuscito a parlarci delle lotte di oggi, di quello che abbiamo passato (sarà stato casuale trovare nel giro due righe le parole “cavaliere” e “girotondi”?) e di quello che si para davanti, con la lezione dell’unità e dell’ascolto e della fantasia, come antidoto alla quotidianità più avvilente.
    Ah: e ho fatto un salto quando ho letto dello sciopero alla Manifattura Tabacchi di Sestri Ponente.
    22 anni fa ho fatto una marea di foto dentro la fabbrica ormai dismessa e destinata (dallo IACP) a diventare una sede di residenze popolari convenzionate. Oggi non so cosa sia diventata ma dentro la Manifattura tutti i muri e i legni profumavano ancora dell’odore dolcissimo del tabacco e forse anche delle donne che ci avevano lavorato, donne di cui avevo ritrovato foto di inizio secolo e che oggi andrò a riesumare da una vecchia scatola piena di stampe, negative e diapositive.
    Ancora una volta una storia così lontana ha saputo smuovere qualcosa di personale.
    Grazie, ancora una volta.

  5. Ci sono tre modi di leggere La macchina del vento. Uno è quello che vede in trasparenza un racconto delle lotte di oggi, proponendo a queste lotte alcune direzioni di ricerca, sottolineando rischi ecc. Un altro è quello che usa il fantastico come chiave di accesso a una stagione storica poco nota, in cui magari noi vecchi ci divertiamo a riconoscere personaggi della nostra formazione, o diventati famosi in seguito (io, da insegnante, vivo sempre col retropensiero di se e quanto ogni romanzo che leggo possa essere letto dai miei alunni. Anzi, cara Einaudi, che ne diresti di farmene curare un’edizione scolastica? E Wu Ming che ne dice?). Riconoscere in positivo o in negativo, s’intende: appartengo a quel milieu sociale per cui il nome di Marcello Guida fa squillare un certo tipo di campanello in testa. Il terzo è quello di una chiave di lettura per cui il piano del passato e quello attuale non si richiamano per allegoria, ma per concreta continuità storica. Non è

    **SPOILER ALERT**

    che l’episodio del malore attivo di Giacomo “alluda” a quello di Pinelli (o se è per questo a Stefano Cucchi): è che noi continuiamo ad avere versioni ufficiali di quel tipo perché non ci siamo mai liberati di quel tipo di poliziotti, e questo perché non ci siamo dati un certo tipo di priorità, abbiamo ceduto su certi fronti ecc.

    Chi siamo questi “noi”? Roberto opportunamente si prodiga nelle note finali ad allontanare il rischio di una sovrapposizione tra autore e voce narrante. Ok, ma va detto qualcosa in più: da dove narra Erminio? A un certo punto si riferisce al fatto che Pertini “adesso” è presidente della Camera. E sappiamo che Pertini lo è stato dal 1968 al 1976. Escluderei tuttavia che la narrazione avvenga dopo la vicenda Pinelli (non tanto per l’analogia con Giacomo, che Erminio poteva non cogliere, quanto perché Pertini, in visita a Milano per l’occasione, si rifiutò di stringere la mano a Guida e la cosa ebbe un certo scalpore: Erminio non l’avrebbe taciuta). Insomma, siamo tra l’autunno del 1968 e quello del 1969. Ed è il suo racconto che leggiamo? No, Erminio non scrive: parla. Qualcuno registra e trascrive. Realizziamo lentamente che si tratta di uno studente che lo sta intervistando per la propria tesi di laurea. Allora sono due, non uno, i filtri attraverso i quali ci arriva questa storia. Uno è Erminio, l’altro è lo studente che, anche se non parla mai, è quello che sbobina, riordina il materiale, probabilmente è lui ad aver fatto le domande, e che insomma è l’ultimo responsabile di questa materia testuale che a noi arriva. Ed è azzardato supporre che uno studente universitario del 1968 o 69, quando mette in ordine la vicenda, sia a sua volta coinvolto in movimenti che pongono la questione della possibilità della massa di proporsi come soggetto? Insomma, questo “noi” potrebbe precederci di una cinquantina d’anni. O meglio: è un “noi” ininterrotto che si snoda nel tempo.

    Ah, a proposito del tempo. Sono l’unico ad aver pensato che una riflessione importante dell’autore avesse un punto di partenza che avevamo già letto?
    Qui: https://www.wumingfoundation.com/giap/2012/06/il-terremoto-in-emilia-e-gli-orologi-di-wu-ming-1/

    • “Ah, a proposito del tempo. Sono l’unico ad aver pensato che una riflessione importante dell’autore avesse un punto di partenza che avevamo già letto?”

      Potrei sbagliare, ma la riflessione sul tempo mi sembra un leitmotiv nella produzione di Wu Ming; nello specifico, sul tempo imposto che condiziona l’esistenza della collettività. In *Un viaggio che non promettiamo breve*, se ben ricordo, compare un rimando agli orologi liquefatti dipinti da S. Dalì: un’immagine potente per indicare il boicottaggio dei ritmi temporali coercitivi (io, almeno, l’ho letta così). E comunque *tempo* e *spazio* sono due dimensioni della guerra e nei conflitti asimmetrici sono in un rapporto di interscambiabilità: la guerriglia concede spazio all’avversario in cambio di tempo. Al cantiere militarizzato pro Tav corrisponde una logorante lotta no Tav prolungata nell’arco temporale di quasi trent’anni.
      La riflessione su spazio&tempo associata alla dimensione del conflitto mi è parsa una costante tematica anche all’interno dell’ultimo romanzo di Wu Ming 1.

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