Partigiani migranti. La Resistenza internazionalista contro il fascismo italiano.

Lapide nel cimitero partigiano internazionale di Pozza (AP).

di Wu Ming 2

Qualche settimana fa, poco prima di Natale, l’account twitter dell’ANPI Brescia ha segnalato l’ennesimo tentativo di ridurre la Resistenza italiana a un movimento patriottico, bianco e nazionalista.
Ancora una volta, ci è toccato leggere frasi di questo genere: «A coloro che accostano i #migranti ai #partigiani e che cantano #bellaciao faccio notare che i VERI partigiani (non i #sinistri che s’atteggiano dell’#anpi) combattevano per difendere la propria patria!!! E combattevano contro “l’invasor” ovvero lo straniero! E non scappavano!!!»
Giustamente l’ANPI Brescia ha risposto: «I partigiani combattevano contro i fascisti, italiani e stranieri, per la liberazione dell’Italia dalla dittatura, e i migranti di allora, cioè le persone costrette a lasciare il loro Paese (ad esempio dalla guerra), li accoglievano nelle loro file. E non scappavano.»

Per aiutare a smontare la mistificazione, abbiamo iniziato ad elencare alcuni esempi di quanto la Resistenza sia stata invece multietnica, creola, internazionalista e migrante. Il thread ha avuto una rapida diffusione e molte persone hanno aggiunto notizie e testimonianze familiari sulla partecipazione di «partigiani stranieri» alle «nostre» brigate.

Per questo, abbiamo pensato che potesse essere utile radunare in un post i principali riferimenti reperibili on-line alle oltre 50 nazionalità rappresentate nella Resistenza italiana, e agli italiani che affiancarono i partigiani di altre nazioni. Così, la prossima volta che qualcuno tirerà fuori la solita “bufala sovranista”, sarà sufficiente citare questo post per stroncarla sul nascere.

Il caso più numeroso, più noto e studiato è quello dei partigiani sovietici: nel primo libro scritto sull’argomento, Mauro Galleni ricavò dai ruolini militari la cifra di 4981 combattenti e 425 caduti, che oggi è ritenuta sottostimata. Quattro di loro sono insigniti di medaglia d’oro al valor militare: Danijl Avdeev, Pore Musolishvili (che in realtà si chiamava Mosulishvili – grazie ad Anna Roberti per la segnalazione, nei commenti qui sotto), Nicolaj Bujanov e Fëdor Poletaev.

Dopo la scomparsa dell’Unione Sovietica, ulteriori studi hanno indagato più nel dettaglio la partecipazione alla resistenza italiana di ucraini (come lo stesso Bujanov), georgiani (come Musolishvili), azeri (come Mehdi Huseynzade – attivo nella zona di Trieste – e Nuri Aliyev – che sposò la partigiana bolognese Gina Negrini). E ancora armeni (come Babasian Armenak), lettoni (come Vasilij Corimiachi), kazaki (come Vago Ieblegan), bielorussi (come Ignatij Selvanovič), daghestani (come Imir Sakhaio).

Erano sovietici anche i cosiddetti “mongoli” che si unirono alle brigate partigiane – per esempio la “Cacciatori delle Apuane“, in Versilia. In alcuni casi si trattava di prigionieri dei tedeschi internati in Italia e in altri di disertori della 162ª Divisione “Turkistan” della Wehrmacht, formata da soldati azeri e dell’Asia centrale russa. Alcuni di loro, quando tornarono in URSS dopo la guerra, furono puniti per essersi arruolati nell’esercito nazista, a prescindere dal loro successivo “ravvedimento partigiano”, come racconta Catia Giaconi – figlia di una partigiana pisana e di un azero confinato in Siberia – nel suo romanzo Buriazia.

Di un’altra nazione che non è più nazione – la Jugoslavia – è ben noto il contributo alla resistenza italiana, ma il primo studio davvero completo è stato il libro di Andrea MartocchiaI partigiani jugoslavi nella Resistenza italiana (Odradek, 2011). Il volume è completato da un sito con moltissime informazioni aggiuntive. Martocchia calcola che i caduti jugoslavi in Italia – in battaglia o per via del loro antifascismo – furono 175. Tra le tante formazioni nelle quali combatterono questi partigiani, una menzione particolare  merita l’ISLAFRAN,  brigata composta da Italiani, SLAvi e FRANcesi, che operò nelle Langhe e la cui storia è stata ricostruita grazie al lavoro di Ezio Zubbini.

Anche per la ex-Jugoslavia abbiamo trovato esempi di partigiani provenienti dalle diverse nazionalità che un tempo costituivano la repubblica federale: croati come Vinka Kitarovič, nativa di Sibenik; sloveni come Rado Bordon, bosniaci come Etel Josef, serbi come Mihailo Bjelakevic, montenegrini come Milan Tomović. Ci manca un macedone, ma contiamo di trovarlo presto.

Va ricordato, inoltre, che il primo gruppo partigiano italiano – il «distaccamento Garibaldi», sulle Prealpi Giulie – naque nel marzo 1943 in sostegno ai reparti sloveni della resistenza armata jugoslava, che fu in qualche modo la “matrice”, l’esempio al quale si ispirarono i ribelli italiani.

Sempre restando alle nazioni che non esistono più sulla mappa, anche ai partigiani della Cecoslovacchia che combatterono in Italia sono stati dedicati diversi studi e in particolare un libro. I loro nomi – ma a volte nemmeno quelli – compaiono tra le vittime delle stragi nazifasciste di Cercina (FI), Susa (TO), Anzola d’Ossola (VB). Ad Argenta (FE) c’è una via intitolata a Juraj Bašnár, slovacco, morto in uno scontro con l’esercito tedesco nelle Valli di Comacchio, mentre in provincia di Imperia, partecipò alla resistenza il ceco Vladislav Hana.

Numerosa e documentata è anche la presenza in Italia di partigiani polacchi: Hermann Wygoda, ingegnere ebreo, reclutato a forza nella TODT, diventò il “comandante Enrico” della 4ª Brigata e poi delle divisione “Gin Bevilacqua”, in provincia di Savona; Mieczyslaw Bogarki diresse la squadra Mietek, nel reggiano; Borian Frejdrik venne fucilato a La Storta, subito fuori Roma, dai nazisti in fuga dalla capitale.

Nello stesso frangente morì anche Gabor Adlerungherese, volontario dell’esercito britannico e agente dello Special Operations Executive. Come ungherese era Simone Teich Alasia, nato a Budapest e laureato in medicina a Torino, organizzatore dell’ospedale partigiano di Richiardi (TO).

Un altro caso noto agli storici, ma ben poco ricordato nella vulgata, è quello dei disertori della Wermacht,  soprattutto tedeschi, austriaci, cecoslovacchi e olandesi che si unirono alle brigate partigiane. Uomini come Rudolf Jacobs, che morì nell’assalto alla caserma delle Brigate Nere di Sarzana (SP), alla testa di 12 partigiani travestiti da soldati del Reich. O come il marconista Hans Schmidt, ucciso ad Albinea (RE), insieme ad altri quattro commilitoni, durante un’azione di “tradimento”. Tra la Carnia e l’Austria, i disertori dell’esercito tedesco costituirono addirittura un intero battaglione, il “Freies Deutschland Battalion“, inserito nella Brigata Garibaldi Carnia, con il commissario politico Gino Unfer “Vesuvio” – italiano di madrelingua tedesca, originario di Paluzza (UD).

Un giovane ufficiale medico austriaco, disertore della Luftwaffe, contribuì a curare i feriti dell’infermeria partigiana di Bologna, in via Duca d’Aosta 77, e morì insieme ai suoi pazienti – tra i quali un disertore olandese e un partigiano sovietico – quando il luogo venne scoperto e attaccato dai fascisti. Nella lapide che ricorda l’eccidio, le vittime di nazionalità estera vengono definite, con un ossimoro illuminante, “patrioti stranieri”.

Sempre nella zona di Bologna, partecipò alla resistenza con la Brigata “Bolero” Wilhelm Beckers detto Willy, forse il più conosciuto tra i disertori di origine olandese, grazie al suo libro di memorie, scritto direttamente in italiano: Banden! Waffen Raus! (Edizioni Alfa, Bologna, 1965).

Caj Sorensen, danese, fu arruolato nella marina tedesca dopo l’invasione nazista della Danimarca. Spedito a combattere nel Mediterraneo, disertò, si unì ai partigiani della 7ª divisione Viganò e più tardi alla missione alleata “Indelible”, sulle montagne tra Alessandria e Savona. Dopo la guerra sposò una ragazza savonese e tornò a vivere con lei nel suo paese.

Un altro capitolo importante della “resistenza internazionalista” è quello dei Prisoners Of War (POW) degli eserciti alleati. La maggior parte fuggì dai campi di prigionia dopo la caduta del fascismo e l’armistizio dell’8 settembre 1943. Molti riuscirono a nascondersi grazie all’aiuto della popolazione e a mettersi in contatto, dopo lunghe peripezie, con i propri eserciti di appartenenza. Altri si aggregarono ai partigiani e combatterono per diversi mesi con gli irregolari.

L’ormai centenario Bill Rudd, australiano, nel suo sito dedicato ai soldati neozelandesi e australiani che combatterono in Europa, sostiene che 55 di loro lo fecero insieme ai partigiani. Uno di essi, Ian Sproule, ha scritto un libro dedicato ai Partigiani australiani nel biellesetradotto in italiano dagli studenti della classe 5B del Liceo Scientifico “A. Moro” di Rivarolo Canavese, nell’anno scolastico 2016-2017. La testimonianza di Malcolm R. Webster, anche lui australiano, è invece apparsa su L’impegno, a. IX, n. 1, aprile 1989. Jack Lang, Frank Gardner, Bob Smith, Pat Moncur, Dave Russell – tutti dalla Nuova Zelanda – hanno raccontato la loro esperienza di guerriglia al confine tra Italia e Yugoslavia in un lungo articolo del NZ Herald e nel libro di F. N. Millar, The “Signor Kiwi” saga (1993).

Per restare in ambito anglosassone, del tutto diversa è la vicenda di Mary Cox, nata a Firenze da genitori scozzesi, collaboratrice del CLN, arrestata dalla “banda Carità”, torturata a Villa Triste e quindi lasciata cadavere in via di Capornia. Sorte meno definitiva, ma forse ancor più tragica, toccò quasi vent’anni prima a un’altra antifascista, l’irlandese Violet Gibson, che il 7 aprile 1926 sparò in faccia a Benito Mussolini, riuscendo solo a ferirlo in maniera lieve. Di tutti gli attentati contro Mascellone, il suo fu senz’altro quello più prossimo al successo. Morirà nel manicomio di Northampton, dopo trent’anni di internamento.

Ci sono poi molti casi di britannici – come George E. Evans – che imbracciarono le armi a fianco dei partigiani italiani, oppure di irlandesi come Samuel Boone Conley, che venne catturato insieme ai fratelli Cervi e a due POW sudafricani.

Anche questi ultimi sono ben rappresentati nelle file della Resistenza, come dimostra la storia di Mich Bryant e Desmond Ford, attivi nella zona di Feltre (BL), e ancor più quella dei 10 sudafricani aggregati come reparto autonomo alla Brigata Italia Libera Campo Croce e uccisi nella strage di Carpané San Nazario (VC). Nello stesso episodio perse la vita anche Miramat Shah, soldato indiano dell’Indian Army e “partigiano alleato”.

Abbiamo trovato notizie on line anche di altri due partigiani di nazionalità indiana: uno è Sad – il sikh con tanto di turbante che si aggregò alla brigata “Stella Rossa” del comandante Lupo – mentre l’altro pare si chiamasse Bakhtiar Rana, nome di battaglia “Nobile“, torturato e fucilato a Ponte di Corva (PN). Di lui, i fascisti pordenonesi scrissero che la sua fine stava “a dimostrare all’ineffabile signor Roosvelt che quella accozzaglia di razze inferiori da lui inviate in Europa (…) è destinata a finire così miseramente”.

L’indiano Sad della Brigata “Stella Rossa”

Prigionieri di guerra britannici, fuggiti dai campi fascisti, combatterono anche nel maceratese, e in particolare nel battaglione “Mario”, sul Monte San Vicino. “A very mixed bunch”, lo definì il maggior generale John Cowtan, che si trovò in compagnia di russi, jugoslavi, italiani, polacchi, somali ed etiopi (come abbiamo già raccontato qui e qui)

Su Giap, abbiamo ribattezzato questi partigiani provenienti dalle colonie italiane “Liberatori d’Oltremare”, e per quanto il loro sia un caso piuttosto raro, non smettiamo di trovarne: a parte l’ormai famoso Giorgio Marincola, italo-somalo, ci sono infatti  Italo Caracul, un ragazzino libico di 11 anni, portato in Italia dai militari del reggimento “Sabrata”, di ritorno dalla campagna d’Africa, che entrò nella Resistenza dalle parti di Gandino (BG), e Brahame Segai, partigiano eritreo della 175ª Brigata Garibaldi Sap Guglielmetti, in Liguria. Di lui purtroppo non sappiamo altro, ma conosciamo invece la vicenda di Isahac Menghistu, studente di Ingegneria all’Università di Roma e unico eritreo a sperimentare il confino fascista, nel 1936, prima a Ustica e poi a Ventotene, per “aver esternato accaniti sentimenti antitaliani”, arrivando a gioire per la decapitazione del tenente Tito Minniti durante la guerra d’Etiopia.

Italo Caracul, detto “Il tripolino”

Non lontani dal Dodecaneso italiano, erano nati i ciprioti greci Gregorio Kondaxis e Giorgio Vreteas, caduti in combattimento ad Acquasanta Terme (AP), insieme a inglesi, jugoslavi, italiani e allo statunitense Lawrence Parker.

Greco era pure il partigiano “Aristotele”, morto ad Anzola d’Ossola il 6 agosto ’44, mentre sulle montagne del piacentino, a Costalta di Pecorara, aveva la sua base la “banda del Greco”, un gruppo di una trentina di ex-prigionieri greci, fuggiti dal castello di Rezzanello e guidati dal sergente Andrea Spanoyannis.

Nel cippo che ricorda la strage di Cornia (Civitella Val di Chiana – AR) è nominato “Asbi – patriota albanese“, mentre nei verbali del procedimento contro il generale Wilhelm Schmalz- accusato di quell’eccidio – compare il nome dell’albanese Harbi Dushmi (che diventa Ismail Harbi e Hasbi Ismaili nell’Atlante delle Stragi Nazifasciste).

Nella lapide, il misterioso Paolo Monsatard è in realtà il francese Paul Henri Moscard. Clicca per ingrandire.

Se si trovasse anche un cinese di Tianjin avremmo almeno un partigiano da ciascuno dei territori occupati dagli italiani, dall’Unità fino alla seconda guerra mondiale. Compresa la Francia, dato che francesi erano i ribelli della già citata brigata ISLAFRAN, e molti altri se ne potrebbero citare: Paul Henri Moscard, detto “il francesino”, disertò dall’esercito tedesco e difese la repubblica partigiana di Montefiorino (MO); Robert Hayden (o piuttosto Houdin), morì in seguito alle ferite riportate durante il rastrellamento di Monte Quoio (SI). Militava nell’esercito francese anche il marocchino Joseph Besonces, ex-prigioniero di guerra diventato partigiano, morto a Nocera Umbra (PG) nell’aprile ’44.

Di Amkonop Fublapucs, sappiamo soltanto che era bulgaro, che il suo nome di battaglia era Tortori e che fece parte, dal 28 gennaio 1945, della 117ª Brigata SAP “Jori”, operante in Val Polcevera (GE).

Dimitri Popescu detto “Bucarest”, rumeno, fu vicecomandante di distaccamento nella brigata “Pio” della Divisione Garibaldi “Mingo”, che operava sulle alture tra Genova e Alessandria.

Morton Perez, conosciuto come messicano (ma forse era un ispano-americano degli Stati Uniti), partigiano della “Francini”, morì il 3 giugno ’44 a Condotto di Sansepolcro (AR)

Manuel Serrano, portoricano di Brooklyn, cittadino statunitense, fuggì dal campo 59 di Servigliano (FM) e si unì ai partigiani (come i suoi compagni di prigionia Robert Dickinson, inglese, e Joseph Maly, dall’Illinois – grazie a Matteo Petracci per la segnalazione). Dopo la guerra, Serrano si stabilì a Roma e recitò in una quindicina di film (Sotto a chi tocca, Totò a colori, Quella sporca storia nel west…)

Carlos Collado Martinez, costaricano, laureato in medicina all’Università di Bologna, collaborò alla cura dei feriti partigiani e nell’estate del ’44 si mise in contatto con la 63ª Brigata “Bolero”. Catturato dai nazisti fu impiccato e fucilato nella strage del cavalcavia di Casalecchio di Reno (BO).

Dall’America Latina arrivava anche il partigiano “Zama”, attivo in Val Varaita (CN) e comandante della 15ª Brigata Garibaldi “Saluzzo”. Antonio Giolitti lo ricorda come Eduardo Zamacois, “di cittadinanza ecuadoriana“. Emanuele Artom scrive nel suo diario che “nacque in Ecuador, venne a studiare a Genova, lavorò come giornalista in Francia, poi nella Legione Straniera in Africa, poi paracadutista per l’Inghilterra”. Altre fonti – tra le quali due processi nel Dopoguerra – lo battezzano Eduardo Zappata, nato a Guayaquil (Ecuador), oppure in Colombia… Di lui parla estesamente Giovanni De Luna, La Resistenza perfetta, Feltrinelli, 2015.
Ma se si cerca sul sito dell’ISTORETO, nell’archivio del partigianato piemontese, non si trovano combattenti nati in Ecuador. Eduardo Zamacois “Zama” risulta invece colombiano, come José Delgado, del quale per il momento non sappiamo nulla (Grazie a Lorenzo Teodonio per la dritta sul comandante Zama).

F. Abdon Miranda, detto Tinico, peruviano, venne fucilato a Seborga (IM) il 9 settembre ’44. Di lui sappiamo che morì insieme a due giovani partigiane italiane, le sorelle Carmen e Gioconda Manassero, nate nella sua stessa città – il porto di Callao. Forse si trattava di un domestico, o di un amico, che seguì la famiglia Manassero al suo rientro in Italia?

Ancora più misteriosa è la figura di Nicolò Do Rosario, portoghese di Capo Verdepartigiano dal 20 aprile ’45, morto solo quattro giorni dopo, durante la Liberazione di Genova.

Giuseppe Maiani, comunista sanmarinese, fu staffetta della 5ª Brigata Garibaldi in Montefeltro. Due suoi connazionali, Claudio Canti e Vittorio Ghiotti, sono ricordati nella  lapide per i 50 partigiani stranieri, caduti per la liberazione di Genova e dichiarati cittadini onorari della città.

Emilio “Mirko” Levak

Concludiamo questa prima scorribanda citando alcuni partigiani italiani che mettono ulteriormente in crisi l’idea di una resistenza bianca, italofona e nazionalista: ad esempio Alessandro Sinigaglia, figlio di David – ebreo mantovano – e dell’afroamericana Cynthia White, oppure i tre sinti uccisi al Ponte dei Marmi di Vicenza, o il battaglione sinto dei “Leoni di Breda Solini“, attivi nella pianura tra Reggio e Mantova, o ancora Emilio “Mirko” Levak, rom kalderash, fuggito da Birkenau e diventato partigiano, come molti altri rom e sinti di nazionalità italiana.

Alle nazioni elencate fin qui, possiamo poi aggiungerne altre, grazie alle ricerche svolte sui partigiani stranieri in alcune regioni e province italiane.

Partigiani stranieri in Emilia Romagna:
In tutto 1401, dei quali: 1284 sovietici, 70 jugoslavi, 49 polacchi, 23 cecoslovacchi, 14 inglesi, 122 tedeschi, 33 austriaci, 23 francesi, 7 olandesi, 2 neozelandesi, 1 australiano, 8 greci, 2 lussemburghesi, 2 turchi, 1 danese, 2 americani, 1 svizzero, 9 imprecisati. 

Partigiani stranieri in provincia di Brescia:
44 russi, 7 polacchi, 7 tedeschi/austriaci, 4 cecoslovacchi, 15 jugoslavi, 28 inglesi, 4 belgi, 6 francesi, 1 svizzero, 42 sudafricani, 1 canadese, 1 statunitense

Partigiani stranieri in provincia di Bergamo:
Negli archivi risultano soltanto 15 partigiani di nazionalità straniera: 5 francesi, 4 belgi, 2 iraniani (!?), 1 tedesco, 1 polacco, 1 turco, 1 “slavo”. Si conoscono i nomi di molti sovietici, che però non risultano nelle fonti scritte.

Partigiani stranieri in provincia di Forlì:
82 in tutto, dei quali: 44 sovietici, 15 jugoslavi, 11 cecoslovacchi, 5 polacchi, 2 tedeschi, 3 austriaci, 1 francese, 1 belga

Elenco di partigiani stranieri caduti in provincia di Macerata (39).

Monumenti che ricordano partigiani stranieri caduti in Toscana.

Partigiani stranieri in provincia di Arezzo: 47 in totale.

Targa all’interno del Monumento ai partigiani stranieri di Civago (RE)

Questa ricerca, per quanto superficiale e a largo spettro, sarebbe incompleta se non si citassero, come in un chiasmo, le esperienze di italiani che aiutarono i partigiani di altre nazioni nella loro battaglia contro il fascismo e i suoi alleati.

L’esempio più noto in assoluto è quello dei volontari antifascisti nella Guerra di Spagna, sul quale non c’è bisogno di soffermarsi, vista la vastissima documentazione e pubblicistica sull’argomento. Ma prima ancora ci fu Carmine Iorio, bufalaro di Altavilla (SA), fucilato nel 1928, all’ombra delle palme di Gialo, in Cirenaica, per essere passato nelle fila della resistenza libica.

C’è poi la missione di supporto ai partigiani arbegnuoc etiopi intrapresa nel 1938 da Ilio Barontini, Anton Ukmar e Domenico Rolla, oltre all’aiuto medico prestato agli stessi guerriglieri dall’infermiere Saverio Briglio, che già si trovava in Etiopia per motivi di lavoro (grazie a Matteo Petracci per averci segnalato: R. Pankhurst, “Un italiano a fianco dei patrioti etiopici”, in Materiali di Lavoro: Rivista di Studi Storici, 9/10, 1991/92, pp. 179-82).

Durante la seconda guerra mondiale, ci furono moltissimi “partigiani migranti” all’interno dei confini italiani, da una regione all’altra. Centinaia di siciliani che combatterono al Nord, cremonesi in Val Susa, bolognesi in Veneto, imolesi in Istria… Se poi si vanno a guardare negli archivi le nazioni d’origine di tanti protagonisti della Resistenza, si scoprono mille altre storie di migrazione, italiani “oriundi” e di seconda generazione. Solo in Piemonte,  239 partigiani risultano nati in Argentina, 49 in Brasile, 18 in Egitto. In Liguria 4 arrivano dall’Ecuador, 12 dal Cile, uno da Cuba (Italo Calvino).

Dopo l’armistizio dell’8 settembre, migliaia di soldati italiani entrarono nelle Brigate partigiane jugoslave. In Montenegro (e Bosnia) fu attiva la divisione Garibaldi, con 16mila effettivi, inquadrata come unità dell’Esercito Popolare di Liberazione Jugoslavo.

Pljevlja, Montenegro – Monumento in ricordo della “Divisione Garibaldi”

In Albania si formò la “Brigata Gramsci“, al comando di Terzilio Cardinali, un fornaio del Valdarno. Forse non per caso questa formazione combatté tra Berat – prima capitale dell’Albania libera – e Gramsh, paese d’origine della famiglia di Antonio Gramsci.

In Grecia, sono molto conosciute le gesta dei reparti dell’esercito italiano che combatterono contro i nazisti dopo l’otto settembre. La 24ª divisione di fanteria “Pinerolo”, che aveva compiuto violenze e massacri in Tessaglia, dopo l’armistizio strinse un accordo con l’Esercito Popolare Greco di Liberazione (ELAS). La divisione venne smembrata all’interno di varie brigate, ma la collaborazione fu difficile, e dopo neanche due mesi i militari italiani furono disarmati e internati nei campi di Grevenà, Neraida e Karpenison. Altri soldati della Pinerolo si diedero alla macchia e formarono il distaccamento TIMO (Truppe Italiane della Macedonia Orientale) che continuò ad appoggiare la Resistenza greca. Altri ancora entrarono nelle formazioni dell’ELAS e dell’EDES (Esercito nazionale democratico ellenico). Sappiamo che 45 partigiani italiani sfilarono a Volos il 19 ottobre 1944, giorno della liberazione della città e conosciamo i nomi di alcuni uomini dell’Alta Val Tiberina che parteciparono alla guerriglia contro i nazisti nella Grecia continentale: Antonio Magrini di Citerna (PG), Pietro Marconi e Leonello Ceccacci di Pietralunga (PG), Giuseppe Brachelente di Umbertide (PG), Natale Balducci, Amedeo Cardinali, Oneglio Giornelli e Paolo Guidi di Città di Castello (PG) (per dare un’idea del fenomeno: si calcola che furono 122 gli altotiberini a fare la Resistenza fuori dall’Italia e 3180 gli emiliano-romagnoli, come si ricava dalla lapide riprodotta più sopra)

Il celebre «manifesto rosso» affisso in Francia dagli occupanti nazisti dopo l’arresto e l’esecuzione, nel febbraio 1944, di 23 partigiani. L’affiche rouge ne mostrava dieci e ne sottolineava, per additarla al disprezzo, la provenienza da vari paesi (nonché per alcuni l’essere «juifs», ebrei).  Nel gruppo degli arrestati c’erano cinque italiani. Clicca per ingrandire.

Meno noti dei partigiani italiani che combatterono nei Balcani, sono invece quelli che parteciparono alla resistenza francese. I nuclei più consistenti furono quelli legati alla MOI (Main d’Oeuvre Immigrée), un’organizzazione del Partito Comunista Francese, e al cosiddetto “gruppo Manouchian” (Cesare Luccarini, Amedeo Usseglio, Spartaco Fontanot, Ines Tonsi…) . Cellule importanti operarono in Isère, Franche-Comté e Pays d’Arles.

Anche in Belgio, gli immigrati italiani si unirono alle brigate partigiane per combattere contro gli occupanti nazisti. Anne Morelli, nel suo libro Gli emigrati italiani nella resistenza belga – pubblicato in francese nel 1983 e da poco tradotto anche in italiano – ne ha censiti 200, di cui 19 donne.

Casi simili esistono di certo anche in molti altri paesi europei, vista la capillarità dell’emigrazione italiana all’estero. Si tratta di un fenomeno da studiare e approfondire con ulteriori ricerche.

Come giusta conclusione, bisognerebbe infine ricordare tutti i partigiani stranieri che combatterono il fascismo italiano all’estero, nei territori occupati e nelle colonie.

Da diversi anni, con il collettivo di collettivi Resistenze in Cirenaica, cerchiamo di allargare proprio in questo senso il concetto stesso di “Resistenza italiana”. Perché un contributo alla caduta del regime di Mussolini lo hanno dato senza dubbio anche Omar Al-Mukhtar, Lorenzo Taezaz,il pilota afroamericano John Charles Robinson, istruttore volontario dell’aviazione etiope, Manolis Glezos, Mehmet Shehu, i militanti del TIGR, Janko Premrl e migliaia di altri uomini e donne come loro.

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32 commenti su “Partigiani migranti. La Resistenza internazionalista contro il fascismo italiano.

  1. Mi permetto di aggiungere il richiamo a una recente pubblicazione: “Comandanti partigiani giunti da lontano” (http://www.edizionipontegobbo.com/scheda.php?cat=11&id=259), che approfondisce il tema con riferimento al territorio dell’appennino piacentino.
    Un saluto.
    Giovanni

  2. Grazie per esservi occupati dei partigiani sovietici in Italia, tema a cui mi dedico da più di 10 anni e che è ancora poco conosciuto. Dal momento che non tutti i link che avete segnalato funzionano, vi indico qui quelli relativi ai lavori che ho dedicato all’argomento.
    Sul documentario “Rukà ob ruku – Fianco a fianco”: http://www.fctp.it/movie_item.php?id=1460&type=1&fbclid=IwAR0v4J_4JgIfCSQW6OUhNDg4ahE7cCRUiOzB1gLNkwJ2F2GOHCJLqPdc3Pk
    Sul documentario “Nicola Grosa Moderno Antigone”: http://www.fctp.it/movie_item.php?id=1526
    Di questo doc esiste anche un trailer con sottotitoli russi:
    https://www.youtube.com/watch?v=xbDhOfq_nZM
    Sul saggio “Dal recupero dei corpi al recupero della memoria”: http://www.impremix.it/prodotto/dal-recupero-dei-corpi-al-recupero-della-memoria/
    Il mio lavoro continua perchè ultimamente sto aiutando i nipoti di partigiani sovietici a trovare la tomba dei nonni caduto in Italia e/o a ricostruire la loro militanza partigiana sulle nostre montagne.
    Resto a disposizione per qualsiasi informazione. Grazie ancora e buon lavoro. Anna

    • Molte grazie di questa preziosa integrazione. I commenti sotto questo post sono intesi proprio in questo senso, per arricchirlo con ulteriori esempi. Ci potresti segnalare i link che non funzionanot, così proviamo a modificarli o correggerli?

      • Salve!
        La maggior parte dei problemi si riscontra in realtà sulla pagina dedicata ai partigiani sovietici che avete linkato e lo farò presente a loro. Per quanto riguarda invece ciò che avete scritto voi, mi permetto di segnalarvi alcune inesattezze o problematiche.
        1. Il libro di Mauro Galleni “I partigiani sovietici nella Resistenza italiana” del 1967 non è UNO DEI primi libri sull’argomento ma IL PRIMO in assoluto e a Galleni siamo tutti debitori, anche se molti dati da lui riportati sono ormai superati. L’anno prima era stato pubblicato un ciclostilato a cura di Galleni stesso e del “Gruppo di lavoro centrale per le questioni dell’antifascismo della Direzione del PCI”, ma non si può ritenere una vera pubblicazione (ps: il libro di Galleni del 1967 è stato ripubblicato nel 2001 da Marsilio con il titolo di “Ciao russi” ma è incompleto rispetto alla versione originale).
        2. Il più famoso partigiano georgiano si chiamava Mosulishvili e non Musolishvili come riporta la pagina dell’ANPI che avete linkato. In generale vi suggerisco, dove esistono, di linkare le voci di Wikipedia che sono molto più affidabili di quelle dell’ANPI o di altri siti (per esempio per Avdeev, Bujanov e Poletaev). A un certo punto avete messo il link alla pagina Wiki su Mosulishvili, ma è quella in georgiano…
        3. Oltre a coloro che furono insigniti dallo Stato italiano della medaglia d’oro al V.M. e che avete citato, altri furono insigniti della medaglia d’argento e di bronzo. I loro nominativi non sono certi al 100%, ma l’informazione generale credo che meriti di essere riportata
        4.Tutti i link alle biografie contenute nelle pagine dell’Ilsrec non funzionano
        5. Le righe che avete dedicato ai cosiddetti “mongoli”, ovvero ai soldati dell’Armata Rossa fatti prigionieri e a coloro che, tra questi, furono arruolati dai nazisti non sono assolutamente esaustive dell’argomento e contengono anche a mio parere delle inesattezze. il discorso è molto complesso a partire da quelli che furono arruolati a forza e quelli che lo fecero per scelta; da chi rimase con i tedeschi fino alla fine e di chi passò con i partigiani (la stragrande maggioranza dei sovietici che passò nelle fila della Resistenza proveniva proprio da questi battaglioni, non si trattava di casi “rari” come avete scritto), da come furono accolti in patria nel 1945 (non tutti finirono in Siberia). Per capire meglio la situazione può essere utile leggere l’introduzione di Galleni e anche quanto ho ricostruito io nel mio recente saggio “Dal recupero dei corpi al recupero della memoria”.
        6. Infine vi segnalo che sull’argomento in generale (e in particolare sui lavori miei e di Marina Rossi) è stato scritto nel 2015 da Paolo Rumiz il bell’articolo “L’Armata Rossa che fece la Resistenza” su La Repubblica (si trova on line).
        Mi scuso se posso sembrare antipatica con tutte queste precisazioni, ma mi dedico all’argomento dal 2005, in pratica riprendendo per prima i lavori di Galleni e ho imparato a mie spese quanto sia difficile ricostruire queste vicende dopo così tanti anni e in quanti errori o imprecisioni si può incappare, complicando così la ricerca sia nostra che di chi ci seguirà (vedi anche il problema della traslitterazione dei nomi su cui mi sono spaccata la testa ricostruendo la vita dei 90 partigiani sovietici che sono ricordati nel Sacrario della Resistenza del Cimitero monumentale di Torino…).
        Grazie comunque del vostro interesse e del vostro lavoro, un cordialissimo saluto e a presto!
        Anna

        • Ciao Anna,

          grazie delle segnalazioni e osservazioni. Dico solo poche cose sulla questione Wikipedia:

          per una questione di cautela e di coerenza con le numerose inchieste che abbiamo svolto, in generale tendiamo a non linkare le pagine storiche della Wikipedia in lingua italiana. La situazione sta lentamente migliorando, e sicuramente le pagine che indichi saranno fatte bene, ma la situazione delle voci dedicate alla storia del Novecento è ancora grave, anni di inquinamento revisionista e neofascista richiederebbero una bonifica radicale, ci sono centinaia e centinaia di pagine piene di porcherie. Qui sotto linko alcuni dei nostri post al riguardo.

          [Ancora più in generale, linkare una pagina di Wikipedia significa linkare un testo che potrebbe essere cambiato anche drasticamente da chiunque un minuto dopo, ed è già successo che, proprio per il fatto che l’avevamo linkata noi, una voce di Wikipedia fosse subito vandalizzata da fascisti o cambiata in modo da far scomparire il passaggio a cui facevamo riferimento. È vero, si può fare “revert” e tutto quanto, ma non abbiamo tempo per le “edit war” e per inseguire i fascisti ovunque.]

          Fascinazione Wikipedia: il mito della cricca e il conflitto reale

          Wikipedia e la storia deturpata: il caso Presbite

          Un paese di “mandolinisti”. Wikipedia, i falsi storici su via Rasella e il giustificazionismo sulle Fosse Ardeatine

          La strategia del ratto. Manomissioni, fandonie e propaganda fascista su Wikipedia: il caso «Jose Antonio». Prima parte

          La strategia del ratto. Manomissioni, fandonie e propaganda fascista su Wikipedia: il caso «Jose Antonio». Seconda parte

          Sede Rino Daus, ovvero: come gli squadristi diventano eroi su Wikipedia

          • Ciao Wu Ming 1 e grazie della risposta. Sì, anche io ho avuto problemi con Wikipedia e non sono la sola, quindi capisco la vostra posizione. Posso cercare altri siti in cui il nome di Mosulishvili (ed eventualmente di altri) sia scritto giusto e indicarveli. Abbi solo un po’ di pazienza… A presto, Anna

        • Ciao Anna,
          mentre il mio compare Wu Ming 1 ti ha risposto sulla questione Wikipedia, aggiungo qualche piccolo commento alle tue integrazioni, che ovviamente considero molto utili e tutt’altro che antipatiche. Connsidera che questo è un articolo volutamente enciclopedico, che vuole tenere assieme tanti esempi, senza addentrarsi nei dettagli di ciascuno, perché lo scopo non è tanto quello di approfondire questa o quella vicenda, ma di restituire un quadro complessivo della dimensione internazionale della Resistenza. Un quadro che, così articolato, non ho trovato né in Rete né in biblioteca, perché giustamente gli studiosi si concentrano su casi più specifici, nazionalità precise oppure territori. E’ un approccio corretto, ma il rischio è quello di perdere la visione d’insieme, ed è un problema che ho riscontrato mille altre volte occupandomi della Resistenza italiana: vai in una valle dell’Appennino e lì sanno vita, morte e miracoli dei “loro” partigiani, della Brigata che ha operato in quei boschi, dei caduti e di ogni singolo episodio. Vai nella valle accanto e nessuno ne sa più niente, ma in compenso hanno mille opuscoli sulla “loro” brigata, il “loro” comandante, ecc. Come narratori, come divulgatori, ci siamo posti l’obiettivo di “unire i puntini”, di far emergere – collegandole – storie che spesso rimangono confinate in una dimensione locale o iper-specialistica.
          Fatta questa premessa, eccomi al tuo elenco:

          1. Sono sempre molto cauto nell’attribuire primati, specie quando si tratta di scoperte scientifiche o di studi storici, ecco il motivo di quel “uno dei primi”, riferito al libro di Galleni. Non voleva certo essere una reductio, solo una mia ammissione d’ignoranza (chissà, forse ne sono stati pubblicati prima degli altri e io non li ho letti…)

          2. Avevo trovato notizie sul vero nome di Mosulishvili, ma a sbagliare non è solo il sito dell’ANPI, bensì anche quello del Quirinale, nella sezione dedicata alle onorificenze:
          https://www.quirinale.it/onorificenze/insigniti/13995. Per non aprire la parentesi sulle tranlitterazioni di questi nomi, che come giustamente dici sono sbagliati nel 99% dei casi, ho preferito linkare la pagina in georgiano di Wikipedia, come invito al lettore a far da sé qualche ricerca in più. In fondo, questo post serve soprattutto a questo: non intende essere “definitivo” su nessun argomento, ma piuttosto è un invito alla curiosità.

          3. Sono stato in dubbio se citare anche i quattro insigniti con la Medaglia d’Oro, perché quel genere di onorificenza, per la mia sensibilità, ha davvero un valore limitato. Tuttavia, per ragioni “statistiche”, mi è sembrato importante riportare il dato. Immagino che in un testo tutto dedicato ai partigiani sovietici sarebbe importante indicare anche le medaglie d’argento e di bronzo, per gli stessi motivi. Se hai un link che posso aggiungere come riferimento, dove questi dati siano visibili, lo aggiungo volentieri al testo.

          4. Li ho ricontrollati anche adesso: a me funzionano. Se qualcuno riscontra lo stesso probvlema di Anna, me lo può segnalare?

          5. Sul fatto che le righe dell’articolo non siano esaustive, ho in qualche modo già risposto. Tutto l’articolo non è esaustivo. Non lo è sui partigiani jugoslavi, non lo è su quelli cecoslovacchi, non lo è sui polacchi… Sull’inesattezza, invece, vorrei capire meglio: intendi dire che la stragrande maggioranza dei partigiani sovietici erano disertori della “Turkistan”? Perché nel testo con “più rari” non mi riferisco ai disertori “in generale” ma ai disertori della Turkistan in particolare, che non mi sembrano un caso numericamente così importante. Se invece ho sbagliato, mi puoi indicare una fonte per correggere? Allo stesso modo, rispetto al confino in Siberia, mi riferivo sempre ai disertori della Turkistan e non a tutti i disertori arruolati nella Wehrmacht, in generale. Ma in questo caso, se c’è ambiguità, correggerò il testo in modo che sia chiaro che non sto parlando di tutti, ma solo di alcuni.

          6. Grazie della segnalazione.

          Buona ricerca!

          • Ciao Wu Ming 2 e grazie dell’attenzione. Ecco qualche risposta, partendo dal fatto che comprendo e approvo il taglio “generale” del vostro post, di cui vi ringrazio ancora; mi scuso se sono entrata troppo nel dettaglio, ma come avrai capito è un tema che mi costa “lacrime e sangue” e a cui dedico moltissime energie (gratuite), quindi non riesco a trattenermi :)
            1. Mi sembrava solo giusto segnalare che Mauro Galleni è stato il primo a occuparsi del tema;
            2. Lo so che anche il sito del Quirinale sbaglia il nome di Mosulishvili, d’altronde l’ho sbagliato anch’io nel mio saggio! Proprio per questo è importante segnalare gli errori…
            3. Non c’è un link affidabile con indicati i sovietici insigniti delle medaglie d’argento e di bronzo al V.M. (tra l’altro spesso queste onorificenze vengono confuse con le Stelle garibaldine), mi premeva solo informare che non si tratta solo di medaglie d’oro;
            5. Quello che intendevo sottolineare è che i sovietici che arrivarono in Italia al seguito dei tedeschi non erano solo i cosiddetti “mongoli”. A parte i prigionieri “puri” (vedi Poletaev), c’erano quelli delle organizzazioni Speer e Todt; gli Hilfswilliger (o hiwi) cioè gli “assistenti volontari” arruolati nei territori occupati per essere adibiti a servizi supplementari; quelli inquadrati nelle varie formazioni militari a base etnica, cioè i cosiddetti “Battaglioni dell’Est” (Ost-Bataillon), costituiti unicamente da sovietici ma i cui comandanti erano tedeschi (tra di essi c’era anche, ma non solo, la legione Turkistan). Esistevano poi due divisione cosacche (20.000 di questi soldati finirono in Friuli nell’estate del 1944, allettati dalla promessa che la regione sarebbe diventata la “Kosakenland in Nord Italien”). Per non parlare della cosiddetta “Armata Russa di Liberazione” (ROA) comandata da Andrej Vlasov… Mi sembrava che un lettore che non sapesse tutto ciò e leggesse le tue righe fosse propenso a credere che in Italia fossero arrivati solo i “mongoli”. Infine, il discorso su ciò che successe a coloro che tornarono in patria è molto complesso e mi pareva che, così come l’avevi messa giù tu, fosse un po’ troppo riduttivo…
            Scusa se, di nuovo, mi sono dilungata. Non ho link specifici a cui fare riferimento per quanto riguarda l’ultimo punto, potrei mandarti alcune pagine del libro di Galleni e del mio saggio, ma come faccio ad allegarle qui? (Sui cosacchi in Friuli ci sono almeno un paio di libri interessanti, di Pier Arrigo Carnier e di Patrizia Deotto, le info relative si trovano facilmente in rete).
            Ciao! Anna

  3. Un sudafricano indicato col nome “Stanje Shorte” è segnalato nelle formazioni Gap Garibaldi del monfalconese. Se ne parla in relazione al sabotaggio con esplosivi di un ponte a Palazzolo dello Stella nel luglio 1944 da parte del Gap diretto da Vinicio Fontanot, cugino dello Spartaco Fontanot che faceva parte del gruppo Manouchian in Francia.
    L’episodio è citato a p.48 del libro di Bruno Da Col (Rolando), «L’Intendenza Montes e i Gruppi di azione patriottica del Monfalconese e della Bassa friulana», Udine, Istituto friulano per la storia del movimento di liberazione, 1994.

  4. Ciao a tutti, mi permetto di indicare alcune fonti disponibili in rete inerenti guerra di Spagna, Resistenza e dintorni di cui mi occupo o di cui sono a conoscenza:

    – la banca dati “Oggi in Spagna, domani in Italia” (www.antifascistispagna.it) contiene le biografie dei combattenti antifascisti italiani nella guerra di Spagna. Il progetto è in corso, gli antroponimi sono stati normalizzati con alias/altre denominazioni e per ciascun combattente sono indicate fonti bibliografiche, archivistiche e informatiche. All’inizio del progetto, nel 2014, ci siamo posti la domanda “cosa vuol dire essere italiano?”. La risposta che ci siamo dati è stata ecumenica, includendo tanto i combattenti del confine orientale diventati italiani dopo il 1919 (jus soli, ad esempio Antonio Tappeiner, irredentista sloveno) quanto gli italiani di seconda generazione nati all’estero (ad es. Spartaco Castaldi, nato a Parigi nel 1923). Progetto Aicvas – Insmli

    – Un altro strumento utile è costituito dalla Guida agli archivi della Resistenza, contenente gli inventari del patrimonio archivistico conservato dalla rete degli Istituti storici della Resistenza.
    http://beniculturali.ilc.cnr.it:8080/Isis/servlet/Isis?Conf=/usr/local/IsisGas/InsmliConf/Insmli.sys6t.file
    Il software è oggi obsoleto, stiamo cercando i fondi per la normalizzazione dei dati e la migrazione al nuovo applicativo Archos sviluppato dall’Istoreto di Torino (www.metarchivi.it).

    – il fondo archivistico “Corpo volontari della libertà” (la cui consistenza è di 163 buste, contenenti 596 fascicoli) conservato dall’Insmli di Milano è stato interamente digitalizzato. Le scansioni dei documenti sono liberamente accessibili in rete attraverso la Digital library lombarda:
    https://www.bdl.servizirl.it/vufind/?join=AND&bool0%5B%5D=AND&lookfor0%5B%5D=F&lookfor0%5B%5D=BDL&lookfor0%5B%5D=Collezione&type0%5B%5D=SearchableStr&type0%5B%5D=OriginStr&type0%5B%5D=TypeStr&filter%5B%5D=institution_txtF%3A%22Istituto+nazionale+per+la+storia+del+movimento+di+liberazione+in+Italia+-+Milano%22
    (Contiamo di risolvere presto i problemi di visualizzazione ma è possibile scaricare i pdf in locale)

    – la banca dati Stampa clandestina (http://www.stampaclandestina.it/) ospita 820 testate clandestine edite tra 25 luglio 1943 e 25 aprile 1945, per un totale di circa 2450 numeri tutti digitalizzati e liberamente accessibili in rete.

    – l’atlante delle stragi nazifasciste (http://www.straginazifasciste.it/) consente ricerche specifiche inerenti gli eccidi compiuti. In particolare all’atlante è associata una banca dati relativa alla documentazione prodotta da alcune Corti d’Assise Straordinarie tra 1945 e 1947 (http://www.straginazifasciste.it/cas/).

    La speranza è che questi strumenti siano utilizzati per ricerche e, ove possibile, implementati grazie al contributo di quanti vorranno partecipare.
    A presto,
    Andrea

  5. Ho letto con interesse l’articolo su partigiani stranieri operanti nella Resistenza. Segnalo che nelle Valli di Lanzo i partigiani stranieri sono stati una presenza importante e qualificata(ricostruzione di ponti, azioni spericolate, grande solidarietà).
    Ricordo in particolare il testo di Tommaso Vottero Fin “Resistenza partigiana nelle Valli di Lanzo” edito da Cda ( centro di documentazione alpina ) nel 1988, che riporta molti episodi di partigiani stranieri che hanno combattuto nelle nostre valli, tra i quali un mitico ed imbattibile combattente russo Victor, nato nel 1924, di Mosca, tenente carrista , poi ucciso durante uno scontro. Vi segnalo anche un documento di studio ” I prigionieri inglesi in Canavese e la tragedia del Colle Galisia – alpine partisan la sopravvivenza del soldato Alfred Southon” , edizioni Corsac Cuorgné, 2014.
    Nella mia zona il centro studi “Nicola Grosa”, con sede a Lanzo Torinese, é ricco di documentazione, altro riferimento é a Torino l ‘ Istoreto, istituto storico della Resistenza.
    Confidando di aver contribuito all’internazionalismo della lotta partigiana, saluto cordialmente.
    Luisa Giacometti

  6. Volevo segnalare questo volume su Alessandro Sinigaglia:
    Mauro Valeri, Negro Ebreo Comunista. Alessandro Sinigaglia, venti anni in lotta contro il fascismo. Odradek Edizioni, Roma, 2010. Pp. 304. ISBN 978-88-96487-09-9.

  7. Grazie a Lorenzo Teodonio – coautore di “Razza Partigiana” – possiamo aggiungere alla collezione due nuove nazionalità: ecuadoriana e colombiana.
    1) Lorenzo ci segnala il partigiano “Zama”, attivo in Val Varaita (CN) e comandante della 15ª Brigata Garibaldi “Saluzzo”. Antonio Giolitti lo ricorda come Eduardo Zamacois, “di cittadinanza ecuadoriana. Emanuele Artom scrive nel suo diario che “nacque in Ecuador, venne a studiare a Genova, lavorò come giornalista in Francia, poi nella Legione Straniera in Africa, poi paracadutista per l’Inghilterra”. Altre fonti – tra le quali due processi nel Dopoguerra – lo battezzano Eduardo Zappata, nato a Guayaquil (Ecuador), oppure in Colombia… Di lui parla estesamente Giovanni De Luna, La Resistenza perfetta, Feltrinelli, 2015.
    2) Sul sito dell’ISTORETO, nell’archivio del partigianato piemontese, non risultano nati in Ecuador. Cercando come nazione di nascita la Colombia, abbiamo trovato Eduardo Zamacois “Zama” (che però sembrerebbe ecuadoriano) e José Delgado, del quale per il momento non sappiamo nulla.
    A breve aggiorneremo il post con queste nuove scoperte.
    Sempre su suggerimento di Lorenzo, avanziamo la modesta proposta di modificare il nome dell’ANPI in AMPI – “Associazione Mondiale Partigiani d’Italia”…

  8. Finalmente recupero questo post che avevo visto su twitter. Sempre un’ottima lettura.
    Solo una precisazione sciocca: il libro di Anne Morelli è uscito nel 2017 non solo nella traduzione italiana ma aggiornato e con l’aggiunta di alcuni nomi.
    Io ho curato questa edizione e purtroppo non sono ancora riuscita a presentarlo a Bologna (nonostante i bolognesi siano più di uno)
    mentre nel link
    https://radiovanloon.info/2018/04/21/partigiani-altre-nazionalita-resistenza-bologna/
    una puntata di Vanloon (radio città fujiko) andata in onda l’anno scorso ad aprile a conclusione di una piccola ricerca durata un paio di giorni all’istituto Parri, proprio sui partigiani stranieri in Emilia Romagna

  9. Grazie per l’ottimo articolo, davvero interessantissimo! Una minuscola precisazione: Anzola d’Ossola si trova nella provincia del Verbano-Cusio-Ossola (VCO) and non Vercelli (VC)

    • Grazie, abbiamo modificato la sigla della provincia in VB, giusto per tenere le sole due lettere.

  10. Grazie mille per i tanti spunti che ci avete dato in questa ricerca, a questo proposito sono a chiedervi se avete libri da consigliare sulla presenza “mongola” al seguito della Wehrmacht, nell’Emilia occidentale, parmense e piacentino.
    A presto.

  11. […] Un approfondimento sui «Partigiani migranti» in Italia, con elencazione delle nazionalità e fonti, si può leggere qui. […]

  12. Migrant Partisans: the Internationalist Resistance Against Italian Fascism.

    Wu Ming Foundation deconstruct the myth of an Italian resistance to foreign Nazi occupation that was entirely white and nationalist, showing it instead to have involved thousands of migrants from all corners of the globe fighting Italy’s homegrown fascism to create a better world for everyone.

    A translation by Libcom.org.

  13. […] culturale permanente che, nel corso degli anni, abbiamo sviluppato le ricerche e le riflessioni sui partigiani migranti nella R4sistenza «italiana» e sul carattere “creolo” e anticoloniale della nostra guerra di […]

  14. Grazie per Caj Sørensen. Non lo conoscevo.
    Eccovi un altro danese e un gruppo di “russi” ed altri stranieri:
    http://thomasharder.dk/it/paolo-il-danese

  15. […] Questa storia affonda le sue radici in realtà molto prima, nel legame tra anticolonialismo e Resistenza, che è un legame che è stato spesso nascosto nella narrazione di una resistenza fatta da giovani maschi bianchi e che alcune realtà, spesso extra-accademiche, come Resistenze in Cirenaica, hanno contribuito a far emergere. In che modo si dipana questa relazione, che parte dall’anticolonialismo dei socialisti come Napoleone Colajanni e poi di Antonio Gramsci, si sviluppa con la partecipazione internazionalista di alcuni italiani alla resistenza contro l’invasione dell’Etiopia e proseguirà nella Resistenza italiana al nazifascismo, che fu meticcia e internazionalista?  […]

  16. […] e infatti svariati post nascono da thread su Twitter. Gli ultimi prima del nostro abbandono saranno quello sui partigiani migranti e quello su elezioni europee 2019 e […]

  17. […] Roma, Milano; alla seconda festa di Alpinismo Molotov e ovunque ci fosse bisogno di ribadire che la Resistenza «italiana» fu multietnica, creola, internazionalista e migrante. I loro nomi sono stati scanditi durante la manifestazione antifascista di Macerata, il 10 febbraio […]

  18. […] Questo perché, per quanto in gran parte formata da italiani, quella della Resistenza era comunque una realtà internazionalista, e per questo (o forse di conseguenza) multicu…. […]