Sull’uso politico dell’austronostalgia. Discussione tra giapster a partire da #100anniaNordEst

Cecco Beppe e Sissi

WM1 Già durante la pubblicazione a puntate del reportage sul sito di Internazionale mi arrivò una mail dove mi si rimproverava di «sottile nazionalismo» perché mettevo in discussione il mito a lenti rosa dell’Impero austroungarico. «Gli Asburgo avevano i difetti che lei dice, ma i Savoia erano molto peggio», era il succo della mail. Ecco uno stralcio della mia risposta in quell’occasione:

«Non credo proprio che il mio approccio possa essere imputato di nazionalismo, ancorché “sottile”, visto che il mio punto di partenza è il rigetto radicale di ogni elemento di nazionalismo (non solo di quello italiano ma anche di quelli “su scala minore”, rinvenibili nei vari indipendentismi che stanno prendendo piede nel Nordest), di tutte le rimozioni della storia patria (molte delle quali connesse alla Grande guerra e alle sue motivazioni imperialiste, razziste e antislave) e della narrazione tossica “Italiani brava gente”.

Che la conquista e l’italianizzazione forzata della Venezia Giulia e dell’Adriatico orientale siano stati veri e propri crimini storici su vasta scala l’ho scritto in maniera chiara nel reportage, a suo tempo ci ho scritto un libro (Point Lenana) e svariati articoli e commenti. Sul fatto che i Savoia fossero lerci figuri, idem. Ma si può pensare e dire questo senza bersi l’idealizzazione del dominio asburgico, che nella retrospezione rosea di certo indipendentismo è tutto rose e fiori. Se devo scegliere tra sparare agli Asburgo in nome dei Savoia e sparare sui Savoia in nome degli Asburgo, grazie, ma preferisco sparare su entrambi. Come si legge nel Re Lear, “il tempo della vita è breve, e se viviamo, viviamo per calpestare i re”.»

Pochi giorni dopo l’uscita in libro della versione ampliata del reportage, ho ricevuto una mail da un amico triestino, molto più intelligente e sfumata perché si tratta di un interlocutore di spessore, però la sostanza era simile.

«Con tutti i suoi difetti l’Austria era uno stato di diritto molto più del regno d’Italia. E, senza vagheggiare paradisi (trasformando l’Austria in una “visione falsa e scintillante come il cigno del Lohengrin”, per citare la Cialente), ci sono stati, all’epoca, un senso del Paese (quale laboratorio europeo), una consapevolezza dell’essere corpo sociale, una tensione etica superiore, che abbiamo via via smarrito nei decenni susseguenti […]
Di qui anche la pulsione dell’autonomismo, che è liquidata in maniera un po’ troppo sbrigativa e focalizzata sui movimenti d’oggidì (c’era anche sotto l’Austria, in realtà, perchè è un portato – seppur non esclusivo – del confine). Si tratta in realtà di questione non ignobile né insensata, che ha radici e motivazioni provenienti da lontano, e che si è alimentata, oltre che di interessi di piccolo cabotaggio, di stupidità supponente, anche di una situazione geografico-politica capace di dettare le sorti positive o negative della città nel relazionarla all’Europa (cosa favorita sino a cent’anni fa, poi abbastanza ostacolata).»

Ecco la mia risposta:

«Nel libro riconosco che nella storia di Trieste ci sono stati indipendentismi diversi e fondati nelle loro rivendicazioni, movimenti non ambigui né retrivi. Cito appunto Cergoly, Cusin […] Dico testualmente che quegli indipendentisti sarebbero inorriditi vedendo quelli di oggi e le loro derive reazionarie e da trapoler [intrallazzoni, N.d.T.]. I crimini dell’Italia prefascista e fascista, hai visto, li denuncio lungo tutto il libro, quella è la base di tutto il discorso, come già in Point Lenana. Il peggioramento della situazione rispetto a quando c’era l’Austria, soprattutto per le minoranze, mi sembra di averlo descritto in modo inequivoco. Su questo siamo d’accordo.

Però poi nel libro arrivo al punto che mi preme, faccio il passo che mi sembra pochi stiano facendo: cerco di capire, spiegarmi e spiegare in cosa consiste l’uso politico dell’austronostalgia nel Nordest di oggi, come viene “tecnicizzato” quel mito, come viene indirizzata quella pulsione in modo strumentale e cosa serve a nascondere. La pletora di riferimenti cripto-nazisti che cito, tutta presa dalle parole di attivisti di ogni corrente dell’indipendentismo di oggi dice molto sulle trasformazioni pericolose in corso. Il paradossale richiamo al “multiculturalismo austroungarico” usato per giustificare esclusione e discriminazione dei migranti di oggi la dice lunga su come un passato rivisitato senza le sue contraddizioni sia un’arma politica nel presente. In Trentino è la stessa storia, l’austronostalgia è l’ingrediente base di tutta una serie di pietanze razziste e reazionarie.

Di questa cosa non si parla granché, mi sembra che venga presa sottogamba. Proprio chi come noi denuncia i crimini dell’Italia dovrebbe preoccuparsi più degli altri del modo pretestuoso, capzioso e orripilante in cui certe correnti ideologiche si appropriano di tale denuncia per trarne conclusioni inaccettabili (tipo “nel ’43 i tedeschi ci hanno liberati”, frase di un esponente del Comitato Porto Libero di Trieste).
Nell’indipendentismo di oggi si agita un sottobosco la cui pericolosità non dovremmo sottovalutare. Proprio perché l’indipendentismo e prima ancora il ruolo di Trieste nell’impero sono stati cose serie.»

Negli stessi giorni, è iniziata una discussione via email sull’austronostalgia tra alcuni/e giapster delle terre ex-«irredente»: Tuco, Zora, Lorenzo Filipaz e Piero Purini (da Trieste) e Tom Trento (si capisce già da dove). Lo scambio di pareri si è fatto sempre più interessante, tanto che abbiamo deciso di rimontarlo, sistemarlo e farne un post per Giap. Buona lettura.

TUCO Il primo tizio, quello che se l’è presa per la critica dell’austronostalgia nel reportage, e ancor prima quelli che si erano alterati per le inchieste sul neoindipendentismo triestino fino ad accusare Giap di criptonazionalismo italiano, soffrono di un bias speculare a quello degli italiani che criticano il colonialismo francese ma minimizzano quello italiano, oppure condannano il nazismo ma fanno mille distinguo sul fascismo. Si tratta di persone che utilizzano da tempo la critica radicale del nazionalismo italiano fatta in italia, a puntello della loro austronostalgia. Però attenzione: autorappresentandosi queste persone come austriache o triestine, tale critica radicale non le riguarda direttamente. E infatti non accettano che lo stesso tipo di critica radicale venga fatta al loro identitarismo. In Austria da anni si è sviluppato un importante dibattito sul rimosso del passato nazista, sulla falsa autorappresentazione degli austriaci come vittime del nazismo. Se gli austronostalgici fossero veramente radicali nella loro critica al nazionalismo, seguirebbero e svilupperebbero quel filone, invece di utilizzare strumentalmente la critica radicale del nazionalismo italiano.
Vale sempre la pena leggere Karl Liebknecht. Perché se noi “italiani” abbiamo il dovere di denunciare l’imperialismo italiano e smontare la retorica italiana sulla Grande guerra, i wannabe «austriaci» hanno il dovere di fare la stessa cosa con l’imperialismo e la retorica austrotedesca. Altrimenti la loro critica non è radicale; al contrario, individua un nemico esterno per evitare il confronto con le contraddizioni interne. E quindi è cultura di destra. Ecco Liebknecht:

Karl Liebknecht (1871 - 1919)

Karl Liebknecht (1871 – 1919)

«Sono offensive le tirate con le quali l’imperialismo italiano giustifica i propri saccheggi; è offensiva la tragicommedia romana […] Ma ancora più offensivo è il fatto che possiamo riconoscervi, come riflessi in uno specchio, i metodi tedeschi e austriaci del luglio e agosto 1914.
Gli istigatori di guerra italiani meritano tutte le nostre denunce, ma non sono altro che le copie degli istigatori tedeschi e austriaci, ovvero i principali responsabili dello scoppio della guerra. Sono piume dello stesso uccello!
L’ultimatum austriaco alla Serbia del 23 luglio 1914 conteneva in sé la questione del dominio sui Balcani, sull’Asia Minore e sull’intero Mediterraneo, ergo conteneva in un sol colpo tutti gli antagonismi tra Austria-Germania e Italia.»

LORENZO Che l’austronostalgia sia conservatrice è ovvio, meno ovvio è il suo appeal tra molti locals per niente conservatori, mi ci metto in mezzo anch’io senza problemi. L’austronostalgia qui ha risvolti psicoanalitici pesanti, il che vuol dire che alligna nel torbido, nel compost del rimosso collettivo. Spontaneamente l’austronostalgia mi fa simpatia per i risvolti familiari, i bisnonni e pro-prozii che ho potuto conoscere da bambino erano austronostalgici (ovviamente l’ho saputo dopo) e c’è qualcosa di paternalistico in Franz Joseph, ovviamente a un livello razionale sappiamo che si tratta di proiezioni, facile dirlo ma sappiamo anche che la ragione è una fragile punta d’iceberg nella psiche. Come ha scritto Stefano Pontiggia, a Trieste tutti si occupano di passato prendendo dal passato solo ciò che può giustificare la propria storia familiare, per crearsi delle radici e una giustificazione al proprio essere su un suolo in cui negli ultimi cento anni le radici sono state mozzate da una continua sarchiatura. Ognuno da queste parti si prende ciò che gli serve del passato e lascia da parte tutto il resto, come si fosse al negozio, ma in verità dice molto di più della nostra storia ciò che lasciamo sullo scaffale.
L’austronostalgia si alimenta di montagne di scarti dimenticati, ma non tanto all’epoca della Defonta (di cui pure si prende solo ciò che luccica), quanto dagli scarti rimossi delle epoche successive. Ad operare è un’incessante ucronia: «Come sarebbe stato se…» e la continuazione rimossa è: «…se non fossimo stati degli stronzi», perché si parla tanto dei fascisti che sono venuti da fuori, e dei nazisti, e dei partigiani, tutti venuti da fuori a rompere i coglioni ma i Pagnini, i Globocnick, i Coceani, e anche gli Steffé e gli Stemberga eravamo noi, i nostri avi… Particolari che vengono rimossi. Per dire: nella mia stessa famiglia ci si ricorda sempre solo dei partigiani, dei disertori nella Grande guerra, delle staffette, poi ad esempio si ricorda la storia di una cugina che ha sempre aspettato il ritorno del suo sposo di guerra, mai avvenuto, e tutti si ricordano che costui fu disperso in Russia, invece di recente ho scoperto che era dentro la Milizia Difesa Territoriale… Sono rimozioni nostre ma non solo, le responsabilità sono sedimentate, spalmate su più generazioni, sono decenni di rimozioni, dei miei nonni, dei miei genitori e mie, fino a qualche mese fa.
A un livello più immediato mi viene irrazionalmente da simpatizzare per l’impero per il suo essere stato negazione degli stati nazionali, che qui significa fascismo, imperialismo, D’Annunzio etc. Eppure gli stati nazionali sono nati “a sinistra”, o almeno dalla sinistra di quasi duecento anni fa, dall’ideale repubblicano. Gli irredentisti come Oberdan erano gli “anarchici” dell’epoca, mentre l’Austria-Ungheria era il precipitato nella modernità del medioevo, per quanto “benevola” e tecnologica possa essere stata. Questa è una cosa su cui sto riflettendo molto ultimamente e che secondo me è all’origine del corto circuito identitario e politico di cui stiamo parlando.

ZORA Sono abbastanza d’accordo con Lorenzo, anche se sinceramente non mi sono mai interrogata sul mio rimosso, ma secondo me questa austronostalgia, l’indipendentismo ecc. originano anche da una spiccata tendenza dei triestini a rivendicare sempre una propria specificità, un’alterità rispetto a tutto quello che li circonda. Diversi dagli italiani perché austriaci, diversi dagli slavi perché italiani, diversi dai furlani perché cittadini e marittimi ecc ecc. I triestini, in fondo, ma anche in superficie, sono solo degli insopportabili snob.
Anni fa, per esempio, mi aveva colpito un riferimento ai triestini in un manuale di linguistica. Quando in tutta Italia cominciò a prendere piede l’uso dell’italiano standard, le classi abbienti triestine si attaccarono con pervicacia al proprio dialetto per distinguersi dalle classi popolari che si stavano italianizzando. Questo uso del dialetto come tratto distintivo continua anche ai giorni nostri; continua a essere un codice che distingue noi dagli altri, dagli immigrati, dai “regnicoli” [espressione usata nella Trieste asburgica per indicare i cittadini del Regno d’Italia, N.d.R.] ecc. Se vuoi tenere qualcuno a distanza gli parli in italiano, se invece vuoi instaurare un rapporto di confidenza, tra pari, gli parli in triestino.

TUCO Gorizia non è Trieste, ma io alle elementari avevo la netta percezione che quello che ci stavano comunicando le maestre fosse: noi goriziani siamo superiori agli slavi perchè siamo italiani (con tutto l’armamentario di tricolori, canzoni del piave ecc.); e siamo superiori agli italiani del resto d’Italia perché in realtà siamo austriaci. La maestra, per convincerci di quanto fosse nobile la città di Gorizia, ci diceva che il toponimo deriva dal tedesco Görz, che non vuol dire un cazzo, e ci nascondeva accuratamente il fatto autoevidente che Gorizia viene dallo sloveno gorica – collinetta.
Ricapitolando: italiani col complesso di superiorità nei confronti degli slavi e col complesso di inferiorità nei confronti dei tedeschi. L’Austria a cui si riferivano era sicuramente quella pre-1914, veicolata attraverso il concerto di Capodanno, le diapositive delle gite a Klagenfurt, eccetera. Molta Carinzia, soprattutto.

PIERO Riguardo all’uso del triestino come snobismo delle classi abbienti per distinguersi dalle classi popolari che parlano in italiano, le cose si sono rovesciate. Già quando ero piccolo erano proprio le classi abbienti a porre paletti linguistici rispetto alla “plebe” dialettofona. Ricordo benissimo “gente de bori” che parlava in maniera fortemente spocchiosa in italiano con chiunque utilizzasse il dialetto che veniva considerato un segno di “incultura”. Il dialetto era la lingua bassa da dimenticare se si voleva sperare di accedere a livelli socali più alti. Invece erano proprio gli operai (finchè c’erano) a parlare senza nessun problema in dialetto, segno distintivo del proprio essere proletari (infatti il dialetto si sentiva molto di più nelle zone come San Giacomo e nei rioni proletari, mentre nelle zone ricche tendeva a sparire). Ricordo benissimo che in classe mia (elementari, medie e soprattutto liceo) c’erano genitori di miei compagni di classe dialettofoni i cui figli parlavano rigorosamente solo in italiano: in stragrande maggioranza si trattava di famiglie piccolissimo-borghesi che sognavano per i loro figli la scalata sociale. E posso anche farti esempi di miei conoscenti con cui vent’anni fa parlavo tranquillamente in dialetto, ma ora che si sono fatti una posizione mi parlano rigorosamente in italiano. È una dinamica che continua ancora adesso e la vedo in ricreatorio ogni giorno (e purtroppo anche in famiglia): chi ha ambizioni per i figli parla loro in italiano, chi invece non ha ambizioni parla loro in dialetto (escludo da questo discorso stranieri e “foresti” per i quali la situazione è diversa). E questo processo di cancellazione del dialetto non è una particolarità triestina: è stato lo stesso in tutta italia dall’unità in poi. Forse qui il processo è stato leggermente più lento, forse per l’annessione avvenuta più tardi.

TUCO Però Trieste è un caso particolare anche in questo. Il fascismo, che in tutta Italia ostracizzava i dialetti, a Trieste si impadronì del dialetto commissionando a poeti locali come Carlo Mioni poesie di esaltazione del regime e degli investimenti per il porto.
Io penso che questa cosa sia importante per spiegare come mai tra i neoindipendentisti ci siano così tanti ex-“italianissimi”.

PIERO In realtà la stessa cosa successe con il friulano: la Società filologica fu fondata durante il fascismo. Dialetto triestino e lingua friulana erano considerate dimostrazioni che il territorio era italiano (venetoide), in contrapposizione alla “barbarie slava”. Il fascismo appoggiava un certo uso “letterario” del dialetto triestino (e, credo, anche goriziano e bisiaco) e della lingua friulana, ma comunque cercava di scoraggiarne l’uso come lingua popolare. Insomma, un colpo al cerchio e uno alla botte, purché tutto in funzione antislava, e possibilmente anche repressiva nei confronti del proletariato.

WM1 Mi piacerebbe sentire Tommaso, per uno sguardo dal Trentino.

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L’irredentista e socialista trentino Cesare Battisti, impiccato per diserzione e tradimento nel 1916.

TOM Sull’austronostalgia ci sarebbe da ricordare un aspetto dell’impero magari poco appariscente ma che varrebbe la pena di sottolineare: la sua struttura che riuniva aspetti quasi medioevali, tipo la divisione “per ceto” per gli elettori della dieta del Tirolo sino al 1914, e altri di modernità notevole, come l’art. 19 della costituzione di Cisletana, che garantiva il diritto di ricevere un’istruzione nella propria lingua madre a tutte le nazionalità presenti nello stato.
Da come la vedo io, spesso lo stato austroungarico preferiva stringere legami forti con le autorità “tradizionali” delle diverse società che componevano lo stato, ad esempio il clero. Nelle scuole trentine ad esempio, l’insegnante di religione – un sacerdote nominato dalla curia – era la seconda autorità dopo il preside e aveva di fatto poteri di controllo sugli studenti e sugli altri docenti, al punto da poterne determinare l’espulsione o il licenziamento. Tant’è che nella memoria di un giovane volontario irredentista, che scriveva di essere stato espulso dalle scuole austriache per «bestemmie», ho letto la frase: «In Austria preti e soldati si equivalgono, con i soldati ce la stiamo vedendo adesso, con i preti i conti li faremo dopo».
Credo vi sia stata anche questa rivolta alle autorità tradizionali nella scelta di molti irredentisti trentini, in particolare di Cesare Battisti. Proprio su quest’ultimo ho notato che già nel 1902 egli teorizza e pratica l’unione dei socialisti con i liberali contro i clericali in nome della libertà di coscienza e del progresso. Anche Bonomi e Bissolati hanno un percorso simile, poi naturalmente Battisti lo stimo un po’ di più perché in Trentino l’oppressione clericale era un problema vero. Credo che per quella sinistra l’alleanza con la borghesia contro i cattolici prefiguri quello che poi sarà il loro interventismo, perché è uno degli elementi della tecnicizzazione del mito risorgimentale funzionali alla propaganda guerrafondaia “democratica”: la guerra per svecchiare e progredire.

LORENZO Verissimo, Tommaso. Anche secondo me il Clero e l’anticlericalismo sono una cartina di tornasole per capire l’irredentismo e l’interventismo democratico. Qua in Venezia Giulia su questa linea spesso si giocava l’adesione ad un’appartenenza etnica o ad un’altra, e anche negli anni Venti molte adesioni al fascismo da parte di ex-sloveni ed ebrei erano determinate da una scelta anticattolica.

TOM Io poi farei un parallelo sul nazionalismo nelle zone di confine e la dialettica clericalismo / anticlericalismo. Vedo entrambe come una contesa per il controllo di determinate professioni (in primis istruzione) e di determinate posizioni economiche (vedi l’odio di una parte della borghesia liberale verso le casse rurali cattoliche). Non a caso negli articoli del periodo 1920-1921 anche Gramsci ha una posizione anti-anticlericale perché vede nell’anticlericalismo una fucina di inciuci “progressisti” tra socialisti e borghesia.
Credo che lo scontro clericalismo / anticlericalismo assomigli alla violenza nazionalista anche per ferocia e volontà di annientare l’altro e, proprio come il nazionalismo, interagisca con il conflitto di classe perventendolo, tipo nel mondo contadino cattolico trentino quando l’ostilità per “il banchiere” diventa odio per “i banchieri liberali ed ebrei”, o anche a sinistra quando la lotta di classe si trasforma in lotta contro i credenti tout court. Penso vada invece rivendicata una alterità “religiosa” della sinistra italiana, repubblicana, socialista e comunista che in fondo ha fatto sì che una parte importante del popolo italiano avesse una fede diversa da quella cattolica, o avesse un’altra fede accanto a quella religiosa. Questo anche per sfatare il “mito delle origini” clerico-fascio-leghista di una società omogenea prima dell’arrivo degli immigrati.

TUCO Secondo me però questa dialettica riguarda il Trentino, l’Istria e il Goriziano, ma non una realtà metropolitana e industriale come quella triestina, in cui la classe operaia era molto matura e in grado di porsi in modo autonomo rispetto alla chiesa e alle istituzioni borghesi anche relativamente alla questione nazionale.

TOM Sì, vero, difatti distinguerei tra la contrapposizione “clericalismo /anticlericalismo”, scontro borghese che paragono al nazionalismo e  la rivendicazione di un’alterità religioso/ideologica, che riguarda invece la classe lavoratrice ed è un percorso di emancipazione.

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Paolo G. Parovel, giornalista e storico triestino, direttore del giornale «La voce di Trieste», esponente dell’ala più esplicitamente austronostalgica del neoindipendentismo.

LORENZO Ancora due riflessioni sull’austronostalgia cucinata alla triestina: ho notato che essa è particolarmente operante – anche se non esclusivamente – sui figli o discendenti di assimilati sloveni, tedeschi o croati (ma anche serbi, ungheresi ecc.) L’introduzione a L’identità cancellata di Paolo G. Parovel secondo me è esemplare. Non ho capito bene quale sia il meccanismo, ma ho qualche ipotesi: l’austronostalgia colma il trauma della propria identità “cancellata”, e questa sarebbe la spiegazione più immediata, ma secondo me c’è dell’altro. L’assimilato è quello che più di ogni altro odia la cultura di origine. Non a caso gli antislavi più agguerriti hanno un cognome slavo. L’assimilato vero e proprio è colui che non oppone resistenza all’assimilazione, anche solo per spirito di adattamento.
Ebbene, l’austronostalgia è la strategia che l’assimilato mette in atto per riconciliarsi con la cultura atavica senza ricusare l’assimilazione. L’austronostalgia gli permette di fare la vittima dicendosi dalla parte di una presunta minoranza (i triestini), facendo finta di non aver goduto dei privilegi dell’esser passati dalla parte della cultura dominante, quella italofona.
Poi c’è un’altra contraddizione che è solo apparente: quelli che esprimono simpatie austriacanti, magari solo implicitamente, e al contempo rivendicano la propria italianità e magari persino il proprio antislavismo. Questa è la linea di molti elementi di cosiddetta “sinistra”. La contraddizione, come dicevo, è solo apparente e fa perno sul concetto di “multiculturalismo”, un termine spacciato come positivo ma che positivo non lo è per niente. Anche il Sudafrica dell’apartheid era una società “multiculturale”, e pure il sud degli Stati Uniti. “Multiculturalismo” significa una molteplicità di culture chiuse ognuna nel suo recinto, non comunicanti, dove ognuno sta al proprio posto e non rompe i coglioni. Quando questa gente dice che «l’Austria era un paese ordinato» ha in mente esattamente questo, un paese dove ogni etnia stava al suo posto e non metteva in discussione sé stessa né il sistema gerarchico in cui si convive. In questo senso l’Austria era il garante del ruolo predominante dell’elemento italiano a Trieste.
Questa posizione è molto sottile e insidiosa negli scritti del socialista esule istriano Guido Miglia (già Miljavac), personaggio comunque di un certo spessore, il quale sosteneva che l’hybris all’origine del dramma istriano era l’aver confuso l’Istria veneta con l’istria slava. In questa prospettiva, l’assimilazione forzata di croati e sloveni si presenta come il madornale errore. Può sembrare un discorso giusto, eppure proprio questa invocata separazione delle due Istrie, implicitamente riconosciuta all’ordine sociopolitico precedente, cioè austriaco, sta alla base delle recriminazioni su base etnica dei decenni a venire, Non c’è niente come il dialogo interculturale, reciproco indipendentemente dal peso economico o numerico delle parti, che possa rendere chiara l’impalpabilità del concetto di etnia, il suo essere convenzione, nomi.

carpinteri-e-faraguna

Lino Carpinteri (1924 – 2013) e Mariano Faraguna (1924 – 2001), duo di scrittori e commediografi triestini. Autori del ciclo delle Maldobrìe, racconti scritti in un istro-veneto reinventato e ambientati lungo il Litorale adriatico tra Ottocento e Novecento, e, prima ancora, autori delle storie di Mirko Drek (poi “Druse Mirko”). In queste ultime, la comunità slovena del Carso – che dopo il 1918 aveva subito l’italianizzazione forzata e vessazioni di ogni tipo – era descritta a colpi di pesanti stereotipi.

TUCO C’è un’austronostalgia degli affetti familiari che si è andata via via esaurendo con la scomparsa di chi nell’impero ci visse veramente. Questa austronostalgia a livello alto si può ritrovare nel grande poeta e giornalista Carolus L. Cergoly e a livello popolare è ben rappresentata dalle Maldobrìe di Carpinteri & Faraguna. Occhio, però: mentre Cergoly era stato partigiano nel IX Korpus, Carpinteri & Faraguna sono gli stessi delle ributtanti strisce razziste, antislave e anticomuniste che avevano come protagonista Mirko Drek [in sloveno: Marco Merda, N.d.R.] negli anni Quaranta-Cinquanta.
E poi c’è l’austronostalgia politica i cui embrioni si trovano nel Movimento Mitteleuropa fondato da Parovel negli anni Settanta. Questa austronostalgia politica è rimasta una frangia minoritaria finché non ha fatto la sua comparsa Jörg Haider. Ricordiamoci che Haider era un role model per personaggi di destra come Giorgio Marchesich, ma anche un interlocutore privilegiato per il democratico Riccardo Illy [magnate triestino del caffè, sindaco di centrosinistra dal 1993 al 2001, presidente della regione Friuli-Venezia Giulia dal 2003 al 2008, N.d.R.].
Negli anni duemila si parlava molto di “euroregione”, una fantomatica entità politica che avrebbe dovuto “riunificare” Carinzia, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Litorale sloveno e Istria, sotto la guida morale appunto di Haider. Va detto che sloveni e croati non la cagavano nemmeno di striscio, l’idea dell’euroregione…
Poi Haider si schiantò contro un pilone di cemento e addio euroregione. Di lì a poco alcuni personaggi «borderline» (definizione non mia ma del neoindipendentista Sandro Gombač) avrebbero dato vita al Comitato Porto Libero di Trieste e poi al Movimento Trieste Libera, con la partecipazione straordinaria di… Parovel.

TOM Sull’Euregio, qui da me è effettivamente esistente tra Trentino, Alto Adige/Südtirol e Land Tirol. Le basi vennero poste nel 1993 ed è stata ufficialmente costituita nel 2011. Si tratta di una sorta di coordinamento tra enti locali. Non che partorisca chissa ché, ma a me sembra comunque, in una direzione positiva, il superamento dei confini nazionali, e qualche progetto positivo in ambito didattico lo ha anche partorito. Poi certo la roba pensata da Haider fa subito pensare all’Adriatische Küstenland nazista, più che alla Euregio tirolese.
Il problema dalle mie parti è che purtroppo la pulsione a sentirsi parte della mitteleuropa, a superare i confini nazionali convive in ampi settori della società trentina con una austronostalgia, o meglio tirolonostalgia prettamente reazionaria. Credo ci sia poca consapevolezza di questo, perché si continua a fare un discorso bipolare italianità vs. austriacantismo, Battisti vs. Hofer, senza approfondire. Questo avviene a livello di cultura di massa, ma anche negli ambienti “progressisti”: si rimuove il fatto che la “piccola patria” tirolese ha il suo “lato oscuro”: clericalismo intollerante, chiusura e collaborazionismo filonazista, tanto per elencare i precedenti.
Poi c’è anche da dire che probabilmente in Trentino il numero di chi parla “davvero” tedesco è ridotto, forse pari a quello di altre province italiane ben più lontane dai confini austriaci, anche se bisogna tener conto della presenza di piccole minoranze linguistiche (cimbri e mocheni) che parlano lingue derivate dal tedesco. Qui non c’è una alterità culturale e linguistica rispetto al resto d’Italia, c’è una rivendicazione autonomistica di una terra con una storia e una posizione particolare.

TUCO Da queste parti il discorso sull’euroregione aveva connotati che andavano ben oltre la cooperazione transfrontaliera, che anch’io considero positiva. Quell‘euroregione era vissuta in certi ambienti come primo passo di state-building. Non sto scherzando. Ovviamente non c’è niente di male né di bene in astratto nel costruire stati nuovi. Ma fondare uno stato è un atto politico e allora bisogna vedere su quali miti fondanti e su quale idea di società lo si vuole fondare. E in questo caso Haider era tutto. E infatti appena è morto, l’euroregione è scomparsa dal discorso pubblico. Poco dopo si è ricominciato a parlare di Territorio Libero di Trieste.

WM1 Forse si potrebbe sviluppare il discorso, già fatto ma non ancora sviscerato, sul perché tra gli austronostalgici e i neoindipendentisti si trovino così tanti “italianissimi” [in parole povere: fascisti, N.d.R.] appena riverniciati.

Vienna, 22 giugno 2013. Manifestazione di neoindipendentisti triestini.

Vienna, 22 giugno 2013. Manifestazione di neoindipendentisti triestini.

TUCO La mia idea è questa: per l’italianissimo gli sloveni dimostrano chiusura perché si ostinano a volersi considerare sloveni e non italiani. Con la triestinità è lo stesso: si chiede agli sloveni di sentirsi triestini e non sloveni, e li si stigmatizza se non vogliono abbracciare l’identità triestina al posto di quella slovena. La triestinità a cui fanno riferimento gli italianissimi passati al neoindipendentismo è quella alla Mioni, oppure alla Carpinteri & Faraguna. È la medesima triestinità utilizzata dai fascisti proprio in senso nazionalista antislavo, e in cui gli italianissimi delusi dall’Italia-senza-palle si possono riconoscere benissimo. Insomma, il fatto è che questa triestinità ognuno la interpreta come gli pare. Gli austriacanti come mitteleuropea, gli italianissimi come rivendicazione di italianità, e certi sloveni come affrancamento dall’italianità imposta.

drusemirkoLORENZO Su Mirko Drek è da tempo che vorrei scrivere un post, il personaggio poggia su stereotipi urbani radicati nella mentalità dei triestini che poi Carpinteri & Faraguna piegarono al loro talento comico (che riconosco, pur non apprezzando affatto la loro parte politica). Il discorso di Tuco fila, e può essere integrato con quanto dicevo sugli assimilati. Gli italianissimi sono in gran parte discendenti di sloveni, tedeschi, croati, armeni, greci o serbi assimilati per forza o volontariamente. I patrioti nostrani hanno sempre sofferto questa schizofrenia tra le radici familiari e la dottrina appresa a scuola, in ricreatorio, in curva allo stadio.
Dopo lo sdoganamento delle foibe anche a sinistra (quello che era il cavallo di battaglia dell’MSI è diventato un po’ il cavallo di chiunque), la scomparsa del confine e – last but not least – la crisi e la frantumazione del centrodestra [eufemismo usato dagli anni Novanta del XX secolo per indicare coalizioni tra riccastri, mestatori razzisti e ammiratori del duce, N.d.R.] nel 2011, gli italianissimi locali sono diventati un po’ dei ferri vecchi inutili, come i bunker di Enver Hoxha in Albania, e proprio come quei bunker non hanno mutato struttura (forma mentis), al massimo l’hanno riadattata con quel che passava per il convento. L’Austronostalgia posticcia del Movimento Trieste Libera per loro deve essere stata un’epifania, la possibilità di coniugare i fili multicolori familari con una visione politica greve e identitaria. Mi riferisco naturalmente alla “bassa forza”, a quelli che i dirigenti neofascisti consideravano carne da macello, scherani da buttare in prima linea o maggioranza silenziosa indottrinata in anni e anni di propaganda anti-slavocomunista, ora di colpo liberi e senza punti di riferimento. Secondo me gli italianissimi austronostalgici del neoindipendentismo sono di questa risma.
C’è un altro aspetto e qui mi rimetto a Zora: il problema di chi meticcio lo è proprio in senso tecnico. Ovvero chi è mezzo sloveno e mezzo ‘talian [regnicolo, spesso del sud Italia, N.d.T.]. Purtroppo il trovarsi proprio in mezzo al tiro alla fune spinge parte di costoro, per dare pace al proprio cervello, a diventare o italianissimi o slovenissimi, ad ogni modo nazionalisti sfegatati, da una parte o dall’altra. Il cambio di identità al cambio di weltanschauung politica in questi elementi può essere ancora più drammatica.

ZORA Dipende da cosa intendi per slovenissimi. Qualcuno potrebbe dire, e lo dice, che lo sono anch’io! Per i meticci veri, i figli di matrimonio misto, l’unico caso “drammatico” che mi viene in mente è Antonio Škerlj di CasaPound. Diciamo che in passato venivano ostracizzati dalla comunità i “venduti”, cioè quelli che non insegnavano lo sloveno ai propri figli, e in quel caso i figli potevano diventare italianissimi, perché erano sgraditi sia alla maggioranza che alla minoranza. Quando invece non c’era conflitto e i figli conoscevano la lingua e frequentavano l’ambiente sloveno, il coniuge italiano era sempre ben accolto. Anzi, quelli che di solito si integravano meglio erano proprio i regnicoli, perché erano estranei alle paturnie dei triestini. Talvolta imparavano anche la lingua. Direi che il rischio di diventare italianissimo lo corre chi vive in casa una situazione di conflitto tra genitori. Poi c’è anche chi si assimila senza aver subito traumi e senza avere delle motivazioni profonde, per pura inerzia.
Oggi la situazione si è fatta più complessa, soprattutto a causa del massiccio afflusso di bambini non sloveni nelle scuole (e di conseguenza anche nei circoli culturali e sportivi), ma anche perché i meticci ora non sono solo italo-sloveni, ma anche anglo-sloveni, russo-sloveni, oppure sono a loro volta figli di due meticci ecc. La differenza da quando andavo io alle elementari a Basovizza e la situazione delle mie figlie ora a Barcola è davvero abissale.
Aggiungo una cosa. Essere veramente meticci per più di una generazione è di fatto impossibile. Alla fine uno si ritrova a scegliere, e se non lo fa lui o lei, lo fanno i suoi figli, perché dalle nostre parti l’identità continua a passare principalmente attraverso la lingua. Insomma, è ancora difficile che una persona sia considerata come un membro della comunità se non conosce lo sloveno, anche se di cognome fa Slovencich.

TUCO A Trieste perfino il fatto di essere meticci (con gli ingredienti giusti, però) diventa un fattore identitario da sbattere addosso agli altri come un corpo contundente. Qua bisogna andare tutti in giro col pedigree in tasca, questa è la sporca verità. Per quanto mi riguarda, e parlo esclusivamente di come la vivo io, la questione di quale sia la mia identità è come la questione dell’esistenza di Dio: no go nianca pel cul [non mi passa nemmeno per il culo = me ne infischio, N.d.T.]. Non sono credente, non sono ateo, non sono nemmeno agnostico. Semplicemente, la faccenda mi è talmente estranea che non ho mai pensato di dover elaborare una posizione in merito. Mi rendo conto che posso permettermi questo “lusso” perché nessuno mi ha mai discriminato per motivi etnico-linguistici. Per motivi politici sì, invece, ai tempi dellle superiori, e infatti l’identità antifascista la difendo coi denti.

TOM Tornando a un punto affrontato prima, in generale io direi che molti italiani cercano un padrone straniero da servire e uno straniero più debole da asservire e perseguitare, insomma sono imperialisti senza essere minimamente patrioti. Questo complesso è assolutamente operante oggi e si ripropone con qualche variazione quando si parla di Unione Europea, ad esempio trovo veramente inquietanti le affermazioni razzistiche contro i greci «ladri e fannulloni» e la supina ammirazione per i tedeschi «che lavorano e sanno tenere i conti in ordine». Segnalerei che però purtroppo questo complesso si può ribaltare in un altro pregiudizio: i tedeschi geneticamente cattivi e un altro popolo a caso da loro oppresso che si ribella viene di colpo nominato rappresentante di tutte le virtù militari e civili.
dallevetteMi è capitato di leggere Dalle vette al Piave, un periodico della divisione d’assalto “Belluno” delle Brigate Garibaldi, pubblicato alla macchia dal dicembre 1944 al maggio 1945. Si tratta di un giornale elaborato da una redazione “aperta”, comprendente comunisti con decenni di militanza alle spalle, giovani che acquistano coscienza solo dopo l’8 settembre, ufficiali inglesi e cattolici entrati nella Garibaldi pur continuando a dichiararsi «democristiani»;  spesso vi sono pubblicate lettere e  rapporti, individuali e collettivi, di semplici partigiani. Interessante notare la dialettica patria-rivoluzione, addirittura in una lettera collettiva da un distaccamento scrivono che vogliono il confine al Brennero per autodifesa ma che «Morte al fascismo, libertà ai popoli!» non deve rimanere solo uno slogan, sottintendendo la volontà di rispettare i diritti dei sudtirolesi, ma senza riuscire a mettere in discussione la sacralizzazione dei confini.
Negli articoli, i partigiani Jugoslavi ed il loro popolo in genere sono continuamente additati come insuperabile esempio di coraggio, ma spesso i tedeschi sono descritti come esseri crudeli non in quanto nazisti, ma in quanto tedeschi, addirittura si riproduce pari pari la propaganda della Grande guerra e si canta la Canzone del Piave ad ogni piè sospinto. Poi però si celebra la pasqua cantando l’Internazionale e allora si scopre che ci sono anche due partigiani che la cantano in tedesco. Di certo proprio tra i garibaldini del bellunese combatteva un partigiano sudtirolese, Ludwig-Karl Ratschiller, che poi ha pubblicato le sue memorie.

LORENZO Che voi sappiate l’austronostalgia è solo una specialità del nordest italiano? Ok, l’austronostalgia alligna soprattutto nella piccola Austria ma negli altri ex-territori della Duplice? Slovenia, Croazia, Boemia, Bucovina, Ungheria etc. presentano declinazioni nazionali di questa nostalgia imperiale? Mi ha fatto riflettere un pezzo di Sonnenschein (o Trieste, che continuo a ritenere un titolo fuori luogo) di Daša Drndić, lo ricopio qui per capire subito cosa intendo:

«La Monarchia è solida. Al suo interno, dal Vorarlberg a ovest fino al villaggio più a est della Bucovina (1274 chilometri), dalla più piccola città boema a nord, fino ai villaggi di pescatori della Dalmazia a sud (1000 chilometri), regnano ordine, pace e moneta unica. In tutti gli angoli del territorio vengono distribuiti prodotti delle stesse marche, cibo della stessa qualità, soltanto i nomi sono discretamente adattati alle lingue dei vari popoli: in Ungheria la catena di negozi Julius Meinl diventa Meinl Gyula, così come Jules Verne viene ribattezzato Verne Gyula, i Knödel diventano in Boemia knedliky, la Wiener Schnitzel è la bečka croata, in Italia “cotoletta alla milanese”. I centri distanti della Monarchia, le sue serate danzanti, i Walzer e le carrozze, gli Schnaps e la Sachertorte, i pittori e la famiglia imperiale, ogni cosa diviene intima e cara alla provincia non appena viene italianizzata, croatizzata, ungherizzata, boemizzata; die glückliche grosse Familie. Oh happy days

Con questo brano l’autrice ricostruisce l’austronostalgia di uno dei suoi personaggi, Florian Tedeschi, nel bel mezzo della seconda guerra mondiale, ma i tasti che ha scelto di premere mi hanno stimolato alcune suggestioni.
Innanzitutto l’austronostalgia celebra l’Austria in punto di morte, la sua decadenza. L’idealizzazione che la sottende non riguarda la Monarchia pre-Ausgleich ma quella che dal piccolo trotto passa al galoppo nella corsa verso la sua fine, quella che ha buttato un occhio sui Balcani come possibile terra di conquista dove innescare la riscossa imperiale dopo le batoste della guerra austro-prussiana, segnando per sempre il suo destino. La sua decadenza coincide con l’affermarsi dei nazionalismi al suo interno che in realtà essa stessa alimenta nel tentativo di salvarsi dalla disgregazione, questo perché non può fare a meno di comportarsi quale potenza coloniale verso i suoi popoli, concedendo tutele in base all’appartenenza o meno a dati gruppi, di fatto rendendo cogenti appartenenze etniche dapprincipio percepite e idealizzate solo da certe élites intellettuali borghesi. Potrebbe insomma darsi – il condizionale è d’obbligo – che l’austronostalgia idealizzando la monarchia sul letto di morte e senza alcuna speranza di sopravvivenza, ribalti il vecchio schema dell’impero come «prigione dei popoli» trasformandolo in «culla dei popoli», rendendo possibile la paradossale convivenza della sua nostalgia a fianco di un forte identitarismo nazionale.
La chiave di volta – lo suggerisce la Drndić – è la provincia. L’impero diventa così portatore di un’identità nazionale di provincia in grado di scaldare il cuore, rivendicando al contempo diversità culturale e omogeneità primigenia, prima delle nazioni, ma soprattutto rivendicando privilegi: non dimentichiamoci che l’Impero fu il garante della supremazia della lingua franca veneta sull’Adriatico orientale (persino Tegetthof aveva appreso l’arte marinara in veneziano, si dice). Questo potrebbe spiegare come nell’austronostalgia possano ritrovarsi insieme italianissimi e venetissimi.
Per questo motivo sarei proprio curioso di sapere se esistono analoghi sentimenti nostalgici in altre province del fu impero. Altre suggestioni che il brano della Drndić mi stimola, ma che abbiamo già sviscerato in lungo e in largo, riguardano il mito – nel dopo-Lehman Brothers e nell’Italia degli scandali legati alla corruzione politica – di uno stato e quindi di una burocrazia funzionanti (ma dubito che Musil, Roth e Hašek sarebbero d’accordo) nonché di un capitalismo “sano”, al netto ovviamente del rimosso conflitto sociale, che in Austria-Ungheria aveva dato vita ai movimenti operai tra i più forti d’Europa.

TOM Bella domanda. Direi, almeno a giudicare dal libro di I Sonnambuli di Christopher Clark, che un po’ di austronostalgia è riuscita ad arrivare anche nel dibattito storiografico internazionale e quindi la cosa molto probabilmente è diffusa a livello europeo. Quello che dici sulla mitizzazione dell’impero «culla di popoli» mi pare parecchio fondato. Conta una cosa: tutti in Europa chiamano «Belle epoque» quella prima della grande guerra, direi che questo è avvenuto non perché fosse bella in sé ma perché dopo son venuti trent’anni di massacri, inevitabile che dopo ciò che c’era prima diventasse “bello”.

PIERO Io posso parlare solo per esperienza personale: avevo contatti con amici cechi (di Brno) che non erano austronostalgici, ma piuttosto trovavano un’affinità “austroslava” con gli altri popoli slavi che avevano vissuto nell’impero – esclusi, chiaramente, i polacchi, considerati i parenti poveri. C’era un’idea di vicinanza anche con Trieste, ma più che altro perché in epoca asburgica Trieste era il porto che serviva anche Praga e in città era presente una comunità ceca. Peraltro c’era uno yacht club ceco a Trieste e il presidente era il figlio del compositore Dvorak, che era un noto imprenditore: può darsi che anche questo abbia fatto conoscere di più Trieste ai cechi.
In Ungheria mi pare che ci sia una nostalgia per l’Ungheria asburgica più che altro perché in quell’epoca l’Ungheria era considerata una componente alla pari con l’Austria e dunque è un periodo in cui gli ungheresi possono identificarsi come una grande potenza (e infatti c’è nostalgia della «Grande Ungheria» che comprendeva Croazia e Transilvania e aveva lo sbocco a mare a Fiume.
In Bosnia invece (tra i bosniaci musulmani, non tra quelli croati o serbi) l’austronostalgia è palpabile, perchè è considerata il momento di inizio dello sviluppo della Bosnia e del suo ingresso in Europa. Ma contemporaneamente è forte anche la jugonostalgia. A Sarajevo sono stato in una birreria in cui c’erano accostati i ritratti di Franz Joseph e Tito.
Degli amici che ci sono stati mi hanno detto che negli ultimi tempi (da quando sono ripresi i casini in Ucraina) a Leopoli, cioè Galizia, stanno sottolineando il passato asburgico e sta riprendendo una rivalutazione dell’appartenenza all’Austria (chiaramente in contrapposizione alla Russia). Questa austronostalgia di Leopoli però è una costruzione parecchio finta, visto che la popolazione polacca che la abitava è stata espulsa dopo il 1945 e sostituita con popolazione ucraina che proveniva in buona parte da zone che sotto l’Austria-Ungheria non ci sono mai state.
Questo è quello di cui ho la percezione io, ma sono sensazioni soggettive e parziali.

Cent'anni a Nordest

[Lo scambio lo abbiamo interrotto qui, ma di cose da dire ce ne sarebbero ancora molte. Servirebbe, ad esempio, un supplemento di indagine sulla sovrapposizione – esposta in Cent’anni a Nordest – tra austronostalgia e putinismo. Tempo al tempo, e la parola ai lettori. I commenti verranno aperti lunedì 6 luglio 2015, il giorno dopo il referendum greco. Che a suo modo c’entra.]

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64 commenti su “Sull’uso politico dell’austronostalgia. Discussione tra giapster a partire da #100anniaNordEst

  1. Il romanzo-documentario di Daša Drndić offre spunti di riflessione davvero illuminanti sull’austronostalgia, dalla sua lettura emerge lampante ad esempio il legame all’insegna della passività tra il rimpianto che molti ex-sudditi provarono per la monarchia dopo il trattato di Saint Germain del 1919 e l’effetto bystander che colpì molti di costoro sotto l’occupazione nazista qualche decennio dopo, portando molti ex-cittadini del civilissimo impero asburgico non solo a chiudere gli occhi sullo sterminio degli ebrei ma in molti casi a prendervi parte attiva e neanche troppo dispiaciuta, determinando la qualità letteralmente “passiva-aggressiva” del collaborazionismo dei paesi dell’ex-Austria-Ungheria che non a caso si servì di pezzi del suo apparato statale e militare come l’ammiraglio Horthy o di ex-austriacanti convinti come il prete Tiso in Slovacchia o il generale Kvaternik in Croazia (attendente del maresciallo Boroević durante la prima guerra mondiale). Evidentemente c’è una forte attitudine all’apatia e alla remissività nell’austronostalgia, un più o meno inconsapevole anelito ad un autoritarismo “buono” che spesso si cela dietro a paraventi apparentemente neutri come il senso dello stato, la legalità, l’ordine amministrativo, i floridi commerci, ma che la parentesi nazista ha rivelato nella sua natura più putrida, una natura che gli austronostalgici di oggi tendono sempre a nascondere e nascondersi, a proposito di memorie selettive.
    Interessante, nel brano citato da Sonneschein/Trieste, il riferimento alla moneta unica e al mercato unico dell’Austria Felix. L’austronostalgia può intercettare oggi le critiche all’unione europea di marca liberal-conservatrice, quelle che tracimano dai canali istituzionali in questi giorni come da una condotta fognaria occlusa, come se la crisi greca dipendesse da una carenza di leadership autoritaria. L’Austria-Ungheria dei popoli, compatta intorno all’autorità di sangue degli Asburgo diventa un doppelgänger foschissimo nelle aspirazioni di oggi di coloro che vorrebbero riscrivere l’Europa sotto altri auspici, non quelli democratici espressi dal recente Greferendum, ma quelli autoritari che trovano corpo nei beceri mantra secondo i quali i greci vivrebbero sulle spalle degli altri europei, che se incrociati con il putinismo decerebrato rimestano liquami che non si odoravano dai tempi del Deutsche Adria Zeitiung (il giornale collaborazionista di Trieste sotto il nazismo). Chiaro che ognuno si ritaglia la sua austronostalgia, ma le persone intelligenti e che si ritengono progressiste pur in odore di mitteleuropea (magari sovrappronendo Angelo Vivante con l’AU), dovrebbero prestare attenzione a queste inferenze inconsce, anche perché non si può vivere in your own Private Austronostalgia – parafrasando i B-52s – underground like a wild potato.
    L’Austronostalgia sembra riguardare il passato ma parla al presente, volenti o nolenti.

    • Civilissimo impero asburgico? Purtoppo no. Durante la grande guerra le truppe austriache si macchiarono di tremendi crimini contro la popolazione civile in Serbia. Basta dare una scorsa anche solo su internet: le foto dei massacri di civili serbi sembrano veramente la prova generale di quelli perpetrati durante la seconda guerra mondiale. Tra l’altro quando in alcuni punti del fronte balcanico le truppe tedesche sostituirono quelle austro-ungariche, la popolazione locale ne fu sollevata. Sui crimini austriaci durante la prima guerra mondiale si possono avere informazioni interessanti anche leggendosi “Gli ultimi giorni dell’umanità” di Karl Kraus.

  2. Molto interessante questo dialogo, mi piacerebbe se ne venissero pubblicati altri, soprattutto perchè la maggior parte di quello che conosco riguardo Trieste e il Friuli viene da questo blog (oltre che dai libri di scuola, ma ormai sono passati 20 anni). Io sono di Roma e molte delle cose che leggo, sfuggono parzialmente alla mia comprensione, soprattutto la divisione a Trieste in base alla lingua, alla nazionalità, alle etnie.
    Comunque ho qualche domanda e riflessione (perdonatemi eventuali castronerie, la mia è ignoranza al massimo, non malizia):
    1) Per prima cosa ho una domanda a Tuco, all’inizio tu dici che “In Austria da anni si è sviluppato un importante dibattito sul rimosso del passato nazista, sulla falsa autorappresentazione degli austriaci come vittime del nazismo”. Io ho vissuto in Austria, a Vienna, per 5 anni (dal 2009 al 2014, ora sto in Spagna), sinceramente non ho sentito molto di questo dibattito e neanche la mia compagna che è austriaca. Nella mia esperienza in Austria, negli ultimi anni si è iniziato a parlare dell’austro-fascismo e della guerra civile e senza dubbio è un bene. Ma la mia percezione è che per una grande maggioranza di austriaci, l’Austria sia vista ancora come “prima vittima” del nazismo. Puoi darmi qualche nome/libro/articolo? sia io che la mia compagna saremmo interessati ad approfondire
    2) Per quello che riguarda l’uso del friulano come lingua usata dal fascismo in contrapposizione allo slavo (per rivendicare l’italianità della regione), mi ricordo di aver letto che Pasolini da giovane scriveva poesie in friulano come mezzo per lottare contro il fascismo (in quanto non potè unirsi ai partigiani, anche se non ricordo per quale motivo), in quanto il fascismo cercava di vietare l’uso del dialetto friulano. Suppongo che il fascismo permettesse l’uso del friulano solo se il friulano veniva usato per inneggiare al fascismo o ai valori fascisti, o sbaglio?
    3) Per quello che riguarda il Südtirol (scusate ormai sono abituato a chiamarlo così), ho avuto la fortuna di conoscere molti ragazzi che venivano da lì a Vienna (per studiare all’università, che in Austria è gratis, però per frequentarla devi avere un certificato di tedesco o essere tedescofono). Da quello che mi hanno detto loro si sentono per prima cosa sudtirolesi, poi europei, poi italiani, ma non mi è sembrato ci sia alcun sentimento indipendentista (almeno nel senso usato a Trieste) tantomeno un interesse nel tornare a far parte dell’Austria. Vorrei sapere da Tom Trento, se anche secondo lui è così, oppure ho semplicemente conosciuto persone con un certo modo di vedere le cose, ma non quello diffuso in loco
    4) Ultima riflessione, per quello che riguarda l’austro-nostalgia ho letto con sorpresa il fatto che sia diffusa un pò in tutta Europa e non solo a Trieste. Sorpresa aumentata dal fatto che, a me, è sembrato che in Austria non esista (però devo dire che non leggevo i giornali austriaci nè guardavo la tv austriaca, entrambi fanno abbastanza schifo, quindi potrei non aver notato questo sentimento). Nessuna delle persone che ho conosciuto (non solo di Vienna, ma anche di altre regioni austriache) ha mai accennato a “quanto si stava bene, quando c’era l’impero” anzi molti guardano all’impero, soprattutto alla sua fase finale, in maniera negativa.

    Spero di non aver detto troppe sciocchezze, se vi interessa posso chiedere alla mia ragazza (che ha studiato italiano e scienze politiche) di fare un commento dal suo punto di vista.
    Continuate con il buon lavoro ;)

    • Devo dire che non conosco molto la realtà altoatesina/sudtirolese, non so neppure il tedesco. Ho avuto modo di conoscere alcuni sudtirolesi ma si trattava di persone impegnate in ambito scolastico-culturale, in molti casi residenti a Bolzano, perfettamente bilingui. Da parte loro non ho mai avuto neppure io l’impressione di un sentimento indipendentista, ma ripeto si trattava di persone appartenenti ad una fascia della popolazione colta e mediamente progressista, esattamente speculare all’ambiente in cui mi muovo a Trento, in cui fai fatica a trovare leghisti o fautori di chiusure localistiche. Poi in Alto Adige/Sudtirol come in Trentino per fortuna è ampiamente diffuso un autonomismo “mite” che valorizza le proprie specificità e soprattutto il proprio autogoverno locale senza diventare chiusura etnicista o lacalista.
      In Trentino questo autonomismo, che magari è anche un pò austronostalgico, nel senso che si sente parte di una storia comune con la mittleuropa, convive purtroppo con atteggiamenti di chiusura etnico-localista o di integralismo religioso “tirolonostalgici”, di cui temo non si avverta appieno la pericolosità.
      In in Alto Adige/Sudtirol credo invece vi sia maggiore consapevolezza sul fatto che esistono due destre, una “italiana” e una “tedesca”. Quella tedesca l’indipendenza la vuole eccome, hanno fatto anche loro il loro bravo referendum farlocco http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/01/13/sud-tirolo-referendum-sulla-secessione-dallitalia-il-92-vuole-unirsi-allaustria/841823/, poi per fortuna si tratta sempre di una minoranza della popolazione sudtirolese e più che austronostalgici mi sanno proprio pangermanisti.

      • E poiché tutto si tiene, il partito separatista Süd-Tiroler Freiheit collabora con il Movimento Trieste Libera:

        No all’Italia: diritto all’autodeterminazione ribadito dai Movimenti Trieste Libera, Südtiroler Freiheit e Trieste Libera – Austria

        Sabato 28 e domenica 29 marzo 2015 si sono incontrate ufficialmente a Trieste, nella sede di piazza della Borsa 7, le delegazioni dei movimenti Südtiroler Freiheit Trieste Libera e Trieste Libera – Austria, per discutere sui contatti e problemi di Trieste, del Sudtirolo e dell’Austria in materia di rispetto dei trattati internazionali, diritto di autodeterminazione e difesa del Porto Franco internazionale di Trieste in funzione dell’economia austriaca e mitteleuropea.

        La delegazione sudtirolese era formata dai rappresentanti di Südtiroler Freiheit nei consiglio provinciale autonomo del Südtirol Sven Knoll e Bernhard Zimmerhofer, dal consigliere del Comune di Brixen Hartmuth Staffler, dal portavoce stampa Cristian Kollmann e dal portavoce presso il Burgraviato Dietmar Weithaler. Trieste Libera – Austria era rappresentata da Claudio Schiesl Vienna) e Gianni Kriscak (Graz), ed il Movimento Trieste Libera dal presidente Roberto Giurastante e dai responsabili per i contatti internazionali Paolo G. Parovel e Silvia Verdoglia.

        Nei colloqui le delegazioni hanno condiviso le posizioni politiche e le valutazioni giuridiche così riassunte:

        1. le popolazioni di Trieste, del Südtirol e dell’Austria condividono oltre mezzo millennio di vincoli fraterni di amicizia e di convivenza nel legame volontario con casa d’Austria, rispettivamente dal 1362 e 1382 al 1918. Anche nella prima guerra mondiale triestini, suditrolesi e trentini hanno difeso uniti e con valore la patria sovranazionale comune, l’Austria-Ungheria.

        2. assieme a questi antichi vincoli fraterni, che devono essere conservati e rinnovati, le popolazioni di Trieste, del Südtirol e dell’Austria condividono i medesimi diritti ed interessi di libertà, democrazia, multiculturalità e di sviluppo dell’economia dei loro territori e di tutta la Mitteleuropa, anche attraverso la difesa e l’utilizzo ottimale del Porto Franco internazionale di Trieste. !3. il diritto di autodeterminazione è una norma cogente irrinunciabile ed insopprimibile del diritto internazionale consolidata: dalla Carta delle Nazioni Unite, art. 1, comma 2 (1945, ratificata dall’ltalia – membro delle N.U. dal 1955 – con legge 17 agosto 1957 n. 848); dalla Dichiarazione relativa ai principi del diritto internazionale, le relazioni amichevoli e la cooperazione tra Stati in conformità alla Carta delle Nazioni Unite (UN General Assembly, A/RES/2625 (XXV) del 1970; dalla Conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa, Atto finale di Helsinki, punto VIII (1975); dal Patto internazionale sui diritti civili e politici (1966, ratificato dall’Italia con L. 881/1977). La norma è resa perciò vincolante anche nell’ordinamento italiano dalla Costituzione della Repubblica Italiana, artt. 10 primo comma e 117 primo comma.

        4. il diritto del Südtirol di essere restituito volontariamente all’Austria, e dell’Austria di riottenere il Südtirol secondo la volontà dei suoi abitanti, è una questione essenziale dell’esercizio del diritto di autodeterminazione in Europa.

        5. il diritto dei Sudtirolesi di lingua tedesca, ladina ed italiana di chiedere e di ottenere la restituzione della cittadinanza austriaca con diritto di voto è perciò e comunque un diritto fondamentale connesso all’esercizio del diritto di autodeterminazione.

        6. l’Italia non può opporsi a tale diritto, che essa esercita già unilateralmente verso altri Paesi mitteleuropei (Slovenia e Croazia) con la propria legge 8 marzo 2006, n. 124.

        7. gli abitanti di Trieste, già Città Immediata dell’Impero, che discendono da cittadini austriaci hanno diritto ad una forma di riconoscimento della cittadinanza austriaca originaria.

        8. i cittadini del Free Territory of Trieste, costituito quale Stato sovrano e Porto Franco internazionale dal 15 settembre 1947 in forza del Trattato di Pace di Parigi del 10 febbraio 1947, che ne ha reso garante il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, hanno il diritto al pieno ed effettivo riconoscimento del loro status sia nei rapporti con l’Italia che con tutta la Comunità Internazionale.

        9. l’Austria e tutti gli altri Paesi ai quali il Trattato di Pace assicura il libero uso ed il controllo del Porto Franco internazionale del Free Territory of Trieste hanno diritto di esercitare liberamente e senza ostacoli né limitazioni tali prerogative economiche e commerciali in tutte le forme stabilite dal Trattato di Pace per quel regime speciale di zona franca. L’eliminazione del Porto Franco Nord di Trieste, progettata dal Governo italiano, sarebbe una grave violazione di tali diritti e del Trattato di Pace.

        10. l’Austria ha inoltre il diritto, secondo il Trattato di Pace, di utilizzare Trieste quale porto di armamento della flotta commerciale di bandiera austriaca, con proprio registro di immatricolazione.

        11. l’Austria e tutti gli altri Paesi della Comunità internazionale hanno quindi il diritto di esigere che il Governo italiano e lo Stato italiano cessino tutte le violazioni dei diritti qui menzionati dei cittadini del Südtirol, del Free Territory of Trieste e dell’Austria stessa, e di sollecitare a questo scopo l’attenzione del Consiglio di Sicurezza e dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

        12. Le gravi violazioni palesi o nascoste di tali diritti da parte del Governo italiano e di organi dello Stato italiano non sono più giustificabili con le cessate esigenze della guerra fredda, e costituiscono nell’Europa di oggi fattori di destabilizzazione che è possibile eliminare soltanto ripristinando i diritti violati.

        13. I movimenti Trieste Libera, Südtiroler Freiheit e Trieste Libera – Austria intendono perciò collaborare in piena autonomia ma con obiettivi comuni e contatti adeguati per il ripristino di tutti i diritti violati delle popolazioni di Trieste, del Südtirol e dell’Austria, come anche dei popoli fratelli che hanno condiviso per secoli la stessa storia e fedeltà sovranazionale sino al 1918.

        http://www.dovatu.it/news/no-allitalia-diritto-allautodeterminazione-ribadito-dai-movimenti-trieste-libera-sudtiroler-freiheit-e-trieste-libera-austria-17816/

        • Kente, un intervento della tua compagna sarebbe molto interessante e benvenuto!

        • Tanto per chiarire quali sono i riferimenti dei Südtiroler Freiheit, ricordo che la loro fondatrice Eva Klotz, (figlia di Georg Klotz, noto come il “martellatore della Val Passiria” per i suoi attentati indipendentisti) nel 1980, quando era ancora nella SVP scrisse una lettera al quotidiano Dolomiten in cui si scagliava contro il fatto che si iniziasse finalmente a parlare della resistenza antinazista dei sudtirolesi:
          “Per quanto riguarda il tanto lodato covo di resistenza della Val Passiria, so da varie conversazioni con persone che quei tempi li hanno vissuti, che i partigiani in questione non hanno mai svolto resistenza a livello politico. Si trattava di soldati della Whermacht che tornati a casa in licenza, erano stati convinti a non presentarsi più e ad andare nei boschi. Con ciò incominciarono poi tutte le azioni che in parte assunsero forme criminali. Di notte i partigiani andavano nei masi dei contadini minacciavano la gente, rubavano lo speck dalla cantina e le bestie dalle stalle, sparavano senza preavvertimento nelle case e terrorizzavano la gente…”
          (Fonte “La resistenza antinazista in Sudtirolo dopo il 1945, da fiore all’occhiello a vergogna” di Leopold Steurer, Martha Verdorfer e Walter Pichler, pubblicato su Archivio trentino di storia contemporanea del 2 maggio 1994)
          Ovvio che si trovino bene con chi dice “nel ’43 i tedeschi ne ga liberà”…

          • Ah già che ci sono sulla resistenza sudtirolese, anzi proprio sui partigiani della Val Passiria, consiglio a tutti il libro di Carlo Romeo “Sulle tracce di Karl Gufler il bandito”. Non è un saggio, è un oggetto narrativo non identificato ante litteram (è del 1993) che mescola documenti d’archivio, testimonianze e fiction. fuori dal Trentino/Alto Adige Sudtirol lo trovate in queste biblioteche.

          • Chiarisco il riferimento per chi non ha seguito le puntate precedenti: “Nel ’43 i tedeschi ne ga liberà” [I tedeschi ci hanno liberati; sottinteso: dall’Italia] è la voce (dal sen fuggita in una discussione on line del 2013) di Giacomo Franzot, fondatore del Comitato Porto Libero di Trieste.
            Il Movimento Trieste Libera ha sempre detto di non avere rapporti con il CoPLT. Ha però rapporti innegabili con Edoardo Longo, avvocato le cui simpatie politiche sono ben descritte da Andrea Olivieri in questo post. E in Cent’anni a Nordest riporto diverse “perle” cripto- se non direttamente neo-naziste di attivisti e simpatizzanti del neoindipendentismo triestino.
            Oggi tale neoindipendentismo è diviso in 5-6 sigle, ma l’humus è il medesimo. Uno di questi raggruppamenti ha questi amici qui:

          • Evidentemente al museo di Vienna mi ero perso un piano, grazie del chiarimento, spero di tornarci con più tempo rispetto ad allora.
            Sullo statuto di autonomia del Trentino Alto Adige Sudtirol concordo sul fatto che sia uno dei migliori esempi di convivenza al mondo, pur concordando con tutte le dure critiche espresse da Alexander Langer ad una pace basata sulla separazione etnica. Credo che la situazione attuale debba essere la base per migliorare, sarebbe pericoloso considerarla insuperabile l’assetto attuale e spero che si arrivi non solo alla fine della separazione etnica ma anche ma anche a contribuire al superamento dello stato nazione attraverso l’integrazione euroregionale con il Land Tirol. Su come si è giunti all’attuale assetto però non sopravvalutare il ruolo degli attentati,che ritengo essenzialmente negativo. Il cammino per arrivare al secondo statuto d’Autonomia del 1972 era iniziato con le mobilitazioni di massa dei sudtirolese della seconda metà anni ’50 guidate dalla Svp e si arrivò all’attuale legislazione grazie alle trattative nella commissione dei 19, mentre l’indipendentismo sudtirolese dopo una prima generazione di militanti locali intenzionati a colpire le cose e non le persone (vedi la notte dei fuochi) venne sostanzialmente egemonizzato dal neonazismo austriaco e infiltrato pesantemente anche dai servizi segreti italiani, conoscendo una deriva omicida. Credo che alla fine vinse la trattativa e non le bombe, che tutt’altro più in una prima fase acceleratori il processo, perché di fondo l’assetto automobilistico sancito nel 1972 andava incontro sia agli interessi dei sudtirolese che dei trentini, ben contenti di rottamare la regione e delegare più poteri alla provincia.

            • Magari spiego meglio come si è arrivati all’attuale assetto autonomistico in Trentino Alto-Adige/ Sudtirol.
              L’attuale statuto d’Autonomia, è stato varato nel 1972 (dopo il primo del 1948) e ha spostato il potere dalla regione alle due province di Trento e Bolzano. In pratica nel ’48 Degasperi fece un giochetto assai semplice: affidò i poteri sanciti dall’Autonomia (a sua volta prevista dall’accordo internazionale con l’Austria del 1946) alla Regione, cioè ad un ambito amministrativo in cui gli “italiani” (trentini + altoatesini italofoni) erano la maggioranza. In tal modo si raggiungevano tre obiettivi: si rispettava, almeno formalmente l’accordo italo-austriaco del 1946, si concedeva una forma di autonomia locale ai trentini che pur essendo italofoni la chiedevano a gran voce e nel contempo si creava una situazione in cui i sudtirolesi erano si associati al potere locale (le giunte regionali erano formate da DC ed SVP) ma “sotto tutela” dei democristiani “italiani”.
              Questo assetto si resse per alcuni anni sull’alleanza DC-SVP, ma entrò in crisi a metà anni ’50 quando l’atteggiamento nazionalista ed accentratore dello stato italiano, che di fatto non applicò l’accordo internazionale del 1946, spinse l’SVP a radicalizzarsi e a chiedere il conferimento di un’autonomia speciale alla provincia di Bolzano. Vi furono grandi manifestazioni popolari sudtirolesi come quella del 1957 a castel Firmiano e persino interventi in merito all’assemblea generale ONU.
              Una frangia estremista dei sudtirolesi iniziò a mettere in atto degli attentati dapprima rivolti unicamente contro le cose (come durante la “notte dei fuochi” del 1961 in cui saltarono in aria centinaia di tralicci). In seguito all’arresto della “prima generazione” di attentatori l’indipendentismo armato iniziò ad essere infiltrato e strumentalizzato sia dal neonazismo austriaco che dai servizi segreti italiani e fece alcune decine di vittime, soprattutto tra poliziotti e militari italiani. Ancora oggi c’è chi ringrazia gli attentatori per l’autonomia ma secondo me tutt’al più la “notte dei fuochi” ha accelerato un processo mentre gli attentati successivi hanno avuto un ruolo unicamente negativo. Lo statuto d’autonomia del 1972 credo sia frutto essenzialmente della mobilitazione popolare dei sudtirolesi guidata dall’SVP, fu quella a spingere lo stato italiano a creare la commissione dei 19 nella quale si posero le basi per il conferimento dei poteri alle due province di Trento e Bolzano. Allo sbloccò della situazione contribuì inoltre il “cambio della guardia” nella DC trentina da Tullio Odorizzi, conservatore e fautore della regione, a Bruno Kessler, moroteo e fautore dell’autonomia provinciale che utilizzò per pianificare lo sviluppo del territorio e per creare l’università di Trento. Insomma allo statuto del 1972 si arrivò perché conveniva a tutti tranne che a quella parte degli altoatesini italofoni che ancora si crogiolavano nei “privilegi etnici” ereditati dal fascismo (accesso preferenziale al pubblico impiego ad esempio).
              Per una disamina critica di come si arrivati all’attuale autonomia rimando agli articoli di Alexander Langer, oppositore della divisione etnica morto nel 1994, che trovate qui http://www.alexanderlanger.org/it/30
              La presenza dei Süd-Tiroler Freiheit, così come quella di Casa Pound a Bolzano (che ha fatto eleggere in consiglio comunale questo soggetto che potete sentire in audio qui http://www.laperfettaletizia.com/2015/05/andrea-bonazza-di-casa-pound-la-zanzara.html ) indica che purtroppo i due nazionalismi sono ancora presenti.

              • la mia conoscenza sull’indipendentismo sudtirolese è piccola e, ad essere sincero, quasi tutta viene da fonti austriache, quindi suppongo che abbia un bias di fondo. Ti ringrazio per le chiarifiche. Sapevo del discorso di Kreisky all’ONU negli anni ’60 e sapevo che esistevano due “fasi” della lotta armata, di certo non sapevo dell’infiltrazioni neo-naziste, tantomeno del ruolo di alcuni politici nel processo di creazione dell’attuale sistema.

                La cosa che trovo interessante di questa comunità (mi riferisco a Giap) è che arrivo pensando di sapere qualcosa, scopro che in realtà non so niente (o poco), ma alla fine delle discussioni sento di aver imparato molto di più.

    • ciao Kante, ti rispondo prima sulla questione del friulano: non so se lo scrivere in friulano di Pasolini avesse uno scopo politico, comunque va considerato che quando Pasolini scriveva le “Poesie a Casarsa” era un giovane sconosciuto di meno di vent’anni, mentre i fondatori della Filologica friulana erano intellettuali organici al regime ed ex irredentisti. La Società filologica friulana fu fondata nel 1919 con intenti chiaramente patriottici, dunque un suo eventuale ridimensionamento in linea con la politica del fascismo sarebbe stato un problema.
      E’ vero che il fascismo portò avanti una vigorosa campagna contro i dialetti, ma, come ho scritto nel mio intervento, si trattava di impedire l’uso di queste lingue al popolo: nelle scuole era pesante la campagna per de-dialettizzare gli studenti, ma quando ci si rese conto che il friulano o il triestino potevano essere utilizzati per sottolineare l’italianità del nordest e contrapporle agli “slavi”, venne permesso un loro uso “alto”, se ne enfatizzò il loro possibile uso culturale. In questo contesto si capisce perchè la Società Filologica Friulana continuò a funzionare: si trattava di un’istituzione che studiava il friulano come strumento d’elite culturale, snobbando il suo uso popolare (il friulano parlato nelle osterie, tanto per intendersi). E’ inoltre interessante che nelle Valli del Natisone, dove la lingua corrente è un dialetto sloveno, durante il fascismo la popolazione fu spinta dalle autorità fasciste a esprimersi in friulano.
      Con una dinamica analoga a quella usata per il friulano “della Filologica”, a Trieste venivano pubblicate sulla stampa o in volume le poesie in dialetto triestino di Virgilio Giotti. L’opera di Giotti era considerata alta poesia, perché utilizzava il dialetto in maniera estremamente raffinata ed artistica. Il dialetto parlato dalle classi popolari, invece, veniva contrastato dal fascismo. Tra l’altro è proprio con Giotti che a Trieste si comincia a fare il distinguo tra “poesia in dialetto” e “poesia dialettale”, dove la seconda, chiaramente, è quella più legata all’uso popolare del dialetto, a temi “bassi”, a classi sociali inferiori e che dunque andava ostacolata.

    • Al quesito n. 1 rispondo consigliandoti di leggere qualche scritto di Karl Stuhlpfarrer, che è stato il mio relatore all’università di Klagenfurt e che ha dedicato buona parte della sua attività di storico a cercare di ribaltare la visione autoassolutoria degli austriaci come prime vittime di Hitler, mostrando invece come buona parte dei quadri medio-alti dell’apparato nazista fosse austriaco e come in linea di massima gli austriaci accolsero di buon grado l’Anschluss. Peraltro proprio in questi giorni a Villach-Villaco c’è una bellissima mostra intitolata Kunst der Vergessen (l’arte della dimenticanza) in cui vengono esposte opere d’arte austronaziste e narrate le biografie degli artisti austriaci che collaborarono con il nazismo. Dopo la guerra questa collaborazione venne occultata e gli artisti si riciclarono continuando tranquillamente a lavorare come tali nella nuova Repubblica Austriaca. (Detto per inciso: una mostra che, comunque, dà l’idea di come nonostante tutto in Austria ci siano curatori e finanziamenti per iniziative che in Italia credo siano assolutamente impensabili…)
      Quanto all’austronostalgia io (percezione personale, sottolineo) ho notato una forte differenza tra le varie zone dell’Austria: a Vienna trovo ci sia una fortissima presenza di simboli e souvenir asburgici (forse più ad uso dei turisti che realmente sentita). Devo dire però che a Vienna quando si veniva a sapere che ero di Trieste, ero sempre accolto con grande calore, perché “abitante del nostro porto”. Non appena si parlava di Trieste anche i viennesi più moderni e progressisti svelavano un sentimento di “appartenenza comune” e pur non facendo mai alcun complimento agli Asburgo, non nascondevano una nostalgia per la passata grandezza di Vienna e dell’Austria.
      In Carinzia – che conosco meglio – invece ho percepito maggiormente un inconfessabile criptonostalgia per il Reich (che poi si è rivelata elettoralmente con Haider). Ho dedotto – ma potrei sbagliarmi – che la forza di questa destra sciovinista e fascista carinziana abbia motivazioni analoghe a quella dei fascisti a Trieste e Gorizia: in Carinzia come nella Venezia Giulia è presente sul territorio una minoranza linguistica slovena abbastanza attiva ed entrambi i territori confinavano fino a pochi anni fa con l’odiata Jugoslavia socialista.
      Altrove invece mi è parso di non vedere segni austronostalgici: ad Innsbruck ad esempio ho notato maggiormente la sottolineatura della propria “tirolesità” che permette agli abitanti di porsi come qualcosa di diverso dagli austriaci e di affine ai bavaresi. In Stiria poi diversi stiriani mi hanno detto di autoconsiderarsi “balcanici austriaci” con una parentela di usi, costumi e musica con gli sloveni e con i croati.
      Ribadisco però che queste considerazioni sull’autopercezione degli austriaci sono delle impressioni assolutamente personali o frutto di colloqui con persone non necessariamente rappresentative della maggioranza della popolazione.

      • Circa 4 anni fa ho visitato il Museo della città di Vienna, mi ha colpito molto il fatto che la narrazione si fermasse al 1850. Direi che la cosa ha un suo peso quanto a nostalgia dell’impero. Inoltre se ben ricordo collegati al museo della città vi è una rete di piccoli musei di quartiere gestiti da volontari. Ricordo che non mi fecero una buona impressione, li vedevo molto folkloristici e poco propensi a problematizzare la propria storia, come se fossero istituzioni create apposta per soddisfare sia i turisti che il l’auto rappresentazione dei locali.
        Invece non solo la storiografia austriaca si è occupata delle complicità austriache con il nazismo, ma anche in una realtà dove tradizionalmente la sinistra è debole come il Tirolo vi sono molti studi sul movimento operaio e la resistenza sia all’austrofascismo che al nazismo.
        A proposito degli studi sul nazismo vi segnalo questo sito bilingue sulla storia del trattamento psichiatrico nel Tirolo storico dal 1830 ai giorni nostri con documenti interessanti sul periodo nazista http://lavoro.psichiatria-confini.net/

      • Per quel che vale, confermo la percezione personale di Piero Purini. Ho vissuto in Stiria per un certo periodo e ho notato un’enorme differenza nelle reazioni tra quando dicevo di venire da una generica Italia e quando invece rispondevo di essere di Trieste (ammetto con grande vergogna di averlo fatto “per vedere l’effetto che fa” – tra l’altro io non sono nata a TS e mi ci sono trasferita già grande – e per vedere se smettevano di farmi battute su berlusconi, che all’epoca andava molto di moda). Al tempo stesso però molti si stupivano molto che a Trieste si coltivasse ancora una forte nostalgia per gli Asburgo e per l’impero, e questo sia tra i più giovani che tra persone più attempate.

        A me sembra molto interessante anche l’austronostalgia “turistica” che da quanto mi pare di vedere si vende molto anche a Trieste, perché – al di là dell’elemento bottegaio – colpisce così tanto l’immaginario anche e forse soprattutto di chi non è cresciuto e non vive in territori ex-impero, però forse vado OT…

    • grazie a tutti per le risposte!

      Per quello che riguarda il referendum per l’indipendenza sudtirolese, non ne ero a conoscenza. Avevo sentito parlare del Süd-Tiroler Freiheit, ma sinceramente mi perdo un pò con tutte le sigle che esistono nel Trentino/Südtirol, nè sono molto informato sulla situazione.

      Per quello che riguarda Pasolini, Pietro Purini ha sicuramente ragione quando dice che Pasolini a quell’età era probabilmente uno sconosciuto, in ogni caso non ti posso dire esattamente dove ho preso quell’informazione, perchè quando ho scoperto Pasolini (circa 10 anni fa), mi sono fatto un’abbuffata dei suoi libri/film/articoli. Mi ricordo solo che Pasolini scriveva poesie in friulano, con cognizione di causa, cioè lo faceva come atto anti-fascista. Poi, può essere che il fascismo all’epoca lo abbia semplpicemente ignorato.

      Il testo pubblicato da Wu Ming 1, sull’accordo tra Trieste Libera e Süd-Tiroler Freiheit è agghiacciante. Soprattutto perchè mi ricorda comunicati simili scritti tra associazioni/partiti e movimenti di liberazione nazionale (come quello palestinese o basco). Chiarifico, mi sembra che questi personaggi si siano appropriati di un certo linguaggio per attirare empatia e consensi di altre aree, così leggendolo a prima vista sembra che queste associazioni lottino contro una stato brutale che reprime la popolazione (da qua il motivo per cui mi richiama certi comunicati di solidarietà coi palestinesi).
      Tra l’altro, non so in Friuli, ma da quello che so nel Trentino la legislazione che protegge le minoranze è una delle migliori al mondo (aggiungo che senza le lotte del comitato per la liberazione del Südtirol negli anni ’50 e ’60, mai avremmo avuto una legislazione del genere). Poi ovviamente una legge se non è applicata, è solo carta straccia, ma mi sembra che le cose non stiano così.

      Per quello che riguarda l’austro-nostalgia, effettivamente non avevo pensato che il mio essere di Roma, possa aver in qualche modo influito su certe risposte e trovo molto interessante sia l’esperienza di Pietro sia di 300_orsi.
      A me è capitato, al massimo, di conoscere diverse persone (anziane) che erano originarie di Trieste, ma vivevano in Austria da decenni e tutte, quando dicevo che ero italiano, sempre rimarcavano il loro essere di origini triestine, come per cercare di dirmi “io e te abbiamo qualcosa in comune” (impressione mia). Sotto questo punto, le distanze tra il movimento Trieste libera e le persone di origine triestina che ho conosciuto in Austria non potrebbero essere maggiori.

      @Tom: anche io ho visitato il museo della città di Vienna (per chiarirci quelle che sta a Karlsplatz) e all’ultimo piano c’è tutta l’esposizione del ‘900. Ora non ricordo esattamente quanto estesa fosse (era il 2009), ma sono sicuro che va oltre il 1850.
      Poi devo dire, due anni fa sempre il Wien Museum fece una esposizione che si chiamava “Österreichische Riviera Wien entdeckt das Meer” (Riviera austriaca: Vienna scopre il mare) e la mostra si concentrava per lo più tra la metà dell’800 e inizio ‘900 (austro-nostalgia?), comunque qua c’è il link se qualcuno fosse interessato http://www.wienmuseum.at/de/aktuelle-ausstellungen/ansicht/oesterreichische-rivierawien-entdeckt-das-meer.html

      Infine, ringrazio Tuco (e Pietro) per il link al testo di Karl Stuhlpfarrer. Interessantissimo, l’ho divorato e cercherò sicuramente altri suoi testi. Io non sono un storico (ho studiato fisica), anche se adoro la storia, per trovare certe fonti (che poi siano attendibili) mi risulta abbastanza difficile.
      In ogni caso, per le impressioni che ho ricevuto in Austria, credo che il tema proposto da Stuhlpfarrer non sia molto diffuso tra la popolazione (il che è un peccato e nel mio piccolo, cercherò di farlo conoscere a più austriaci possibili). Per la mia percezione, di quegli anni si parla della resistenza e al massimo si cerca di fare il punto sull’austro-fascismo (mi ricordo che al MuseumQuartier ci fu un’esposizione fotografica della guerra civile qualche anno fa), ma della collaborazione attiva coi nazisti, io non ne ho mai sentito parlare.

  3. Sul fatto che l’austronostalgia in Austria non esista ho i miei dubbi, sarà una scemenza ma basta solo pensare al concerto di Capodanno, una celebrazione dell’Austria Felix bella e buona, istituito peraltro nel 1939 subito dopo l’Anschluss. Non credo comunque che sia qualcosa di cui si possa trovare traccia su giornali e TV, è un sintomo che va rintracciato nella cultura e che secondo me si ritrova meglio nella provincia piuttosto che all’ombra di Schönbrunn.

    • ok, l’uso del verbo “esistere” da parte mia è stata una scelta sbagliata. Forse è meglio se avessi usato “non è percepibile” (almeno a prima vista).
      In ogni caso, io non parlavo solo di Vienna, la mia ragazza viene dalle campagne dell’alta Austria (la zona di Linz), ho qualche amica che è della Carinzia e ho avuto coinquilini del Tirol e della regione di Salzburg. Ovviamente, questo non rappresenta la totalità degli austriaci, però è l’impressione che ho ricevuto.

      Quello che poss dire è che in Austria si sente molto parlare delle “tradizioni” che vanno seguite e alle volte c’è un certo attrito verso qualsiasi forma di cambiamento. Però non sono sicuro se ciò sia dovuto ad una austro-nostalgia imperiale o ad altro

      • Mah, c’è da dire che l’Austria è un paese che mi sembra stia molto bene, o sbaglio? Quindi può permettersi un’austronostalgia sentimentale e soffusa, poco capillare, circoscritta magari alla popolazione più attempata. Manca insomma il confronto con un presente di recessione economica per far scattare la formula completa e forse qualche contrasto etnico-linguistico di mezzo. Considera che l’austronostalgia è comunque una cosa “da vecchi”, non a caso il duo Carpinteri & Faraguna la rappresentava con il personaggio del “noneto”, un vecchietto rincoglionito che parlava solo di quanto fossero belli i tempi della sua infanzia – attaccava sempre il suo monologo con co ierimo putei… – idealizzando di fatto la miseria e la semplicità che la contraddistingueva. Il fatto che a Trieste l’austronostalgia attecchisca anche sui “giovani” o perlomeno non solo nella case di riposo (si tratta pur sempre di un sentimento sommerso, che emerge in social-networks, forum, canzoni di osteria o da spaccio vini – osmize – a Trieste è proprio correlata alla cultura del bere) non può non essere messo in relazione al fatto che a Trieste da parecchio tempo la popolazione anziana è in netta maggioranza, oltre al fatto di ritrovarsi quotidianamente sotto gli occhi relitti industriali giganteschi (porto, scali merci, ferriera, strutture ferroviarie ipertrofiche dismesse) a fronte di un’importanza commerciale attuale pressoché nulla.

        • l’Austria sta messo meglio dell’Italia, ma non così meglio come sembri. Tanto per dire, prime delle politiche si scoprì che c’era un buco nel bilancio di 28 miliardi di euro (e per l’Austria è un’enormità), poi dopo le elezioni semplicemente non se ne è più parlato. Comunque se dovessi fare un paragone, direi che l’Austria di oggi mi ricorda l’Italia di 10 anni fa, sia nel cercare lavoro, negli stipendi (ovviamente rapportati), sia nella legislazione sul lavoro.
          Comunque non voglio sembrare che nego l’esistenza di un’austro-nostalgia austriaca, semplicemente può essere sfuggita alla mia percezione (nè il mio tedesco è così buono da capire tutto) e può anche darsi che certi segni di austro-nostalgia io li abbia interpretati solamente come memoria storica (sbagliandomi).

  4. @kente da dove sono non riesco a risponderti ma intanto ti segnalo questo http://www.abaudine.org/resistenza.htm

  5. Sono friulano, della zona di confine delle Valli del Natisone. Come molti di quelle zone, ho un cognome sloveno, benchè gli ultimi parlanti attivi della lingua slovena in famiglia siano di almeno tre generazioni fa – il friulano invece, almeno da parte di padre, arriva fino a me. Vivo da anni in Germania, dove mi ha portato un percorso che, col senno di poi, risulta probabilmente lineare. Ho vissuto in Veneto, ho amici altoatesini (di entrambe le lingue), ovviamente a Trieste e nella Bisiaccheria (provincia di Gorizia, per chi legge da fuori) – anche qui, e val la pena sottolinearlo, di entrambe le lingue – e in Slovenia e Croazia. Insomma, conosco abbastanza bene il territorio in esame, per storia personale e per interesse. E devo dire che in particolare quest´ultimo articolo va a toccare un nervo scoperto – un nervetto, eh, di cui molti abitanti di queste zone erano forse consapevoli ad un livello più subconscio che razionale. Ma pur sempre presente, e chi è capace di stimolarlo ottiene una reazione evidente.
    Di seguito le mie impressioni, per quel che possono valere.
    Intanto, non parlerei di “nordest”: ho sempre percepito i veneti come non particolarmente interessati a questioni indipendentiste – l´indipendentismo della Lega Nord è di ordine fiscale, non culturale, etnico o linguistico, benchè l´abbiano mascherato come tale – e tantomeno soggetti ad austronostalgia: la maggior parte ignora beatamente l´Austria-Ungheria, è roba da libri di scuola al massimo e non fa parte del loro retroterra culturale o familiare quanto lo è ad esempio per un triestino. I friulani sicuramente ne sono stati toccati più da vicino – il mio bisnonno, come tanti, era cittadino austriaco, disertore nella Grande Guerra – ma non avendo il castello di Miramare e non essendo stati Porto dell´Impero, un po´ ce ne sbattiamo. La Piccola Patria ha dei confini ben definiti, che precedono quelli dell´Austria. Se volete, piuttosto, possiamo parlare di nostalgia per il Patriarcato di Aquileia. Certo, viene comunque utile tirare fuori l´Austria-Ungheria – o, in termini più moderni, la Mitteleuropa – per distinguersi dagli “italiani”, quindi dai, facciamo che i friulani sono della partita pure loro, ma fino al Tagliamento. Di là mi sa che guardano più alla Serenissima, al giorno d´oggi (c´è ancora qualcuno che parla friulano in provincia di Pordenone, tolta la Pedemontana?). Altoatesini per ovvi motivi, trentini non ne conosco abbastanza quindi non mi permetto di giudicare ma a leggere da alcune testimonianze parrebbe così… insomma, più che di nordest io parlerei di zone ai margini, le croste del Paese della pizza. Che come tali si sono sentite e sono sempre state trattate dal resto d´Italia.
    Che l´indipendentismo sia una questione sentita in Friuli anche in ambienti di sinistra a me è sempre sembrato evidente, cresciuto con Radio Onde Friulane, le bandiere del Friuli insieme a quelle dei Paesi Baschi alle manifestazioni e ricordo che si parlava spesso di bioregionalismo (“Le regioni della natura” di Kirkpatrick Sale, non per niente stampato da Eleuthera, era un libro piuttosto diffuso). Da qui ad estendere una certa simpatia per un organismo sovranazionale che certo aveva premesse completamente diverse ma che aveva un precedente storico nell´accomunare regioni con tradizioni – religiose, culturali, gastronomiche – in buona parte comuni e sovrapposizioni linguistiche non indifferenti, il passo non è poi molto lungo. Certo, un minimo di occhio critico fa percepire le contraddizioni evidenti, ma il nodo primario esiste, è un substrato palpabile. Per me, e credo di poter parlare anche per altri conoscenti, è stato anche un modo di distinguersi da un lato dai fascistelli di paese che la menavano con “gli slavi” (chi ha presente la storia delle Valli del Natisone, delle resistenze decennali al bilinguismo, alle scuole slovene, alla protezione del dialetto locale sa di cosa parlo – lo stesso si può dire del Carso triestino) e dall´altro dal modello culturale egemonico in ambienti di sinistra, intriso di uno spirito meditarreno fricchettone – tutti in Spagna! – e che rifiutava qualsiasi interesse per il mondo tedesco, per il quale il sospetto di criptonazismo, sempre e comunque, era un dato di fatto e per il quale i Balcani cominciavano e finivano con i film di Kusturica. La Slovenia, come il Friuli, è un territorio ignorato completamente dai più. Non sono mai stato un patriota e non ho mai lodato un sovrano, ma quando all´università con un amico goriziano prendevamo in giro i nostri coinquilini veneti dicendo che alle prossime elezioni avremmo votato per l´Austria-Ungheria, beh, a volte mi sono trovato a fare i conti con pulsioni e sentimenti sottopelle che razionalmente non avrei mai pensato di provare.
    Se a questo uniamo il substrato tradizionalmente conservatore di queste zone e le tribolazioni economiche degli ultimi anni dopo il periodo delle vacche grasse e il declino del modello produttivo del nordest, è ovvio che per molti l´unico appiglio resti quello di rifarsi ad un passato (in larga parte mitizzato, certo, e ormai di quarta mano) di percepita grandezza. Come fanno notare molti (e ricordo un amico di mio padre esprimersi proprio in questi termini un paio di anni fa) per Trieste l´annessione all´Italia ha significato la morte culturale – oltre che economica – della città. Il Friuli è abituato a sopportare a testa bassa padroni diversi da secoli, ma alcuni evidentemente sono più graditi di altri.
    Come affrontare queste pulsioni in termini antifascisti, antinazionalisti e, soprattutto, senza pericolose derive “völkisch”, rappresenta una sfida non indifferente. Mi sembra che fino ad adesso siano state ricacciate in gola senza troppe cerimonie, fantasie perverse da non far uscire alla luce del sole… io le ho spesso percepite così, con vergogna e allo stesso tempo incapace di ignorarle. Questa serie di articoli mi sembrano uno dei primi tentativi di fare i conti in maniera matura con quello che è, a questo punto, una tendenza assodata – per quanto non diffusa a livello endemico – invece che una fantasia di qualche relitto della Storia. E´ un´occasione per la quale vi ringrazio.

    • Grazie a te per questa testimonianza. Quando il “nervetto”, una volta toccato e parzialmente scoperto, si “mette al lavoro”, le riflessioni che ne derivano sono utilissime. Concordo sul fatto che la sfida sia quella che dici: «Affrontare queste pulsioni in termini antifascisti, antinazionalisti e, soprattutto, senza pericolose derive “völkisch”».

      In attesa che altre/i si esprimano, spiego perché l’indagine sull’austronostalgia (nel reportage originario, nel libro che ne rappresenta l’espansione e in questa discussione che ne è una prima estensione) abbraccia l’intero “Nordest”, Veneto compreso.

      Negli ultimi anni, l’austronostalgia (rimasta a lungo più sopita che nelle terre ex-“irredente”) è riemersa con prepotenza anche nella “Venezia euganea”, in forme meno nette ma comunque identificabili. L’insistita polemica contro il plebiscito-farsa del 1866 [12345 ] è, come si dice in inglese, un “giveaway”, l’indizio rivelatore. In concreto, nonostante lo sventolare di leoni di San Marco, la “Caduta in disgrazia” non è fatta coincidere con la fine della Repubblica Veneta, ma collocata più avanti, nel 1866, l’anno in cui la Venezia Euganea fu sottratta (con un paio di sotterfugi, cosa innegabile) all’impero asburgico.
      E’ un “mito traumatico delle origini” più remoto di quelli del 1918, ma viene usato sempre di più.

      Dalla fine degli anni Novanta al 2008 l’austronostalgia si è espressa nell’amore di leghisti e indipendentisti per Haider, poi si è realizzato un nuovo transfert, sorprendente per chi non ha seguito tutte le puntate: si è ritrovato un novello Cecco Beppe in Vladimir Putin, visto come “zar” (che è come dire kaiser) di un “impero” sovranazionale, idolo di tutti i nazional-conservatori e i destrorsi d’Europa (nonché di qualche finto sinistrorso).

      • Probabile che sia come dici tu, e innegabili sono state le simpatie leghiste per Haider (che però io ho sempre interpretato più in senso di consonanze politiche, come quelle attuali con Le Pen, che austronostalgico) e attualmente per Putin, davvero un nuovo “faro” nel mare di liquami degli attuali nazionalismi europei. Quello che intendevo dire è che seconde me si tratta di un sentimento meno diffuso e più artificiale rispetto a quello presente nelle zone più periferiche d´Italia, dove invece è percepito più a livello “di pelle”, spesso sottointeso ma sempre presente in una sorta di coscienza collettiva.
        Un piccolo aneddoto: quando eravamo bambini e ci portavano al museo longobardo di Cividale del Friuli, ricordo benissimo la guida che ogni volta, introdotta la storia dei Longobardi a Cividale (vero totem cittadino, un po´ troppo remoto per essere preso seriamente come mito fondante ma tant´è), esclamava “perchè noi” – battendo il tacco e portando la mano alla fronte – “siamo tedeschi!”. Tralasciamo il fatto che avesse evidentemente un problema con la bottiglia e che facesse un po´ di teatro, in tono semiserio… secondo me è indicativo della convinzione sottaciuta di molti che sì, sotto sotto, siamo più di là che di qua. Una volta punzecchiata, fa presto a venire a galla e la nostalgia “imperiale” è forse la forma più immediata che può prendere.

        • Sì, è senz’altro un sentimento meno “spontaneo” di quanto sia in “Venezia Giulia” o in Trentino. Come diceva Lo.Fi., a Trieste uno si aggira tra retaggi, relitti e fantasmi del dominio asburgico, palazzi fastosi, una struttura portuale immensa e oggi in gran parte dismessa… Tutto evoca il passato glorioso e la successiva Caduta. La macchina mitologica dell’austronostalgia funziona da sola, e sempre a pieno regime. In Trentino la “tirolesità” ha i suoi ingranaggi, le sue pulegge, le sue leve… In Veneto il richiamo è meno diretto, c’è più ingegneria sociale esplicita nell’austronostalgia che si è diffusa degli ultimi anni. Ma il fatto che altrove la macchina funzioni in maniera più continua e discreta non deve farci pensare che il mito sia più “genuino” e meno tecnicizzato. Per questo all’inizio di questo commento ho messo “spontaneo” tra virgolette: in tutto il Nordest sono al lavoro forze che fanno ingegneria sociale, propaganda e strumentalizzazione politica delle pulsioni che stiamo descrivendo. In certe zone devono sforzarsi di meno, in altre di più.

          • secondo me il vero mito nostalgico del veneto è la “serenissimostalgia”. In realtà anche in questo caso un mito postumo, dato che sotto la Serenissima il “Dominio di Terraferma” (grossomdo l’attuale Veneto più Friuli, Bergamo e Brescia) non era poi così felice del dominio veneziano…

            • Diciamo che è in corso una reazione chimica strana: si formano lunghe “catene molecolari” di serenissimonostalgia e austronostalgia (e putinismo). Si sventola il Leone di San Marco ma si colloca l’Eden nel Veneto pre-1866 (cioè quand’era sotto l’Austria); si straparla di Serenissima e del doge, ma si rimpiange Franz Joseph. Sui siti venetisti si venera l’Austria in nome della Serenissima (?). Del resto, la parola-chiave dell’immaginario veneto è “schei”, parola tedesca monca e mispronunciata che rimanda direttamente al dominio austriaco. Inutile cercare coerenza, stiamo parlando di suggestioni, giustapposizioni, libere associazioni. Il passato è un fondale privo di profondità, la “retrospezione rosea” isola momenti di grandeur (sempre grandeur altrui e grandeur di pochi a scapito dei molti: la grandeur dell’Imperatore e della sua corte, dell’imperialismo veneziano ecc.) rimuovendo tutto il resto.

              • A proposito della fusione tra austronostalgia e serenissimonostalgia: l’impero austroungarico è descritto come proseguimento della Serenissima, si veda l’interpretazione della battaglia navale di Lissa (1866) come “ultima vittoria della marina della Serenissima”.
                Quest’interpretazione è alla base di un libro dell’indipendentista veneto Ettore Beggiato, uscito con prefazione… di Eva Klotz.
                http://www.ilcerchio.it/lissa-l-ultima-vittoria-della-serenissima-20-luglio-1866.html
                Questo rafforza la mia convinzione che il 1866 (annessione al Regno d’Italia) sia visto come la vera cesura, e che quindi in Veneto la “nota di fondo” sia austronostalgica.

  6. Direi che riguardo al Trentino è utile ricordare che il termine stesso si è diffuso con la sua valenza attuale a partire da metà XIX secolo per rivendicare un’alterità culturale e linguistica con il Tirolo di lingua tedesca; oltre che per chiedere un’ autonomia amministrativa da Innsbruck, allora capoluogo, che non venne mai concessa dall’impero.
    “il Trentino” è dunque nato da una posizione politica che ha “costruito” il legame tra un capoluogo ed il resto del territorio, un territorio in cui l’identità delle singole vallate e dei singoli comuni è tutt’oggi molto forte. La rivendicazione “di italianità” si è dunque intrecciata e sovrapposta alla creazione del ruolo di Trento come capoluogo attraverso riti, simboli (la costruzione della statua di Dante nel 1896) e infrastrutture (le ferrovie locali).
    Tanto per fare un’esempio negli anni ’90 del XIX secolo fu assai virulenta la polemica tra le amministrazioni di Trento e la dieta tirolese (a maggioranza “tedesca”) riguardo la costruzione della ferrovia che doveva raggiungere la val di Fiemme. Le amministrazioni trentine avrebbero voluto una ferrovia che congiungesse “l’italiana” Trento alla valle e accusavano la dieta tirolese di voler invece realizzare una ferrovia dalla Val di Fiemme alla “tedesca” Bolzano perché animata da “odio di razza”. Insomma difesa “dell’italianità”, degli affari della borghesia cittadina e del ruolo di Trento si intrecciavano.
    La valenza “irredentista” del termine “Trentino” comportò il fatto che nel 1917 le autorità militari austroungariche lo misero fuori legge. Tant’è che oggi gli austronostalgici (o meglio tirolonostalgici) duri e puri lo rifiutano a favore di “Welschtirol” http://www.welschtirol.eu/.
    Si parlò però di “trentinismo” come rivendicazione di una specificità locale e come espressione di malcontento contro le politiche dello stato italiano a partire dal 1927, quando il regime fascista per meglio “italianizzare” i sudtirolesi istituì la provincia di Bolzano distinta da quella di Trento. Il grosso degli investimenti statali andò all'”italianizzazione” del capoluogo altoatesino lasciando parecchio delusi i Trentini che si ritrovarono con una terra devastata dalla guerra (la ricostruzione era ben lungi dall’essere terminata e i danni di guerra solo in minima parte rimborsati) e bellamente ignorata dalla nuova “madrepatria”, se non quando si trattava di assegnare alle grandi aziende elettriche le concessioni di sfruttamento idroelettrico dei fiumi trentini.
    Questo il brodo di cultura da cui nacque l’autonomismo trentino, condiviso sostanzialmente da tutti i partiti (fatta eccezione per liberali e neofascisti) nel secondo dopoguerra.

  7. In questo momento sono al lavoro e mi scuso in anticipo se quanto scriverò potrà risultare disordinato e/o pressapochista ma, essendo ahimè nato e vissuto a Trieste, mi sento coinvolto in questa discussione. Innanzitutto qualsiasi persona intelligente sosterrà il fatto che i “triestini” non esistono. Questa città è stata da sempre per sua stessa natura un crocevia di centinaia di popoli e, per un periodo, si distingueva per una notevole “tolleranza” religiosa. Basta guardare quante chiese dedicate alle più diverse confessioni si trovano in questa città e, lo dico da non credente, credo che questa cosa renda comunque onore alla civiltà dei suoi abitanti. Che poi adesso le cose siano cambiate è evidente ma le testimonianze di un’epoca almeno da questo punto di vista diversa, rimangono. Per quanto riguarda la mia famiglia, sono il risultato di uno degli incroci più comuni di queste zone: madre di origine croata con lontane ascendenze greche e ungheresi, padre di origine meridionale figlio di un pugliese che era salito fin quassù durante la grande guerra con l’allora regia marina. Anche se non l’ho mai conosciuto mi hanno raccontato che era socialista e che piuttosto di iscriversi al p.n.f. perse il lavoro e andò a cercare fortuna in brasile, fortuna che non trovò e fece in tempo a rientrare in italia giusto per lo scoppio della seconda guerra mondiale. A parte tutto questo, il motivo per cui mi sono preso la briga di mettermi alla tastiera è dato dal fatto che a casa mia l’unica forma di razzismo, ma non so se è questo il termine adatto, era rivolta agli esuli istriani in quanto beneficiari di non so quante agevolazioni che erano precluse ai non esuli, mi riferisco a case popolari, posti di lavoro, ecc. tant’è che ancora pochi mesi fa qualcuno qui a ts ha proposto di concedere i trasporti pubblici gratis a quelli eventualmente ancora vivi e ai loro eredi. Per carità, non voglio essere frainteso, sono fermamente antifascista e antirazzista ma effettivamente certi privilegi furono concessi a mano larga a quanti scapparono dall’istria, in cambio naturalmente di voti alle elezioni per determinati gruppi politici. Il discorso sarebbe lunghissimo ma come ho detto mi trovo al lavoro e non posso dilungarmi troppo.
    Complimenti per il vostro lavoro, davvero.
    Ciao.

  8. […] che alcuni rivendicano: un groviglio inestricabile di pretese contraddittorie e cangianti, italianità e austronostalgia, ribellismo anarcoide e pulsioni d’ordine, sentimenti inconciliabili che spesso convivono […]

  9. E’ stato ampiamente spiegato come l’intreccio tra austriacantismo e triestinismo che riemerge oggi abbia solide basi storiche. Aggiungo che le tracce di queste basi storiche si ritrovano pesantemente anche nei risultati elettorali – sistema uninominale – dei primi del Novecento, precedenti alla prima guerra mondiale.
    I liberal-nazionali (partito di raccolta della borghesia italofona e anti-clericale) avevano sempre largamente dominato le elezioni comunali e questa tendenza continua anche con il suffragio universale maschile fino alle ultime comunali precedenti la guerra con 61 seggi su 80 per il liberal-nazionali, seguiti dagli sloveno-nazionali e i socialisti buoni ultimi.
    Ma i risultati erano molto differenti alle ultime elezioni politiche con 2 seggi su 4 per i liberla-nazionali, ma gli altri 2 ai socialisti, buoni ultimi alle comunali.
    Questo cosa significa? Che c’era un grosso pezzo della città – soprattutto tra gli strati popolari italofoni – che votava liberalnazionale alle comunali e socialista alle politiche. Ma i socialisti triestini di quella fase storica non erano sulla linea di Cesare Battisti a Trento.
    I socialisti triestini, nati dall’irredentismo democratico e repubblicano italiano della fine dell’Ottocento, nei primi anni del Novecento, con l’entrata di molti sloveni nel partito e la parallela trasformazione in senso nazionalistico dell’irredentismo, a quelle elezioni prima della guerra si presentavano con la faccia dell’austro-marxismo di Valentino Pittoni.
    Allora come mai una parte rilevante della città, prima della guerra votava i liberal-nazionali italiani alle comunali e i socialisti austro-marxisti alle politiche? Perchè nei due tipi di elezione veniva percepito un diverso oggetto del contendere.
    Alle amministrative stravincevano i liberalnazionali perchè il discrimine fondamentale era italofoni-slovenofoni e parallelamente anticlericali-clericali perchè allora nella comunità slovena era fortissimo il peso del clero e infatti il vescovo tradizionalista era sloveno e si contrapponeva al sindaco laico italiano.
    Invece risultati delle politiche erano equilibrati tra liberal-nazionali e socialisti perchè il discrimine era il tipo di rappresentanza di classe al parlamento di Vienna parallelamente a una scelta simbolica tra Italia e Austria.
    Insomma un pezzo rilevante della città italofona era già allora contemporaneamente italianissima e austriacante a seconda della situazione.

  10. Ginseng, il tuo ragionamento non funziona: le elezioni amministrative a Trieste sotto l’Austria non si svolsero mai a suffragio universale, ma furono sempre effettuate con il sistema censitario. Questo spiega la preminenza liberalnazionale nel consiglio comunale. Nelle elezioni politiche invece venne introdotto il suffragio universale nel 1907 e questo spiega perchè ci fosse stato un buon risultato socialista.

    • Era così anche a Trento che che come le maggiori città aveva un proprio statuto, la differenza nel meccanismo di voto tra elezioni comunali, dietali (sistema censitario) e politiche (suffragio universale maschile dal 1907) illustra perfettamente le contraddizioni dell’Impero, il suo essere un mix di modernità e arretratezza.

    • La norma che prevede il diritto di voto per i maschi maggiori di 24 anni è una modifica della “Legge fondamentale” (Costituzione) dell’impero e quindi vale per tutti i tipi di elezione. Nel caso delle comunali i maschi maggiori di 24 anni devono essere anche residenti nel comune da almeno un anno. Nel 1907 il corpo elettorale così definito è composto da 39.813 triestini. Alle comunali del 1913 i liberal-nazionali ottengono 16.144 voti, gli sloveno-nazionali 9.022, i socialisti 7.711 e la lista della Camera di commercio (borghesia austriacante) 271. In totale vengono espressi 33.118 voti validi. E’ evidente anche dai numeri che il sistema non è più quello censitario. Poi il sistema uninominale a doppio turno a carattere maggioritario riconosce ai liberal-nazionali una maggioranza di seggi molto più ampia, 61 su 80. Ma è lo stesso sistema maggioritario uninominale a doppio turno che appena due anni prima, alle politiche del 1911, aveva portato in testa alla pari liberal-nazionali e socialisti con 2 deputati a testa. Il gap tra le due elezioni evidenzia la presenza di una fascia di elettorato che alle politiche vota socialista mentre alle comunali vota in una logica nazionale.

      • Però i dati delle politiche del 1911 sono:

        27.943 voti validi

        liberalnazionali italiani: 13.145
        socialisti: 8.108
        edinost (liberalnazionali sloveni): 6.690

        http://www.forgottenbooks.com/readbook_text/LItalia_dOltre_Confine_Le_Provincie_Italiane_dAustria_1300004786/197

        mi pare che la percentuale dei liberalnazionali italiani sia invariata (leggermente più alta alle comunali, 48% invece che 47%). Invece a naso si nota un travaso dai socialisti verso l’edinost passando dalle politiche alle comunali (socialisti: 23% comunali, 29% alle politiche; edinost: 27% alle comunali, 24% alle politiche). Io questa cosa la leggo così: una parte della classe operaia slovena alle politiche votava socialista e alle comunali votava Edinost, perché evidentemente nella dimensione municipale contava di più la rivendicazione della propria identità nazionale e linguistica, mentre alle politiche contava di più la questione di classe.

        • In termini di percentuali la tua lettura è senz’altro appropriata.
          Però guardando i voti assoluti si nota un forte aumento di voti validi – 5.175 in più – alle amministrative rispetto alle politiche. L’aumento di votanti va a vantaggio sia dei liberal-nazionali italiani (2.999 in più) che degli sloveno-nazionali (2.332 in più) mentre i socialisti diminuiscono di 397 voti.
          Sembra che alle amministrative, accanto a un limitato spostamento di voti dai socialisti agli sloveno-nazionali, ci sia soprattutto una maggiore capacità di mobilitazione degli elettori da parte dei due partiti nazionali a conferma che il voto comunale assumeva un significato più identitario anche perchè i liberal-nazionali italiani tradizionalmente boicottavano le elezioni per il parlamento di Vienna e avevano ripreso a parteciparvi solo dopo l’introduzione del suffragio universale.
          Nel caso di Edinost mi sembra più appropriata la definizione di sloveno-nazionali e non liberal-nazionali sloveni perchè, mentre il partito nazionale italiano era ideologicamente definito in senso liberale e anti-clericale, invece Edinost – come la SSK oggi – era composto sia da cattolici che da liberali, sia da clericali che da anticlericali.
          Comunque questi numeri mi sembrano interessanti per stabilire i reali rapporti di forza tra le tre principali posizioni politiche presenti nella Trieste prima della guerra, sulla quale si sono contrapposte narrazioni tanto opposte tra loro quanto entrambe propagandistiche nel descrivere rispettivamente una città compattamente filo-italiana o compattamente austriacante, mentre è evidente dai voti espressi che era una città in bilico e attraversata da un doppio conflitto, nazionale e di classe.

    • Purini, rileggendo il tuo commento credo di aver capito quel che intendi per sistema censitario e immagino sia il mantenimento del sistema dei “corpi” a livello comunale pur in presenza del diritto di voto per tutti i maschi sopra i 24 anni. E’ vero che questo fatto influisce sulla ripartizione dei seggi comunali a favore dei liberal-nazionali e a sfavore dei socialisti, ma è anche vero che a livello di voti si manifesta comunque un gap per i socialisti tra le politiche del 1911 – 27,8% e secondo posto dopo i liberal-nazionali – e le amministrative del 1913 con il 23,3% e terzo posto dopo gli sloveno-nazionali. Che poi il gap sia dovuto a un modo diverso di votare tra politiche e amministrative di un pezzo di popolazione è chiaramente un’ipotesi e non una certezza.

  11. Finalmente ho trovato il tempo e spero anche le parole giuste per lasciare un commento. Sono la compagna di Kente, sono austriaca (dell’Alta Austria, ma ho vissuto 6 anni a Vienna) ed ho studiato scienze politiche a Vienna ed a Roma.

    Dunque per quanto riguarda un’austronostalgia o meglio una nostalgia dell’Impero, devo dire che non me ne sono mai accorta. L’Impero fa parte del passato, parte della storia, ma oggi l’Austria e gli austriaci si considerano europei, democratici, una Repubblica neutrale e al massimo sono grati di avere ricevuto di nuovo l’indipendenza nel 1955. La famiglia Habsburg è tuttora parte dell’identità austriaca, ma come una qualsiasi delle famiglie di interesse pubblico (ad esempio come la famiglia di Niki Lauda); però riaverli al potere, no, non vedo questo desiderio tra gli austriaci. Per me Sisi e Schönbrunn fanno parte di un passato molto lontano.

    Venire a conoscenza dell’austronostalgia a Trieste o in altre parti d’Europa, mi fa strano perché, siccome non mi sembra che esista in Austria, tantomeno pensavo potesse esistere all’estero.
    Comunque approfondendo il discorso su Trieste e sul Südtirol, da un punto di vista austriaco, devo dire che Trieste mi sembra già molto lontana e io non la considero una città austriaca (cosa che mi succede per esempio con il centro di Bratislava). Sarà anche perché da noi ogni bambino impara che l’Austria è un Binnenland (cioé un paese senza sbocco sul mare) e questa posizione geografica, con l’aggiunta della presenza delle Alpi, forma la visione del paese tra i cittadini: gli austriaci considerano l’Austria un paese piccolo e alpino, di poca importanza, ma con un grande passato però lontano.
    Non so neanche quanti austriaci oggi sappiano ancora dell’importanza di Trieste per l’impero.
    Cosa che non vale per il Südtirol, la cui perdita viene ancora percepita come una ferita… In più, molti Südtiroler vengono a studiare in Austria (soprattutto a Innsbruck e a Vienna), perché burocraticamente vengono considerati come “austriaci” ed esistono anche studentati che hanno camere riservate solo per südtirolesi. Inoltre ho sentito dire più di una volta dire da persone adulte (all’incirca tra i 30 e i 50 anni): “Scambiamo Vienna (che è poco amata nel resto dell’Austria) per il Südtirol”. Dunque, un austriaco non considera un Südtiroler italiano, ma quasi austriaco, e i Südtiroler che ho conosciuto non si consideravano italiani, ma neanche austriaci, bensí europei.
    Non prendo nemmeno in considerazione l’austronostalgia in Veneto (o in Lombardia) che in Austria sono considerati totalmente italiani: credo che ogni austriaco troverebbe estremamente sorprendente che un veneto volesse far parte dell’Austria.

    Sull’auto-percezione degli stiriani come balcanici volevo aggiungere che io ho fatto altre esperienze: in Austria si auto-considerano balcanici, persone che hanno famiglie di recente immigrazione (i genitori o i nonni che sono immigrati in Austria). Mentre austriaci di origini balcaniche piú lontane, si considerano solo austriaci.

    • Per quanto riguarda la famiglia Habsburg, a Trieste esiste un vero e proprio culto, in particolare per la figura di Otto (n.b. in “100 anni a nordest” WM1 riporta la notizia di una messa in suo ricordo a cui partecipò la crema della destra fascioleghista lombarda). Ad esempio sul portale Bora si pubblicano articoli come questo:

      http://bora.la/2011/07/14/otto-von-habsburg-il-suo-messaggio/

      un vero e proprio condensato di austronostalgia reazionaria kitsch, in cui si evita accuratamente di parlare ad esempio della collaborazione di Otto col regime di Francisco Franco. Nel ’57 Franco affidò a Otto la presidenza del CEDI, istituzione che aveva lo scopo di tessere una rete di contatti tra il governo di Franco e i partiti di destra nei paesi dell’ europa occidentale. Nel ’61 Franco offrì a Otto la corona di Spagna, ma Otto rifiutò per “lealtà nei confronti del legittimo erede”.

    • E’ paradossale che, mentre austronostalgici e/o indipendentisti di vari gruppi triestini vadano a vienna a fare manifestazioni e sgomitino adoranti davanti al nome degli Asburgo, gli Asburgo in carne e ossa li snobbino e si facciano rappresentare da…il presidente dell’Unione degli Istriani, Massimiliano Lacota, vedi numerose notizie stampa come per esempio:
      http://ilpiccolo.gelocal.it/trieste/cronaca/2013/04/20/news/carlo-d-asburgo-vienna-e-di-nuovo-vicina-al-golfo-1.6920483

    • Circa il peso assunto storicamente dall’austronostalgia a Trieste quando si è trasformato da fattore culturale in fattore politico, può essere utile dare qualche numero.
      Il Movimento Trieste di Paolo Parovel, che aveva nell’austronostalgia la sua ragion d’essere, raccoglie nel 1978 un 1,5% – 1 seggio in consiglio comunale – e poi non si ripresenta più.
      Molto superiori sono i risultati dei movimenti indipendentisti italofoni che, ai tempi del GMA – Governo Militare Alleato che controlla Trieste tra il 1945 e il 1954 – fanno dell’austronostalgia, insieme al filo-angliamericanismo verso il GMA, un ingrediente della loro posizione occidentalista, ma contemporaneamente contraria al ritorno di Trieste all’Italia.
      Nelle comunali del 1949 i due partiti indipendentisti ottengono in totale il 9,7% a fronte del 65% totale dei partiti filo-Italia e del 21,1% del Partito Comunista, favorevole al Territorio Libero di Trieste, ma da una posizione politica opposta, filo-sovietica, anti-angloamericana e anti-GMA.
      Nelle successive comunali del 1952 i due partiti indipendentisti salgono al 15%, sostanzialmente a spese del Partito Comunista che scende al 17,3% mentre il totale dei partiti pro-Italia resta sostanzialmente simile passando dal 65% al 64% , ma con un forte spostamento di voti dalla Dc al Msi che sale al 11,5% dal precedente 6,0%.
      In conclusione, storicamente, l’uso politico dell’austronostalgia a Trieste ha pagato elettoralmente non da solo, ma quando è stato un ingrediente dell’indipendentismo, accanto a un altro ingrediente con rilevanza politica attuale. Dopo la seconda guerra mondiale questo ingrediente è stato il filo-angloamericanismo, mentre oggi questo ingrediente è il filo-putinismo.

  12. Visto che nell’articolo si parlava di Austronostalgia nelle province del fu impero asburgico, riporto il caso di Sarajevo, nella quale vivo, che mi pare parecchio interessante.

    L’Austronostalgia qui si sente ma è, tutto sommato, radicata soltanto in due dei tre gruppi nazionali costitutivi: i Croati di Bosnia Erzegovina e i Bosgnacchi (per brevità, i musulmani). Per ovvi motivi, i Serbi di Bosnia Erzegovina hanno invece sempre considerato gli Austriaci con maggiore ostilità.

    Il motivo è che, fondamentalmente, storicamente il nazionalismo jugoslavo (inteso come aspirazione a costruire una Jugoslavia indipendente) ha sempre avuto delle contiguità abbastanza evidenti con l’ambizione a costruire una grande Serbia. Da questo punto di vista Croati di BiH e Bosgnacchi ricordano con nostalgia gli anni di dominazione austriaca, perché da una parte hanno portato una ventata di modernità, soprattutto nella capitale (il tram, un museo nazionale, gli argini della Miljacka – che prima di allora esondava frequentemente, l’illuminazione pubblica, eccetera). D’altra parte, l’Austronostalgia “in salsa bosniaca” serve anche (in modo strumentale) a ricusare l’idea di una grande Serbia e del nazionalismo che è venuto dopo, responsabile anche dell’assedio durante gli anni novanta.

    Prima e immediata vittima di questa opposizione ideologica è, naturalmente, Gavrilo Princip. Eroe di liberazione jugoslava (anche durante il comunismo di Tito) e martire per i Serbi, terrorista per gli altri.

    A titolo di aneddoto: Gavrilo Princip è sepolto a Sarajevo (che oggi è una città a prevalenza bosgnacca, i Serbi per la maggior parte si sono trasferiti nei quartieri di Istocno Sarajevo). E’ uno dei personaggi più celebri del Novecento, eppure in quattro anni io ho scoperto solo recentemente che è sepolto qui (tra l’altro, a duecento metri da casa mia). La tomba non è segnalata in nessuna guida turistica ed è “espulsa” dalla memoria collettiva. Non ce n’è traccia. Questo perché per i Bosgnacchi e i Croati Gavrilo era soltanto uno dei primi volti di quel nazionalismo serbo che poi avrebbe portato alla guerra di vent’anni fa.

    Ho scritto, a suo tempo, un articolo un po’ più completo se può interessare

    http://www.reset.it/reset-doc/sarajevo-1914-di-colpo-crollo-tutto-gavrilo-princip-una-memoria-che-divide

    • Mi stavo domandando se e come l’austronostalgia sia presente anche a Mostar, perché in tal caso lì dove croati e bosniaci musulmani si sono combattuti di brutto avremmo due austronostalgie contrapposte. A naso direi che una qualche forma di austronostalgia potrebbe essere presente tra i musulmani (nella moschea principale c’è il famoso tappeto donato da Franz Josef), ma a Mostar ci ho passato solo un paio di giorni e mi guardo bene dall’azzardare qualunque ipotesi.

  13. Ciao!
    leggo da molto Giap (così come quanto proviene da WuMing) con grande interesse. Ciononostante non ho mai ritenuto di dover intervenire.
    Questa volta è un po’ diverso. Il dibattito sviluppatosi intorno all’austronostalgia mi tocca da vicino.
    Da quattro anni vivo a Bozen-Bolzano “stabilmente” (ho la residenza qui da poco più di tre) e mi confronto continuamente con lati positivi e non di questa “provincia”, oltre che con il tedesco che sto imparando a fatica.
    Stando qui non ho potuto non accrescere le mie conoscenze sulla nefasta politica di italianizzazione durante il fascismo e sullo scontro etnico/linguistico/culturale e la sua gestione successiva al fascismo. Ho fatto, dunque, anche le mie inevitabili comparazioni con la gestione asburgica dello stesso.
    Ecco, proprio a partire da questo confronto – svolto in maniera assolutamente amatoriale e intermittente, più su wikipedia, per capirci, che su libri di storia – ho sviluppato una sorta di mia personale “austronostalgia” o, meglio, un apprezzamento degli imperi, più che degli stati nazione – andando contro quella che era sta a la mia educazione scolastica, e in parte anche politica, italiana.
    Devo dire che una prima spia di una possibile riconsiderazione delle politiche imperiali (per lo meno per quello che riguarda le politiche linguistiche-culturali) mi era stata offerta da alcune cose che Gad Lerner aveva detto in TV a proposito del suo libro Scintille e che risuonavano con alcune cose che avevo letto in Altai riguardo l’impero ottomano …
    Questa prima parte del mio post, dunque, per segnalarvi come possa emergere, anche a sinistra, un germe di “austronostalgia” – che dipende anche dal fatto che qui ho la possibilità di vivere molto meglio che nel resto d’Italia e che forse questo dipende, a sua volta, anche da un certo retaggio asburgico.
    La seconda ragione per cui ho deciso di intervenire è per rammentarvi – visto che immagino lo sappiate tutti bene, nonostante nessuno mi pare lo abbia lo abbia menzionato – del progetto degli Stati Uniti della Grande Austria (https://it.wikipedia.org/wiki/Stati_Uniti_della_Grande_Austria) (nonché dei vari progetti federalisti legati all’austro-marxismo a cui anche Cesare Battisti era inizialmente legato). Scoprendo questa possibilità, inevitabilmente morta a Sarajevo insieme a Francesco Ferdinando che la sosteneva, la mia sorta di “austronostalgia” è diventata una nostalgia per quello che sarebbe potuto accadere, non solo e non tanto in Austria e nei territori dove ora vivo, ma in Europa, se si fosse realizzato quel progetto. Forse una riflessione sull’Europa di oggi e del futuro potrebbe essere svolto anche a partire da questa ucronia.
    La terza ragione per cui ho deciso di intervenire è per dare più rilevanza ad una questione invece menzionata in alcuni post, in particolare da Tom e Tuco. Si tratta della questione dell’Euroregione – o Euregio, come la chiama Tom e come viene più frequentemente chiamata qui a Bozen-Bolzano. Tale questione è strettamente collegata al secondo punto, cioè a come possa essere possibile pensare l’Europa oggi, al di là degli stati nazione – cosa che ritengo necessaria se si vuole uscire dalla “recente” impasse europea.
    Tom giustamente affermava che qui, in quello che era il Tirolo (Nord, Sud e Welsch-Tirol), l’euroregio è una realtà come coordinamento tra enti locali che non “partorisce chissa ché”, ma comunque lo fa in una direzione “positiva” verso il “superamento dei confini nazionali”.
    La sua è però una visione molto “trentina” della cosa, perché qui a Bozen-Bolzano l’euregio è qualcosa di molto di più: è il futuro, non solo come coordinamento amministrativo, ma come ricostituzione del Tirolo austriaco. E questo è sentito tantissimo dentro l’università – in cui lavoro. Qualunque discorso ha come orizzonte l’euregio, qualunque progetto di ricerca deve tener conto dell’euregio, non solo quelli che hanno un finanziamento dell’euregio.
    Quindi qui, più che austronostalgia, c’è una vera e propria tirolnostalgia, che è sempre stata presente, ma che oggi trova un modo per non essere solo una nostalgia, ma un vero e proprio progetto economico, innanzitutto, e politico.
    Con ciò non voglio dire che il giudizio ottimista di Tom sia mal riposto, ma solo sottolineare l’ambiguità della situazione, che certamente porta verso un “superamento dei confini nazionali”, ma che potrebbe ricrearne di nuovi.
    Io penso che situazioni come l’euregio possano essere il futuro dell’europa: progetti di coordinamento economico territoriale nati dal “basso” che non guardano a confini territoriali esistenti, ma ad una progettualità locale in una tensione collaborativa con il resto dell’Europa e del mondo.
    Però non è detto che debba essere questo il loro divenire: potrebbero facilmente trasformarsi in piccole enclave ricche che si contrappongono ad aree non altrettanto ricche.
    Qui, come si diceva anche in qualche post, in fondo, più che all’Austria, oltre al Tirolo, si pensa alla Baviera, e ho come l’impressione che si schifino abbastanza delle altre regioni dell’Austria, chiaramente più povere di quelle dell’asse Tre-Bo-Inn-Mu. Se anche in qualche stube si potrà sicuramente ancora trovare qualche foto di Francesco Giuseppe, mi sembra molto più significativa l’apertura del Fraunhofer Italia a Bozen-Bolzano (http://www.fraunhofer.it/it/fraunhofer-italia.html), sezione “italiana” dell’istituto di ricerca applicata tedesco, dedicato ad uno scienziato bavarese (https://de.wikipedia.org/wiki/Joseph_von_Fraunhofer) che, per quanto sia una istituzione della Bundesrepublik, ha sede centrale a Monaco.

  14. Grazie mille per l’intervento davvero molto interessante, sollevi alcune questioni importanti.
    Sull’austronostalgia “di sinistra”, bhe per me (sono mezzo emiliano e mezzo trentino) è una cosa normale, anzi è la storia della mia famiglia. Mio bisnonno (contadino di Aldeno, subito a sud di Trento) fece il servizio militare come Kaiserjager e venne destinato ai servizi di guardia alla reggia imperiale a Vienna. Secondo la leggenda familiare un giorno l’imperatore gli avrebbe rivolto la parola, forse vennero addirittura fuori le vaghe simpatie socialiste di mio bisnonno. Pare che Francesc Giuseppe avesse detto una cosa come “A voi trentini per quante me ne facciate io vi perdono, perché finirete sotto gli italiani e vi faranno giocare a guelfi e ghibellini”.
    Per me è sempre stato inevitabile fare un confronto tra i racconti del lato trentino della famiglia (la piccola proprietà contadina, l’imperatore che ti rivolge la parola, la scuola per tutti) e i racconti del lato emiliano, per la precisione ferrarese, (la mezzadria o il bracciantato, la malaria, l’analfabetismo, il padrone che è un signore assoluto e lo stato che gli fa da braccio armato).
    Ciò detto occorre ragionare anche sui limiti dell’Ucronia “di quello che sarebbe potuto accadere”. In particolare consiglio un confronto tra la produzione della socialdemocrazia austriaca in tema di questioni nazionali e quella dei bolscevichi. Senza dubbio quella dell’austromarxismo è la produzione teorica più ricca riguardo i conflitti nazionali e la più accurata per quanto riguarda la loro analisi. In questi giorni sto rileggendo la “La questione nazionale” di Bauer e molte delle cose che dice mi paiono ancor oggi attuali. Quanto alle proposte politiche avanzate però mi sento di condividere a queste alcune delle critiche mosse da Stalin ne “Il marxismo e la questione nazionale”. Dare non solo l’autonomia territoriale alle diverse nazionalità di uno stato multinazionale, ma applicare il “principio personale”, cioè far si che ciascuno si possa dichiarare membro di una delle nazionalità dello stato e chiedere di poter usufruire di scuole, tribunali ed altri servizi appositi per la propria nazionalità, rischia di creare una separazione etnica permanente. Insomma una specie di applicazione su scala infinitamente più grande della situazione di pace nella separazione etnica che denunciava Langer nell’Alto Adige/Sudtirol degli anni ’80 e ’90.
    Ovviamente non voglio difendere il centralismo stalinista che tolse ogni vero autogoverno alle varie repubbliche sovietiche, ma faccio notare che lo schema teorico bolscevico che prevedeva un partito centralizzato, non diviso per gruppi nazionali, si mostrò molto più efficace della socialdemocrazia austriaca. Occorre infatti ricordare che i socialdemocratici austriaci non riuscirono a sopire i conflitti nazionali che dilaniavano l’impero e bloccavano il parlamento di Vienna (in primis quello tra austro-tedeschi e cechi), neppure all’interno del proprio partito, in questo i socialisti trentini e Battisti, a differenza dei triestini, sono un esempio. Insomma per me la socialdemocrazia austroungarica ha un’ottima elaborazione teorica ma di fatto mostra gli stessi difetti dello stato di cose cui si pone come alternativa e questo la condanna ad essere spazzata via con esso dalla guerra. Mi verrebbe da dire che la sua elaborazione era troppo tesa a dare “libertà” all’interno dello stato alle singole nazioni, mentre lo schema bolscevico più concretamente si poneva il problema di come tenerle a bada pur concedendo loro alcuni diritti-base.
    Sull’Euregio completamente d’accordo, l’ambiguità è fortissima (se noti io ho usato il termine “tirolonostalgia” con significato prettamente negativo), da un lato c’è chi ha una visione progressista che la vede come modello per una nuova Europa non più basata sugli stati-nazione; dall’altra c’è chi sogna di fare una sorta di stato tirolese, ricco, cattolicissimo e chiuso al resto del mondo. Una sorta di marca autonoma nel quarto Reich della Bundesbank, così come il Tirolo e l’Alpenvorland furono la marca del Reich nazista gestita in semi-autonomia dal Gauleiter Hofer tra 1943-1945.
    Fidati che anche in Trentino c’è un certo vento di “Tirolonostalgia” reazionaria molto pericoloso. Due sere fa un amico mi diceva: “La desta tirolonostalgica (anche quella formalmente parte di partiti del centro-sinistra) vorrebbe l’Euregio trasformata in uno stato tirolese con il tedesco come lingua colta, il ladino ed il dialetto trentino come dialetti locali, il lefebrianesimo come religione ufficiale ed il cattolicesimo solo tollerato”.
    Del resto direi occorre essere molto chiari su un punto, l’euregio tirolese è una terra abitata da tre popoli (italiani, tedeschi e ladini) con altre minoranze linguistiche (cimbri e mocheni), non esiste nessun “popolo tirolese”. I trentini sono culturalmente parte del mondo italiano, così come i sudtirolesi sono culturalmente parte del mondo tedesco. Poi certo vi sono (e per fortuna!) peculiarità locali, scambi, meticciati e contaminazioni. Ma bisogna essere molto fermi nel respingere sia ogni sorta di snazionalizzazione (anche di auto-snazionalizzazione, come quella di quei trentini che dicono “noi sem todeschi!”) ed ogni sorta di localismo estremo. Altrimenti si rischia di trasformare le differenze e la ricchezza di una terra di frontiera nell’identità monolitica fasulla di un nuovo stato nazione, solo su scala più ridotta.

    • Vado un pò OT, ma leggendo il tuo commento Tom, mi è venuto in mente un articolo che ho letto su Weekly Worker, il giornale del CPGB (Communist Party of Great Britain), si intitola Nation-State and nationalism, qui il link http://weeklyworker.co.uk/worker/1067/nation-state-and-nationalism/.
      L’articolo è il secondo di una serie di 3 articoli sulla questione dell’auto-determinazione nazionale (non so se la traduzione in italiano sia giusta, in inglese national self-determination).
      Va tenuto in conto che l’autore, Mike Macnaircalls, scrive riferendosi, direttamente o indirettamente, a ciò che sta avvenendo da qualche tempo in Scozia e, in modo minore, in Galles.
      Nella prima parte dell’articolo linkato, si parte proprio dalla definizione data da Stalin ne “Il marxismo e la questione nazionale” (nota: il CPGB è di orientazione trotzkista) e si cerca di definire cosa sia una nazione.
      La parte centrale dell’articolo viene riassunta la storia del nazionalismo (che l’autore, Mike Macnaircalls, fa partire dalla società feudale medioevale).
      Nell’ultima parte viene fatta un’analisi critica sul diritto dell’auto-determinazione delle nazioni. Mi è difficile riassumere le conclusioni a cui arriva (nel testo a partire dal paragrafo The ‘right’ to ‘national self-determination’), cito direttamente due frasi, che secondo me centrano il punto:

      “As a response to the capitalist hierarchy of nation-states and national inequalities, the nationalism of subordinated national groups is, as István Mészáros argued in Beyond capital, a “line of least resistance”.”

      “Because nationalism is a line of least resistance, it is natural that, where states are beginning to lose their legitimacy, there will be a rise of forms of minority nationalism seeking to escape from subordinate status within the state by taking this line.”

      Se qualcuno fosse interessato, qua il link del primo articolo Democracy and rights http://weeklyworker.co.uk/worker/1066/democracy-and-rights/ e qua il link del terzo Self-determination and communist policy http://weeklyworker.co.uk/worker/1068/self-determination-and-communist-policy/

  15. Due miti dell’austronostalgia di cui viene fatto molto uso politico reazionario per tentare di “sfondare a sinistra” sono quelli della parità dei popoli dell’impero e dell’attenzione della corte di Vienna verso le classi basse e soprattutto verso i contadini. Questi due miti non hanno alcun fondamento nella realtà storica perchè nell’impero esisteva una rigida gerarchia sia tra le nazionalità che tra le classi e i ceti sociali.
    Tra le nazionalità in cima alla piramide si trovavano i sudditi di lingua tedesca, la cui aristocrazia e alta borghesia controllavano la corte di Vienna e le funzioni statali ed economiche più importante. Seguivano gli ungheresi che, versando molto sangue, nel 1848 avevano ottenuto la gestione autonoma della loro politica interna e il controllo di una parte delle altre nazionalità. Pìù sotto le nazionalità prevalentemente urbane e che controllavano città importanti, come Praga per i Cechi e Trieste per gli Italiani perchè ai comuni urbani veniva riconosciuta una rappresentanza molto più forte nel parlamento rispetto ai comuni rurali. In fondo tutti gli altri, soprattutto le nazionalità slave. Anche con il suffragio universale maschile, stabilito nel 1907, i collegi uninominali vennero comunque disegnati in modo da sovrarappresentare i tedeschi e sottorappresentare fortemente le nazionalità slave.
    Alla gerarchia delle nazionalità si aggiungeva una rigida gerarchia sociale che appariva chiaramente dal sistema di voto castale per il parlamento. La gerarchia non era determinata solo dal diritto di voto in base al censo, tipico dei sistemi rappresentativi borghesi ottocenteschi, ma anche da un sistema di origine medievale di suddivisione del diritto di voto per caste che sovrarappresentava il voto di certe caste e sottorapresentava il voto di altre caste. Ogni casta votava in una propria curia. Nel 1896, quando venne introdotta anche una quinta casta, quella dei sudditi comuni – tutti i maschi sopra i 24 anni – la situazione era comunque la seguente:
    – i proprietari terrieri eleggevano 85 deputati (1 ogni 60 elettori)
    – le Camere di Commercio eleggevano 21 deputati (1 ogni 28 elettori)
    – i comuni urbani eleggevano 118 deputati (1 ogni 3.250 elettori)
    – i comuni rurali eleggevano 129 deputati (1 ogni 10.686 elettori)
    – i sudditi comuni (in cui rientravano anche i precedenti elettori, ma erano per circa il 70% composti da elettori che non rientravano nelle precedenti curie, quasi tutti contadini) eleggevano 72 deputati, pari a 1 ogni 76.600 elettori.
    Ma lo stesso meccanismo scattava anche nei comuni, dove le caste erano riunite in cinque “corpi”. A Trieste ognuno dei 5 corpi che eleggeva 16 consiglieri. Ma nel primo corpo gli elettori eleggevano 1 consigliere ogni 31 elettori mentre nell’ultimo corpo 1 consigliere ogni 1250 elettori e in più gli elettori degli altri corpi votavano due volte, sia nel proprio che nell’ultimo. I dati sonto tratti dal libro di Fulvio Anzelotti, Il segreto di Svevo.
    Quindi è un mito che l’impero asburgico fosse più “moderno” degli stati nazionali edificati dalle borghesie. Le nazionalità erano gerarchizzate con una scala di oppressione, dal tedesco allo slavo, e messe le une contro le altre in base al principio del divide et impera. Le classi e i ceti non venivano solo discriminati in base al censo e all’istruzione come negli stati nazionali borghesi, ma il voto aveva anche un peso ponderato molto differente in base alla casta di appartenenza. Tutt’altro che più moderno, l’impero asburgico era al contrario un residuo storico pre-moderno.

  16. Mi permetto di segnalare questo interessante radiodoc sull’Austronostalgia a Verona: http://www.jonathanzenti.it/2013/06/gott-uber-alles/

    • Austronostalgia, fascismi vari e tradizionalismo cattolico. Come dice la parte finale della sinossi: “Gott über Alles è il ritratto del rapporto tra tradizionalisti cattolici, nostalgia imperiale ed estrema destra a Verona, la città più a destra d’Italia”

      • Veramente agghiacciante, consiglio l’ascolto a tutt*.

      • Veramente interessantissimo e inquietante, anche poco più a nord, dalle mie parti, ci sono organizzazioni “tradizionaliste” di questo tipo. Ad esempio http://www.associazionelatorre.com/. Credo sia molto importante fare luce su questa particolare forma reazionaria perché la considero particolarmente capace di mimetizzarsi e di rendersi “accettabile”. A verona paiono organici alla lega e affini, qui in Trentino non disdegnano i contatti con realtà associative vicine all’autonomismo formalmente “di centrosinistra”.

  17. A parte che avrei preferito non sentire la mia voce in apertura del documentario :-) , io non sono molto meravigliato e agghiacciato. Checché ne dicano i cattolici, la chiesa è sempre stata in prevalenza a supporto delle dittature e del “tradizionalismo”, chiamiamolo così (Nessuno dimentichi Wojtyla insieme a Pinochet, supremo torturatore), Il Concilio Vaticano II è stato un incidente di percorso.

    Una superstizione monoteista porta per forza di cose ad una mentalità monarchica e autoritaria. Non c’è possibilità di supremazia del dogma, se è prevista la contrapposizione di un pensiero con un altro, in un sano dibattito delle idee.

    • Razionalmente, non sono sorpreso. Quelle commistioni le ho incontrate e ne ho scritto nel libro. Emotivamente, però, *ascoltare* certe cose, magari di notte, sucarsi la registrazione di una messa lefebvriana, e sapere che in chiesa c’era gente in divisa austroungarica, e c’era il noto generale pluri-indagato ai tempi della Strategia della tensione, e sentire quella monodia, poi sentire l’io narrante che dice “mi hanno fotografato”, e a seguire testimonianze di intimidazioni ecc., beh, per me è raggelante.
      Compagno, sai bene che la tua voce – almeno come l’hai usata in quel frangente – non ti appartiene più da tempo :-D L’hanno usata cani e porci, noialtri compresi.

      • Mai detto che mi appartiene. Nulla di quello che produci intellettualmente ti appartiene, come cerco di spiegare sempre a chi crede nel diritto d’autore.

        Era solo un disappunto estetico: un pezzo di vita ci sta come una sigla radiofonica? (ho proprio detto estetico)
        L’emozione usata come show, mentre lo show, la rappresentazione, dovrebbe suscitare emozione. Ecco, mi sembra un po’ roba da Maria De Filippi (non ho la Tv, ma una volta l’ho vista).

        • Dipende dal progetto, secondo me. Un audiodocumentario con un certo taglio, un reportage “immersivo”, un’autoproduzione, in Italua hanno come antesignani il flusso creativo di Radio Alice e in particolare quel grande momento di reportage dal vivo degli eventi, culminato in quel “sono entrati”. Se lo dichiarano fin da subito, beh, lo trovo appropriato e convincente. A me ha fatto piacere udire la voce di Minnella prima di discendere nell’orrore lefebvriano :-)

  18. A Trieste si svolge ogni anno una messa solenne in onore del beato Carlo I d’Asburgo, ultimo imperatore d’Austria e apostolico re d’Ungheria. Gli Asburgo erano anche imperatori del Sacro Romano Impero prima che Napoleone Bonaparte li costringesse a rinunciare al titolo e questo probabilmente spiega la presenza alla cerimonia anche di ordini cavallereschi.
    La messa solenne è organizzata da http://www.beatocarloatrieste.it – che si presenta con una patina di “pace tra i popoli”, ma basta dare un’occhiata al sito per capirne l’orientamento cattolico-tradizionalista – in collaborazione con l’Associazione k.u.k I.R. Nr.97 con le divise dell’l’imperial-regio reggimento di fanteria del Kuestenland, il litorale adriatico asburgico – unendo così l’elemento religioso e quello militare, i due fondamenti del tradizionalismo imperiale.
    Della messa solenne del 2010 si trova una galleria fotografica sul sito del quotidiano locale Il Piccolo:
    http://ilpiccolo.gelocal.it/trieste/foto-e-video/2010/04/19/fotogalleria/messa-in-costume-per-carlo-i-d-austria-1.1152#1
    Nella foto #3 è ben visibile sulla destra Paolo Parovel, definito dal Piccolo “ideologo” del movimento indipendentista “Trieste Libera”.

  19. Ho letto con molto interesse gli interventi iniziali ed il dialogo successivo che è scaturito, spero di non arrivare troppo in ritardo con le mie riflessioni.
    La prima cosa che mi ha colpito è il discorso sulla nostalgia in senso ampio: sembra quasi che l’essere nostalgici di un passato idealizzato sia una caratteristica umana comune, va però distinta una nostalgia per me più comprensibile e “banale” del tipo “quando eravamo giovani e belli” dal tipo di nostalgia che invece riguarda epoche passate e non vissute direttamente, quasi una forma di nostalgia tramandata, filtrata e condensata attraverso le generazioni. Ho incontrato persone nostalgiche delle situazioni più varie: del ventennio fascista, degli anni 60, degli anni 80, del rinascimento toscano, dell’impero austroungarico e della belle epoque, del mondo contadino, dei celti, dell’impero romano fino ad arrivare al buon selvaggio. Ovviamente la nostalgia aumenta quando non si sta bene nel presente ed in periodi di crisi, non solo economica. Trovo molto interessante riflettere sul perchè si sviluppano e tornano queste nostalgie e cosa spinge a sceglierne una piuttosto che un’altra, ho l’impressione infatti che esse non ci dicano nulla rispetto a ciò che fu (è evidente infatti che si tratta di idealizzazioni che hanno veramente poco a che fare con la realtà) ma ci dicono invece molto su ciò che manca oggi e su ciò che le persone che dedicano molte energie a tenere in vita e diffondere queste nostalgie vorrebbero.
    E che cosa vorrebbe ad esempio un austronostalgico? Quali sono le caratteristiche del mito austroungarico che attirano di più oggi in certi territori borderline? Forse la semplificazione (nel senso di opposizione alla complessità), l’ordine, la pulizia (vedi il discorso “Venezia è un letamaio”) ma soprattutto, attraverso un processo di autoattribuzione di queste caratteristiche (e quindi di esclusione degli “altri”) il bisogno di una appartenenza e di una identità culturale chiara e condivisa. (Qui si aprirebbe un discorso psicologico enorme su come e se l’identità culturale condivisa vada a sopperire ad una identità personale percepita come fragile e confusa ma vabbè..)
    E qui arrivo al secondo punto: vivo a Bolzano ormai da 15 anni (e provengo da terre di confine in cui a volte la nostalgia per un’ipotetica grandezza sabauda a volte si sente ancora, “centocinquant’anni a nordovest?”) e ciò che più ho avvertito, nella mia personale esperienza, più che una nostalgia per l’impero, è una paura di perdere la propria identità, sia da parte italiana che tedesca. Da parte italiana mi è sempre sembrata una identità culturale di superficie, attaccata con lo sputo, più fondata sulla contrapposizione e su tautologie. Sento purtroppo ancora spesso, anche da persone “studiate”, discorsi del tipo “siamo in Italia e si parla italiano”, io a volte mi diverto a stuzzicare queste certezze assolute con domande del tipo: cosa significa che siamo in Italia se la maggior parte della popolazione parla un’altra lingua? Ma soprattutto cosa significa essere italiani? e qui di solito i miei interlocutori vanno in crisi e o si buttano sul cibo o sulla nostalgia appunto (l’impero romano, il fascismo, il rinascimento, Dante, la culla della civiltà e via discorrendo..). Mi affascina e fa arrabbiare sempre come le medesime persone riescano a vivere contraddizioni interne non da poco perchè magari sono attive per l’autodeterminazione del Tibet, degli inuit e degli aborigeni ma in “in Italia si parla italiano!”
    Nel caso dei tedeschi la cosa mi pare più complessa e riassumibile con “ci hanno rubato la nostra terra ma non possono rubarci la nostra identità culturale”, in questo caso l’impressione è che una identità culturale ancora abbastanza forte e caratterizzata da riti, usanze e lingua (il suedtirolerisch, non il tedesco) ci sia. Probabilmente si è mantenuta forte proprio perchè da cent’anni sentono di doverla difendere e tutto in Alto Adige (ormai anche in italiano il termine Sudtirolo è sempre più diffuso e anche a me piace di più..) è funzionale alla sua difesa, cercando il più possibile di evitare gli incroci, il meticciaggio. Si convive e la mia esperienza mi dice che si convive bene, senza particolari tensioni, purchè ognuno a casa propria, nei propri quartieri. Non vi è una reale volontà politica di arrivare al bilinguismo (ognuno parla la propria lingua e capisce quella dell’altro per lo meno), le scuole sono separate, gli eventi culturali sono separati, gli uffici pubblici sono doppi e separati in base alle quote proporzionali della popolazione. Alla base secondo me c’è la paura che se ci mescoliamo ci perdiamo, non sapremo più chi siamo, in questo senso sono sovversive e sempre più numerose le coppie miste ma anche in questo caso i figli arrivano ad un certo punto a dover scegliere una parte o quanto meno a doverla interpretare.

  20. […] prosegue e si evolve il dibattito sull’austronostalgia avviato su Giap alcune settimane fa a partire dalle primissime reazioni al libro. Quello che poteva […]

  21. Sono un abitante della provincia autonoma di Trento. Sono cresciuto altrove ma abito qui da diversi anni. Ne sono anche originario: da bambino, durante i mesi estivi, nelle mie brevi escursioni per i monti mi sono imbattuto spessissimo in trincee, fortificazioni, mulattiere e conosco diverse storie (vere, romanzate, leggendarie) sulla grande guerra. Non mi sono quindi stupito di vedere il fiorire di rievocazioni, ricordi, cerimonie al centenario del conflitto.

    La lettura (estiva) di “cent’anni a nordest” e` stata molto interessante e in un certo senso rivelatrice. In particolare, mi ha permesso di riflettere su tre scoperte: innanzitutto la presenza e la singolare vitalita` di movimenti simil-politici che mi erano sconosciuti negli altri due terzi del Triveneto. Poi, la descrizione di tutte quelle “questioni private” che mi hanno spinto a ricercare di piu` a riguardo e a conoscere – anche aiutato dai racconti dei locali – altre storie e consuetudini fino adesso sconosciute (e.g.: i recuperanti). Infine, le forzature odierne che a una prima, superficialissima lettura appaiono come ridicole ma che in realta` celano – lo scrivo da profano – interessanti risvolti politici.

    Quest’estate, mentre passeggiavo sulle rive del lago d’Idro (sponda trentina) un volantino ha catturato la mia attenzione. Si trattava di una manifestazione a Moerna (frazione di Valvestino, provincia di Brescia) in ricordo del compleanno di Francesco Giuseppe. Di nuovo, non ero del tutto stupito, ma sinceramente commemorare il compleanno di uno morto cento anni prima mi e` sembrato alquanto forzato, in ogni caso qualcosa che mi ha fatto sorridere.
    In realta` basta sfogliare le varie cronache (ok google commemorazione compleanno francesco giuseppe valvestino) per registrare la presenza di un noto politico trentino (siamo in provincia di Brescia): un evento del genere (che a una prima occhiata suonerebbe come poco piu` di una rievocazione storica per appassionati) viene quindi inserito in un contesto di collaborazione tra provincia autonoma e comuni della Valvestino, grandi opere, “opportunita` determinanti” eccetera eccetera.

    Nel brevissimo scambio su twitter con wuming-foundation mi ero ripromesso, all’epoca, di riportare questa piccola testimonianza qui sul blog. Naturalmente superato l’entusiasmo iniziale (rinfocolato, a dire la verita`, dalla bella serata di presentazione del libro a Verona, a meta` settembre) mi ero completamente dimenticato di tutte queste cose. Tuttavia ci ha pensato il radiogiornale regionale (quello delle 18:45, sabato scorso) a ricondurmi sul pezzo, annunciando che il 18 ottobre le reliquie del Beato Imperatore Carlo sarebbero state accolte, accompagnate da celebrazioni e relatori importanti, proprio in provincia autonoma, nel Tesino: come si dice “tout se tient” in dialetto?

    a rileggerci,
    Vittorio

  22. […] le visioni reazionarie che attraversano quelle regioni (dall’austronostalgia al “veneto-putinismo” passando per nuove sintesi fasciste)… Tutto può essere capito meglio, nelle sue connessioni […]