Si vincerà in Italia! Ancora e sempre Paolo Vinti

[Articolo apparso su GQ – Italia, gennaio 2011. A poco più di un mese dalla sua morte, una riflessione sull’eredità di un leggendario compagno.]
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Paolo Vinti / Paul Beathens (foto Troccoli, tratta da Umbria24.it)

Il documentario si intitola Film astratto rosso. Cercatelo su Google, è scaricabile gratis. Ritagliatevi un’oretta di tempo e aprite il file avi. Appare un volto un po’ gonfio, sorridente, non bello ma solenne, pieno di dignità. Pelle ruvida e arrossata, barba grigia, capelli solo ai lati del cranio, occhiali tondi e sottili. Due cravatte pendenti dal collo, senza nodo. Postura «sbagliata», innaturale. Storta. Quando s’incammina per Corso Vannucci, nel cuore di Perugia, l’uomo ondeggia, è zoppo.
Questo è il corpo.
Poi c’è la voce. Prosegui la lettura ›

Pensando alle rivolte del 2011: Tamburi a Genova (nell’anno del decennale)

Scena da un riot qualsiasi (non è Genova)

In Italia e in buona parte d’Europa le ultime settimane del 2010 hanno visto un brusco inasprimento del conflitto sociale. La questione della “violenza” è tornata all’ordine del giorno. Questione banale, che costringe a essere banali: la “violenza” che accende di sdegno gli opinionisti,  fa esplodere i titoli dei TG e riempie articoli e servizi non è mai quella dei padroni e dei governi. Non è la violenza di chi taglia o licenzia, discrimina ed esclude, non è quella di chi specula,  gioca d’azzardo con soldi virtuali ma ne incassa di veri, e se perde paga Pantalone (“privatizzare i profitti, socializzare le perdite”), non è la violenza di chi reprime. Queste violenze sono anzi elogiate, chi le compie è un moderno benefattore o, se si vola basso, “sta soltanto facendo il suo lavoro”. Proprio come, a suo tempo, il figlio di Maria Schefferling e Adolf Karl Eichmann.
No, la “violenza” di cui si dibatte, la “violenza” che si condanna è sempre quella della rivolta. Non solo per ipocrisia e servilismo, ma anche perché la rivolta è … poco sottile. E’ visibile e vistosa. Fotogenica, telegenica e al contempo inaccettabile. La rivolta attrae e respinge, coinvolge anche chi non  la vuole e, in segreto, esalta anche chi la condanna.  Non c’è filmato di riot o sommossa che non attivi i neuroni specchio di chi lo guarda, facendolo sentire in quelle strade, tra chi alza barricate, fugge o insegue. La critica, la spiegazione, la condanna, gli argomenti…Tutto questo viene dopo. Prosegui la lettura ›

Wu Ming (ancora) sulla strada: gennaio – febbraio 2011

[Nel 2011 il nostro “Never Ending Tour” (espressione rubata a Bob Dylan) avrà tempi più rilassati e date più rarefatte. Il nuovo romanzo collettivo e altri progetti richiedono una grande mole di lavoro, e non potremo permetterci ritmi come quelli del 2009-2010 (circa 120 apparizioni pubbliche dall’uscita di Altai a oggi!). Tuttavia, non entreremo in “sabbatico” come nel 2005-2006, durante la stesura di Manituana. Continueremo a girare, anche perché a marzo uscirà Anatra all’arancia meccanica, raccolta di romanzi brevi e racconti scritti nel periodo 2000-2010, molti dei quali inediti su carta (e alcuni inediti tout court). E’ un’uscita a cui teniamo molto. Non sarà una tournée spaccaossa, ma qualche presentazione la faremo. Nel frattempo, ecco, le occasioni in cui potrete incontrarci dal vivo nei primi due mesi del 2011.] Prosegui la lettura ›

Carta n. 45, speciale movimento con intervista a WM1

[WM1:] Il settimanale Carta sta compiendo una difficile traversata nel deserto. La crisi, le politiche governative sull’editoria e la “risacca” seguita all’ondata movimentista di inizio millennio hanno avuto un effetto cumulativo. Il settimanale ha dovuto rinunciare all’uscita in edicola. Ora viene stampato solo per gli abbonati (in foliazione ridotta) e, al contempo, è scaricabile gratis dalla rete.
I redattori stringono i denti e vanno avanti. Con pazienza e autodisciplina, pensano di poter superare la grande distesa di sabbia in un anno o poco più. Intanto hanno bisogno di sostegno, anche morale, e di sottoscrizioni.
Carta
è un importante organo di informazione e coordinamento tra gruppi, circoli, presidî, associazioni, realtà presenti e attive da Gorizia a Porto Empedocle. Ed è importante farlo vivere.
Durante la campagna abbonamenti del 2008, scrissi questo messaggio: Prosegui la lettura ›

Una sera a Bologna e tre tabù: la vecchiaia, il morire, le classi sociali

Sabato 11 dicembre abbiamo presentato al Modo Infoshop di Bologna, insieme all’autrice e alla semiologa Giovanna Cosenza, il libro di Loredana Lipperini Non è un paese per vecchie (Feltrinelli, 2010).
La discussione, durata un paio d’ore, ha collegato fra loro tre tabù, tre interdizioni, tre rimozioni che oggi orientano il discorso pubblico. Tre cose di cui si deve parlare il meno possibile: la vecchiaia, il morire e la divisione della società in classi. Per questa “griglia” sono passati molti argomenti: l’omologazione dei corpi e delle facce, l’obbligo sociale a fingersi giovani e a essere stronzi, la demitizzazione dei “fantastici anni ’60”, la raffigurazione (o l’assenza) delle donne anziane nella letteratura, la necessità di ritrovare rituali del morire e del lutto etc. Numerosi i riferimenti, diretti e indiretti, alle lotte in corso, a cominciare – com’è ovvio – da quella degli studenti. Prosegui la lettura ›

Pontiac, storia di una rivolta

Dopo lunga attesa, falsi allarmi e segnali di fumo, arriva finalmente in libreria Pontiac, storia di una rivolta, audiolibro illustrato tratto dall’omonimo spettacolo con testi e letture di Wu Ming 2, chitarre di Stefano Pilia ed Egle Sommacal (ora insieme nei Massimo Volume), sessione ritmica di Paul Pieretto e Federico Oppi (sempre insieme, da Settlefish a A Classic Education). Nel volume, ci sono anche le matite e gli inchiostri di Giuseppe Camuncoli & Stefano Landini.

Il libro esce in ritardo rispetto alla data prevista, eppure con buon tempismo: mentre in Italia si discute di svariate rivolte, e di come tenerle assieme in un’unica “coalizione resistente”, la vicenda di Pontiac offre l’esempio di un capo indiano – vero nome: Obwandiyag – che seppe convincere diverse nazioni indiane, e qualche colono francese, a combattere contro il nemico comune: i bianchi venuti dall’Inghilterra.
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