«Ma chi è ‘sto Rizzi che è sempre nei vostri romanzi?» Intervista al poeta sui suoi trascorsi da Luther Blissett e sulla beffa che lo consacrò

Alberto Rizzi

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Nella terza parte del nostro romanzo d’esordio Q spunta tale Adalberto Rizzi, detto «frate Pioppo».

54 comincia con l’uscita di casa di Carlo Alberto Rizzi, poeta triestino.

Guerra agli umani annovera tra i personaggi il cacciatore Gilberto Rizzi.

In New Thing un ufficiale di polizia di New York si chiama Albert D. Rizzi.

La novella American Parmigiano si incentra sulle peripezie oltreoceano di tale Albert Rice, al secolo Adalberto Rizzi.

Nel racconto Arzèstula appare in sogno, in una Ferrara che è wasteland, tale Rizzi.

In Altai uno dei due luogotenenti del protagonista si chiama Gualberto Rizzi.

Ne L’armata dei sonnambuli si rievoca un attore di teatro di nome Norberto Rizzi.

Ne L’invisibile ovunque si menziona un certo Rizzi che in trincea, durante i bombardamenti, coltiva un suo passatempo.

Ne La Q di Qomplotto tra i personaggi che affollano la copertina di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band fa capolino Alberto Rizzi.

In Ufo 78 partecipa a una veglia ufofila sul monte Quarzerone Alberto Rizzi, postino in quel di Papozze, nel Delta del Po.

Ne Gli uomini pesce ha un ruolo importante Bertolt Rizzi, geometra di Ariano Polesine e fratello del postino di cui sopra, che in realtà all’anagrafe si chiama Albrecht.

Che è ‘sta fissazione per il cognome «Rizzi», quasi sempre associato a nomi di battesimo terminanti con la desinenza di origine sassone -berto? Prosegui la lettura ›

Vittorie ad alta felicità, attacchi psichici, UFO, magia No Tav e il «vero» monte Quarzerone

Bologna, 18 luglio 2025, giardino San Leonardo. Attacco psichico contro il progetto di «riqualificazione» dell’area da parte della dirimpettaia Johns Hopkins University, e contro le collusioni di quest’ultima con l’industria bellica e il genocidio palestinese. Saperi mesmerici di lungo corso passano a una nuova generazione.

Quando si vince bisogna cantarlo ai quattro venti, e negli ultimi giorni è giunta notizia di ben due importanti vittorie.

Hanno vinto una cruciale causa contro ENI alcune associazioni – ReCommon e Greenpeace Italia – e private cittadine. La sentenza della Cassazione inchioda – o quantomeno graffetta – alle sue responsabilità il gigante del gas e del petrolio, per i danni presenti e futuri causati dalla crisi climatica, al cui aggravarsi contribuisce da decenni.

In simultanea, hanno vinto le attiviste e attivisti di Vicenza che dal maggio 2024 occupano il bosco Lanerossi, minacciato dal cantiere del secondo lotto TAV Verona-Padova. Il cantiere sarà spostato, il bosco è salvo e diventerà un’area pubblica. La resistenza continua nell’altro bosco, quello di Ca’ Alte.

Nelle città e nei territori è in corso una forsennata, dissennata guerra al verde e al vivente.

Una guerra che estende il suo fronte a furia di vaste cementificazioni, sovente avviate con la sola SCIA (Segnalazione certificata di inizio attività). Non c’è solo Milano: funziona così in molte città, a cominciare da quella in cui viviamo.

Una guerra fatta di «grandi opere», infrastrutture sempre date per «strategiche» anche quando platealmente insensate, e soprattutto progettate alla cieca, tirando righe su mappe, con totale noncuranza e spregio di ciò che ruspe e bulldozer troveranno sul loro cammino.

Una guerra portata avanti anche con retoriche «green», e si sa che il green dei rendering è il peggior nemico del verde realmente esistente.

Ogni buona novella all’insegna dell’ogni-tanto-si-vince rinfocola le energie degli innumerevoli comitati, coordinamenti, collettivi e gruppi di affinità che in tutta Italia si oppongono allo scempio.

La nona edizione del Festival Alta Felicità, che si terrà a Venaus dal 25 al 27 luglio, prende il volo con le ali di due buone novelle.

Altre ne giungeranno, e presto. Sono in corso attacchi psichici la cui potenza è inarginabile. Il più recente è stato sferrato al giardino San Leonardo di Bologna, dove si resiste a questo progetto qui, ma non solo. Prosegui la lettura ›

Restare umani in tempo di guerra: Tolkien e il dilemma etico

[Riportiamo il testo della conferenza che Wu Ming 4 ha tenuto presso l’Hiroshima Mon Amour di Torino e in apertura del Festival Attraverso, a Gavi (AL), il 10 e 11 luglio scorsi, nel quale riassume e amplia le riflessioni su Tolkien e la guerra che nel corso degli anni ha sparso in varie sue pubblicazioni. La conferenza è durata un’ora, quindi c’è da mettersi comodi.]

1. Dalla Terra di Nessuno alla Terra di Mezzo

È la notte del 14 luglio 1916, vicino ai villaggi di La Boiselle e Ovilliers, a una quindicina di chilometri a nord del fiume Somme, nell’Alta Francia, sul fronte occidentale della Prima guerra mondiale. In quel tratto del fronte, La Boiselle funge da retrovia e Ovilliers da prima linea. Siamo in pieno secondo anniversario dello scoppio della Grande Guerra. E sono trascorse due settimane dall’inizio della Grande Offensiva anglo-francese contro i tedeschi, che passerà alla storia come Battaglia della Somme. Gli inglesi l’hanno chiamata «The Big Push», un attacco che è stato pianificato a lungo dallo Stato Maggiore, e preparato da settimane di cannoneggiamenti ininterrotti delle linee nemiche. L’idea era che bersagliando le trincee tedesche senza sosta, queste si sarebbero svuotate, consentendo quindi alla fanteria di avanzare senza incontrare troppa resistenza e di spostare avanti il fronte di decine di chilometri, magari anche di sfondarlo in più punti. Prosegui la lettura ›

Il calcio del figlio, speciale n.2 | Nuove recensioni e interviste

Il calcio del figlio (Edizioni Alegre, €16), uno dei libri più anomali usciti dall’officina Wu Ming, sembra avere positivamente spiazzato una parte dei nostri lettori abituali, e averne conquistata una nuova. A dimostrarlo ci sono le recensioni che continuano a uscire online, anche in luoghi piuttosto disparati del web. Da maggio a luglio ne sono uscite cinque. Come al solito le segnaliamo, pubblicando un breve stralcio da ognuna.

La prima è un’intervista che Gilda Sciortino ha fatto all’autore, a margine della presentazione di Palermo, uscita sul settimanale Vita, portale di sostenibilità sociale, economica e ambientale:

«Ho fatto una scelta ben precisa, infatti non è il mio “io narrante” che lo anima. Il narratore si dà del tu, come se si guardasse allo specchio o come se si rivolgesse al potenziale alter ego, cioè un padre o una madre che hanno attraversato la stessa esperienza. Diversamente sarebbe stata la solita storia di un papà che racconta quanto è bello e bravo suo figlio. Mi interessava raccontare una storia che senza dubbio è la mia o la nostra, ma che parla del rapporto tra padre e figlio, con tutte le difficoltà che ciò comporta. Attenzione, è un libro che racconta molto di sbagli, commessi anche da me e, col senno di poi, valutati come tali. Quello che ho voluto fare è stato osservarmi mentre ero dentro a questo turbinio. Gli antropologi la chiamano “osservazione partecipante”, che è ciò che fanno quando si mettono tra i nativi e registrano quel che accade. Chiaramente la tua presenza è condizionante, in qualche modo interagisci, però al tempo stesso rilevi le relazioni, raccogli le testimonianze. Ho, quindi, raccontato dei tipi umani, che fossero ragazzini, genitori, allenatori o dirigenti.»

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Rimozione forzata. Cinque anni dal lockdown e (fingere di) non sentirli – di Consigliere & Zavaroni. Con una postilla di Wu Ming.

Raphael, 1827-1861, preconizzazioni del post-Covid / 1

Tutte le immagini che illustrano quest’articolo sono nel pubblico dominio, litografie a colori tratte dalla rivista ottocentesca Prophetic Messenger, nota anche come Raphael’s Almanac.

di Stefania Consigliere e Cristina Zavaroni *

Per comprendere i tempi non ordinari, le categorie dei tempi ordinari non bastano. Bisogna cercare altrove ed è così che certi autori diventano pienamente comprensibili. Che bastasse l’induzione di paura per dominare intere popolazioni l’avevamo letto nei libri di Hannah Arendt, George Orwell, Christopher Browning e Zygmunt Bauman, ma abbiamo cominciato a crederci davvero solo nell’inverno del 2020. Ancor più difficile trovare una spiegazione per la strage delle coscienze che immediatamente ha diviso la popolazione italiana in fazioni avverse mai più ricomposte e per lo strano oblio che oggi avvolge il biennio pandemico.

A cinque anni e qualche mese dal suo incipit, l’evento più significativo (speriamo) della nostra vita collettiva sembra ai più un episodio lontano, politicamente irrilevante e per nulla attivo nel presente.

Il fatto è, però, che quella stagione non è mai finita. Prosegui la lettura ›

Radio Ufo 78, piccola storia di un radiodramma/concerto + Il Pentagono, gli UFO e Gaza (e varie da Francia e Spagna)

Ascolta Radio Ufo 78.

– I romanzi radiofonici, giovanotto, – mormorò Josefina Sánchez,
come se commettesse un sacrilegio. – Stanno diventando sempre più strambi.
(Mario Vargas Llosa, La zia Julia e lo scribacchino)

Nel biennio 2022-2023 portammo in tour Radio Ufo 78, un radiodramma/concerto, un melologo, una sghemba e psichedelica suite con scrittori, musicisti e «caverna dell’antimateria».

I due scrittori erano Wu Ming 1 e Jadel Andreetto, quest’ultimo in doppia veste, in quanto bassista del Bhutan Clan.

I musicisti erano quelli del Bhutan Clan, appunto: band cresciuta a Bologna sonorizzando trekking urbani e serate letterarie, nel contesto del cantiere culturale permanente Resistenze in Cirenaica.

Per varie ragioni il gruppo si è sciolto come tale nel 2024, ma le sperimentazioni proseguono sotto l’egida di Melologos, «laboratorio di fonologia narrativa» che ora è al lavoro su Gli uomini pesce.

«Caverna dell’antimateria» è come chiamavamo, in omaggio al pittore situazionista Giuseppe Pinot Gallizio, l’ambiente sonoro pazientemente ingegnerizzato in studio che ogni tanto erompeva nell’esecuzione dal vivo. Prosegui la lettura ›

Gli uomini pesce, speciale n.8 | «Just like a heatwave / burning in my heart»

Evoluzioni dell'ex libris de Gli uomini pesce.

Evoluzioni dell’ex libris de Gli uomini pesce.

Pubblichiamo questo speciale su Gli uomini pesce nel mezzo di un’onda di calore, come quella che nel luglio 2022 stroncò Ilario Nevi, o quella che nel luglio 2023 stroncò il compagno e amico Roberto Sassi, alla cui memoria il romanzo è dedicato.

È un’onda simile ma peggiore, perché partita già a giugno, e perché ogni estate le onde si fanno più persistenti, tanto che andrebbe cambiata metafora. Non sono onde, è marea.

Il mare è caldo come piscio, ma non è solo un fastidio per i bagnanti, come sembrerebbe dai servizi dei Tg. Quello è l’ultimo dei problemi, anzi, non entra nemmeno in classifica. Più il mare si scalda e più collassa: si alterano correnti vitali per gli ecosistemi, l’acqua si fa povera d’ossigeno (ipossia), si estinguono specie, ne arrivano altre che fanno saltare altri equilibri…

Inoltre, più il mare si scalda e più evapora. Su di noi incombono grandi masse di vapore, mentre nell’atmosfera s’accumula energia. Presto ci saranno tempeste, tutto quel gassoso tornerà liquido e i nubifragi – le «bombe d’acqua» dei titoli di giornale – si abbatteranno su territori sempre più maltrattati e fragili.

Ad esempio, sul territorio che ne Gli uomini pesce è un vero e proprio personaggio: la bassa padana orientale, le province di Ferrara, Rovigo e in parte Ravenna, il Delta del Po.

Il rapido passaggio da un estremo meteorologico all’altro è detto «colpo di frusta», come quello alla cervicale quando ti tamponano in macchina. La crisi climatica tampona la macchina del capitale, che però non accosta per constatare il sinistro, manco vuol saperne di rallentare, anzi, pesta sull’acceleratore e va, va, senza più il paraurti didietro, con la carrozzeria sfasciata, la marmitta che tragia sull’asfalto facendo scintille che incendiano l’erba sul ciglio, e va.

E noi siamo a bordo. E a bordo si parla d’altro. Di fare la guerra, di cazzate, e di fare la guerra come fossero cazzate. Prosegui la lettura ›