Gasparri, è Lei? Qualche parola su Paolo Mieli, in occasione di un suo programma TV sulle #foibe – di Nicoletta Bourbaki

«Centinaia di migliaia di infoibati», dixit Mieli. Clicca sulla foto per leggere il debunking di Nicoletta Bourbaki intitolato: Gasparri, è Lei?.

Abbiamo già avuto modo di definire Paolo Mieli «da ormai vent’anni […] il testimonial n. 1 e il primo officiante di ogni rituale basato sul cliché “il fascismo ha fatto anche cose buone”.»

Su Mieli, però, andrebbe fatto un discorso più generale. Allievo di Renzo De Felice in anni ormai remoti, viene sempre definito «storico», ma sarebbe più preciso descriverlo come intellettuale organico e frontman di una maxi-operazione ideologica a tema storico iniziata negli anni Novanta.

Volta per volta nelle vesti di direttore del Corriere della Sera, di ubiquo opinion maker e/o di «prezzemolo» con cui condire quasi ogni approfondimento storico sulla TV di stato, ritroviamo Mieli in ogni fase del processo che ha spostato sempre più a destra gli equilibri della divulgazione storica e le retoriche della memoria pubblica, imponendo una presunta «memoria condivisa» situata oltre la distinzione tra fascismo e antifascismo.

Un’operazione ammantata di «concordia nazionale», nella quale il Corriere della Sera diretto da Mieli si lanciò anima e corpo con tutti i suoi editorialisti VIP: Galli Della Loggia, Romano, Ostellino, Panebianco et alii.
Intendiamoci: il quotidiano di via Solferino non fu certo il solo organo di informazione a spendersi per tale causa, anzi, ma il suo ruolo fu fondamentale. Il Corriere è stato l’Ammiraglia dell’Invencible Armada che ha imposto la «memoria condivisa».

Sulle pagine del Corriere ha avuto luogo una costante rivalutazione della «zona grigia» e del suo immaginario, con sempre più esplicite prese di distanza dall’antifascismo – considerato più o meno alla stregua di uno dei due «opposti estremismi» da condannare – e con un massiccio ricorso alla strategia che Nicoletta Bourbaki ha chiamato la «livella della violenza», procedimento che

«cancella aggressori e aggrediti, ne fa due variabili e permette di definire questi ruoli – o almeno di sfumarli – a piacimento, allargando o restringendo a seconda della convenienza il campo della contestualizzazione dei fatti di volta in volta presi in considerazione.»

Una missione che il Corriere ha massicciamente portato avanti anche dopo le due direzioni di Mieli e col mutare degli assetti proprietari. Ricordiamo, una tra tante, l’operazione fatta sul caso Giuseppina Ghersi, quando una narrazione priva di basi fattuali, fino a quel momento confinata nella pubblicistica neofascista, è stata ripresa senza il minimo vaglio critico e “promossa” a narrazione mainstream.

Il caso Ghersi è esemplare di come funziona il dispositivo. Poiché la violenza degli antifascisti viene messa – con pochissimi distinguo en passant – sullo stesso piano di quella dei fascisti, e di volta in volta si sceglie se considerare «cattivi» i nazifascisti oppure i partigiani, inevitabilmente questa narrazione ridimensiona le colpe del fascismo, titilla il vittimismo nazionale e va a parare nel mito degli «italiani brava gente».

Che si arrivasse, com’è accaduto quest’anno, all’aberrante equiparazione tra foibe e Auschwitz era soltanto una logica conseguenza, implicita nell’istituzione stessa del cosiddetto «Giorno del Ricordo». Doveva accadere, e da queste parti lo si era abbondantemente previsto.

Tornando a Mieli: il grande pubblico lo conosce principalmente come volto televisivo. Negli ultimi vent’anni è diventato una sorta di garante simbolico del «trattamento equilibrato» – nel senso degli equilibri descritti sopra – degli argomenti storici nei programmi Rai. Spesso il suo ruolo è consistito nel commentare un documentario appena trasmesso, “normalizzandolo”, smussandone gli eventuali “spigoli”, riconducendolo a forza nella cornice della memoria condivisa.

In quest’ultima veste, lo si è udito sovente infilare critiche alla «sinistra» anche dove non c’entrava nulla. Memorabile quando, in coda a un documentario sulla strage di Cefalonia, dichiarò che «nessuna città storicamente amministrata dalla sinistra ha intitolato vie ai caduti di Cefalonia», lasciando sbigottiti i telespettatori di Bologna, dove via Caduti di Cefalonia è centralissima, sta proprio di fronte a Palazzo Re Enzo e si chiama così dal 16 aprile 1949.

Da alcuni anni, Mieli conduce talk-show a tema storico, durante i quali lo si vede spesso intervenire per placare eventuali «bollenti spiriti» di ospiti e conduttori «subordinati» (i «giovani storici» chiamati a fare brevi interventi di contorno).

Ma il meglio di sé Mieli lo dà quando parla di «foibe». Il «confine orientale» è l’argomento cartina-di-tornasole. È su quel tema che Mieli ha detto le inesattezze – usiamo intenzionalmente un eufemismo – più clamorose. Ce lo mostra Nicoletta Bourbaki nel suo debunking intitolato: «Gasparri, è Lei?»

→ Buona lettura.

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