Che ci fa un collettivo di scrittori a Manifesta 12, la biennale nomade d’arte contemporanea, inaugurata a Palermo nel fine settimana appena trascorso?
Se si giocasse a “Trova l’intruso”, nella lista dei 45 artisti coinvolti, la scelta sarebbe tra due nomi: il nostro e quello di Giorgio Vasta, anche lui scrittore (però palermitano, e quindi meno infiltrato di noialtri).
Il mistero s’infittisce visitando il Teatro Garibaldi, sede delle biennale, dove un pannello arancione annovera Wu Ming tra gli autori delle installazioni in mostra.
Ma che razza di installazione potranno mai produrre tre romanzieri di mezza età, senza particolari doti per la grafica, la fotografia, l’architettura e la danza?
Il dubbio è venuto a noi per primi, quando a luglio dello scorso anno, abbiamo ricevuto una mail da Lodovica Guarnieri, “designer and researcher”, e Bregtje van der Haak, “creative mediator” per Manifesta 12.
Anzitutto, siamo talmente ignoranti d’arte contemporanea, che nemmeno conoscevano l’esistenza di quest’autorevole biennale, giunta ormai alla dodicesima edizione. Né sapevamo che si sarebbe tenuta in Italia, con il titolo: Il Giardino planetario. Coltivare la coesistenza.
«Lo scopo – c’era scritto nella mail – è quello di esplorare Palermo come ecosistema unico, attraverso il quale differenti flussi transitano e si intersecano: da materie organiche come semi e germi a materiali inorganici come informazioni e idee, da network criminali a migrazioni umane.»
Lodovica e Bregtje ci contattavano alla scopo di «esplorare le possibilità per un’eventuale collaborazione o per un nuovo lavoro da realizzare».
Ma per noi “nuovo lavoro” significa libro, romanzo, oggetto narrativo, non il genere di opera che si mette in mostra a una biennale. Tant’è che i nostri precedenti contatti con il circuito dell’arte risalivano ai tempi di Luther Blissett, e consistevano nella creazione di autori fantasma, come la scimmia pittrice Lootha e lo scultore Darko Maver.
Tuttavia, Wu Ming 2 s’incuriosisce e fissa un appuntamento su Skype tra Bologna e Rotterdam. La lunga chiacchierata produce un primo cristallo di progetto: portare a Palermo, nei giorni della manifestazione, una passeggiata narrativa, un cammino di esplorazione urbana, un rituale psicogeografico fatto coi piedi, sulla scia di quelli già organizzati in altri territori e città.
Dopo un paio di mesi di ricerca a quattro mani con Lodovica, il tema della camminata si chiarisce meglio. Molti luoghi di Palermo sono legati al periodo del colonialismo italiano. Si va dai nomi delle strade al quartiere che ospitò la Mostra Eritrea del 1892 (con tanto di villaggio abissino ricostruito come zoo umano); dal Giardino Coloniale, inaugurato nel 1913 all’interno dell’Orto Botanico, alla Galleria delle Vittorie (fasciste), con gli affreschi che esaltavano le conquiste africane; c’è la Casa del Mutilato, con la grande lapide che riporta il discorso tenuto da Mussolini per la fondazione dell’Impero e c’è l’ex-manicomio della città, che dal 1912 al ’39 ospitò i sudditi coloniali considerati “dementi”. Oggi quello stesso edificio ospita un Servizio di protezione per richiedenti asilo minorenni.
Quest’ultima coincidenza spalanca la questione dell’eredità coloniale e di tutti gli spazi dove questa viene combattuta o riproposta, messa in crisi o celebrata. Palermo è ricchissima di associazioni basate sull’accoglienza e il meticciato, impegnate ad abbattere le barriere tra autoctoni e “turchi”, cittadini e stranieri, inquilini e rifugiati. Nel solo quartiere Albergheria, si contano il circolo Arci Porco Rosso, l’oratorio Santa Chiara, il gruppo Arte Migrante, la Clinica legale per i diritti umani e il ristorante/coworking MoltiVolti, fondato da 14 amici provenienti da 8 paesi diversi. Eppure a poca distanza, nel 2016, di là dal confine col quartiere Kalsa, un uomo legato a famiglie mafiose sparò in testa a Yussupha Susso, un ragazzo del Gambia, dopo avergli ordinato di allontanarsi dal rione.
Non mancano infatti anche episodi del genere, nella città dove “nessuno è migrante”, secondo le parole di Leoluca Orlando. E mentre il sindaco rivendica il diritto alla mobilità e chiede di abolire il permesso di soggiorno, pochi ricordano la fine di Noureddine Adnane, ambulante con regolare licenza, che si diede fuoco in via Basile dopo l’ennesima multa dei vigili urbani.
A marzo di quest’anno, Wu Ming 2 vola a Palermo per un sopralluogo di tre giorni. Grazie allo staff di Manifesta e all’entusiasmo di Totò Cavaleri – storico giapster siciliano – la visita si trasforma in una sequenza ininterrotta di incontri e riunioni, con storici e archivisti, musicisti e street writers, educatori e botanici.
Tra le mille storie raccolte, spicca quella della contestazione contro Crispi e la sua politica coloniale, organizzata da socialisti e anarchici all’indomani della sconfitta di Adua. I dimostranti attaccarono una “passeggiata di beneficienza” per i caduti d’Africa, che sfilando lungo Corso Vittorio Emanuele, s’era fermata ai Quattro Canti con carri e fanfare. “Viva Menilicchi!”, si sentì urlare, prima che le guardie della regia questura si lanciassero all’inseguimento dei responsabili. Quel grido di ribellione, in favore di Menelik II, diventa il titolo dell’intero progetto.
La mappa della camminata intanto prende forma, con 36 tappe su 17 chilometri, divisi tra mattina e pomeriggio, con racconti, murales, guerriglia odonomastica e poesie, secondo la formula già sperimentata con Resistenze in Cirenaica.
Ciononostante, all’affollata presentazione di questo primo studio, qualcuno fa osservare che il colonialismo non è un tema di particolare interesse, per esplorare Palermo, specie se proposto da uno scrittore che “viene da fuori” e non conosce la città. Vedremo senz’altro di tenerne conto. Certo non si può dimenticare che Mussolini, nel suo discorso al Foro Italico di Palermo dell’agosto 1937, definì il capoluogo siciliano “centro geografico dell’Impero”. Una di quelle incoronazioni che lasciano il segno, specie se ottant’anni più tardi quella stessa città si ritrova al crocevia retorico dell’emergenza sbarchi, con naufraghi partiti dalla “Quarta Sponda” d’Italia (la Libia) e provenienti da ex-colonie inglesi, francesi e italiane.
Oltre alla camminata, in quei giorni palermitani, prende corpo anche l’idea di una “rappresentazione visiva” del progetto, qualcosa che si possa toccare e vedere fin dall’inaugurazione di Manifesta, dato che il “trekking urbano” è fissato per sabato 20 ottobre, mentre la biennale aprirà le porte al pubblico dalla metà di giugno.
A realizzare l’installazione sarà il collettivo Fare Ala, con la consulenza di Francesca Di Pasquale, esperta di storia coloniale italiana e in particolare delle deportazioni di ribelli, alienati e operai libici verso la Sicilia.
Fare Ala propone di creare il manifesto di Viva Menilicchi!, una grande mappa con i luoghi della camminata, un trailer video, alcune interviste e una fanzine illustrata con tre racconti, legati a tre luoghi della ricerca. Inoltre, si occuperà di allestire lo spazio espositivo al Teatro Garibaldi, dove i visitatori potranno anche proporre nuovi spunti, storie dimenticate e angoli da esplorare.
In breve, come spesso ci accade, il progetto “di Wu Ming 2” diventa un’impresa di gruppo, che dà vita a un collettivo di collettivi, mentre i fantasmi della città cominciano a risvegliarsi, avvertendo la variazione d’energia.
E’ il caso del gigantesco San Benedetto il Moro disegnato da Igor Scalisi Palminteri, a vegliare su un campetto di calcio, sempre all’Albergheria, scelto dai volontari di Mediterraneo Antirazzista.
L’immagine del Santo nero, copatrono di Palermo, si aggiunge così alle poche altre in città, come quella presente in un quadro di Pietro Novelli, nella chiesa di Santa Maria di Monte Oliveto (una delle tappe previste nella passeggiata del pomeriggio).
E sarà un caso, ma nell’ottobre scorso, quattro mesi dopo la prima mail di Bregtje e Lodovica, in occasione del Festival delle Letterature Migranti, il sindaco Orlando ha battezzato “Lungomare delle Migrazioni” la zona pedonale del viale che corre intorno alla Cala. Le targhe in varie lingue sono già state in buona parte danneggiate, ma ci auguriamo che Viva Menilicchi! sia di stimolo per nuove intitolazioni, sull’esempio di Berlino, visto che la città è funestata da tanti nomi ingloriosi: via Guttadauro, piazza Bottego, via Zara, via Tripoli, via Di Giorgio, via Leotta, via Magliocco, via Vaccari, via Millo…
Nel frattempo, da qui al 20 ottobre, pubblicheremo altri post legati a Viva Menelicchi!, alle storie che abbiamo scovato insieme, alla collaborazione con Fare Ala e tutti gli altri gruppi e associazioni che ci hanno offerto una mano.
Chi volesse partecipare alla camminata, può iniziare a segnarsi la data in calendario.
Ci si vede su due piedi, per le strade di Palermo.
“Quella che i media chiamano «emergenza rifugiati» è in realtà l’incapacità dell’Europa di fare i conti con cinquecento anni di colonialismo.”
Alla Casa del Mutilato di Palermo si tiene in questi giorni un simposio dal titolo “The After-life of fascist-colonial architecture”, dedicato al riutilizzo critico dei monumenti e dei palazzi del regime. “In che modo le tracce materiali dell’Impero italiano acquistano nuovi significati nel contesto della migrazione dalle ex-colonie?”: https://www.facebook.com/events/245647129321695/
La prima pietra della Casa del Mutilato venne posata da Mussolini durante la sua visita a Palermo dell’agosto 1937. Una grande iscrizione definisce l’edificio “Tempio Munito Fortezza Mistica”.
A uno degli ingressi, sopra le tre porte d’accesso, campeggiano i nomi delle città irredente. Sulla scalinata, una lapide riporta il discorso di Mussolini per la proclamazione dell’Impero: https://twitter.com/Wu_Ming_Foundt/status/972459309467668480
Il luogo, carico di energie mefitiche, sarà una delle tappe della camminata “Viva Menilicchi!”, nonché bersaglio di un attacco psichico collettivo.
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