#Pasolini, #Salvini e il neofascismo come merce – Wu Ming 1 su Internazionale

Pasolini fascismo neofascismo

Screenshot della presentazione multimediale «Pasolini, fascismi, neofascismi», Forlì, 18 maggio 2018.

Il 24 febbraio 2018, nel comizio di chiusura della sua campagna elettorale, il futuro ministro degli interni Salvini citò una frase di Pasolini come pezza d’appoggio per attaccare l’antifascismo. La citazione era falsa. La scena fu un agghiacciante cortocircuito.

Pasolini va difeso dalle strumentalizzazioni di chi lo usa per minimizzare il fascismo. Per costoro, la pacchia deve finire.

Al tempo stesso, però, è necessario fare chiarezza, capire dove Pasolini sbagliò analisi e giudizi su un’ideologia, quella fascista, oggi pienamente attuale.

Sul sito di Internazionale potete leggere un intervento finora il più compiuto — di Wu Ming 1 su un groviglio di problemi e strumentalizzazioni del quale periodicamente tocca occuparsi. Un grosso nodo che è vano sperare di sciogliere: va tagliato con un colpo di spada.

Per arrivare a dare quel colpo, dobbiamo partire dal debunking del meme pseudo-pasoliniano «Vedi, Caro Alberto…» [spoiler: è una bufala], seguire un lungo filo nero dentro Petrolio, sottoporre a un esame critico alcune celeberrime tesi di Pasolini su fascismo e capitalismo, e infine spiegare perché è un errore chiamare «fascismo» o «nazismo» ogni imposizione, autoritarismo, dispositivo – o, tout court, il capitalismo.

Questo testo è un’evoluzione della conferenza Pasolini, fascismi, neofascismi, tenuta da WM1 al convegno «Pasolini. Alle origini del postmoderno», organizzato da Paolo Andreoni, Andrea Mandolesi e Michele Drudi e svoltosi a Forlì dal 15 al 19 maggio scorsi.

Sommario
Il tormentone del «Caro Alberto» – Consumismo e fascismo: la dicotomia che non c’è – Pasolini contro i neofascisti, i neofascisti contro Pasolini – La società dei consumi è a destra del fascismo? – Tutti come il Merda, anche i fascisti – Una città a forma di svastica – L’equivoco sul «fascismo degli antifascisti» – Il test dell’anatra – Il consumismo neofascista – Non tutto è fascismo.

Buona lettura.

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18 commenti su “#Pasolini, #Salvini e il neofascismo come merce – Wu Ming 1 su Internazionale

  1. Sempre rischioso leggere un autore fondamentalmente e volutamente polemico come se esprimesse un pensiero sistematico e non contraddittorio. Non ci sono dubbi sull’ antifascismo pasoliniano. Il suo uso del termine fascista risente senz’altro in parte della sua personale ossessione arcaizzante e anticonsumista, ciò che spiega i tentativi di appropriazione da parte di una certa destra che a quei temi gioca a richiamarsi fingendo di sposarne pretesi « valori » ovviamente da riservare agli altri (cioè ai poveri) e mai a sé stessi. Direi che ci sia anche un’influenza del linguaggio di quegli anni, in cui il termine veniva comunemente adoperato per dare un’ accezione negativa, oppressiva e laida a qualcosa che non era per forza fascista in senso letterale. Un polemista perso (la tesi che segnalate nell’altro post è illuminante su questo aspetto) non si poteva lasciar scappare l’occasione, finendo con alimentare e rafforzare quell’ uso abnorme della definizione. Il tentativo di appropriazione della destra gioca su questo doppio aspetto di P.
    Le riesce congeniale perché la sua ricerca di patenti culturali si urta con una mancanza di spessore e di rigore che fatalmente la vanifica e a cui tenta di supplire con un affastellamento di tematiche orecchiate strumentalmente polemiche, atto a meravigliare e confondere. Tanto piu’ le diviene necessaria una patente di « scientificità » su quello che potrebbe suonare come un centone anacronistico. Lo dimostra la cura formale nella presentazione della finora irrintracciabile citazione. A quanto pare non sono la sola a non aver sinora potuto ritrovare il testo esatto della frase come avevo scritto all’epoca del post di febbraio. Dopotutto non sarebbe stato grave usare il discorso indiretto, invece di portare su una strada chiusa con riferimenti quantomeno poco verificabili. E se fosse un inedito, (o fosse rimasto sepolto in qualche vecchio articolo mai ripubblicato) perché non indicare dove e come lo si è letto? Tanta precisione apparente (virgolette, datazione con mese e anno, uso del corsivo anziché del tondo riservato al testo a imitazione parziale di una citazione bibliografica « scientifica », nome del destinatario in evidenza, ecc.) merita comunque una riflessione sulla necessità che le sta dietro, proprio perché si allontana, o meglio tenta di farlo, dall’uso standard del mezzo su cui era destinata a circolare.

  2. Quando la farlocca citazione sull’antifascismo “rabbioso” attribuita a Pasolini cominciò a girare cercai di spiegarmela. Eppure, nonostante le varie spiegazioni che cercavo di darmi, una cosa non tornava mai, insieme alle parole “arma di distrazione di massa”: l’uso dell’aggettivo “rabbioso”. Avrebbe mai potuto Pasolini usare l’aggettivo “rabbioso” in quel modo, così sbrigativo e approssimativo? Non solo e non tanto per il film del 1963, intitolato “La rabbia”, ma anche per il documentario televisivo del 1966 realizzato da Jean-André Fieschi e intitolato “Pasolini l’enragé”, ossia Pasolini l’arrabbiato.

    In uno dei momenti del film, Pasolini parla apertamente del concetto di rabbia, associandola alla rivolta, alla rivoluzione, alla Resistenza, al marxismo. Dice chiaramente: “In fondo la Resistenza è stata una sorta di grande rabbia organizzata, organizzata e impiantata soprattutto sull’ideologia marxista”. Questa sua definizione di “rabbia”, cioè di motore primario per una rivoluzione condivisa (innanzitutto contro il fascismo e la borghesia, evidentemente), serve a Pasolini per spiegare la mancanza di “arrabbiati” nell’Italia degli anni Sessanta.

    Per il Pasolini intervistato da Fieschi, i giovani (borghesi) del tempo trovavano conforto in uno schema di critica già pronto ma invecchiato – invecchiato “come tutti gli schemi” – quello della Resistenza e della cultura marxista italiana. Uno schema che non funzionava più perché il tempo l’aveva reso borghese. Quindi, per Pasolini, l’arrabbiato (principalmente giovane) “sent[iva] immediatamente il dovere di non essere arrabbiato, ma rivoluzionario”. Questo non vuol dire che Pasolini rinnegasse la rivoluzione, chiaramente. Voleva piuttosto indicare come il senso dell’essere “rivoluzionario” fosse stato svuotato, privato della rabbia come motore. Il “rivoluzionario” è qui associato a una forma di morale borghese, già sussunta dalla borghesia, tanto da permettere a certi “comunisti rivoluzionari italiani” di essere nient’altro che piccolo-borghesi “in doppio petto” schiacciati dai “dogmi” dell’ideologia marxista.

    Fin qui la lettura dell’antifascismo “rabbioso” potrebbe ancora trovare un suo senso, se non fosse che – come ricorda il titolo stesso del documentario – Pasolini rivendica la rabbia, la sua rabbia “non catalogabile”, e precisa che l’arrabbiato ideale, il “meraviglioso arrabbiato della tradizione storica”, è Socrate. Pasolini, a me pare, cerca cioè una strada per attualizzare e rinnovare la rabbia, renderla collettiva, cercando strumenti che portino alla rivolta e alla rivoluzione contro la borghesia. Questo non può voler dire disconoscere le forme di fascismo o la Resistenza.

    “Rabbioso” e “arrabbiato” hanno due significati differenti, ovviamente, ma proprio in questa differenza si è fondata la mia diffidenza nei confronti di quella citazione. Avrebbe mai potuto Pasolini usare la parola “rabbioso” nel 1973, lui che sul concetto di rabbia ci aveva costruito un discorso nella metà degli anni ‘60? Avrebbe mai potuto disconoscere la “rabbia” con tanto sdegno, medicalizzandola mi verrebbe da dire, sminuendola a una sorta di malattia animalesca e momentanea? Avrebbe potuto associare un antifascismo “rabbioso” alla classe dominante, se la rabbia è uno strumento (emotivo e politico) di azione che non fa gli interessi della borghesia? Avrebbe potuto Pasolini associare la rabbia, anche solo in una sua versione deformata, alla classe dominante che – si ricava dal suo ragionamento – mai potrebbe essere arrabbiata (e forse neanche “rabbiosa”)?

    Mi sono quindi concentrato sulle parole “antifascismo rabbioso” e le ho cercate ovunque nei testi di Pasolini che possiedo, nelle interviste e nei documentari. Non sono mai venute alla luce. Ho usato Google, ristretto i campi di ricerca. Quando è spuntata la prima volta quella citazione e quell’uso delle parole “antifascismo rabbioso” da parte di Pasolini? Prima del 29 gennaio 2017, non spunta nulla, da nessuna parte. In quel giorno, su Facebook si sono moltiplicati i post con la citazione: “Mi chiedo, caro Alberto…” accompagnata da foto di Pasolini e Moravia o di Pasolini e basta. Il più vecchio risultato che avevo ottenuto non è più online, ma era di un tale che lavora per il sito neofascista Oltre la Linea (ho ancora l’URL, se mai qualcun* volesse controllare da sé).

    La citazione, però, non era riferita a una fantomatica lettera del 1973 a Moravia, bensì recitava: «Pier Paolo Pasolini ad Alberto Moravia, “Incontro con…”, Rubrica Rai 1973, Trasmesso da Rai Storia».

    Cito qui, a mo’ d’esempio, l’uso che si modifica col tempo da parte di una stessa pagina Facebook, cioè «La Via Culturale», “network” fondato da Alessandro Catto. Il 31 gennaio 2017, La Via Culturale pubblica la citazione con gli stessi riferimenti che ho dato prima. L’11 luglio 2017, in un attacco di rimozione mnemonica, la stessa pagina Facebook pubblica la stessa citazione con riferimenti più generici da un punto di vista temporale ma più precisi rispetto al momento: «Pier Paolo Pasolini in una discussione con Alberto Moravia». Non sappiamo più quando, ma sappiamo che c’era una discussione tra Pasolini e Moravia.

    Ancor meglio fa la pagina Facebook «Il RossoBruno» che, addirittura, scrive che la citazione deriverebbe da “Pierpaolo [sic] Pasolini ad Alberto Moravia, Incontro con Ezra Pound, Rubrica Rai 1973, Trasmesso da Rai Storia”. Che cosa c’entri Ezra Pound non è chiaro; che cosa ci facesse Alberto Moravia tra Ezra Pound e Pier Paolo Pasolini e perché si parlasse di antifascismo italiano è un non-sense; come Ezra Pound potesse nel 1973 essere vivo, quand’è morto nel 1972, resta un miracolo divino; perché un’intervista di Pasolini a Pound del 1967 sia celebre e discussa ancora oggi e una rubrica RAI con Pound, Pasolini e presumibilmente Moravia del 1973 non la conosca nessuno è un mistero.

    Comunque sia, il 29 gennaio 2017 su RaiStoria, in tempi coincidenti con le prime apparizioni della citazione, andava in onda «Italiani con Paolo Mieli». Forse la puntata dedicata ad Alberto Moravia, «Appunti di viaggio», in cui effettivamente si parla dello scontro intellettuale tra Moravia e Pasolini ma, ovviamente, mai si citano quelle esatte parole. Né, a scanso di equivoci, se ne trova traccia nell’episodio dedicato a Pasolini stesso, «Il santo infame», recuperabile tranquillamente sul web.

    Sarà, invece, Antonio Marras per Il Secolo d’Italia a trasformare la citazione in uno stralcio di lettera il 12 dicembre 2017, quando – già da qualche mese – aveva cominciato a strabordare fuori da Facebook per via del disegno di legge contro la propaganda fascista, il c.d. DDL Fiano. Da quel momento in particolare, la citazione ha cominciato a viaggiare da sé perché, tanto, chi va a controllare le lettere di Pasolini, anche quelle non raccolte e pubblicate da Naldini? (Disclaimer: non esiste alcuna lettera scritta da Pasolini a Moravia che contenga quelle parole.)

    Una cosa è certa, in tutto questo: non solo nessun@ ha compiuto mai alcun lavoro di ricerca per portare alla luce la citazione (che su internet non si trova se non in forme ridicole), ma soprattutto nessun@ si è preso la briga di insegnare a Matteo Salvini che cos’è, davvero, la rabbia.

    Riferimenti vari:
    https://vimeo.com/186307940
    http://www.cinetecadibologna.it/files/stampa/settembre2008/pressbook%20%20La%20Rabbia%20di%20Pasolini%20%20ITALIANO%20definitivox.pdf
    https://www.staseraintv.com/programmi_domenica_29_gennaio_2017_rai_storia.html

    • Bravissimo. Il tuo approfondimento sulla genesi del meme conferma in pieno la matrice neofascista dell’operazione.

    • Bellissima storia che si legge appassionatamente e bellissimo risultato.
      A me interessava ritrovare il contesto della frase soprattutto per comprendere quel senso di anacronismo stridente e persistente che la lettura mi provocava. Anacronismo di contenuto e maldestra padronanza della forma che si vuole imitare sono spesso caratteristiche delle appropriazioni della destra. Tuttavia non sono andata al di là della verifica sui testi di Pasolini, che fra l’altro leggevo per la prima volta. A febbraio ero risalita alle edizioni delle singole opere, oltre al Meridiano che non mi sembrava completo. Credo che proprio non ci siano in volume lettere a Moravia con quella data. Restava il problema dell’inedito, o del non ripubblicato in volume. Ma non avevo pensato a fare il percorso a ritroso.
      Lascia effettivamente perplessi che nessuno studioso di P abbia pensato di verificare, magari a causa della diversità della sua produzione, nemmeno la fondazione. Poi magari si lamentano della barbarie ignorante che fa votare a destra.
      Fosse capitato a Tolkien forse non sarebbe passato.
      P.S.: La prossima volta Salvini potrebbe verificare un po’ meglio i suggerimenti letterari, certamente non gli mancheranno intorno persone avvertite e colte. In realtà l’uso della citazione poteva avere uno scopo meramente politico-elettorale, tanto quanto i vangeli coi rosari, giacché si era in campagna: rassicurare la coalizione sull’opposizione presente e soprattutto futura al ddl Fiano o misure analoghe più o meno ufficiali. In pratica un segnale di campo libero nelle azioni come nella rappresentazione culturale. Scopo raggiunto… e se si pensa oggi al possibile sottosegretario MIUR peggio mi sento.

    • Perdonatemi se esco (quasi) dal tema, ma questa analisi e la sintesi conseguente mi ha abbagliato per la sua lucidità.

  3. […] dei rossobruni. Si era già visto con il meme finto-pasoliniano «Vedi, caro Alberto…», nato e diffuso negli stessi ambienti per attaccare l’antifascismo. […]

  4. […] di destrorsi e rossobruni, e non sorprenderà vedere che l’abbiamo già incontrata: è la stessa che ha fabbricato una falsa citazione di Pasolini contro l’«antifascismo rabbioso», divenuta virale nell’inverno scorso e citata […]

  5. Segnalo che oggi, nonostante l’articolo su Internazionale e il commento di Yàdad, ha ricominciato a girare il falso del «Caro Alberto…», insieme ad altre citazioni.
    La pubblicazione del post è di Fronte dei Popoli (finché non verrà cancellato: https://www.facebook.com/frontelpopolo/posts/634156463618699).

    Il fatto che si tratti di Fronte dei popoli non solo chiarisce il frame del post (si tratta di una pagina rossobruna), ma aggiunge un motivo di interesse: Nicoletta Bourbaki ha scritto di quella pagina la settimana scorsa, nello smontaggio della falsa citazione di Samora Machel. Fronte dei Popoli, secondo le ricerche, sembra essere stata la prima pagina ad averla condivisa, nel dicembre 2016. Sempre Fronte dei Popoli ha poi “risposto”, indirettamente, all’inchiesta, quindi qualche amministratore deve averla letta. Non accuratamente, visto che Nicoletta scriveva:
    “Pochi giorni fa Yadad Da Guerre (@gendercard su Twitter) ha contribuito a smontare la falsa citazione pasoliniana del «Caro Alberto…» rintracciandone la genesi sui social network. Spoiler: nel replicare il suo modus operandi, sorprendentemente ci rendiamo conto che alcuni dei personaggi incontrati sono stranamente gli stessi.”
    https://medium.com/@nicolettabourbaki/machel-immigrazione-7310dd767b5

    Da un falso all’altro, pur sapendo che si tratta di una bufala: tutto pur di rinforzare le proprie argomentazioni, da una parte contro i migranti, dall’altra contro chi solidarizza con loro, gli antifascisti.

    • Visto che nei giorni scorsi “Fronte dei Popoli” (curioso “fronte”, composto da una sola persona) ha cancellato a man bassa una pletora di propri post e commenti imbarazzanti (dei quali però c’è lo screenshot), meglio immortalare anche quest’ultima “prodezza”.

      • Prima fonte, scientificissima:… il Secolo d’italia! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Apposto così. 😄

        Sull’invenzione e “perfezionamento” della frase-fake di #Pasolini, che il Secolo d’Italia non ha fatto altro che riprendere nel dicembre 2017 dalle pagine rossobrune dove circolava da almeno un anno – le pagine che adesso fanno il giro e completo e… citano il Secolo d’Italia come fonte! – rimandiamo ancora una volta alla minuziosa ricostruzione di Yàdad in questo stesso thread, pochi commenti più sopra.

  6. I neofascisti sono fascisti, dite, discostandovi da Pasolini. Concordo, ma poi non capisco il vostro sentimentale venerarne la sacra icona, trattare Petrolio come il Vangelo, ridimensionare le cantonate madornali non della persona ma del personaggio Pasolini, come giustamente lo chiamate. Manganelli ritrae bene Pasolini, indifendibile nella sua inconsistenza di pensatore e nella sua volgare e vuota retorica, rispondendo al suo intervento sull’aborto: http://www.rigabooks.it/antologie.php?idlanguage=1&id=239&idantologia=302.

    • L’articolo che in teoria stai commentando cerca di individuare i limiti e gli errori nell’approccio pasoliniano al concetto di “fascismo”, e critica la lettura del fascismo e dei fascisti – oltreché del passaggio dal “paleocapitalismo” al “neocapitalismo” – data da Pasolini durante la stagione “corsara” e anche in Petrolio. È un intervento *critico* nei confronti di Pasolini e, soprattutto, di chi ne cita sempre le stesse analisi come se fossero vangelo. Ergo, come tutti gli altri miei scritti su di lui, è anche una critica dell’icona-Pasolini. Al tempo stesso, però, difende Pasolini dalle falsificazioni, perché quelle sono inaccettabili e schifose. Dovrebbe essere evidente, non solo alla luce delle critiche appena ricordate, che difendere un intellettuale dalla falsificazione delle sue parole non c’entra nulla col “venerarlo”. Dovrebbe.

      • Scusate se non afferro, è che fate mostra di una singolare logica argomentativa difficile da abbracciare. Ben criticate le evidenti idiozie scritte dal personaggio Pasolini, per rispondere a dei deficienti fascisti che se ne servono demagogicamente. Ma se i fascisti posssono servirsene demagogicamente è solo perché sono idiozie scritte secondo la più vacua retorica, che appena possibile si abbeverano a luoghi comuni: il personaggio Pasolini, cioè l’intellettuale, ne è colpevole; singolarmente sentimentale il motivo che vi induce a giustificarlo in quanto persona, che ovviamente non c’entra in un discorso politico. Appellandovi al vostro induttivo test dell’oca, potreste forse concludere che servirsi di un’Icona equivale praticamente a venerarla. Così fatto il giro dell’oca vi ritroverete a passeggio con la demagogia tipicamente fascista dei vostri primi accusati.

        • Come vuoi tu. Grazie del prezioso parere.

        • Il punto, a mio avviso, è non manipolare Pasolini per giustificare il proprio essere squallidamente reazionari.
          Anche se non mi solletica l’idea di passare per agiografico, la retorica del tuo commento è, per utilizzare un eufemismo, fuori luogo.
          L’impulso teppistico di certe tue affermazioni inoltre, è di una superficialità disarmante:
          “idiozie scritte secondo la più vacua retorica, che appena possibile si abbeverano a luoghi comuni”
          “indifendibile nella sua inconsistenza di pensatore e nella sua volgare e vuota retorica.”
          Sutor, ne ultra crepidam!

  7. […] Nei giorni scorsi qualcuno ha provato a rimettere in circolazione il meme del «Caro Alberto», del quale ci siamo occupati un mese fa. […]