Speciale #PointLenana: Goffredo Fofi, Fahrenheit, Santo Peli, Buoni Presagi, salita al Mangart e visita alla tomba di Giuàn

Point Lenana sul Mangart

Point Lenana in cima al Mangart, Alpi Giulie, 2677 metri.
Spedizione Giap – Cavre, 12 agosto 2013, vedi il resoconto linkato nel post. Clicca sull’immagine per ingrandirla.

[WM1:] Anche ad agosto Point Lenana ha proseguito la sua marcia, tra presentazioni in quota e in piano, escursioni, recensioni, interviste che usciranno nel futuro prossimo su diversi quotidiani e periodici.
Con i Funambolique stiamo lavorando a Emilio Comici Blues, un reading musicale tratto dai capitoli del libro dove è protagonista il grande alpinista triestino (1901 – 1940). E’ un work in progress, lo stiamo presentando in giro per il Nord-Est in serate che sono vere e proprie “prove aperte”. Le prossime date, insieme a quelle delle presentazioni “normali” (ehm…) da qui a fine ottobre, sono nel calendario.
In questo nuovo speciale, il più ricco da quando è uscito il libro, proponiamo:

1) Una recensione illustre, quella uscita oggi stesso sulla rivista Internazionale a firma di Goffredo Fofi. A nostra memoria, è la prima volta che un libro targato “Wu Ming” lo convince, e ne siamo contenti. E’ una “felice scoperta” anche per noi.

2) Un’altra recensione illustre, in esclusiva per Giap: quella dello storico Santo Peli, autore – tra le altre pubblicazioni – di La Resistenza in Italia. Storia e critica (Einaudi, 2005) e Storia della Resistenza in Italia (Einaudi, 2006).

3) L’audio di una conversazione sulle montagne nella storia d’Italia andata in onda a Fahrenheit l’8 agosto scorso. Partecipanti: Wu Ming 1, Marco Armiero e Loredana Lipperini.

4) La vivace e narrativa recensione di Point Lenana apparsa sul blog Buoni Presagi.

5) Il resoconto con foto e video di un’ascensione al Mangart, Alpi Giulie, organizzata da WM1 e un gruppo di giapster, con tanto di reading in vetta. Il Mangart fu la prima cima delle Giulie raggiunta da Felice Benuzzi nell’estate del 1922.

6) Il resoconto con foto della visita di Valeria Isacchini al cimitero tanzaniano dove giace il dottor Giovanni “Giuàn” Balletto, uno dei protagonisti di Fuga sul Kenya.

7) Testimonianze fotografiche dell’usanza di portare copie di Point Lenana in cima alle montagne d’Italia e non solo.

Buona lettura. Ricordiamo che Point Lenana è anche su Pinterest e su Tumblr.

Da Internazionale, n. 1014, 23/29 agosto 2013:

Goffredo FofiSCALATA LUNGO LA STORIA
Wu Ming 1, Roberto Santachiara, Point Lenana, Einaudi Stile Libero, pp.596, euro 20,00.

E’ stato una ricca lettura estiva e una felice sorpresa questo Point Lenana che sovrasta ogni discorso sul realismo in letteratura perché si sposta decisamente dal fronte del romanzo a quello della storia. C’è ben poco di inventato, in questa ricostruzione istruttiva e appassionante di una vita, quella dell’alpinista Felice Benuzzi che, prigioniero di guerra degli inglesi in Africa, fuggì con due amici per scalare il Monte Kenya e tornare subito dopo al campo. Attraverso Benuzzi gli autori raccontano un tragico Novecento – Trieste, l’Austria, l’Istria, i Balcani, due guerre mondiali, fascismi e antifascismi, le guerre d’Africa e le oscenità dell’occupazione coloniale (suscitando nel lettore nuovo disgusto per le figure criminali di Badoglio e Graziani), il dopoguerra e la guerra fredda, le contraddizioni che stanno alla base della nostra storia attuale. Ma il perno, l’osso, la pietra angolare di Point Lenana, che è un picco del Monte Kenya, è l’amore per la montagna, un secolo di storia dell’alpinismo. C’è molto da imparare o da ricordare, molto di sanamente pedagogico in questa ricostruzione in cui le abilità del buon narrare sono lo strumento per accostare la storia al racconto come al tempo di Martin Guerre, senza niente concedere alle fantasticherie e alle astuzie degli scrittori in cerca del best-seller buono a tutto.

POINT LENANA E LA STORIA MILITANTE

di Santo Peli

Santo Peli

Santo Peli

Si arriva a p. 101 e…
“E dunque, che razza di libro è questo”? si chiede l’autore, forse mettendosi nei panni di qualche perplesso lettore, che fino a questo punto è stato erudito sulla biografia del triestino Felice Benuzzi, prigioniero in un campo di internanento inglese e protagonista di una scalata alla cima del monte Kenya (Point Lenana), ma che potrebbe, come me, essere ancora perplesso sul cammino intrapreso, e ancor più sulla meta.
Iil filo rosso, abbandonato e ripreso, in assoluta libertà compositiva, più e più volte, è costituito dalla biografia di Felice Benuzzi. Un libro scritto dall’alpinista-prigioniero, fa nascere un progetto di ricerca in
funzione di un libro; la prima tappa è costituita da una scalata dello stesso Wu Ming 1, che con alcuni compagni ripete l’impresa di Felice.
Durante il viaggio in Kenya il paesaggio origina ricordi storici, excursus sul colonialismo britannico, sulla rivolta dei Mau Mau, memorie di precedenti scalate, e questa procedura ci introduce al ritmo narrativo,
allo specifico tema dell’opera: attraversare la storia “di quattro imperi”, e della società e delle guerre europee e italiane, utilizzando come filo rosso le vicende biografiche di una molteplicità di personaggi
direttamente o indirettamente connessi alla vita di Felice Benuzzi, con una tecnica di montaggio che allarga e restringe continuamente il fuoco, che scorre dalla tassa sul macinato del neonato regno d’Italia alla questione dell’irredentismo, per giungere alla prima e seconda guerra mondiale, alla Resistenza, al dopoguerra.
Libertà compositiva, uso rigoroso delle fonti letterarie e storiche; materiale dunque eterogeneo, fuso in uno stile scorrevole, piacevolmente colloquiale ma sempre preciso nei riferimenti. Uno storico al lavoro, dunque, senza la palla al piede della nota a pie’ di pagina. Molta invidia e ammirazione, e intenso divertimento.
E dunque: “E’ un racconto di tanti racconti. Parla dell’Africa (di tante Afriche) e delle Alpi Giulie, parla di Italia e di «italianità», di esploratori e squadristi, di poeti e diplomatici, di guide alpine e guerriglieri. Attraversa i territori e la storia di quattro imperi. E’ un racconto di racconti di uomini che vagarono sui monti”.
E, aggiungo io, il racconto delle ricerche, delle scoperte, delle perplessità dell’autore mentre il libro sembra farsi sotto i nostri occhi, e dove la soggettività, la storia, la biografia del protagonista diviene a sua volta protagonista, sia pure assai discreta. E questa “liberazione della soggettività dell’autore” è un seconda caratteristica che fa di questo “libro di storia per tutti” un’avventura più godibile e coinvolgente di qualunque saggio di storia di taglio accademico. E’ forse la formula più felice, di quelle finora a me note, per risolvere il problema di una narrazione storica capace di coinvolgere un vasto pubblico, senza rinunciare alla precisione.
Storia partigiana, sia chiaro, decisamente partigiana. Storia militante, in un certo senso, se per “militante” si intende mettersi al servizio non di una “oggettiva verità”; al contrario militante nel campo del disvelamento della costruzione mitologica che il potere da sempre esercita per mascherare politiche di dominio e di sfruttamento, che nell’ignoranza, nella conquista della memoria hanno uno straordinario strumento. Smontare questo strumento, mettere in luce le retoriche, le strategie narrative del potere è dunque l’obiettivo di Wu Ming 1. E in questo senso siamo di fronte ad una storiografia militante.

Marco Armiero

Marco Armiero

L’8 agosto scorso la trasmissione di Radio 3 Fahrenheit ha ospitato Wu Ming 1 e lo storico dell’ambiente Marco Armiero, autore del saggio Le montagne della patria, Einaudi, Torino 2013.
Del libro di Armiero ci occupammo su Giap quando ne esisteva solo l’edizione britannica, intitolata A Rugged Nation.
Ecco la presentazione della puntata, tratta dal sito della trasmissione:

«Sulle nostre montagne sono accaduti momenti cruciali per la formazione della nostra identità nazionale. Il Risorgimento e la Grande guerra su tutti furono momenti che trovarono nel già duro scontro bellico proprio sui rilievi i loro momenti più duri ed eroici. Del rapporto tra le montagne e gli italiani si occupa il libro di Marco Armiero, Le montagne della patria (Einaudi), mentre ad altre montagne, quelle del Kenya, è dedicato Point Lenana (Einaudi), il romanzo dedicato alla figura dell’alpinista Felice Benuzzi scritto da Wu Ming 1 e Roberto Santachiara.»

Audio, Fahrenheit, 8 agosto 2013

Qui l’audio. La chiacchierata dura poco più di mezz’ora. In studio, Loredana Lipperini.

[Il genovese Alessandro Vicenzi, tenutario dello storico blog Buoni presagi, è un lettore e recensore attento e scrupoloso, con un approccio sovente “mimetico”. Padroneggia l’arte di scrivere recensioni che ripropongono la “cifra” e l’andamento dei libri esaminati, divenendone “prosecuzioni con altri mezzi”.  Ne ha appena dato felice prova occupandosi di Point Lenana. La sua è una recensione digressiva e fortemente aneddotica, spezzata in due da un ricordo personale legato alla lacerata, irrisolta storia di Trieste. Buona lettura.]

Una teoria formulata anni fa da un mio amico sostiene che dato un campo dell’agire umano c’è probabilmente un italiano che ha fatto qualcosa di straordinario di cui i suoi compatrioti sono per lo più all’oscuro. Era nata mi pare la prima volta che aveva sentito parlare di Perlasca, ma si adatta benissimo alla storia di Felice Benuzzi, Giovanni Balletto, Vincenzo Barsotti, che nel 1942, prigionieri di guerra in un campo inglese in Kenya, evasero per scalare (i primi due erano alpinisti, il terzo era solo incuriosito dall’impresa) il monte omonimo, che si vedeva attraverso i reticolati e di cui non sapevano quasi niente. Ci riuscirono un po’ per il rotto della cuffia, piantarono un tricolore su una cima secondaria invece che su quella principale resa inaffrontabile dal maltempo e poi tornarono al campo a consegnarsi, che l’idea di raggiungere territori non controllati dagli inglesi era impraticabile.

Benuzzi raccontò questa storia in un libro, Fuga sul Kenya la cui edizione inglese (No Picnic on Mount Kenya) ebbe e ha ancora una buona diffusione mentre quella italiana non è mai uscita dal circolo degli amanti di libri di montagna.
Il racconto di come Wu Ming 1 sia finito a raccontare, insieme a Roberto Santachiara (quello di Published in arrangement with Santachiara Literary Agency in fondo agli articoli di Saviano qualche anno fa, per intenderci; uno dei più importanti agenti letterari italiani, se non il più importante) (ne avete forse sentito parlare in qualche discussione sugli ebook) non questa storia ma tutto quello che poteva servire a capirne le origini, il contesto e le conseguenze è il primo capitolo di Point Lenana – che comprende anche un’escursione sulla punta Lenana dei due autori.
 Point Lenana non è una riscrittura del libro di Benuzzi (che è stato ristampato poco prima da Corbaccio) ma piuttosto quello che in inglese si definirebbe un “companion”, come quei libri che danno al lettore curioso gli strumenti per cogliere tutti i riferimenti, per dire, nei libri di Tolkien. Solo che non è organizzato in modo enciclopedico, ma come un racconto che spazia dalla nascita di Benuzzi nella Vienna imperiale fino alla sua scomparsa negli anni Settanta (in ordine non strettamente cronologico). In mezzo, si può raccontare di colonialismo italiano, della guerriglia dei Mau Mau, della questione di Trieste irredenta, della nascita del fascismo, di un assurdo film ispirato alla vicenda di Benuzzi, del destino dei suoi compagni, della storia dell’alpinismo novecentesco… La vita di Benuzzi è quasi come quella di un personaggio-vettore (pensate al meccanismo di Forrest Gump) che tocca tanti punti sensibili degni di approfondimento nella storia del XX secolo.

INTERVALLO: La strage di via Ghega a Trieste

Uno dei protagonisti del libro è la città di Trieste, dove Benuzzi è cresciuto. Come ho accennato sopra, se ne racconta la storia sospesa fino al 1954 tra Italia, impero austro-ungarico prima e Jugoslavia poi. Con la parentesi del dominio nazista, che fece in tempo a regalare alla città l’unico campo di sterminio con forno crematorio attivo su quello che sarebbe poi diventato territorio italiano, la Risiera di San Sabba.
A Trieste ci sono stato con Lucilla la scorsa primavera; doveva essere la prima tappa del viaggio in Polonia, poi ci siamo resi conto che era impossibile da fare senza perdere un sacco di tempo per arrivare da Trieste alla Polonia e abbiamo cambiato i piani. Non ho mai fatto un post di viaggio perché ci stati neanche 48 ore e poi finiva che me la cavavo con uno o due post invece che con dodicimila e allora non c’era gusto. Però Trieste è bellissima e spero di tornarci (anche perché non c’era nemmeno una bava di vento e mi sono sentito un po’ defraudato dell’esperienza completa).
 Comunque. Alla Risiera (che adesso confina con un Lidl o poco ci manca) c’è una bella mostra che ricostruisce la storia dell’occupazione nazista, i progetti di pulizia etnica dagli slavi, il funzionamento del campo. Ci sono lettere strazianti di condannati a morte, una straordinaria per compostezza e dolcezza. C’è anche una teca che una volta conteneva la mazza usata dal boia per eventuali colpi di grazia. Oggi c’è una replica, fatta da un artigiano genovese, perché l’originale è stata rubata negli anni ’80; c’è anche una fotocopia del biglietto lasciato dai nazisti che la portarono via.

Strage di via Ghega

Tra le altre, vediamo queste foto impressionanti di decine di persone appese nell’androne di un palazzo. Una rappresaglia nazista: cinquantuno prigionieri, italiani e sloveni, impiccati per un attentato in cui avevano perso la vita cinque soldati tedeschi (per avere la fama di inflessibili precisini, i nazisti quando si trattava di rappresaglie sembra avessero la tendenza a stare abbondanti come un salumaio disonesto). Guardiamo la didascalia e sbianchiamo. Via Ghega. La stessa via del nostro albergo. Non lo stesso palazzo per fortuna, ma quello di fronte. Dalle finestre, la sera, vediamo le finestre da cui hanno penzolato cadaveri di uomini e donne.
Oggi il palazzo ospita il Conservatorio, una targa sulla facciata ricorda l’evento.
 A Genova o a Bologna capita di passare davanti a lapidi che ricordano uno o più partigiani fucilati in quel punto. Ma davanti al luogo di una strage di quelle dimensioni (immagino le urla, i pianti, i rumori) non ero mai passato. “Questa città sanguina storia” mi viene da dire parafrasando il titolo di un capitolo di Maus.

Point Lenana è un libro di storie che è, allo stesso tempo, un libro di storia che si occupa in larga parte di colonialismo, di imperi e della loro dissoluzione: si dissolve quello austro-ungarico e ci finisce in mezzo Trieste, gli italiani cercano di creare il loro creando la Libia da territori rosicchiati all’impero ottomano, è un’impero quello etiope, è una tarda guerra coloniale quella degli inglesi contro i Mau Mau in Kenya dopo la seconda guerra mondiale.
Racconta di fascismo e antifascismo da una prospettiva relativamente inedita: di “antifascismo esistenziale”, cioè delle strategie di resistenza personali, “umane”, alla fascistizzazione della vita quotidiana si parla solo dal 1995, e il concetto aggiunge profondità e problematizza alcuni dei personaggi di cui si occupa il volume, nominalmente facenti parte delle strutture di regime (Benuzzi è in Africa come funzionario coloniale, allo scoppio della guerra) ma caratterizzati da scelte di vita estranee al regime (è sposato con una donna ebrea).
Racconta di montagna e di montagne; uno dei “coprotagonisti”, per così dire, una figura importante per la formazione di Benuzzi e di cui si racconta molto, è Emilio Comici, alpinista triestino morto nel 1940 che fu una delle figure di spicco dell’alpinismo italiano e un innovatore dell’approcio all’arrampicata (su youtube lo si può vedere in azione in almeno due video).
Racconta anche degli autori, del processo che porta al farsi del libro, dall’arrivo tra le mani di Wu Ming 1 di una copia di Fuga sul Kenya alle interviste con i parenti dei protagonisti, persino un fortuito contatto con un discendente del direttore del campo di prigionia kenyota, nato da una recensione al film che negli anni novanta fu tratto (con licenze artistiche che sconfinano nel ridicolo) dalla vicenda.
È un libro in cui ci sono tantissime cose, vuole essere il senso di questo parziale elenco; e in questa sua natura enciclopedica, multiforme (i registri variano molto, a seconda della materia trattata; ci sono anche brevi scambi di battute, inseriti per spiegare e “umanizzare” passaggi e decisioni storiche, che potrebbero essere delle vignette) e variegata stanno sia i pregi del volume sia i suoi difetti.
Chi è, infatti, il lettore di qualcosa del genere? Alla presentazione bolognese patrocinata dal CAI c’è stato un momento in cui dal pubblico si sono alzate lamentele di qualcuno che, mentre si parlava di Graziani e dei crimini di guerra del colonialismo italiano, ha sbottato “parliamo di montagna!”. Il fatto che l’interruzione sia arrivata proprio in quel momento non è stato casuale e ha rivelato, da scambi successivi tra platea e relatori, il fatto che in sala c’era chi si sentiva a disagio a vedere contestata l’idea degli “italiani brava gente” (avete mai sentito qualcuno dire per davvero “E ALLORA LE FOIBE?” mentre si ricordano i crimini fascisti? Ecco, lì è successo); però al di là di nostalgie e patriottismi, posso capire che chi si aspetti un libro “di montagna” possa rimanere deluso e confuso da quello che trova nel libro. I lettori curiosi, onnivori, aperti all’idea di un “oggetto narrativo” che saltabecchi tra i luoghi, le epoche e gli stili si troveranno a loro agio e si godranno un lungo racconto scritto con grande limpidezza. Per gli altri, invece, la densità e l’esplosione di storie a partire dalla scalata della punta Lenana, potrebbero essere un ostacolo.
Point Lenana trasforma, come detto nel finale, Fuga sul Kenya in un ipertesto rendendo “cliccabili” le parole chiave, ma è altrettanto vero che il libro di WM1 e Santachiara è a sua volta uno sguardo a volo d’uccello su molti dei temi trattati. È infatti impossibile immaginare che possa esaurire argomenti come l’irridentismo trientino, il colonialismo italiano o la rivolta dei Mau Mau (eventi con le cui conseguenze il mondo contemporaneo convive ancora): è un punto di partenza per chi voglia approfondire e la robustissima bibliografia che chiude il tomo è lì a dimostrarlo.

Wu Ming 1 sul Mangart

Wu Ming 1 sulla via normale del Mangart, Spedizione Giap – Cavre, 12 agosto 2013. Clicca sull’immagine per ingrandirla.

Il 12 agosto scorso Wu Ming 1, Lo.Fi, Tuco, RikuTrulla e altre/i giapster nonché membri del gruppo escursionistico triestino “Le Cavre” [le Capre] salgono sul Mangart, quarta vetta delle Alpi Giulie, montagna attraversata dal confine-non-più-frontiera tra Italia e Slovenia.
Per l’ennesima volta e sull’ennesima montagna, WM1 segue le orme di Felice Benuzzi.
In una luminosa mattina dell’estate 1922 il dodicenne Felice, guidato dal padre Giovanni (“Nino”), salì sul Mangart e vide, in alto sulla pianura friulana, un improvviso e strano luccichio. Nino ipotizzò fosse un riflesso dell’arcangelo dorato in cima al campanile di Santa Maria di Castello, Udine.

Campanile della Chiesa di Santa Maria di Castello, Udine

Novantun anni dopo, benché la giornata sia meno baciata dal sole, la spedizione Giap – Cavre avvista lo stesso bagliore, nello stesso punto, e lo fotografa.

Questo e altro nel resoconto scritto da Lo.Fi. sul tumblr di Point Lenana.

Libro di vetta del Mangart

 

Fughe di Valeria Isacchini[WM1:] All’incirca un mese fa la scrittrice Valeria Isacchini, autrice del libro Fughe (Mursia, 2012) dove si racconta anche di Benuzzi e dei suoi compagni di evasione, si è recata in Tanzania, nei pressi di Moshi, in cerca della tomba di Giuàn Balletto.
Si tratta di un cimitero greco-ortodosso. Giuàn fu – almeno fino a una certa fase della sua vita – un cattolico osservante, ma (come raccontiamo in Point Lenana) morì suicida e la locale chiesa cattolica si rifiutò di seppellirlo nel suo camposanto.
Per gentile concessione di Valeria, vi proponiamo il suo resoconto, con le foto che ha scattato. Il testo era in inglese perché indirizzato anche ad Adrian Balletto, nipote di Giuàn che non legge l’italiano. La traduzione è mia.
Isacchini, come saprà chi ha letto i suoi libri o i suoi contributi apparsi sul web, ha posizioni e sensibilità distanti dalle nostre. Eppure, durante e dopo la stesura di Point Lenana c’è stato un cortese scambio di informazioni e consigli bibliografici. Comportarsi così non è da tutti. Infatti nel libro è citata, sia nel testo sia nei “Titoli di coda”.
Quando, in segno di ringraziamento, le ho inviato una copia con dedica, le ho scritto via email queste righe: «Leggendo Fughe ho avuto momenti di intensa dissonanza (politica, di interpretazione storica etc.) Cosa che però non mi ha impedito di godermi il testo, il ritmo, le storie raccontate. Sono sicuro che succederà lo stesso a Lei per Point Lenana

«Ad Arusha ho preso una corriera per Moshi. Le parole in Swahili che mi ha insegnato, makaburini [cimitero, N.d.R.] e kaburi [tomba, N.d.R.], mi sono state molto utili, dato che nel distretto di Arusha poche persone sembrano comprendere l’inglese. L’autista della corriera mi è parso divertito del fatto che una turista andasse in cerca di un makaburini, perché ha sorriso poi ha detto qualcosa agli altri passeggeri, e tutti si sono messi a ridere…
Il cimitero è malconcio, trovare la tomba non è stato semplice con tutti quei cespugli.»

«Per fortuna mi ha aiutata una signora (di madre britannica e padre tanzaniano), che ha chiesto al custode di trovarla. Non era in buone condizioni, come può vedere. Allego alcune foto, anche se non sono granché. Il giorno prima, sono stata derubata della mia macchina fotografica. Era la prima volta che mi succedeva in tutti i viaggi che ho fatto da sola, quindi penso – e spero – di aver pagato il mio debito alla statistica.»

«Tempo fa qualcuno ha tagliato l’albero dietro la tomba per fare legname e un ramo, cadendo, ha rotto la lapide. Ho estirpato e rimosso l’erba, e ho cercato di pulirla per quanto possibile. Non è facile leggere il nome.»

«Non ero certa di trovare fiori nei pressi del camposanto (e invece ho trovato un cespuglio di bouganville lungo la strada), così mi sono portata da casa dei fiori di seta (violette africane).»

«Ho raccontato un po’ di Giovanni alla signora e al custode, e quest’ultimo mi ha detto che Giovanni aveva una moglie nativa, Sabina, che vive ancora a Marango, dalla quale ha avuto un figlio [John Balletto, oggi vive ad Arusha e fa l’organizzatore e guida di safari, N.d.R.]»

«La signora ha detto: “Voi Europei vi prendete cura delle tombe”. In Africa è un’usanza un po’ strana, come certamente Giovanni ben sapeva.»

 Su Twitter vediamo due modalità di lettura attiva e condivisa di #PointLenana: foto di brani con commento e (bellissimo!) foto del libro in montagna.
Il primo ad avere l’idea di fotografare il libro su una vetta, se non sbagliamo, è stato Simone Vecchioni. La cima era quella del Monte Vettore (2476 metri, vetta più alta delle Marche).

Le foto di #PointLenana sulle cime sembrano dire che, anche in tempi di ebook, l’oggetto-libro mantiene una sua forza simbolica e specificità. Specificità. Ci sono alcune cose che si possono fare con un libro elettronico e non si possono fare con uno di carta, ma qui ci concentriamo sul “viceversa”.

Ecco alcuni esempi:

Point Lenana sul Kilimanjaro

Il giapster Raffaele Coriglione si è portato il libro fino all’Uhuru Peak del Kilimanjaro. Finora è il record di altitudine.

Paola di Giulio si è portata Point Lenana sul Corno del Renon

La giapster Paola di Giulio si è portata Point Lenana sul Corno del Renon, 2261 metri, sulle Alpi Sarentine, a nord di Bolzano.

Chiara si è portata Point Lenana in Val d'Ayas, alle pendici del Monte Rosa.

Chiara si è portata Point Lenana sul Testa Grigia, 3315 metri, Alpi del Monte Rosa. Il Testa Grigia è sullo sfondo, la foto è del giorno precedente l’ascensione.

Tony si è portato il libro sul colle della mologna grande,tra l'alto biellese e la valle di gressoney.

Tony si è portato il libro sul Colle della Mologna Grande, 2364 metri, Alpi Biellesi.

Questo modo di far vivere il libro sulle rocce, di trasformare il libro stesso in “alpinista”, ci piace molto, e speriamo di ricevere altre foto.

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7 commenti su “Speciale #PointLenana: Goffredo Fofi, Fahrenheit, Santo Peli, Buoni Presagi, salita al Mangart e visita alla tomba di Giuàn

  1. Molto emozionante vedere la tomba di Giuàn, con la sua iscrizione, emergere da così lontano. Perché pare di toccare un racconto con le nostre mani, per la persona che era, per la vita che ha scelto e per quella incredibile scappata di libertà e di aria che si presero dal campo di prigionia. E sì, anche per la grande tristezza della sua morte.

  2. Mi sono sempre chiesto: com’è possibile che nel mondo esistano fascisti e nazisti? Nella mia testa è inconcepibile l’idea dell’esistenza di una tale mentalità. Eppure alle medie avevo un compagno di classe che ogni giorno inneggiava al duce, i muri di molte strade glorificano al fascismo, e oggi una persona a me cara condivide un articolo su facebook, dove si spiega che l’olocausto non è mai esistito. Io ogni volta rimango interdetto, non so cosa fare, non so cosa rispondere. Non sono più l’ingenuo ragazzino delle medie che non ha reale coscienza di quello che può essere il più grande massacro di tutti i tempi. Adesso che ho trentanni alle spalle, molti libri letti sull’argomento, ora che ho tra le mani Point Lenana, mi sento ancora impotente, il massimo che sono riuscito a fare e commentare con una foto di una fossa comune. Ma il mio cuore è infranto pensando che questa persona qualche settimana fa dormiva sul divano di casa mia. Il sangue mi va al cervello e penso MA COME CAZZO E’ POSSIBILE. Ancora oggi mentalità fasciste e naziste invadono la mente delle persone, ed io non ho una risposta.

    Scusate lo sfogo e l’OT.

  3. Ho finito di leggere Point Lenana. Bello, bellissimo.
    Mentre lo leggevo, continuava a passarmi per la mente che nella biografia di malcolm X si accennava ai bombardamenti degli italiani in Abissinia e la cosa mi intrigava. Dopo una ricerca, ho trovato quel passaggio del libro, ed è ancora più “pesante” di quello che ricrdassi, eccolo (Autobiografia di Malcolm X, Bur 2004, p. 223):

    – Ricordo che, inaspettatamente, una buona occasione mi fu offerta da un dibattito su questo argomento: “Servizio militare obbligatorio o no?”. Il mio contraddittore alzava lamenti sugli abissini che scagliavano pietre e lance contro gli aerei italiani, credendo così di “provare” la necessità del servizio militare obbligatorio. Io ribattevo che la carne nera degli abissini era stata spappolata contro gli alberi dalle bombe che il papa di Roma aveva benedetto e che essi
    avrebbero scagliato persino i loro corpi contro gli aereoplani perché si erano accorti che stavano combattendo contro il diavolo incarnato”.

  4. Vedendo le foto della tomba di Comici, delle altre tombe (Balletto, Benuzzi a Dro), le foto della scalata-tributo a Comici, mi è venuta in mente la tesi VI di Benjamin:

    ‘Articolare storicamente il passato non significa conoscerlo «come propriamente è stato». Significa impadronirsi di un ricordo come esso balena nell’istante di un pericolo. Per il materialismo storico si tratta di fissare l’immagine del passato come essa si presenta improvvisamente al soggetto storico nel momento del pericolo. Il pericolo sovrasta tanto il patrimonio della tradizione quanto coloro che lo ricevono. Esso è lo stesso per entrambi: di ridursi a strumento
    della classe dominante. In ogni epoca bisogna cercare di strappare la tradizione al conformismo che è in procinto di sopraffarla. Il Messia non viene solo come redentore, ma come vincitore dell’Anticristo. Solo quello storico ha il dono di accendere nel passato la favilla della speranza, che è penetrato dall’idea che anche i morti non saranno al
    sicuro dal nemico, se egli vince. E questo nemico non ha smesso di vincere.’

    Messianismo a parte, l’azione di messa in sicurezza dei ‘nostri’ morti (dalla sopraffazione conformista ad opera del nemico) che caratterizza Point Lenana e il corollario “keep your ass on the road” tour è straordinaria, a dir poco. Grande WM1.

  5. […] della pratica di fotografare #PointLenana sulle cime avevamo già parlato nello scorso speciale sul libro. In quell’occasione avevamo […]

  6. Finito.
    Il libro nel complesso mi è piaciuto molto. Ci sono delle parti che mi hanno deluso un po’, ma la maggior parte del libro è entusiasmante. E’ un grande pregio perché in fin dei conti è molto più simile a un saggio che a un romanzo. Il libro mi ha accompagnato per molto tempo, in vari luoghi. Ho visitato Trieste, passando per la grotta gigante, e chiedendomi se Comici fosse passato di qui essendo stato speleologo, arrivando fino a “visitare” le tre cime di Lavaredo. Grazie a Wu Ming 1 e a Santachiara che hanno messo alla luce tante storie, in un mix incredibile di vicende e crudeltà Italiane. Del libro rimane tanto, dalla vergogna italiana per l’uso delle armi chimiche in Etiopia, alla volontà di saperne di più sulle verità taciute della recente storia Africana, ma ciò che rimane più impresso sono gli uomini, anzi Uomini in primis Benuzzi e Comici.

    Rinnovo il mio invito: io ho voglia di saperne di più sui mau mau, e una storia targata Wu Ming sarebbe perfetta. Al prossimo libro.

  7. Visto che la recensione citata parla di palazzo Rittmeyer a Trieste (il conservatorio), segnalo che l’albergo difronte al luogo della strage ha ospitato nel 2001 un’assemblea dell’estrema destra italiana e tedesca -Fronte nazionale (forza nuova e fiamma tricolore) e Npd- e sempre in via Ghega si trova l’ “istituto” Panzarasa, museo repubblichino inaugurato nel 2010! Intanto la sede della famigerata banda Collotti (Ispettorato Speciale di Pubblica Sicurezza per la Venezia Giulia) in via Cologna è abbandonata e la provincia vuole venderla, mentre la Villa Triste di via Bellosguardo è stata demolita per lasciare spazio a condomini.