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Antonio Gramsci

Quando le eteronavi atterravano a Torino. Antonio Gramsci e la “quistione bogdanoviana”.

Targa in piazza Sapožkovaja, a Mosca, sulla sede del Comitato Esecutivo dell’Internazionale:
«In questo palazzo, nel 1922-23, lavorò un personaggio chiave del comunismo internazionale e del movimento dei lavoratori, il fondatore del partito comunista italiano, ANTONIO GRAMSCI»

[Nei titoli di coda di Proletkult abbiamo accennato alla «misteriosa traduzione a quattro mani di Stella Rossa» che Antonio Gramsci avrebbe completato insieme a Julja Šucht. Ma gli incontri ravvicinati del quinto tipo tra il marxista italiano più studiato nel mondo e i socialisti marziani di Aleksandr Bogdanov, non si limitano a questo, come vedremo nell’articolo che inizia qui sotto e prosegue sul sito della casa editrice Einaudi. Buona lettura!]

 

di Wu Ming 2

Il 2 giugno 1922, Antonio Gramsci arriva a Mosca, in treno da Berlino, con la delegazione del Partito Comunista d’Italia, capitanata da Amadeo Bordiga, per partecipare agli incontri del Comitato Esecutivo dell’Internazionale. A Torino, ha lasciato una situazione drammatica, con le squadracce fasciste in piena attività, e in Russia non lo attendono mesi di riposo. Sa che Zinov’ev e i bolscevichi, per fronteggiare l’onda nera, chiederanno ai comunisti italiani di tornare insieme ai socialisti, che nel frattempo hanno espulso Turati. Sa che Bordiga non ne vuole sapere, Nenni neppure, e a lui toccherà tentare mediazioni impossibili. Per di più, anche il clima di Mosca non è per niente piacevole: fame per le strade, caldo afoso nell’aria e l’apprensione per la salute di Lenin, che una settimana prima ha avuto un colpo apoplettico.

Il risultato è che s’ammala pure Gramsci, tanto che a luglio lo mandano a riprendersi in un bel sanatorio dal nome evocativo: Serebrjanyj Bor, Pineta d’Argento. Qui conosce Evgenija Šucht, segretaria di Nadja Krupskaja, figlia di un vecchio amico di Lenin e ricoverata per una paresi alle gambe. Ma soprattutto conosce sua sorella Julja, nata a Ginevra, vissuta a Roma e diplomata in violino al conservatorio di Santa Cecilia.

Sul colpo di fulmine che scocca in quei giorni d’estate tra Antonio e Julja/Giulia sono state scritte decine di pagine, ma soltanto due studiose – almeno a nostra conoscenza – si sono occupate dei risvolti “bogdanoviani” della loro relazione. Sono Maria Luisa Righi (Gramsci a Mosca tra amori e politica (1922-1923), in «Studi Storici», a. 52, 2011, 4, pp. 1005-1008) e soprattutto Noemi Ghetti, nel suo libro La cartolina di Gramsci. A Mosca, tra politica e amori, 1922-1924 (Donzelli, 2016).

Prosegue su Einaudi.it >>>

#Proletkult, prima ristampa. Grazie a tutte quanti!


La mattina del 6 novembre, a quindici giorni dall’uscita in libreria, Einaudi Stile Libero ha deciso di ristampare Proletkult, dopo una prima tiratura di 35.000 copie. Questo non significa che siano state tutte vendute, ma certo la maggior parte è stata distribuita, su e giù per lo Stivale, ed è già un risultato incoraggiante, per il quale ringraziamo giapsters, lettrici e lettori.

Nel frattempo, è partito anche il ProleTour, con incontri molto partecipati e forieri di novità, mentre si è iniziato a parlare del romanzo in radio, sulla carta stampata e negli spazi online che si occupano di libri.

Qui di seguito, la rassegna di quel che è uscito finora, dopo le primissime recensioni e interviste che già segnalammo ai primi di novembre. Prosegui la lettura ›

«Come si dice “partigiano” in tedesco?» (Tanti auguri a Mario Fiorentini)

diario_1912[Il 7 novembre scorso ha compiuto 95 anni Mario Fiorentini, partigiano comunista, comandante del Gap centrale “Gramsci”, “assessore alla Cultura della Roma occupata”, secondo la definizione di Rosario Bentivegna.
Anni fa, Mario Fiorentini mise Lorenzo Teodonio e Carlo Costa sulle tracce di un partigiano molto particolare, Giorgio Marincola, contribuendo così a quel “progetto transmediale multiautore” che ha visto nascere Razza Partigiana, Quale Razza, Basta uno sparo e Timira.
Per fargli gli auguri di compleanno, Lorenzo Teodonio ci ha mandato il testo che segue, inizio di un lungo saggio (ancora in fieri) che il collettivo “Razza Partigiana” dedica al rapporto fra politica e città. Si analizza la formazione politica di tre scrittori/filosofi come Gramsci, Slataper (cfr. Point Lenana) e Michelstaetder nell’Italietta giolittiana. Quasi coetanei e provenienti da zone periferiche, i tre si sono formati in città (Firenze per i due giuliani, Torino per il sardo) sviluppando fra loro risonanze carsiche.]

Ma come si dice partigiano, in tedesco?

di Lorenzo Teodonio

«Le ineffabili “terze pagine” del conservatorismo considerarono perfino il pensiero molle troppo osé: lì ha dominato e domina la necrosofia mitteleuropea della Magris Company. Per un lungo periodo, scorrendo “Il Corriere”, sembrò di leggere, nelle sue “terze pagine”, il malessere di un club di zitelle della Bassa Sassonia o, ancor peggio, l’infelicità di una piccola comunità di ebrei rumeni.»

E davvero la Magris Company rimanda a un’idea di Mitteleuropa infelice, mediocre, lagnosa, ben lontana dall’idea di resistenza che l’autore del precedente brano (Antonio Negri, La differenza italiana , Nottetempo, 2005) vuole invece esaltare in quegli scrittori/filosofi nati da qualche parte fra Trieste e il Baltico. Prosegui la lettura ›

Disintossicare l’Evento, ovvero: Come si racconta una rivoluzione?

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[Si conclude la pubblicazione su Giap degli interventi fatti da WM1 e WM2 alla UNC (University of North Carolina) di Chapel Hill, il 5 aprile scorso. Dopo quello di Wu Ming 1 (“Siamo tutti il febbraio del 1917, ovvero: A che somiglia una rivoluzione”), ecco quello di Wu Ming 2, che fa tesoro di molte discussioni svoltesi su Giap (a cominciare da quella sulle “narrazioni tossiche”).
Le versioni italiane di entrambi gli interventi sono disponibili in un unico pdf. Quelle in inglese in due pdf separati (vedi in calce a questo post).]

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A novembre dell’anno 2010, quando abbiamo proposto il titolo per questa conferenza [*], il problema di distinguere una rivoluzione da qualcos’altro non era di particolare attualità: lo avevamo scelto con un occhio alla nostra produzione di romanzi storici, dove abbiamo raccontato rivolte, rivoluzioni e guerre d’indipendenza.

Nel frattempo, però, i tumulti sono tornati di moda, come non accadeva da oltre vent’anni, e giornali e riviste sono inondati di articoli dove ci si chiede se in Tunisia o in Libia sia in corso una rivoluzione, se il Bahrein, l’Oman o la Siria ne conosceranno davvero una, e via discorrendo. Prosegui la lettura ›

Per Bruno Fanciullacci

A Firenze è un “largo”, a Pontassieve una “via”. Largo e Via Bruno Fanciullacci. Due targhe inaugurate di recente (2002 e 2003), tra polemiche politiche e querele incrociate. Fanciullacci fu un partigiano gappista, medaglia d’oro della Resistenza. Alcuni lo ritengono un killer (“l’assassino di Giovanni Gentile”), altri – noi compresi – un eroe. Pochi sinora lo hanno considerato un filosofo. E’ tempo di omaggiarlo in quella veste.

Sì, filosofo. Una nomea da riscattare, dopo anni di utilizzi arrischiati tipo “il filosofo Rocco Buttiglione”, di torpore accademico e convegni trascorsi a spaccare in sedici il pelo trovato nell’uovo. La filosofia, la prassi del filosofare, deve tornare nelle strade, le strade dove stanziava Socrate, dove viveva come un clochard Diogene detto “il Cane”. Non c’è bisogno di imitare quest’ultimo e dormire in una botte: è sufficiente abbattere gli steccati tra quel che si dice e quel che si fa. Vivere eticamente.

Bruno studia da autodidatta, nel fatiscente carcere di Castelfranco Emilia. Mentre sopporta angherie e privazioni e si rovina per sempre la salute, discute di economia, storia e ingiustizie secolari. Tra i detenuti circolano, ben occultati o mandati a memoria, testi di Marx, Engels, Labriola. Sono gli anni dal 1938 al 1942, Bruno è appena un ragazzo, arrestato ancora minorenne per aver distribuito stampa clandestina antifascista. Aveva un buon lavoro in un hotel di Firenze, poteva farsi i cazzi suoi nel comfort della “zona grigia”, e invece ha scelto l’opposizione al regime. Da bambino, nel pistoiese, ha visto le camicie nere angariare suo padre e costringerlo a trasferirsi con tutta la famiglia. L’antifascismo è una scelta di vita. Prosegui la lettura ›