Il Varco, gli EFA e un documentario sulla Wu Ming Foundation.

Il Varco è un film di finzione costruito con immagini d’archivio. In un certo senso, è il contrario di quel che si fa di solito nell’ibridazione cinematografica tra fiction e realtà, dove a farla da padrone sono le storie vere raccontate con attori, riprese in esterni, set ricostruiti in studio ed effetti speciali.

Qui invece c’è una storia inventata – quella di un soldato fascista che va a combattere in Russia con lo CSIR, nell’estate del ’41 – raccontata attraverso un montaggio di pellicole amatoriali e cinegiornali.

Wu Ming 2 ha contribuito alla sceneggiatura e alla scrittura della voce off, anch’essa frutto, in buona parte, di un remix da diari di protagonisti di quella spedizione. Proprio per questa sua natura, tutta basata sull’assemblaggio di filmati e parole, siamo lieti che il film abbia vinto il premio per il montaggio della European Film Academy – i cosiddetti “Oscar europei”, il riconoscimento continentale più prestigioso. Tra l’altro, come ha detto Marion Döring alla cerimonia di premiazione on line, è la prima volta che il premio va a un “documentario” – anche se Il Varco non è affatto un documentario.

Wim Wenders, nel consegnare a distanza la statuetta a Maria Fantastica Valmori ha detto: “Sono rimasto ipnotizzato dallo scorrere del film, e dal modo in cui hai ridato vita alle immagini d’archivio. Hai fuso finzione e realtà in un modo sorprendente. Ho visto di rado un film più convincente e toccante di questo sull’assurdità della guerra.” A leggere la motivazione ufficiale è intervenuto invece Jonathan Morris, il montatore di tanti film di Ken Loach, da Riff Raff a Sorry We Missed You:

«Questo documentario deve molto al montaggio. Consiste quasi del tutto in film d’archivio sgranati e in bianco e nero, e ogni fotogramma è stato scelto con grande cura. Maria Fantastica Valmori monta con perizia le immagini di un treno che viaggia attraverso l’Europa, verso la linea del fronte, con le inquadrature di commilitoni, scene di felicità ormai lontana, ma anche di morte e distruzione in un’Europa lacerata dalla guerra. L’archivio utilizzato, senza dubbio scelto a partire da ore e ore di materiale, è assolutamente fondamentale nel raccontare la vicenda del film.»

Per chi volesse vedere Il Varco, al momento ci sono tre possibilità:

Proprio da oggi, alle 18, e fino al 14 dicembre, è possibile prenotare un posto, gratuito, nella “sala virtuale” di MyMovies, nell’ambito del festival Archivio Aperto 2020.

Dalla prossima settimana sarà disponibile in formato DVD.

Dal 20 gennaio sarà proiettato nei cinema francesi, grazie alla distribuzione di Norte Societé.

Quest’ultima notizia, sulle prime, ci ha lasciato piuttosto perplessi. Michele Manzolini e Federico Ferrone, i due registi, sono già stati invitati per presentare la “prima”, a Parigi. Dice: scusate un attimo, cari Francesi, ma non c’è la pandemia? E quelli tranquillissimi ti rispondono che il confinement non è stato promulgato fino a gennaio, quindi perché ragionare come se dovesse continuare? Perché non fare progetti – e poi, eventualmente, modificarli – invece di tagliarsi le gambe ancor prima di correre? Una prospettiva ineccepibile, dalla quale tutte quanti avremmo qualcosa da imparare.

Armin Ferrari

Armin Ferrari

In coda a queste notizie dal mondo del cinema annunciamo coram populo che una troupe bolzanina, diretta dal regista Armin Ferrari, sta girando in questi mesi, inciampata dai vari DPCM, un documentario sulla Wu Ming Foundation, ovvero sullo strano caso di collettivi e comunità, sorte a partire dalle discussioni su un blog di romanzieri, per poi occuparsi di sentieri, di guerriglia odonomastica, di J.R.R. Tolkien, di bufale storiografiche, di cambiamenti climatici, di scrittura collettiva, di colonialismo…

Presto, con un post dedicato, vi racconteremo meglio tutta la storia. Per ora anticipiamo solo il titolo del film: A noi rimane il mondo. Uscita prevista per il prossimo autunno.

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3 commenti su “Il Varco, gli EFA e un documentario sulla Wu Ming Foundation.

  1. Molto bello. Visto ieri sera. Un montaggio, tra le altre cose, molto interessante. Ho avuto un nonno, mai conosciuto, che è stato tenente colonnello in Abissinia, da qualche tempo mi sto interessando a quella parte di storia italiana che nel documentario è presente in maniera importante. Credo che ci sia troppa rimozione, in certi casi involontaria (ma quanto?) su queste storie, ricordo che in casa di mia nonna (il nonno è morto negli anni ’40) c’erano alla parete di un salottino scudi e lance che provenivano dall’abissinia attaccati alla parete, ma nessuno ci ha mai raccontato niente e credo che neanche mio padre si sia mai domandato niente del suo, di quello che aveva potuto fare come soldato in Africa. E adesso, invece, a me verrebbe voglia di saperlo.

  2. Il Varco è piaciuto moltissimo anche a me. Interessante il passaggio dal reperto documentario alla fiction, che offre tantissimi spunti sulla forza evocativa del “verosimile” (vs il “realmente accaduto”).

    Ti sono molto vicino in questa voglia di fare i conti col rimosso della propria famiglia. Nel mio caso, non mi risulta di avere parenti dalla parte dei “vincitori” (le virgolette sono d’obbligo). Un nonno arrivò in Francia a malapena ventenne con le truppe mussoliniane nella valle del Rodano in Francia, volontario perché aveva annusato che altrimenti sarebbe finito in Russia. L’8 settembre (anzi il 9, dopo che gli ufficiali erano scappati nottetempo) si dette alla macchia, poi sposò mia nonna e rimase in quella regione per il resto della sua vita. L’ho abbondantemente conosciuto in vita, e i suoi episodi avventurosi furono perlopiù dovuti alla sua clandestinità prima della liberazione. Per poter circolare gli avevano dato dei documenti falsi: si chiamava Paul Dupont, nato ad Ajaccio per giustificare il suo accento italiano. Nuova identità, ma anche nuova fonte di angoscia, perché Dupont è tutto fuorché un cognome corso!

    L’altro nonno era con la guardia di finanza di Jugoslavia, non l’ho mai conosciuto e di lui non so quasi nulla. Dopo l’armistizio credo diventò repubblichino, di sicuro dopo il ’45 reduce nostalgico. Crebbe due figli depoliticizzati e uno maoista per reazione (mio padre). E’ cosa nota quel che gli italiani fecero alle popolazioni jugoslave; se finora non ho fatto molte domande forse è perché mi spaventano le risposte.

  3. Grazie dei vostri commenti, è un piacere sapere che il film risveglia il desiderio di approfondire storie familiari, di porre nuove domande a genitori e parenti, segno che proprio la sua natura ibrida, tra frammento e trama lineare, stimola la voglia di giocare la stessa partita, di comporre nuovi puzzle, di cercare tessere mancanti e pezzi perduti.
    Colgo l’occasione per segnalare a quanti volessero vedere il film nelle sale francesi, che la programmazione è slittata, non per timore della “terza ondata” virale, ma per paura dell’ondata di film che non usciranno adesso, a Natale, ma svalangheranno nell’anno venturo. Tutte grosse produzioni, film-squalo pensati per sbranarsi con altri film-squalo in una vasca bella fitta di sangue: spostando quelli, i film-scorfano che speravano di nuotare tranquilli nell’acquario di gennaio, devono farsi da parte e cedere il posto a quelli con i denti più aguzzi. Appena sapremo le date della nuova programmazione, le comunicheremo qui.