Sulla sua pagina Facebook, il consigliere di destra Andrea Bacciga detto “Barzi” in Comune a Verona, riporta le conclusioni del suo intervento contro lo ius soli:
«In Consiglio Comunale con 20 voti favorevoli è stata approvata la mozione contro lo ius soli.
VERONA È CONTRO LO IUS SOLI!
Ecco la parte finale del mio discorso: “La cittadinanza non può essere questione di “residenza”, ma è ancorata alla storia, alla cultura, e allo spirito stesso di un popolo,quindi dalla commistione del suolo con il sangue.
In una parola:Identità.
Vogliono toglierci la nostra Identità, le nostre Radici.
Come diceva Tolkien:le Radici profonde non gelano.”»
In poche frasi Bacciga, membro della commissione cultura del comune di Verona, e già noto per avere donato alla biblioteca civica alcuni libri molto particolari, è riuscito a condensare un bel po’ di concetti cari alla cultura di destra. “Spirito del popolo” (traduzione letterale del concetto nazionalista tedesco di volksgeist); “Sangue e suolo” (traduzione letterale del motto caro ai nazisti blut und boden); “Identità” e “Radici” (con la maiuscola iniziale tipica del linguaggio delle «idee senza parole» tematizzato da Furio Jesi). E infine Tolkien. Ovvero, quella citazione da Tolkien, sempre la stessa, che i neofascisti italiani hanno fatto propria decenni fa, esercitando il diritto all’applicabilità che Tolkien stesso riconosceva ai lettori:
Radici profonde non gelano
Pare campeggiasse anche sulla parete di un famoso circolo romano dell’MSI, ma è stato usato in tutte le salse. I camerati degli anni Settanta parafrasavano questa immagine riferendola ai loro valori e idee così profondamente radicate da resistere a qualunque intemperia.
Anno 2017. Il consigliere Bacciga, nella sua orazione contro l’eventualità, presto sventata, che il comune di Verona si dichiari favorevole allo ius soli, trasforma la citazione di Tolkien in un motto nazisteggiante: le radici della nostra identità culturale sono così profonde che non possono gelare, perché risiedono nel legame tra suolo e sangue. Il povero Tolkien per l’ennesima volta si rivolta nella tomba.
Se si prende la frase in questione nel suo contesto, ci si accorge che si tratta del verso di una poesia. Una poesia il cui scopo è identificare Aragorn, l’erede al trono, senza nominarlo.
Da The Lord of the Rings, libro I, cap. X:
All that is gold does not glitter,
Not all those who wander are lost;
The old that is strong does not wither,
Deep roots are not reached by the frost.
From the ashes, a fire shall be woken,
A light from the shadows shall spring;
Renewed shall be blade that was broken,
The crownless again shall be king.
[Non tutto quel ch’è oro brilla,
Né gli erranti sono perduti;
Il vecchio ch’è forte non s’aggrinza
E le radici profonde non gelano.
Dalle ceneri rinascerà un fuoco,
L’ombra sprigionerà una scintilla;
Nuova la lama ora rotta,
E re quei ch’è senza corona.]
La traduzione italiana non riesce a rispettare la rima alternata dei versi originali, ma tant’è. Si tratta di otto versi basati su antinomie, divisi in quattro coppie dalla presenza del punto e virgola dopo il secondo e il sesto verso e dal punto dopo il quarto verso.
Come fa notare Tom Shippey, in ‘A fund of Wise Sayings’: Proverbiality in Tolkien (2005), i primi quattro versi sono in realtà formule proverbiali, e contengono tutti la negazione «not». Gli altri quattro versi invece hanno la forma di profezie e contengono tutti la parola «shall».
I primi quattro versi, prosegue Shippey, sono in realtà identificativi di Aragorn travestiti da proverbi.
Non tutto quel ch’è oro brilla, / Né gli erranti sono perduti.
Aragorn infatti non brilla al primo sguardo, anzi, è piuttosto ombroso e malandato quando si presenta agli Hobbit alla locanda del Puledro Impennato nella città di Brea. Ed è senz’altro un vagabondo, un ranger (tradotto con “ramingo”), ma non per questo è perduto, anzi ha una missione ben salda.
Il vecchio ch’è forte non s’aggrinza, / E le radici profonde non gelano.
Dato che la sua stirpe è particolarmente longeva, Aragorn non dimostra certo i suoi 87 anni quando compare nel Signore degli Anelli. Le radici che il tempo e le vicende umane non riescono a gelare sono dunque quelle del suo lignaggio personale, che risale ai regni numenoreani nella Terra di Mezzo, Arnor e Gondor, fino allo stesso reame di Númenor e al primo re Elros il Mezzelfo, che scelse di diventare umano (ma appunto, molto più longevo di un uomo).
In poche parole quel singolo verso allude al fatto che Aragorn porta nel suo retaggio l’intera storia degli Edain, cioè gli Uomini della Terra di Mezzo e di Númenor. Storia che è tutta in chiaroscuro, e nella quale Sauron gioca un ruolo importante. Di conseguenza, Aragorn è anche colui che può riscattarla. Da lì seguono infatti i quattro versi profetici che prefigurano la riscossa.
Insomma, l’intera poesia non si discosta mai dal singolo specifico personaggio e dal suo destino (passato e futuro).
Se si può stare certi che il sangue di Aragorn non ha alcun legame con la terra, dato che è stato portato in giro per il mondo in lungo e in largo sulle navi dei numenoreani – navigatori, esploratori, migratori – e in origine è perfino mescolato con quello degli Elfi… al tempo stesso è chiaro l’uso metaforico che i neofascisti hanno voluto fare del verso in questione. Lo slittamento semantico va dalla vicenda di Aragorn a quella della sopravvivenza degli ideali di destra, oppure alla cosiddetta Tradizione, e per traslato alle sorti dell’Europa bianca, della patria (intesa letteralmente come terra dei padri), laddove le radici diventano appunto quelle etniche e religiose.
Un pessimo trattamento per il povero Tolkien, che già quasi cinquantenne a suo dire sarebbe stato un soldato più solerte nel combattere Hitler e i propagandisti razzisti e antisemiti del blut und boden di quanto non lo fosse stato da giovane contro il Kaiser Guglielmo (Lettera n. 45). Questo senza nulla togliere al suo rimpianto per i paesaggi e i linguaggi perduti, nei quali rintracciava le radici culturali a cui teneva.
Ma questa, come si suol dire, è un’altra storia. E riguarda Tolkien, non i neofascisti che non perdono il vizio di massacrare le sue opere credendo di esaltarle.
La buona notizia è che il percorso di riabilitazione e recupero di Tolkien sta per toccare una nuova tappa. Nel giorno del compleanno di Tolkien, il 3 gennaio, uscirà in libreria la nuova traduzione dell’epistolario, realizzata da Lorenzo Gammarelli, socio fondatore dell’AIST. Nessuno sentirà la mancanza dei molti errori presenti nella precedente edizione (peraltro fuori commercio da parecchi anni) e tutti potranno leggere la selezione di scritti privati di Tolkien senza sforzare la vista grazie a un font più grande. Infine non compare più sulla copertina il titolo fuorviante e posticcio La realtà in trasparenza. Il volume ha riacquistato anche in Italia il suo titolo originario: Lettere 1914-1973.
Ben venga tutto questo. Sono soddisfazioni ;-)
In ogni caso credo che a qualsiasi autore sia possibile, estraendo una riga su tutta la sua produzione, far dire quel che si vuole nella maniera che si preferisce. Da lettore e rilettore del “Signore degli Anelli” credo che lo spirito di Tolkien fosse proprio inverso rispetto alle strumentalizzazioni fasciste.
Sul sito dell’AIST c’è l’intervista a Lorenzo Gammarelli, traduttore dell’epistolario di Tolkien:
http://www.jrrtolkien.it/2017/12/28/la-nuova-traduzione-delle-lettere-intervista-al-traduttore/