2010-2020: i dieci anni che hanno cambiato la sorte di Tolkien in Italia

La fine di un lungo e glorioso ciclo. Discussione tra tolkieniani di estrema destra nel bunker.
Anche su Peertube.


Nel maggio del 2010, dalle pagine di Giap – nato da pochi mesi – annunciavamo che per Tolkien in Italia si apriva una nuova era. L’evento che l’avrebbe inaugurata era il primo convegno internazionale organizzato in Italia, per la precisione a Modena, con la partecipazione dei due massimi studiosi viventi di Tolkien: Verlyn Flieger e Tom Shippey.

All’epoca scrivevamo:

«Era ora che anche a sud delle Alpi iniziasse a tirare un’aria diversa. […] Comincia così la nuova era per la Terra di Mezzo e per il suo creatore».

A distanza di dieci anni possiamo dire che il riscatto della Terra di Mezzo si è compiuto, grazie a uno sforzo collettivo che ha coinvolto molte persone.

Per rendersi conto di quanta strada sia stata fatta, bisogna pensare a qual era la situazione in Italia allora.

La vulgata mainstream su Tolkien lo vedeva come l’autore di un «monnezzone fantasy» (Andrea Cortellessa) o di una «trilogia di romanzi-fiaba eccentrici e leggermente dementi» (Natalia Aspesi), adorato da un pubblico di gonzi e nerd. Nella migliore delle ipotesi era visto come un autore ingenuo e moralista, per via del suo cattolicesimo; nella peggiore come un fascista, per via dell’amore – mai corrisposto – che i neofascisti nutrivano per lui fin dai primi anni Settanta.

Julius Evola

Il più visibile divulgatore tolkieniano era Gianfranco De Turris, presidente della Fondazione intitolata al pensatore fascista (lui sì!) Julius Evola e autore di paratesti nelle edizioni italiane dei libri di Tolkien pubblicati da Bompiani.

L’unica associazione nazionale dedicata a Tolkien e nota all’estero era la Società Tolkieniana Italiana, fondata nel 1994 da personaggi provenienti dall’ultradestra, con un’impostazione ideologicamente esplicita: divulgare l’opera del professore di Oxford «approfondendo la ricerca delle radici culturali e sacrali della Tradizione Europea, da cui tutta la produzione tolkieniana trae vita e nutrimento» (art. 2 dello statuto STI).

L’Italia era completamente avulsa dal dibattito internazionale su Tolkien e di conseguenza – occorre dirlo – sul fantastico tutto; all’università i docenti che lo consideravano un autore degno di nota erano mosche bianche, piuttosto isolate, e parecchi erano ancora gli intellettuali che nutrivano pregiudizi sulla sua opera, anche – e forse soprattutto – dopo i colossal hollywoodiani di Peter Jackson.

Qualcosa però già nel 2010 stava cambiando. Da qualche anno era avviata la collana «Tolkien e dintorni» delle edizioni Marietti 1820, dove erano stati pubblicati i saggi più importanti di Shippey, Flieger, e Rosebury, ad opera di alcune realtà associative e gruppi di studio che avrebbero organizzato il seminale convegno di Modena «Tolkien e la filosofia».

Quel percorso è proseguito fino a oggi, tanto che se osserviamo la situazione attuale – gennaio 2020 – si ha la prospettiva di una vera e propria lunga marcia, che ha portato a ribaltare la situazione.

Winnie Churchill

Oggi è in corso la ritraduzione del Signore degli Anelli da parte di uno dei più noti traduttori dall’inglese, Ottavio Fatica.

Nel frattempo è in via di ideazione il quinto convegno internazionale su Tolkien nel nostro paese, e sta per concludersi il secondo Tolkien Lab all’università di Trento all’interno del corso di Letteratura Inglese. È online il primo numero della rivista di studi tolkieniani e sul fantastico I Quaderni di Arda, con il supporto dei più grandi studiosi della materia a livello mondiale e il coinvolgimento di una dozzina di docenti universitari italiani. Diversi volumi di studiosi italiani, tra saggi, collettanee e atti di convegni, sono pubblicati in inglese. La collana «Tolkien e dintorni» della Marietti 1820 conta una dozzina di titoli. Gli studiosi stranieri vengono in Italia con una certa regolarità, per partecipare a convegni e seminari, e a loro volta gli italiani vengono invitati all’estero. Recentemente è nata anche una casa editrice, Eterea Edizioni, che si occupa specificamente di pubblicare studi monografici.

Al Salone del Libro di Torino si tengono regolarmente da alcuni anni incontri su Tolkien e il fantastico. Nonostante rimanga qualche giapponese dimenticato sull’isoletta del Pacifico, boiate come quelle che si leggevano un tempo su giornali e riviste mainstream, oggi non si leggono più.

In ambito associativo la realtà più attiva e prolifica è l’Associazione Italiana Studi Tolkieniani, nata nel 2014, che è anche consulente dell’editore italiano di Tolkien, cioè Bompiani.

Dulcis in fundo, i neofascisti di vario ordine e gradazione, abituati per decenni a considerare Tolkien roba loro, oggi assistono scandalizzati a tutto questo, gridano al complotto «neocomunista» o «maoista» (si sa che è sempre colpa dei cinesi) e si lagnano perché sono stati esautorati del loro primato nazionale sull’autore.

Maurizio Gasparri

L’evento che chiude simbolicamente questa fase di transizione è il ritiro dalle librerie del Signore degli Anelli nella vecchia traduzione, quella che ha regnato unica e sola per mezzo secolo, coronata dall’introduzione di Elemire Zolla.

Ritiro che giunge a conclusione di un anno di “guerra”, dichiarata dalla vecchia traduttrice alla nuova traduzione e condotta a suon di interventi pubblici, interviste e querele.

Le accuse che costei ha mosso ai promotori della nuova traduzione sono state le più svariate: dall’averla diffamata al disconoscere le basi della stilistica, dal voler applicare al romanzo un «maquillage artificioso» all’avere agito senza il consenso della Tolkien Estate, finanche al voler «travestire Il Signore degli Anelli in foggia Lgbt in ossequio al nuovismo» (Il Giornale, 13/11/2019). Ha cominciato con un convegno in Senato, promosso da Maurizio Gasparri dal titolo «La guerra di Tolkien»; per proseguire con interventi ad Ascoli Piceno, ai Giardini di Naxos, a San Marino, e all’università di Macerata. Interviste e articoli sono usciti su diversi media, anche stranieri. Infine, il 31 dicembre 2019, è stata pubblicata in rete la sua Lettera aperta ai tolkieniani italiani, nella quale ha annunciato di non voler lasciare la traduzione nella disponibilità di Bompiani, il cui contratto è già scaduto, spiegando le proprie ragioni e concludendo così:

«In questa situazione, è evidente che la mia traduzione, proprio perché voluta dall’Autore e da coloro che lo amano davvero, non può rimanere sugli scaffali accomunata a chi la gestisce come un fustino di detersivo. […] gli “ingenui” converranno con me che la traduzione approvata da Tolkien debba essere sottratta una volta per tutte a cotanto editore, che, senza neppure rendersene conto, è il primo e autentico nemico di un suo stesso Autore. Un Autore amato da milioni di lettrici e lettori che vi ritrovano la bellezza e l’importanza di combattere per preservare le proprie radici, nonché la sofferenza e i travagli di chi si oppone e continua a opporsi all’“oscuro potere” che, sotto la vecchia e marcia insegna dei “tempi nuovi”, nasconde l’asservimento dei corpi e delle intelligenze sotto il nome di libertà».

Mao Lgbtq

Giunti-Bompiani quindi ha perso ogni diritto di stampare e commercializzare quella traduzione e deve ritirare le copie per mandarle al macero. Questo a rigor di logica vale per tutte le edizioni del Signore degli Anelli, anche quelle speciali, come ad esempio quella deluxe con le illustrazioni di Alan Lee, che immaginiamo dovrà essere distrutta e poi ripubblicata con la nuova traduzione.

Per l’editore è indiscutibilmente un danno economico, e nemmeno piccolo. Per la storica traduttrice è l’equivalente di un seppuku. A costei rendiamo l’onore delle armi, come a un nemico che lascia il campo. Sic transit gloria mundi. Dopo mezzo secolo di onorato servizio, la storia editoriale della prima traduzione italiana del Signore degli Anelli finisce qui. Bompiani infatti ha l’esclusiva del romanzo per l’Italia e non c’è altro interlocutore possibile. La nuova traduzione di Ottavio Fatica, quando sarà stata pubblicata per intero entro la fine di quest’anno, rimarrà l’unica in commercio in Italia.

Si volta pagina. Anzi, si cambia proprio spartito. La storia di Tolkien in Italia ricomincia sotto nuovi auspici.

Christopher Tolkien (1924-2020)

Il caso ha voluto che un altro evento fortemente simbolico – ma di ben altra portata – abbia seguito di pochi giorni questa svolta: la morte di Christopher Tolkien, figlio e curatore del patrimonio letterario di JRRT, alla veneranda età di 95 anni. A lui va reso il ringraziamento per la dedizione con cui durante tutta la seconda metà della sua vita si è dedicato al mantenimento e alla pubblicazione degli inediti del padre, diventando a tratti una sorta di co-autore “ombra”. Se Tolkien è rimasto un autore prolifico, per quasi mezzo secolo dopo la morte, è merito suo.

Chissà che anche questo evento, ancorché luttuoso, non segni il passaggio di un’era. Staremo a vedere (ma non solo).

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20 commenti su “2010-2020: i dieci anni che hanno cambiato la sorte di Tolkien in Italia

  1. Nell’Italia di oggi, per quanto peculiare, questo è uno dei pochissimi ambiti in cui la destra ha perso egemonia culturale. I suoi frame linguistici e concettuali sono stati disattivati.

    Quei frame, come ha più volte spiegato Wu Ming 4, erano veicolati da una lettura di Tolkien in chiave «Tradizionale» (cioè evoliana) ed “esoterico-sapienziale” affermatasi soltanto in Italia. Da noi è rimasto egemone per quarant’anni un modo di parlare di Tolkien distantissimo dalla poetica di quest’ultimo… ma tipico della cultura di destra come la analizzò Furio Jesi. Nome che non a caso fa venire l’orticaria ai neofascisti a ogni menzione.

    Una cultura fatta di «idee senza parole» – pseudoconcetti gonfiati da maiuscole reverenziali, come appunto «Tradizione Europea», presentati come naturali ergo indiscutibili, dunque non bisognosi di spiegazioni – e sempre in cerca di effetti di «lusso spirituale».

    Quest’ultimo, come il lusso materiale, si basa sull’ostentazione: si ostenta bigiotteria linguistica e iconografica presuntamente “alta”, “nobile”, “guerriera”. Allo scopo, c’è un repertorio di trucchi e trucchetti che in Italia ha avuto tra i principali codificatori Gabriele D’Annunzio.

    Nel caso dell’italo-Tolkien in salsa neofascista, gli effetti di lusso spirituale erano favoriti dall’aver tradotto Tolkien in un certo modo, imponendogli stilemi assenti nel testo originale, come la doppia aggettivazione e un periodare più ipotattico e greve. Un Tolkien che, appunto, a tratti poteva ricordare D’Annunzio. Nella nuova traduzione, tutto ciò evapora e svanisce.

    Come dicevo all’inizio, questo è un ambito peculiare, dentro il quale è stato fatto un lavoro peculiare, a cui, per quanto riguarda il nostro collettivo, si è dedicato con grande impegno Wu Ming 4. Un lavoro svolto da un variegato insieme di persone, che ha tratto vantaggio da una combinazione irripetibile di fattori.

    Tuttavia, forse, al fondo di questo lavoro un nocciolo di – passatemi il termine – “universale” possiamo trovarlo. Qualcosa di riutilizzabile, che possa servire d’ispirazione all’intervento in altri ambiti. Questo, va ribadito, è un terreno sul quale dominavano, incontrastati e in regime di monopolio, discorsi reazionari e un immaginario fascistoide o tout court fascista. Quel monopolio è finito.

    Studiare come ciò possa essere avvenuto potrebbe essere molto utile.

  2. Sul sito dell’AIST, alcune riflessioni in prospettiva sul ritiro della vecchia traduzione del Signore degli Anelli.

  3. La grande notizia in tutto questo, comunque, è che possiamo finalmente liberare Wu Ming 4 dal fronte. Ché deve scrivere il miglior fantastico italiano degli ultimi 150 anni. Non è che possiamo aspettare ancora a lungo!

  4. “Nella migliore delle ipotesi era visto come un autore ingenuo e moralista, per via del suo cattolicesimo”

    Non posso non commentare una tale affermazione, illustrativa della mentalità e delle pregiudizie dello stesso mondo accademico – e non solo quello italiano – il quale per tanti decenni ha storcito il naso all’opera sublime del Tolkien.

    Solo gli intellettuali di sinistra sono tanto snobbi da scartare a priori come “ingenua” un’opera letteraria perchè scritta da un uomo di fede. E a proposito delle convinzioni cattoliche del prof. Tolkien, meglio che lasciamo parlare lui (mi dispiace che tutte le citazioni sono in inglese, io non sono un traduttore ma parlo inglese):

    “Out of the darkness of my life, so much frustrated, I put before you the one great thing to love on earth: the Blessed Sacrament… there you will find romance, glory, honour, fidelity and the true way of all your loves on earth.”

    “The Birth of Christ is the eucatastrophe of Man’s history. The Resurrection is the eucatastrophe of the story of the Incarnation. This story begins and ends in joy. It has preeminently the ‘inner consistency of reality.’ There is no tale ever told that men would rather find was true, and none which so many skeptical men have accepted as true on its own merits. For the Art of it has the supremely convincing tone of Primary Art, that is, of Creation. To reject it leads either to sadness or to wrath.”

    ““I myself am convinced by the Petrine claims, nor looking around the world does there seem much doubt which (if Christianity is true) is the True Church, the temple of the Spirit dying but living, corrupt but holy, self-reforming and re-arising.

    But for me that Church of which the Pope is the acknowledged head on earth has as chief claim that it is the one that has (and still does) ever defended the Blessed Sacrament, and given it most honour, and put (as Christ plainly intended) in the prime place.

    ’Feed my sheep’ was His last charge to St. Peter; and since His words are always first to be understood literally, I suppose them to refer primarily to the Bread of Life. It was against this that the W. European revolt (or Reformation) was really launched—’the blasphemous fable of the Mass’—and faith/works a mere red herring.”

    ecc. ecc. ecc. E dal suo nipote Simon Tolkien:

    “I vividly remember going to church with him in Bournemouth. He was a devout Roman Catholic and it was soon after the Church had changed the liturgy from Latin to English. My grandfather obviously didn’t agree with this and made all the responses very loudly in Latin while the rest of the congregation answered in English. I found the whole experience quite excruciating, but my grandfather was oblivious. He simply had to do what he believed to be right.”

    La traduzione originale de Il Signore degli Anelli, anche se compiuta da una ragazza 16enne, venne letta e approvata personalmente dal Tolkien, che aveva una discreta conoscenza della lingua italiana. Evidentemente non ci trovò “500 errori per pagina.”

    Tutto ciò mi porta ad un’osservazione: questo nuovo Tolkien, corretto, reinterpretato, ricuperato dalle grinfie dei “fascisti,” anche dai ragazzi e ragazze di ogni credo politico che soffrono a malapena alcuni aspetti della vita moderna e si tuffano nell’escapismo (che avete definito qui con la solita gentilezza “gonzi e nerd”) per soffirci meno, e reso finalmente digeribile ad un mondo di bevitori di Starbucks, apparentemente più colti: ma quanto ha da fare col Tolkien realmente esistente?

    • Scusa, ma forse la tua non eccelsa padronanza dell’italiano ti ha portato a prendere per nostre le affermazioni che in questo articolo noi critichiamo, perché le hanno espresse altri. Non siamo noi che consideriamo “gonzi e nerd” i lettori di Tolkien, ma i detrattori di Tolkien, appunto. È questo il senso di quello che c’è scritto nel nostro articolo.
      Il senso dell’affermazione che commenti con così tante citazioni a proposto del cattolicesimo di Tolkien è precisamente una critica all’atteggiamento snob di quei critici “progressisti” – e terribilmente conformisti, in realtà – che liquidarono l’opera di Tolkien senza nemmeno darsi il tempo di leggerla davvero e provare a capirla. Non c’era alcun bisogno di questa lenzuolata di citazioni… per concordare con quello che abbiamo scritto.
      Mi spiace, ma forse sarebbe stato meglio se ti fossi fatto leggere il pezzo da un amico italiano, prima di commentarlo. Avresti evitato questa cantonata clamorosa.

      Per quanto riguarda il resto… Come scrivi “Tolkien aveva un discreta conoscenza della lingua italiana”. Discreta, non buona e non certo ottima. Gli errori nella vecchia traduzione infatti ci sono, te l’assicuro. Non vogliamo usare l’espressione iperbolica “500 errori a pagina”? Allora usiamo un’immagine figurata: in quella traduzione c’è una montagna di errori, molti rilevati già da tempo e da altri. Sarebbe strano il contrario, proprio perché fu fatta da un’adolescente alla prima esperienza di traduzione professionale. Quella ragazza compì una vera impresa, altroché, chapeau. Ed è grazie a quell’impresa che noi abbiamo potuto leggere Il Signore degli Anelli da ragazzi. Ma certo lei non aveva la perizia e l’esperienza di un professionista. Inoltre la sua traduzione venne rivista da altri.

      Ti assicuro che la nuova traduzione non è né più moderna né più adatta a uno Starbucks Cafè di quanto non lo sia la vecchia. Anzi, certi lettori si lamentano perché Fatica ha usato certe parole dell’italiano arcaico che devono essere cercate sul vocabolario. E con questa le cantonate sono due.

      In tutta sincerità, fossi in te lascerei perdere. Non mi pare proprio che questa sia la tua tazza di tè.

      • Faccio fatica ad affermarmi nella mia lingua seconda, quindi mi limito a indicare il motivo dell’inferenza la quale mi sento giustificata d’aver fatta.

        Nello stesso paragrafo della menzione dei lettori “nerd” di Tolkien, dite che in Italia la critica “mainstream” boccia Tolkien o come moralista cattolico o come fascista (quest’ultimo un guidizio poco comprensibile, anche se nell’introduzione della IIa edizione il Tolkien rifiuta l’interpretazione allora comune fra gli hippies statunitesi del Signore degli Anelli come allegoria per la guerra mondiale).

        A seguito di questo, dite che l’Italia è rimasta fuori dal dibattito internazionale su Tolkien – a parte alcuni fascisti (mi scuso qui con Wu Ming 1 per le virgolette infastidiose), ma che oggi la situazione sarà “ribaltata.” Comunque fate accenno al fatto che quelli che definite fascisti hanno scritto qualche riga qua e là su Tolkien e già da decenni leggono e apprezzano le sue opere – allora ci sono degli italiani che non l’hanno bocciato a causa del suo cattolicesimo, che riconoscono la religiosità dell’opera, che leggono, scrivono e parlano di Tolkien, ma non in maniera azzeccata. Quindi sbaglio a inferire che soltanto le opinioni di professori, critici mainstream e accademici contano nel “dibattito” su Tolkien? Oppure si può chiamare dibattiti solo discorsi tra persone di sinistra? Quale termine si usa per i discorsi che si tengono su Tolkien tra fascisti, neofascisti, conservatori, ecc.?

        C’è un termine inglese molto utile per descrivere questo tipo d’atteggiamento: “academic gatekeeping,” letteralmente “sorveglianza dei cancelli dell’accademia.” Cioè, chi non fa già parte di queste comunità esclusive universitarie viene escluso dal discorso ufficiale su un qualsiasi argomento, e l’oramai banale dibattito si tiene fra persone della stessa formazione ideologica. Però, non voglio sembrare impietosa, se ho sbagliato nell’interpretazione, sono sempre lietissima di ricevere iniezioni di cultura da persone educatissime come voi Wu Ming, er, Wu Minghisti?

        • Questo è un articolo che, come abbiamo sempre fatto da tanti anni a questa parte, *critica* l’academic gatekeeping, del quale anche noi abbiamo subito la nefasta influenza. Smolla il colpo, su.

          [È una domanda retorica, o ci stai *davvero* chiedendo quali termini useremmo per definire i discorsi tra fascisti, neofascisti ecc.? Perché di termini ce ne vengono in mente svariati, ma abbasserebbero il registro linguistico del dibattito.]

        • Allora, mi limiterò a qualche precisazione rispetto alle inesattezze contenute in quanto dici.

          1) La lettura hippy del Signore degli Anelli non era un’allegoria della Seconda Guerra Mondiale, bensì una molto più estesa critica al mondo moderno nei suoi aspetti alienanti, come l’industrializzazione, la ricerca del potere, il militarismo, la perdita di contatto con la natura vivente, ecc. Non era agli hippies che Tolkien rispondeva nella sua Prefazione del 1965 – anno in cui la cultura hippy aveva mosso appena i primi passi – bensì a certi lettori particolarmente ansiosi di arruolarlo in una battaglia politica. Uno dei motivi che lo spingevano a rigettare quella lettura allegorica era che in essa i nazifascisti sarebbero stati fatti coincidere con Sauron e gli Orchi, in una logica di disumanizzazione del nemico che Tolkien ha sempre rifiutato, ribadendo che i suoi Orchi erano espressioni di un aspetto della natura umana, proprio come lo erano gli altri popoli della Terra di Mezzo. Per lo stesso motivo rifiutava la lettura del suo romanzo come allegoria della Guerra Fredda, laddove gli Orchi sarebbero stati i comunisti.

          2) I professori li chiami in causa tu, non certo noi. L’accademia italiana ha snobbato Tolkien per decenni, appunto, quindi quello che chiami “academic gatekeeping” è servito per tenere Tolkien fuori dall’accademia, non certo per monopolizzarlo. Oggi questa situazione è cambiata e il risultato è che in Italia si tengono convegni accademici su Tolkien, ai quali non partecipano però soltanto accademici, ma anche scrittori, studiosi non professionisti, traduttori, ecc.

          3) Fortunatamente il dibattito su Tolkien in Italia non si tiene affatto «fra persone della stessa formazione ideologica». Dal primo convegno internazionale tenutosi in Italia dieci anni fa, a Modena, fino al dibattito al Festival del Medioevo di Gubbio del settembre scorso, i relatori e partecipanti sono sempre stati di varia provenienza e appartenenza culturale. È evidente che continui a parlare di cose che non sai e pretendi di farlo perfino con un certo sarcasmo. Vedi tu.

          4) Come ti ha scritto il mio socio WM1, la resa della poesia dell’Anello nella vecchia traduzione non era affatto meno libera della nuova. Erano soltanto “libertà” diverse. Se prendi l’originale inglese e controlli te ne rendi conto da te. In generale la resa degli arcaismi tolkieniani da parte di Fatica nel romanzo è nettamente superiore alla medesima resa da parte di Alliata, che innalzò il tono generale della prosa di Tolkien, ovvero rese arcaica e ampollosa *tutta* la lingua del romanzo, che invece non lo è, e appiattì la varietà di registri linguistici che contiene in inglese. Proprio tu che sei madrelingua dovresti accorgertene. O per lo meno te ne accorgerai confrontando l’originale con le due traduzioni se deciderai di farlo.

          5) Il sottoscritto discute di Tolkien da almeno dieci anni con interlocutori di tutti i tipi. Gli unici con cui ho sempre rifiutato di parlare sono i neofascisti. Primo, perché ritengo che non vadano legittimati; secondo, perché le loro letture di Tolkien mi fanno cascare le braccia. Ciò nonostante le ho più volte prese in considerazione e smontate, ricevendone in cambio attacchi di ogni tipo. E va bene così. Se fossi stato davvero snob non sarei riuscito a dare il mio contributo ai risultati ottenuti in questi dieci anni.

    • Che il commento qui sopra sia basato su un grottesco equivoco è poco ma sicuro, però io vorrei dire una cosa su questo passaggio:

      «La traduzione originale de Il Signore degli Anelli, anche se compiuta da una ragazza 16enne, venne letta e approvata personalmente dal Tolkien»

      Per poter credere a quest’affermazione, negli ultimi mesi ripetuta fino alla nausea, io ho bisogno di qualche prova documentale.

      Ho una formazione storiografica, dunque ho il “difetto” di ritenere che la verità di un’affermazione vada provata da chi la fa.

      Quando su un dato fatto esiste una sola testimonianza diretta – peraltro molto contraddittoria, mutata nel tempo e a seconda delle occasioni in cui è stata resa – non confermata da alcuna fonte documentale, uno storico si mette sul chi vive e dichiara necessarie ulteriori verifiche.

      A maggior ragione se l’assenza di fonti documentali su quel singolo episodio stride con un’abbondanza di fonti su tutto ciò che lo circonda.

      Per essere chiari: di Tolkien abbiamo moltissime lettere, un corpus enorme, e il suo rapporto con editori e traduttori è molto ben documentato. Eppure non abbiamo a disposizione alcuna lettera in cui autorizzi o addirittura elogi la traduzione di cinquant’anni fa. Non risulta nel suo archivio, né la destinataria l’ha mai mostrata. Tolkien la spedì a lei? O la spedì all’editore Ubaldini?

      L’unica fonte che faccia riferimento alla ricezione della traduzione italiana da parte di Tolkien non permette affatto di dire che egli la lesse e tantomeno elogiò, come spiega bene Claudio Testi in questa disamina, al punto 1.3.

      Tra l’altro, anche fosse vero che Tolkien la autorizzò, la traduzione che i detrattori di Fatica stanno difendendo col pugnale tra i denti non è più quella, perché in seguito Quirino Principe la rivide e ne cambiò nomi e toponimi. Eppure l’argomentazione basata sull’autorizzazione da parte dell’autore non è stata usata in tutti questi anni, è emersa solo per criticare la traduzione ex novo.

      In una recentissima intervista rilasciata al Venerdì di Repubblica, la traduttrice ha aggiunto nuovi dettagli alla sua testimonianza. Ha accennato a una corrispondenza con Tolkien, nel corso della quale lo scrittore le spedì liste di nomi per la traduzione. Sarebbe troppo chiedere di vedere, alla buon’ora, questa documentazione scritta da JRRT di suo pugno, e dunque preziosa sotto molti aspetti?

      En passant: non esiste nemmeno alcuna fonte che consenta di corroborare un’altra asserzione brandita come un’arma nelle polemiche recenti, e cioè che Tolkien sapesse bene l’italiano. Non risulta per niente.

      Ad ogni modo, a tagliare la testa al toro dovrebbe bastare una semplice constatazione: autorizzazione o meno, la vecchia traduzione è piena di errori. Farlo notare non è una novità, in rete si trovano elenchi di errori compilati già da molti anni, da molto prima che Fatica cominciasse a ri-tradurre. E se ne trovano sempre di nuovi: giusto l’altro giorno WM4 mi faceva notare che un titolo di capitolo è sbagliato perchè la traduttrice ha confuso il verbo «to scour» con il verbo «to scout».

      Infine: cosa c’entri il lavoro del più prestigioso traduttore letterario italiano (Ottavio Fatica) con una multinazionale americana della ristorazione specializzata in bevande a base di caffè è un vero mistero.

      Per quanto riguarda il Sottoscritto, se interessa sapere come la penso, i ristoranti di Starbucks andrebbero espropriati dal primo all’ultimo, in tutto il mondo, e fatti gestire direttamente ai lavoratori. Risalendo la filiera, le piantagioni di caffè che forniscono la materia prima andrebbero collettivizzate.

      • P.S. Non capisco perché mettere «”fascisti”» tra virgolette: il milieu che per decenni ha monopolizzato il discorso su Tolkien in Italia annoverava al proprio interno neofascisti dichiarati e conclamati. È un dato di fatto che noi ci siamo sempre limitati a constatare.

        Era un “tolkienologo” (un suo scritto compare in un’antologia critica su JRRT pubblicata da Bompiani nel 2007) anche Gianluca Casseri, il neofascista autore della strage razzista di Piazza Dalmazia, Firenze, 2011.

      • Non dubito che nella vecchia traduzione ci siano degli errori, ma si deve, ovviamente, distinguere tra errori e arcaismi, non solo di vocabolario ma di stile, senza una conoscenza dei quali l’originale inglese risulta poco lucido. E a proposito di errori, e arcaismi inglesi forse non perfettemente compresi, forse un motivo per la tanta ostilità verso la nuova traduzione ci si trovi sul retro della copertina:

        “Uno al Nero Sire sul suo trono tetro
        Nella Terra di Mordor dove le Ombre si celano”

        Come Wu Ming 4 ha indovinato, sono anglofono. Qui la traduzione di “In the Land of Mordor, where the shadows lie” mi lascia perlessa. “To lie” in questo caso può significare “aspettare,” (inglese: “to lie in wait”) oppure “appostarsi,” ma non “celarsi.” Poi:

        “Un Anello per trovarli, Uno per vincerli”

        In questo caso sbagliato l’uso di “vincere” – “to rule” significa “domare” oppure “governare,” non porta mai il significato di “superare” o “prevalare su qlcn.” E’ un errore che cambia il significato della poesia. Ovviamente dovremmo non giudicare un libro dalla copertina, ma comprensibilmente un appassionato di Tolkien vedendo una tale traduzione non ne sarebbe immediatemente entusiasmato.

        • Ricapitoliamo:

          – hai esordito su Giap con un madornale sfondone, confondendo le nostre opinioni con quelle che criticavamo nell’articolo;
          – hai brandito come arma la presunta «autorizzazione» di Tolkien, noi ti abbiamo fatto notare che non ci sono prove al riguardo e tu glissi;
          – hai trinciato un giudizio strampalato sulla traduzione di Fatica e ora vien fuori che hai letto solo poche frasi sulla quarta di copertina.

          A parte il pessimo esordio, faccio notare una cosa che dovrebbe essere scontata: per valutare una traduzione non basta conoscere bene la lingua di partenza, ci vuole anche quella d’arrivo.

          Tu hai appena frainteso dalla prima all’ultima riga un articolo in prosa italiana piuttosto semplice, non ti ci vedo bene come chiosatore di traduzioni poetiche.

          La traduzione poetica, ancor più di quella prosaica, implica sforzi per adattare la lingua d’arrivo al ritmo, alle rime e assonanze, alle immagini evocate da quella di partenza.

          Se il gioco è quello di estrapolare singoli vocaboli, avremmo buon gioco a far notare che nella precedente traduzione, quella Alliata/Principe, «rule» era tradotto con «domarli» (che invece sarebbe «tame»), «bring» con «ghermirli» (del tutto arbitrario), «throne» con «reggia» (che invece è il royal palace), ed erano state aggiunte svariate parole che in inglese non c’erano, per poter fare la rima.

          Questi dibattiti, tuttavia, si fanno tra interlocutori in buona fede e credibili. E sulla nuova traduzione della poesia dell’anello ci siamo già espressi a novembre.

          • P.S. Scambiare «scour» per «scout» non è né sarà mai un «arcaismo», è un errore, e di errori così ce ne sono tanti.

            • Premesso che preferisco *di gran lunga* la traduzione Fatica, su _scour_ come esempio ci andrei cauto.
              In inglese esiste l’espressione “to scour the seas” (“solcare i mari”, a volte avvicinabile all’uso contestuale dell’espressione italiana “cercare per mare e per terra”, “passare al setaccio”).
              Siamo quindi vicini a quel “Perlustrare la contea” con cui era stato tradotto (mi pare), in questa accezione. Forse scelta non ottimale, ma di sicuro non sfondone.
              Esistono molti altri esempi di traduzioni opinabili o addirittura di frasi mancanti (la coltellata contro la cotta di maglia, citata in altra parte del dibattito). Ecco, non mi impunterei troppo su questo ;)

              • No, non era tradotto con “perlustrando”. Era tradotto con “percorrendo”, che non rende minimamente l’idea del “passare a setaccio la Contea”.

                • Esatto. E comunque anche “perlustrando” sarebbe stato sbagliato, dato che in quel capitolo non si perlustra.

                  En passant, ieri sera ho riaperto il finale del romanzo, seguendo un indizio dato da Fatica nella conferenza modenese di sabato, e ho scoperto che anche lì (!) nella versione Alliata/Principe è stata eliminata una frasetta e sostituito un verbo: “And he went on, and there was yellow light, and fire within” era diventato “Egli vide una luce gialla e del fuoco acceso”. Un’inezia, il senso cambia poco, ma nemmeno la quint’ultima riga del romanzo si è salvata da una resa “libera” di quello che Tolkien ha scritto.

          • Escluderei comunque che ci sia mezza riga in buona fede scritta da parte di questo evidente troll, che non mi pare neppure veramente anglofono (ogni tanto “se ne dimentica” ed esce dalla parte). Ma è interessante leggere le vostre risposte scritte come se fosse un interlocutore autentico.

            (Sulla traduzione della poesia citata, devo arrivare io che non so un tubo di Tolkien a far notare che deve rimare e questo obbliga ad alcune forzature? Eddai, su.)

            • Mauro, come sai, lo stile prima di tutto… Se uno vuole parlarci facendo l’accento inglese, non ci tireremo indietro per questo. Fantozzi faceva quello svedese…ma lo sgamavano lo stesso ;-)

  5. N.B. Poiché Peertube continuava a dare problemi tecnici e il video risultava per la maggior parte del tempo «non recuperabile», lo abbiamo messo anche su Vimeo. Su YouTube no, perché stiamo facendo degoogling.