Spugnette a Nordest. Una storia di topolini, «lotta al degrado» e fantasmi balcanici

CIwk5K1WEAAvaSG.jpg-large-2[Per capire quali mostri si nascondano in certi discorsi contro il “degrado” delle nostre città e in difesa del “decoro”,  nulla di meglio che osservare il fenomeno dall’ultimo lembo nordorientale d’Italia, Trieste, dove tutte le tendenze si manifestano più estreme, con contenuti più espliciti e contorni più netti. Lo abbiamo detto in molte salse: il Nordest – e soprattutto l’estremo Nordest – è un osservatorio privilegiato. Più volte abbiamo esaminato retoriche e tendenze nazionali a partire da come si manifestano ed esprimono nelle zone ex-“irredente”. Di recente, abbiamo analizzato lo “sdoganamento” nazionale di Salvini e la nascita del fascioleghismo partendo da quel che è avvenuto a Gorizia il 23 maggio. Anche stavolta vi proponiamo un bel “caso di studio”. Buona lettura.]

di Andrea Olivieri e Tuco (Martino Prizzi)

L’episodio in sé è ridicolo: una rissa tra ragazzi e quattro scritte sui muri di uno stabilimento balneare. Sufficienti però a far eclissare la totalità dell’intellighenzia che da anni si crogiola nella auto-rappresentazione da intellettualità mitteleuropea, e far salire alla ribalta saltimbanchi e ballerine, impegnati dapprima nel mobbing mediatico dei cittadini kosovari che vivono in città, e poi nell’esaltazione di una inesistente “comunità omogenea triestina”, tesa a mantenere la propria armonia attraverso l’ideologia del decoro, dispositivo di discriminazione ormai rodato e cartina di tornasole del coincidere tra ciò che viene chiamato “integrazione” e l’integralismo culturale, linguistico e religioso.

A salire sul carro della “lotta al degrado” stavolta anche un pezzo della Trieste che si vorrebbe “progressista”, persino “alternativa”, quasi a scimmiottare il folle esperimento renziano di costruzione a tavolino dell’avversario politico perfetto, quel Salvini razzista fino al midollo utile a scompaginare le carte nel campo avversario. Salvo poi sdoganare nella società tutta i peggiori istinti xenofobi e ritrovarsi quell’avversario, che si riteneva manovrabile e incapace di imporsi, più forte di chiunque altro. Si veda quanto sta accadendo nella bergamasca dove la Lega sta tentando di trasformare la popolazione in una sorta di Ku Klux Klan all’italiana contro i rifugiati.

Scherzare col fuoco è sempre pericoloso, ma a Trieste assume tratti storicamente grotteschi e inquietanti. Soprattutto se il frame nel quale ci si muove è fin dall’inizio segnato dalla metafora della guerra etnica.

1. Come ti fabbrico una piccola guerra ex-Iugoslava

16 giugno. A partire da una rissa tra due gruppi di adolescenti avvenuta la sera prima in una strada secondaria del centro, Il Piccolo, attribuendo lo scontro a kosovari contrapposti a serbi, inaugura la costruzione mediatica di un conflitto interetnico estraneo alla città, ma nel cuore della città, e nei successivi dieci giorni soffierà sul fuoco dell’allarme, dipingendo Trieste in mano a “bande balcaniche”.

17 giugno. Il Piccolo “scopre” che ai “Topolini”, storico stabilimento balneare triestino, in mezzo al groviglio di scritte e tag di cui sono ricoperti i muri degli spogliatoi ci sono alcune scritte inneggianti alla Serbia e al Kosovo. Anche su alcuni scogli qualcuno ha tracciato con la vernice rossa la scritta KOSOVO. Il Piccolo riporta anche alcune voci che riferiscono di atti di bullismo che un gruppo di ragazzini kosovari avrebbe compiuto nei confronti di coetanei e coetanee serbi e italiani. Il Piccolo mette immediatamente in relazione questa “scoperta” con la rissa precedente, nonostante non sia emersa nessuna evidenza in tal senso.

18 giugno. Su alcuni profili Facebook di personaggi legati all’estrema destra viene lanciata l’idea di “riconquistare i Topolini” con la forza.

Ci si pone il problema di tentare di fare la cosa “con testa”, evitando di finire in galera mentre i “puniti” verrebbero curati all’ospedale “con i soldi delle nostre tasse”.

19 giugno. L’ex campione italiano dei pesi massimi Fabio Tuiach, cattolico dichiarato, assiduo pellegrino a Medjugorje e vicino alla Lega Nord, ha la soluzione: lancia un appello su Facebook per “riprendersi i Topolini” diventati “territorio di bulli stranieri”. L’appuntamento è per il 28 giugno. Tuiach parla come “padre di famiglia”, dice che andrà ai Topolini con moglie e figli, e invita una decina di amici a unirsi a lui “per difendere la legalità”. Aggiunge che “se ci sarà qualche prepotente, troverà pane per i suoi denti”. Tra gli amici che chiama a raccolta ci sono alcuni di quelli che il giorno prima avevano lanciato per primi l’idea della “riconquista” – alcuni sono nomi noti del milieu nazionalista italiano. Inoltre ci sono Pierpaolo Roberti, segretario della Lega Nord, e Alessandro Gotti detto “Tonfa”, responsabile del servizio di sicurezza del Movimento Trieste Libera ai tempi d’oro (cioè l’anno scorso). Tutti soggetti che in teoria sarebbero su fronti contrapposti degli schieramenti localistici triestini.

Sempre 19 giugno. A distanza di poche ore, l’associazione ricreativa SPIZ, di ispirazione vagamente progressista, nota per la promozione di una certa triestinità goliardica, e vicina al sindaco Cosolini (PD), lancia sempre per il 28 giugno una mobilitazione per la ripulitura dei Topolini da scritte e tag.


L’iniziativa di SPIZ non nasce in opposizione a quella di Tuiach: le due iniziative diventano subito, di fatto, la stessa iniziativa. Qualche giorno dopo, Paolo Stanese (collaboratore di SPIZ e del portale Bora, impegnato in progetti istituzionali contro gli stereotipi di genere) spiegherà:

«Credo che le intenzioni di Fabio di “riconquistare i Topolini” siano del tutto pacifiche, e la manifestazione simbolica: ovviamente, che sia un peso massimo a invitare le famiglie a partecipare crea una sicurezza (psicologica) che la stessa proposta non avrebbe, se fosse formulata da un pallido bibliotecario.»

Il mondo ha bisogno di pugili, non di bibliotecari, ovviamente: a chi solleva perplessità sull’opportunità di gemellare le due iniziative, visto il codazzo che Tuiach si porta dietro, quelli di SPIZ rispondono che “l’importante è fare”, e che “la politica non c’entra”.

20 giugno. Su Facebook nasce il gruppo “Trieste ai triestini”, che in quattro giorni raccoglie più di 3000 like. Sulla bacheca dilaga il razzismo più becero, molti dicono che se la polizia e il sindaco non fanno niente, allora bisogna fare da soli, organizzarsi per ripulire Trieste dai balcanici. Il plauso all’iniziativa di Tuiach è totale – e spesso imbarazzante nei toni. La pressione sulla comunità kosovara si fa sempre più forte. C’è chi invoca la riapertura della Risiera, chi il manganello e l’olio di ricino, chi l’intervento dell’esercito e chi…


21 giugno. Il Piccolo lancia in grande stile l’iniziativa di Tuiach, e dedica qualche riga a quella di SPIZ.

23 giugno. Compare magicamente il “kosovaro buono”. Gazmend Muqa, piccolo imprenditore nel ramo dell’edilizia, prende spugnetta e solvente e va ai Topolini a cancellare la famigerata scritta “KOSOVO” dallo scoglio. Con lui c’è probabilmente un fotografo del Piccolo, perché la pulitura dello scoglio nel giro di qualche ora diventa la notizia del giorno.

24 giugno. In modo del tutto inspiegabile, l’iniziativa di Tuiach conquista la ribalta nazionale. Il Corriere della Sera dedica al pugile un’intera paginata sull’edizione nazionale, a firma di Giusi Fasano. La giornalista, pur impegnata sul tema delle discriminazioni di genere, confeziona un racconto edificante pieno di melassa, tralasciando di dire che Tuiach è uno che su Facebook scrive cose così:


25 giugno. Il Piccolo pubblica una foto di Tuiach e Muqa che si stringono la mano. Cori di evviva, l’ammore ha trionfato, il conflitto etnico è scongiurato, siamo tutti triestini, la stretta di mano tra i due maschi alfa ha riportato la pace nella comunità. E poco importa se su facebook la valanga di merda xenofoba non accenna a fermarsi. Le ultime perplessità in area “liberal” svaniscono: il 28 giugno “sarà una festa del civismo”.

Il Piccolo e i suoi giornalisti li hanno sempre chiamati così: «Il kosovaro e il pugile», o «il pugile e il kosovaro». Dell’italiano si dice il mestiere: fa il pugile. Il kosovaro, invece, fa solo il kosovaro. Come scriviamo più sotto, questa foto sancisce un atto di vassallaggio etnico. Per alleviare la pressione, una comunità additata in blocco per giorni ha dovuto produrre il suo “buono”, ancorché di serie B, che si mettesse a disposizione dei “buoni” di serie A. Sulla divisione etnica del lavoro durante il Topolini Day, si veda sotto.

27 giugno. Dopo dieci giorni di campagna di demonizzazione sulla “città in mano alle bande balcaniche”, Il Piccolo riferisce che secondo la Procura della Repubblica la rissa che avrebbe scatenato tutto “non nasce da una «guerra etnica» in corso bensì da uno scontro tra gruppi legato a «dinamiche adolescenziali pur complesse»”, versione confermata dalla questura. L’allarme da quel lato ha prodotto comunque la bellezza di 29 indagati per rissa, di cui 19 minorenni, di ogni nazionalità e provenienza, compresa quella italiana.

Intanto però i buoi sono scappati, il parossismo anti-degrado prende la ribalta, senza però rimuovere il dato etnico, ma permettendo una costruzione “più aperta” della giornata proposta da Tuiach: Spiz, il portale Bora e il blogger Andrea Rodriguez – dei cui ruoli parleremo tra breve -, da più parti messi in guardia sui rischi di fare “le spugnette” con i fascisti, replicano che la loro presenza tutelerà da eventuali incidenti. Come se il problema fossero inesistenti rischi per l’ordine pubblico, anziché l’ennesima legittimazione politica, da sinistra?, di discorsi e pratiche securitarie e razziste.

2. Flashback: i Topolini anni Ottanta

I Topolini sono uno stabilimento balneare che si stiracchia per quasi un chilometro su un tratto del lungomare che fa da ingresso a Trieste. Dieci piattaforme di cemento a forma di semicerchio, da cui appunto il nome Topolini, dove i triestini vanno a prendere il sole e a farsi un tuffo in pausa pranzo e nei weekend.


L’ingresso è gratuito. Anzi, l’ingresso nemmeno c’è, perché ai Topolini ci si arriva direttamente dal marciapiede, di cui le piattaforme sono una specie di protesi che si affaccia diritta sull’acqua profonda: i Topolini sono uno dei topoi della triestinità, di quelli che finiscono nei libri di Claudio Magris per capirci. Li frequentano un po’ tutti, indipendentemente dalla classe sociale. Quasi indipendentemente: i ricchi, quelli veri, in realtà non ci mettono piede, anche se poi da vecchi ne parlano come se da ragazzini li avessero frequentati assiduamente. Perché chi non ha passato l’adolescenza ai Topolini non è un “vero triestino”.

In realtà i Topolini – quelli dal settimo al decimo in particolare – sono da sempre il setting ideale per lo sfogo di una certa marginalità adolescenziale. Chi li abbia frequentati da ragazzino negli anni Ottanta – ovvero l’epoca in cui tra “i bulli” c’erano tanti di quelli che oggi si ergono a paladini del decoro e della disciplina – dovrebbe ricordare che è su quelle piattaforme di cemento affacciate sull’acqua che molti di noi facevano esperienza delle prime malefatte della vita: nell’universo sospeso delle vacanze estive, perlopiù sottratto alle regole e al controllo dei grandi, passavano le prime sigarette, le prime bottiglie di birra o peggio di vodka, i primi spinelli di hascisc di pessima qualità. Nella calura e in costume da bagno era un attimo ritrovarsi a scambiare i primi impacciati gesti del sesso e considerare i ben poco intimi spogliatoi lo schermo ideale per amplessi poco consapevoli ma di cui si sarebbe favoleggiato per mesi. Ma soprattutto erano i Topolini il contesto ideale per le prime guerre tra bande, dove – ben al di là dell’esperienza ludica infantile – si faceva esperienza della puerile quanto violenta necessità di difendere il territorio, e dell’impulso alla definizione di ruoli e gerarchie – lo stesso gioco in cui si sono dilettati alcuni uomini di mezza età il 28 giugno.

È qui che i maschi soprattutto facevano esperienza della violenza di gruppo, spronati dal tacito obbligo di “fare l’uomo”, a cui poteva capitare di dover rispondere accettando le provocazioni di un bullo più grosso, o accanendosi in gruppo su un debole preso di mira, oppure indugiando nello “scherzo” più classico, quello di buttare a mare una ragazza vestita, oppure slacciandole il reggiseno prima del tuffo, e quindi facilmente passando dallo scherzo all’intimidazione violenta e alla denigrazione.

Per quello che leggiamo e sappiamo su come sarebbero andate le cose, nemmeno un decimo di tutto ciò sarebbe accaduto nelle ultime settimane per mano dei famigerati “ragazzini kosovari”, mentre non vi è la minima evidenza che i ripetuti episodi di bullismo e vandalismi di cui i Topolini sono da sempre scenario, riguardino solo alcune etnie e non altre – cosa di cui pare convinto Tuiach, che infatti finisce per spiegare qual è il problema dal suo punto di vista, ovvero che i ragazzini triestini “sono più tranquilli bravi ragazzi mammoni”


E anche ammettendo la regola per la quale se fai il bulletto prima o poi arriva qualcuno più grosso a metterti a posto – nella vita reale falsa nella maggior parte dei casi -, non si capisce per quale motivo a ciò dovrebbe porre rimedio una ronda improvvisata di quaranta-cinquantenni testosteronici, con il supporto attivo dei media che fingono di non sapere dove andrà a parare questo discorso, quando il tema dominante del dibattito politico è la fantomatica “invasione degli stranieri”.

3. Balcanofobia: il ritorno del rimosso

A Trieste il tema dell’ “invasione degli stranieri” ha caratteristiche tutte particolari, che tuttavia se lette con attenzione permettono di capire meglio alcune dinamiche anche a livello generale. Trieste ha poco più di 200mila abitanti, dei quali circa 20.000 sono immigrati con passaporto e cittadinanza stranieri, ma residenti a Trieste. Di questi, circa 12.000 provengono dai Balcani (più di 5000 sono serbi e quasi 2000 sono albanesi, di cui più di 1000 provenienti dal Kosovo). Sono presenti a Trieste praticamente tutte le nazionalità della ex-Jugoslavia, e quasi ciascuna di esse, con l’eccezione di albanesi e macedoni, vanta una componente storica (i cui membri sono cittadini italiani e quindi non sono compresi nei numeri riportati qui sopra) su cui si è poi innestata la componente di immigrazione recente.

In altre parole, oggi Trieste è – come è sempre stata – una città anche balcanica. Questo dato fa parte del rimosso nell’autorappresentazione che la città dà di se stessa: un mix di ipernazionalismo italiano e austronostalgia, condito di “triestinità”. Il fatto è che dal 1915 i Balcani sono il luogo dell’attrito tra l’imperialismo italiano e quello austrotedesco. E Trieste è stata a lungo l’avamposto d’Italia nella conquista di quello che essa considerava il proprio Lebensraum nei Balcani. L’Italia entra in guerra, nel 1915, per prendersi l’intero Adriatico orientale e l’Albania. E’ alleata della Serbia e nemica degli austrotedeschi. Passano 20 anni. Nel 1939 l’Italia occupa l’Albania, nel 1940 attacca la Grecia e nel 1941 si spartisce la Jugoslavia coi tedeschi, che stavolta sono alleati e non nemici. Ma la rivalità coi tedeschi nello spazio balcanico riemerge, e così l’Italia comincia ad appoggiare i cetnici serbi (formalmente nemici) a discapito degli ustascia croati (formalmente alleati). Allo stesso tempo appoggia l’opera di albanizzazione violenta del Kosovo portata avanti dalle autorità di Tirana sottoposte al protettorato italiano.

Questa breve carrellata serve a dimostrare come storicamente siano stati gli italiani a invadere i Balcani, e non viceversa. E come le tensioni etniche e i nazionalismi che negli anni ’90 hanno distrutto la Jugoslavia siano anche un portato della politica coloniale italiana – e austrotedesca – nei Balcani durante la prima metà del ventesimo secolo. Trieste come si è detto vive sospesa tra rigurgiti nazionalpatriottici “italianissimi” e austronostalgia irrancidita. I Balcani sono la coscienza sporca di Trieste, perché evocano il rimosso di entrambi i miti tra i quali oscilla la città. Trieste ha paura dei Balcani perché ha paura di se stessa.

Il rapporto di Trieste coi Balcani è paradigmatico del rapporto tra Europa, immigrazione e rimozione del passato coloniale.

4. «Topolini Day»: l’ordine regna a Trieste

Il 28 giugno, verso le 9.00, al decimo topolino una decina di uomini di mezza età si pavoneggiano davanti a una batteria di telecamere e di microfoni, esibendo muscoli e tatuaggi. Sono Tuiach e i suoi amici. Tra questi alcuni volti noti dell’estrema destra nazionalista triestina di qualche lustro fa. Intorno a loro, una ventina di donne e di uomini di mezza età, però senza tatuaggi e non particolarmente muscolosi, si danno da fare con spazzole e spugnette per ripulire da scritte e tag le porte degli spogliatoi e i sedili di pietra sul bordo della piattaforma. Sono i soci di SPIZ.

Quattro pulitori in realtà i muscoli li hanno: sono Muqa e i suoi amici. Ci sono anche alcuni ragazzini e alcune ragazzine che sembrano annoiarsi a morte mentre osservano i loro coetanei che si tuffano dal nono topolino. Per circa due ore gli uomini muscolosi continuano a pavoneggiarsi davanti alle telecamere, mentre i kosovari, le donne e gli uomini non particolarmente muscolosi continuano a pulire, e i ragazzini e le ragazzine continuano ad annoiarsi.

Tra i pulitori c’è anche un uomo dalla folta barba: si tratta di Andrea Rodriguez, blogger triestino che dopo aver simpatizzato per il M5S e poi appoggiato il Movimento Trieste Libera, ora sta lavorando alla costruzione di un rassemblement civico in vista delle prossime amministrative. Rodriguez non sembra molto efficace nel lavoro di spazzola, così uno degli amici di Muqa gli dice gentilmente: “Dammi, faccio io”. Dopo un po’ il barbuto se ne va a scrivere quanto sia stata bella l’iniziativa.

Tra gli uomini muscolosi si aggira anche Gotti, che a differenza degli altri non è in costume da bagno. Indossa maglietta nera, pantaloni neri a mezza gamba e anfibi. Non ha l’aria particolarmente soddisfatta, forse perché la sera prima la pioggia ha fatto saltare uno degli incontri di Muay Thai che da anni le giunte comunali, di centrodestra come di centrosinistra, gli patrocinano malgrado gli alti e bassi della sua carriera di promoter.

O forse anche perché, come si sa, non c’è posto per due galli nello stesso pollaio.

Al bar, durante una pausa, un uomo muscoloso coi tatuaggi offre da bere a un kosovaro, che lo ringrazia. L’uomo muscoloso allora tende il braccio e dice: “Dux nobis!”.
A un certo punto qualcuno porta delle birre e dei panini al prosciutto. I ragazzini vengono precettati per colorare un cartellone su cui c’è scritto in triestino: “Barcola xe de tuti. Comportemose ben”.
Verso le 13.00 il decimo topolino è proclamato pulito, e l’adunanza si scioglie. Il tutto è durato circa quattro ore, si è svolto in uno spazio di circa 200mq, e ha coinvolto circa una cinquantina di persone.

5. Il microcosmo di una comunità organica

Il racconto della giornata confezionato dal Piccolo, dal portale Bora – primo blog triestino, partito con velleità culturali e progressiste, poi ampiamente disattese –, dall’associazione SPIZ – che ha persino intruppato un’insegnante di italiano per stranieri – e persino dal TG1 nazionale è un condensato di buoni sentimenti da strapaese. Grazie alla stretta di mano tra Tuiach e Muqa la comunità ha ritrovato la sua armonia e si è pacificamente riappropriata dei Topolini. La Trieste multietnica, multiculturale, civile e tollerante ha trionfato, riscoprendosi unita in nome del “diamoci da fare per il decoro”. Il fatto che nessuno si sia fatto male viene portato a dimostrazione della bontà dell’iniziativa.

Noi abbiamo visto qualcosa di molto diverso.

Abbiamo visto un giornale lanciare una campagna di demonizzazione, facendo leva sull’atavica fobia dei triestini nei confronti dei Balcani.

Abbiamo visto un crescendo di xenofobia e una comunità immigrata criminalizzata per giorni e giorni.

Abbiamo visto un manipolo di uomini di mezza età, con trascorsi nell’estrema destra e decisi a riprendersi i Topolini con le buone o con le cattive, trasformarsi in due agili mosse in “buoni padri di famiglia” tutti sorrisi, pacche sulle spalle e ciò mi ciò ti.

Abbiamo visto un atto di vassallaggio etnico. Perché la stretta di mano tra Tuiach e Muqa – dopo che Muqa ha ripulito lo scoglio – ci racconta esattamente questo: una comunità etnica è stata criminalizzata, e per sottrarsi al mobbing ha compiuto un atto di vassallaggio.

Attenzione: qua non si sta parlando delle motivazioni personali di Muqa, che non conosciamo. Qua si sta parlando del ruolo che Muqa ha interpretato nel racconto che i media hanno confezionato su tutta questa vicenda. La prova? E’ molto molto concreta: il 28 giugno al decimo topolino Muqa spazzolava le pietre col solvente, mentre Tuiach mostrava i suoi tatuaggi ai giornalisti.

Abbiamo visto spacciare per triestinità inclusiva un cartellone con una scritta in triestino “che capiscono tutti” – e a nessuno è venuto in mente che forse sarebbe stato giusto scrivere la stessa frase anche in albanese o magari in serbo. E ancora abbiamo visto spacciare per triestinità inclusiva una merenda a base di prosciutto e birra, nonostante la maggior parte dei kosovari sia di religione musulmana.


Abbiamo visto almeno un saluto romano – ma sicuramente sarà stato ironico.

Abbiamo visto trasformarsi in paladino del decoro un blogger che nel 2008 esortava a riempire i muri di tag e a pisciare nei vicoli contro la gentrificazione della Cittavecchia.

Abbiamo visto un’anima in pena con gli anfibi aggirarsi tra bagnanti, telecamere e la polizia.

Abbiamo visto i volontari di SPIZ fare le semplici comparse nei servizi televisivi dedicati al “big man” della giornata, Tuiach, il gladiatore che ha guidato la riconquista dei Topolini. Li abbiamo visti fare (letteralmente) il lavoro sporco, un lavoro in sé anche apprezzabile (tutti noi preferiamo andare a fare il bagno in uno stabilimento tenuto bene), ma al servizio di un capopopolo improvvisato e della banda di teste calde fasciste, leghiste e neoindipendentiste che si è tirato dietro. E come atto di vassallaggio questo ci è sembrato il più stomachevole.

6. Vive la trance!

L’idea che quindi viene fatta passare di un’iniziativa che ha coinvolto poche decine di persone ma ha avuto una ribalta mediatica potentissima, è quella di una manifestazione civica e spontanea, il classico “dì di festa” all’italiana, famiglie, bambini, volontari, e un po’ di ex cattivi ragazzi a dimostrare che nella vita si può cambiare ed essere migliori.
La città sembra volerci credere, le voci che si ostinano a sottolineare le incongruenze e i rischi per il futuro vengono liquidate come i soliti bastian contrari, quelli che sanno solo criticare mentre gli altri *fanno*. Insomma, cancellate tutte le scritte dai Topolini, sembra ne resti una soltanto, a segnalare che forse ci stiamo davvero trasformando tutti in un armata di sonnambuli: VIVE LA TRANCE!

Non considerando la merda ormai sdoganata di quelli che “allora sì, sono razzista!”, sono due gli atteggiamenti che sembrano prendere piede nelle discussioni sui social network come in quelle al bar o tra amici.
Il primo è quello di chi non riesce a leggere (a volte non vuole) ciò che sta in fondo alla vicenda, la sua dimensione razzista, e in qualche modo si compiace dell’idea del decoro come metro di misura per la qualità della vita di una città. Chi sceglie questa forma di sonnambulismo sembra non avere idea di come storicamente si sono affermati i fascismi, né di cosa sia la microfisica del potere. Eppure tra i redattori del portale Bora c’è anche chi dovrebbe aver almeno leggiucchiato Hannah Arendt o Michel Foucault, tanto per dire. C’è invece chi in un articolo rivendica di fare “un uso mentale, non storico della parola «fascista»”  per giustificare il fatto di accompagnarsi a gente che su facebook scrive cose del genere.


Il dubbio che qualcuno stia scherzando col fuoco, sapendo di farlo, si fa forte.

Forse meno preoccupante l’atteggiamento di chi magari anche intuisce o ha chiara la strumentalità politica della cosa, ma non riesce a vedere i rischi dello sdoganamento nel senso comune di queste forme di fascismo. Il discorso dominante in questo caso è una sorta di “benaltrismo” che si basa sull’insuccesso numerico dell’iniziativa paragonato ad altre mobilitazioni, ma non considera che il suo successo mediatico equivale all’aver lanciato una palata di letame contro un ventilatore che gira a tutta forza.

Le persone che a Trieste stanno rimuovendo e ridimensionando quanto successo non si pongono alcune domande:
perché i media danno tanto risalto a questa cosa?
Perché almeno in una fase iniziale l’elemento etnico viene fatto risaltare, per poi confondersi (ma continuando a lavorare sottotraccia) tra le altre considerazioni naturalistiche sulla qualità della vita, il decoro, la storia di tolleranza e convivenza?
Ma soprattutto: perché si accetta che la propria città venga rappresentata a questo modo? Un luogo bidimensionale, privo di complessità, nel quale è semplice mettersi d’accordo se tutti assieme si collabora, mettendo da parte le differenze, per il “bene della città”.

7. L’ideologia del decoro

Lo schermo per mascherare il messaggio implicito di esclusione che parte da questa giornata è fornito dall’ideologia del decoro, grosso modo nelle stesse modalità con cui essa si è imposta alla ribalta mediatica nazionale, ad esempio con la vicenda delle spugnette milanesi.
Cos’è l’ideologia del decoro? Il blogger Zeropregi ne aveva individuato alcune costanti che ne caratterizzano i discorsi e l’essenza reazionaria:

«Se la città è sporca è colpa di chi rovista nei cassonetti. Se i mezzi pubblici sono fatiscenti è colpa di chi non paga il biglietto. Se il patrimonio pubblico/artistico di questa città è tenuto male è colpa degli hooligans venuti da fuori o di chi mendica, creando un circolo vizioso che contrappone gli indigenti ai cittadini, come se entrambi non fossero parte dello stesso tessuto sociale. Con i suoi pro e i suoi contro.»

A ben guardare, è proprio l’ideologia del decoro il vero degrado, il viatico per ogni sopruso e discriminazione. Il decoro diventa un surrogato della dignità, perché consente di rimuovere dalla vista la merda e comportarsi come se non esistesse. Ad esempio: si cancellano le scritte sui muri senza interrogarsi sui conflitti sociali che le hanno prodotte. Su “Riza psicosomatica”, a proposito dell’ansia di ordine e di pulizia, si legge:

«Si tratta a tutti gli effetti di una forma d’ ansia acuta, nella quale si scarica un fortissimo bisogno di controllo. Di solito è un modo inconsapevole per impedire alle emozioni di emergere, o per gestire insicurezze radicate, o per sentirsi a posto con la coscienza: in questo caso l’ordine diventa per analogia un ordine morale, un senso di “pulizia interiore”»

Ovviamente a tutti fa piacere vivere in un ambiente ragionevolmente pulito. Ma quando il desiderio di pulizia diventa ossessione e si trasforma in priorità assoluta, allora tutto il resto scompare dall’orizzonte. In nome del “decoro” diventa accettabile qualunque cosa, anche mettersi al servizio di un manipolo di bulli di mezza età e lavorare di spugnetta mentre quelli si pavoneggiano davanti alle telecamere. Il razzismo, la gerarchizzazione delle etnie, il sessismo, l’omofobia ecc. passano in secondo piano, perché “l’importante è darsi da fare”.

Con queste premesse, è impossibile aspettarsi che si apra un dibattito sullo stato della città, sugli sfratti, sulla situazione nelle periferie, sulle tariffe dei ricreatori comunali che sono raddoppiate, sulle bocciature di bambini stranieri in prima elementare per mancanza di insegnanti di sostegno, sulle carenze dell’amministrazione comunale in tutto ciò che si trova al di fuori del salotto buono, piazza Unità e dintorni. Il vero degrado, a Trieste, è il razzismo sociale prodotto dalla crisi e l’incapacità delle istituzioni di intervenire a favore di chi ne sta pagando il prezzo. Le scritte sui muri ci parlano di questo, se le sappiamo leggere. Cancellarle non elimina la realtà che le ha prodotte. Di più: cancellarle sotto la direzione di Tuiach e dei suoi è un ulteriore elemento di degrado che si aggiunge alla realtà che le ha prodotte.

Ma la domanda fondamentale è: a cosa mira l’ideologia del decoro?

È il messaggio di tutta questa vicenda: il povero, il disgraziato, il diverso, il subalterno – ma anche l’insegnante precario o lo stato insolvente – devono stare al proprio posto, non rompere i coglioni mentre “il mondo va avanti”, magari a colpi di Jobs Act, di riforme della scuola, di ulteriore clandestinizzazione dei migranti. Che importa quindi se in una prima elementare triestina tre bimbi (guarda caso tutti stranieri) vengono bocciati perché la scuola non è stata economicamente in grado di garantire un servizio fino a poco tempo fa considerato indispensabile come l’insegnante di sostegno (si badi bene, parliamo quindi di un posto di lavoro destinato a uno delle migliaia di insegnanti precari e disoccupati italiani). I loro fratelli maggiori vanno ai Topolini perché è il passatempo più economico sulla piazza: il messaggio che in questi giorni è passato – e che Il Piccolo continua a riproporre – è che questi ragazzi, che siano bulli o meno, là non hanno diritto di stare. Perché se i tuoi comportamenti non sono nella norma – se non sei “un bullo italiano o triestino” – devi essere “schiacciato”…

Cosa sappiamo dei ragazzini kosovari che avrebbero “colonizzato” il decimo topolino? Niente. Sono dei fantasmi. Nessun giornalista ha tentato di parlarci, nessuno è andato al mare a osservarne le dinamiche di gruppo, nessuno si è chiesto chi siano i loro genitori, in che zona della città vivano, che alternative abbiano al ciondolare per strada durante l’estate (lo stesso vale ovviamente per i loro coetanei serbi, cinesi, italiani, eccetera). Non sappiamo in realtà nemmeno se siano kosovari! Invece sui media si è costruito il personaggio del “kosovaro buono” da contrapporre ai “kosovari cattivi”, il gigante Muqa che metterà in riga la sua comunità, collaborando col gladiatore Tuiach, in nome del decoro – ma , dettaglio sfuggito ai più, iniziando dal cancellare una scritta che in realtà era in serbo e non in albanese!

8. Triestinité™ e comunità

L’ideologia del decoro, per potersi pienamente affermare ed essere utilizzata politicamente, ha bisogno di fare riferimento a una comunità che si pretende coesa attorno alla difesa del “bene comune”. Poco importa che si stia discutendo di quattro scarabocchi anziché di altri vandalismi, decisamente più criminali e impuniti.

Di “spronare” la comunità che si “riprenderà” i Topolini per “restituirli” alla città – dopo aver valutato che l’iniziativa avesse preso il giusto carattere da “family day” – si incarica Andrea Rodriguez, non nuovo a florilegi della “triestinité”, sulla falsa riga proposta dal portale locale Bora. Quest’ultimo aveva costruito la sua immagine e la sua fortuna sull’esaltazione di alcuni aspetti che di certo contraddistinguono in maniera abbastanza netta la città da altri luoghi del nord Italia: la cucina, il mare e il Carso, il dialetto e… la famigerata storia. Su buona parte di questi elementi negli anni la redazione ha via via dato l’impressione di essere intrappolata negli stessi luoghi comuni che ha contribuito a creare, sull’ultimo aspetto – la storia – ha dimostrato, in negativo, che tentare di fare i trasversali e gli ecumenici su tutto finisce sempre per farti fare la parte del reazionario. E del resto l’esaltazione di una specificità, per quanto la si voglia aperta e inclusiva, è pur sempre una chiusura.

Andrea Rodriguez è da decenni ormai un faro della vita giovane triestina, promotore di spazi ed eventi “alternativi” e di iniziative “nel sociale”. Forse per l’età, negli ultimi anni ha deciso che era necessario guardare anche alla politica “per il bene della sua città”. Proprio sulle pagine di Bora aveva a suo tempo confezionato lo spot di lancio – quasi una chiamata alle armi – dell’allora ascendente Movimento Trieste Libera, concludendo il racconto di un dibattito piuttosto movimentato con queste parole:

«Anzi la mia idea è che lo scontro si radicalizzerà sempre più, anche perché è solo attraverso questa radicalizzazione che MTL può puntare ad ottenere qualche risultato.
Se prima avevo dubbi, ora ne sono certo: è l’unica strada possibile.
Dura, durissima, dolorosa ma l’unica possibile.
Niente elezioni, niente urne.
Questo non è 5 Stelle.
Solo strade e piazze.
Sì o no.
Tutto o Niente.»

Nella vita si può essere e fare tutto, e il suo contrario: se ci si ritiene “spiriti liberi” non c’è contraddizione nel fomentare al vandalismo in Cittavecchia ed entusiasmarsi per aver contribuito a cancellare “un groviglio di scritte orrende” ai Topolini. E si può flirtare con personaggi di Forza Italia, tifare per Beppe Grillo, abbracciare la causa indipendentista, difendere strenuamente il diritto di Ernst Nolte a parlare nella città che ospitò l’unico campo di sterminio del sud Europa, mentre si elogia il rap militante e antifascista degli Assalti Frontali… e poi rivendicare con orgoglio di essere fan dei fascisti Zeta Zero Alfa.


In fondo è l’essenza della “triestinité” che alcuni rivendicano: un groviglio inestricabile di pretese contraddittorie e cangianti, italianità e austronostalgia, ribellismo anarcoide e pulsioni d’ordine, sentimenti inconciliabili che spesso convivono nella stessa persona, un marasma rivendicato come prova di un’identità certa, da difendere e affermare anche a costo di intraprendere “strade dolorose e durissime”.
Come sostenere di aver esitato inizialmente e poi decidere di aderire e promuovere l’iniziativa di Tuiach, convinti da quello che viene letto solo come un gesto di unità d’intenti, la stretta di mano tra Gazmend Muqa e Fabio Tuiach. Del post con cui Rodriguez lo annuncia vale la pena notare questo passaggio:

«La Comunità che io concepisco è APERTA e INCLUSIVA: è Triestino (cioè fa parte della Comunità della città in cui vivo) chi vive, lavora e contribuisce alla sua crescita e al suo sviluppo in armonia.
Uno può venire da qualunque Paese del mondo: se vive, lavora e contribuisce alla e allo sviluppo in armonia E’ UN TRIESTINO, cioè appartiene alla Comunità triestina, tanto quanto uno nato a Trieste da genitori nati anch’essi a Trieste.»

Verrebbe da chiedere quale sarebbe il destino di chi non dovesse volere o poter “vivere, lavorare e contribuire allo sviluppo in armonia”; ma soprattutto: cosa cazzo sarebbe questa armonia? E chi decide chi è armonico e chi non lo è?
Di certo, chi ha preso un clamoroso abbaglio per l’ingloriosa parabola indipendentista dovrebbe contare fino a dieci prima di appiccicare aggettivi come “aperta e inclusiva” alla scivolosa idea di una “omogenea comunità triestina”. Scivolosa come hanno dimostrato anche stavolta il colorato poster monolingue già citato, “Barcola xe de tuti”, e la merenda “interculturale” a base di pane, carne di maiale e birra: a chi ha fatto notare che non era il menù più rispettoso dei kosovari, in maggioranza musulmani, sono seguite reazioni sdegnate come questa:
«se mi te ofro de magnar e no te va ben per le tue fisime religiose, xe cazi tui. Qua xe Trieste se magna cussì, se no te va ben torna a casa tua».
Welcome into our community, peace & harmony!

9. Comunità e Sicurezza

In questa occasione però Rodriguez trova il tempo per chiarire di essersi smarcato dal giro indipendentista quando si iniziò a parlare di ronde contro i rumeni – ovvero giugno 2014


Amara sorpresa scoprire che dietro a tanti discorsi su comunità aperte, e multiquesto e multiquello, cresceva e si alimentava l’odio di cui parti della “comunità triestina” sono capaci nei confronti degli stranieri e dei poveri, oltre ovviamente a quello classico, contro i s’ciavi – termine dialettale spregiativo riferito agli slavi in generale e gli sloveni in particolare.
Eppure proprio qui su Giap si era pronosticato quell’epilogo fin dall’inizio, proprio come oggi ci tocca di prestare attenzione a una vicenda da quattro soldi che però contiene in sé tutti gli elementi di una pericolosa saldatura dell’estrema destra nazionalista-leghista-indipendentista. E che alla fine va a parare un’altra volta sulla proposta delle ronde e della giustizia fai da te…


Non lo sa Rodriguez che “è normale in un popolo che si autoidentifica”?
Il tema degrado/decoro era già entrato da tempo nel discorso del MTL. È del resto un sottotesto quasi ossessivo dell’idea di città che emergeva in quell’ambito: può un paradiso fiscale, che ambisce ad attrarre grandi capitali, con una polizia e una fiscalità proprie, essere immaginato come un posto degradato? Certo che no.

Il 28 giugno non è stato esattamente un successo per chi più di ogni altro ha costantemente riproposto questo discorso. Alessandro Gotti con il suo Gruppo Sicurezza Trieste Libera ha tentato in diverse occasioni di lanciare manifestazioni dei triestini “per la sicurezza” e per difendere i cittadini dall’invadenza di suonatori ambulanti, mendicanti, writers e graffitari.

Il gruppo si è dichiarato autonomo da tutte le correnti dell’ex MTL, mentre sembra essersi saldata una alleanza politica con Giorgio Marchesich, che ritiene di essere l’unico depositario della verità indipendentista, anche se i neoindipendentisti, e Gotti stesso, solo pochi mesi prima lo tacciavano di essere un venduto. Il che è probabilmente vero, dal momento che Marchesich ha più volte finito per flirtare con la Lega Nord. Ora Gotti però si è trovato a dover aderire a un’iniziativa lanciata da un collega pugile, di area leghista, ma alla quale sono stati invitati – e hanno aderito entusiasticamente – anche i “nemici” di Trieste Pro Patria, i nazionalisti italiani che di TLT non vogliono sentir parlare. Com’era quella frase sulla politica e gli strani compagni di letto?

Triste parabola quella di Gotti se ha dovuto mettere da parte il suo orgoglio per una questione di opportunità i cui frutti sono tutti da dimostrare. Perché il dato è questo: ti sbatti per due anni a promuovere l’idea delle ronde…


…e nel giro di una settimana arriva qualcun altro a far passare quell’idea, con tanto di banda che suona la sviolinata, su Bora, sul Piccolo, persino sul Corriere della Sera e il Tg1. Quel qualcuno fa in fondo il tuo stesso mestiere, però è più giovane, più famoso, più vincente. Soprattutto è un buon padre di famiglia, pieno di valori religiosi (e di testosterone) e soprattutto… non è mai stato in galera.


Chissà se Gotti – a cui di certo non facciamo una colpa per essere stato in galera – si è posto la stessa domanda che da giorni ci poniamo anche noi, trovando insoddisfacenti tutte le risposte che fanno riferimento alla casualità: cui prodest? A chi conviene l’ascesa del personaggio Tuiach? E tutta questa vicenda montata ad arte sui media?

10. Un esperimento di delirio collettivo?

Tuiach ha ampiamente fatto sfoggio delle sue convinzioni, religiose, politiche, ideali, dissimulando davvero poco da questo punto di vista: ha esternato molto le proprie convinzioni in tema di razzismo e omosessualità, con la premessa di essere uno abituato a lavorare con le mani e non con le parole e di non essere cresciuto in un ambiente agiato. Qualcuno – del Corriere, di Bora, di Spiz – avrebbe potuto fargli notare che non c’è nessuna relazione tra non essere cresciuti nella bambagia e il fatto di pensare che certi umani siano migliori o più meritevoli in base al colore della pelle, alla provenienza o alle preferenze sessuali. Molti ricchi, e ricchissimi, sono razzisti e omofobi. Moltissimi poveri sono vittime di razzismo e omofobia.
Allo stesso modo si può provenire da una famiglia di origini modeste e malgrado questo aver studiato. Un tema ricorrente nei commenti di Tuiach e di molti suoi seguaci o sponsor, perlopiù per attaccare chi esprimeva dubbi sull’iniziativa, è stato quello di non avere tempo da perdere in chiacchiere da intellettuali, concetto che Tuiach ha espresso così:

Immaginiamo che Antonio De Curtis, in arte Totò, avrebbe risposto così:


Ancora una volta c’è da chiedersi quanto siano a loro agio con questo argomento anti-intellettuale i vari commentatori e promotori antidegrado, ma progressisti: se il fatto di non aver studiato non è certo una colpa, andrebbe chiarito che di certo lo è sbandierarlo come un merito.

Eppure qualcuno esperto di sondaggi e di metodologie delle scienze sociali ha avuto un qualche ruolo anche nell’evento ai Topolini, forse considerandolo un esperimento interessante – ne dubitiamo vista la scarsa partecipazione e quindi la limitatezza del campione -, o più probabile per sondare il campo per qualche operazione legata alla scadenza elettorale delle amministrative del 2016. Qualcuno che in qualche modo collabora con Tuiach il quale, subito dopo la comparsata ai Topolini, pubblicava questo post

che rimandava a questo sondaggio on line.

Dai quesiti sembra di capire che si intendesse da un lato misurare se i partecipanti tenessero di più alla propria identità italiana o a quella triestina – interessante notare che quella slovena non era nemmeno contemplata – a partire da due possibili scelte di nazionalità, “italiana” o “kosovara”, perché cliccando “altro” le domande erano poi rivolte a un’ipotetico intervistato kosovaro. Dall’altra parte si intendeva misurare l’atteggiamento verso gli stranieri – serbi e kosovari in particolare.
Al di là della scientificità del sondaggio è curioso che nemmeno 24 ore dopo qualcuno fosse già pronto a rilevare le percezioni dei partecipanti all’iniziativa.

11. Conclusioni

Ci sembra che questa vicenda andasse raccontata, malgrado o proprio in virtù della sua piccineria provinciale.
Ci ha colpito osservare come lo sdoganamento del “normale razzismo” della Lega e di Casa Pound – di cui Matteo Renzi porterà la parte più grossa di responsabilità di fronte alla storia – stia finendo per riempire di tossine il corpo sociale di questo paese, infiltrandosi nei discorsi in forme mutevoli di cui l’ideologia del degrado può alla bisogna essere sostituita da quella del merito, della legalità, della sicurezza, della competizione. Quel razzismo pubblicamente sbandierato penetra e si fa razzismo inconsapevole, ammantato di buon senso da quattro soldi. E finisce per trasformare personaggi che non nascondono le proprie idee reazionarie in figure di riferimento per una comunità inventata, sempre più arroccata nella difesa di un’identità indefinita ma opprimente.

Avevamo visto all’opera qualcosa di simile il 23 maggio scorso, su questa stessa frontiera ma poco più a nord, a Gorizia. In quel caso era stata la chiamata patriottica dei fascisti di Casa Pound a essere vissuta come la cosa più normale al mondo, al punto di ricevere il plauso di un pezzo dell’amministrazione di centrodestra di quella città: sul palco con Iannone e Di Stefano, stava anche l’assessore goriziana al welfare, politiche sociali e della famiglia, politiche sanitarie, servizi sociali e assistenziali, servizi educativi, pari opportunità, politiche della casa, Silvana Romano, eletta con Forza Italia. Assessore del “sociale” – tanto per parlare di merito e di competenze – in virtù di un diploma tecnico commerciale conseguito nel 1968, impiegata amministrativa dal 1969 al 1974, responsabile clienti dal 1976 al 1986, quindi dal 1986 a oggi commerciante… Questo il curriculum di Silvana Romano, che era stata ad annuire seriosa al comizio del capo di Casa Pound mentre questi vomitava odio davanti a un branco di flippati inneggianti alla bellezza purificatrice della guerra.

Anche in quella occasione la città non c’era, incurante, barricata in casa o tra gli stand di un festival dedicato alla Storia, dal quale non si era alzata una sola voce a dire che celebrare un massacro è da folli.
Anche in quell’occasione l’ectoplasma della sinistra istituzionale, il centrosinistra regionale di Deborah Serracchiani, aveva dapprima boicottato la generosa manifestazione antifascista, per poi nemmeno sollevare la questione delle dimissioni della stessa Romano dal suo incarico istituzionale, facendo passare il messaggio che sì, nell’Italia del 2015 si può stare al potere e salire su un palco circondati da braccia tese nel saluto romano, per dare dei vigliacchi agli antifascisti.

Non solo: il giorno successivo, a Trieste, la stessa retorica bellicista di Casa Pound era stata sfoggiata proprio dall’establishment renziano, con Serracchiani e Pinotti a celebrare come due liceali la stessa sanguinaria ricorrenza e lo stesso esercito che oggi, con la scusa di quattro scarabocchi – non ci stanchiamo di ripeterlo – viene nuovamente invocato per porre fine “all’invasione”. Tra tutti i “fenomeni” di questa vicenda il consigliere circoscrizionale che ha fatto questa proposta merita una menzione speciale.

E che dire del silenzio assoluto che ha accompagnato i dieci giorni di campagna anti-immigrati, riproponendo il pregiudizio anti-balcanico di cui questa città continua a non liberarsi, e che anzi riproduce come era accaduto il Primo maggio scorso?
Dove sono gli intellettuali che da decenni pubblicano interi scaffali di libri su questo “luogo-rifugio che Dio ha messo in fondo al Mediterraneo” mentre i loro concittadini abboccano alla più becera ignoranza razzista?

Pochi hanno avuto il coraggio di prendere parola in questa situazione, e spesso troppo timidamente, come se la critica di un certo modo di fare informazione, come è diventato quello di Bora, fosse un fatto privato e non una questione che ci interroga tutti e e tutte e che, discussa pubblicamente, aiuterebbe a dissipare la cappa di odio che si respira e la disinformazione che la alimenta.

In alcuni casi si ha quasi l’impressione che il vero bullismo di questa vicenda – dietro alla quale si scorgono facilmente tutti gli elementi di esaltazione machista, passati persino con l’aiuto di chi si dovrebbe occupare di discriminazioni di genere – sia quello a cui si è adeguato chi è rimasto in silenzio. E l’adesione di certe figure alla proposta di un pugile a fine carriera e con velleità politiche, sembra rispondere alla stessa dinamica per la quale, da ragazzini, si diventa adulatori del bullo più grosso per poter dire “sono suo amico”, e ottenerne la protezione. Se un peso massimo dà più garanzie di un bibliotecario, e se al centro dell’idea di città che si ha in mente non sta la battaglia per la dignità di tutti i suoi abitanti, ma quella contro il degrado di alcuni suoi luoghi caratteristici, è forse ora di prendere atto che qualcosa di grave sta accadendo, e badare bene a non ridimensionarlo.

[Per consentire una lettura non frettolosa e una discussione meditata e – soprattutto – pertinente, i commenti a questo post verranno aperti dopo il 15 luglio 2015.]

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36 commenti su “Spugnette a Nordest. Una storia di topolini, «lotta al degrado» e fantasmi balcanici

  1. […] Spugnette a Nordest. Una storia di topolini, «lotta al degrado» e fantasmi balcanici – di An… […]

  2. Come ampiamente prevedibile – e previsto – dopo una breve parentesi di Peace & Love la paranoia xenofoba a Trieste è esplosa più forte di prima.La mattina del 15 luglio il Piccolo ha pubblicato un articolo su una rissa – o un’aggressione, la cosa non è ancora chiara-, avvenuta la... → [Continua a leggere]
    • “Subumani”, “razze di merda”, “ci vuole il napalm”, “bastonarli”, “pulire la città”, “notti dei lunghi coltelli”, aspettare per strada il magistrato che ha osato aprire un fascicolo per istigazione all’odio razziale… Benvenuti sulla bacheca di Alessandro Gotti detto “Tonfa”.LEGENDA: la frase “non me ne frega niente dei bambini [fioi] e... → [Continua a leggere]
  3. Molto bene, oggi (oggi!) Vascotto di SPIZ chiama di nuovo Tuiach ai topolini per via di due sbiriboci sul muro.

    https://twitter.com/monster_chonja/status/621673050413637632

  4. Ho letto con interesse questo post e i precedenti su Trieste e dintorni. Anche se ho l’impressione che i fatti raccontati in questo post facciano tanta notizia solo qui, dove un anziano che si ribalta in bici ancora finisce sul Piccolo, ho trovato diversi spunti per pensare…Innanzitutto, io sono probabilmente... → [Continua a leggere]
    • L’idea del post più che quella di mettere pulci nelle orecchie era quella di mostrare un elefante che in troppi sembrano non vedere. I fatti di queste ore in Italia, e le ennesime chiamate alle ronde triestine di cui si parla nell’aggiornamento a questo post, stanno purtroppo a testimoniarlo. Altri... → [Continua a leggere]
  5. […] Non mi sono dilungato molto anche perchè tutto quello che è successo e  come si sia sviluppato, è ben raccontato e documentato, al solito, da wuming che consiglio di leggere prima di continuare se non lo avete già  letto. […]

  6. Questa vicenda al centro dell’attenzione pubblica a Trieste si svolge su due territori, i Topolini e la Movida, e coinvolge due ideologie sottoculturali, il maschialfismo e il bullismo. Il territorio dei Topolini non è reale, ma potentemente simbolico. Le tribù giovanili triestine d.o.c. hanno abbandonato il territorio dei Topolini da... → [Continua a leggere]
    • Proprio perché il bullismo è un problema serio, è una responsabilità gravissima quella di aver legittimato Tuiach e la sua ghenga di bulli quarantenni, mettendosi addirittura sotto la sua protezione, come ha esplicitamente detto Stanese su Bora.

  7. La prima cosa che mi è venuta da pensare dopo aver letto sto lunghissimo pezzo su un episodio che nella prima riga si definisce ridicolo e nelle centinaia successive diventa invece una questione epocale, è la gran perdita di tempo. Ma non avete niente di meglio da fare che l’agiografia... → [Continua a leggere]
    • Il commento qua sopra merita di essere sezionato e analizzato punto per punto, perché è un condensato di tutte le tecniche per svicolare da una questione.1. “PERDITA DI TEMPO!” La prima cosa che mi è venuta da pensare dopo aver letto sto lunghissimo pezzo su un episodio che nella prima... → [Continua a leggere]
      • Grazie della risposta, Tuco. Non so se possono essere utili delle precisazioni. Gli sloveni, a parte che sono parte della città e quindi non li consideravo tra gli immigrati “balcanici”, hanno sicuramente subito angherie fino a tempi recenti, gli anni 80 in cui ancora imperversava il Fronte della Gioventù di... → [Continua a leggere]
        • Veramente sulla questione dei migranti è proprio la sinistra (sociale ed extra-istituzionale) ad essere attiva: si veda Ventimiglia, si veda il Baobab a Roma (per dettagli rimando al post qua sopra e al rispettivo thread), si vedano le lotte nella logistica, le occupazioni abitative, ecc.. Invece è la destra ad... → [Continua a leggere]
  8. In queste ore sono esplose tutte le questioni che abbiamo messo sul tappeto. Sono mesi che si parla di degrado, e sempre associando tale parola alla presenza in un determinato luogo di migranti, in particolare di profughi. Doveva succedere, ed è successo a Treviso; ma sarebbe potuto succedere ovunque in... → [Continua a leggere]
  9. Siamo riusciti a ricostruire con più precisione l’inizio della campagna mediatica da cui è partita tutta la faccenda. Tutto è cominciato sulla bacheca facebook del gruppo “Trieste United Security”: il 14 giugno, quindi *prima* della rissa di via del Toro, sulla bacheca è comparso questo status:https://www.facebook.com/644402132344356/photos/a.650571811727388.1073741829.644402132344356/754340678017167/?type=1&theaterseguito da una caterva di... → [Continua a leggere]
    • Nel post abbiamo scritto che la sera del 18 giugno Cinquepalmi aveva lanciato l’idea della “riconquista dei topolini” con la forza. E che il 19, alle 11 del mattino, Tuiach aveva lanciato la sua iniziativa, coinvolgendo lo stesso Cinquepalmi, seguito a ruota da SPIZ, e che poi le due iniziative... → [Continua a leggere]
  10. […] Da rileggere l’articolo di Zeropregi su il manifesto del marzo 2015 e il recentissimo Spugnette a Nordest. Una storia di topolini, «lotta al degrado» e fantasmi balcanici di Andrea Olivieri e Tuco su […]

  11. A proposito dell’episodio di Quinto di Treviso, mi e’ sembrata particolarmente significativa l’affermazione attribuita da Repubblica al segretario regionale di Forza Nuova Davide Visentin (e al “dirigente” Sebastiano Sartori):《Noi siamo qui per difendere gli italiani ed i nostri confini. Questa è Italia, non Africa. E ci sembra un bel modo... → [Continua a leggere]
  12. Partito per sbaglio il send prima di concludere, scrivo da un tablet. Comunque il succo c’era, volevo solo sottolineare come nella costruzione del discorso razzista sulle presunte “emergenze profughi”, “emergenze sicurezza” e così via, con sprezzo del ridicolo, anche le tossine nazionaliste e guerrafondaie sulla Vittoria nella Prima Guerra tornino... → [Continua a leggere]
  13. Seguo tutto questa vicenda surreale dall’inizio e vi ringrazio tantissimo per questo post, di cui si sentiva un gran bisogno (e non solo a Trieste). Purtroppo, man mano che passano i giorni, la sensazione di spaesamento, di incredulità, di vero e proprio disgusto si fa sempre più forte.Leggo oggi su... → [Continua a leggere]
    • Se ti sembra imbarazzante ed evasiva la linea tenuta da Sara Matijacic, guarda, dopo giorni di silenzio ribollente, che intervento è venuto a fare qui sotto Diego Manna.Intanto Tuiach, ormai sdoganato, dà il suo endorsement alla manifestazione di Forza Nuova a Muggia contro l’allestimento di un centro di accoglienza per... → [Continua a leggere]
  14. quoto claudiok. non perdo tempo a analizzare le varie robe non corrette nel pezzo e nei commenti perchè tanto seguirebbero controanalisi e andremmo avanti all’infinito (controanalisi che arriveranno anche su questa frase).commento solo questa parte di claudiok: “Il senso del mio intervento, provo a riassumere, è che siamo sempre a... → [Continua a leggere]
    • in realtà Diegolo, girando per strada e parlando con colleghi di lavoro, amici, parenti, il punto di vista demistificatore di questo blog non lo trovo da nessuna parte. sento la collega che dice di incazzarsi perchè alla televisione intervistano una rumena con 2 bambini che dice (con arroganza, di qui... → [Continua a leggere]
    • come dice anche Massimo, secondo me non c’è un problema di comunicazione, bensì da un lato c’è un problema di disonformazione da parte di giornali e televisioni, dall’altro lato c’è una certa non curanza di cercarsi le informazioni (non curanza che ha origini differenti, qualcuno sarà semplicemente pigro e si... → [Continua a leggere]
      • Massimo, Kente: forse può esservi utile sapere chi è Diegolo.
        Trattasi di Diego Manna, tra i fondatori della rivista triestina Bora.la. Quella citata nel post e nei commenti d’aggiornamento.

    • Ho sempre apprezzato quello che scrivi, ma sinceramente non ho mandato giù bene l’appoggio a sta cosa di Tuiach. Lascia perdere la cosa della pulizia che non è il punto della questione, visto che se questi fossero veri paladini delle pulizie dovrebbero essere in giro sempre, ma non è così,... → [Continua a leggere]
  15. En passant, visto che nei commenti sopra si parlava di TV. Ieri, per la prima volta, Giap è apparso in TV. Su La7. Schermate su schermate del blog riprese mentre veniva riassunta, per giunta in modo onesto, l’inchiesta di Matteo Miavaldi che abbiamo pubblicato a puntate.

    • Peccato che nel resto della trasmissione abbiano completamente ignorato i dettagli della sua ricostruzione, liquidandola brevemente e proseguendo a suon di luoghi comuni… evidentemente un confronto serio sul tema non interessa…

      • Vero, ma chi ha fatto il servizio lo ha fatto bene, e quello resta on line, fruibile senza la discussione consuetamente svicolatoria che ha cercato di neutralizzarlo.

  16. Il problema è che come ha insegnato WuMing1 al #ConfineOrientale gli estremi si realizzano prima che altrove. Ed è vero.Ma non vi è il solo caso Trieste, dove comunque la creata mediaticamente balkanfobia è solo agli inizi,ora, il problema è più profondo, certamente è legato a questioni interne, certamente vi... → [Continua a leggere]
  17. Considerazione iniziale: Trieste è piena di scritte, di baruffe più o meno violente e più o meno riprese, ma guarda caso per i media divanta un “caso” se sono coinvolti (presuntamente) i “non aborigeni” (ma, en passant, Tuiach non è figlio di immigrati,e tra gli altri siamo proprio certi che... → [Continua a leggere]
  18. Uff, presentissima la sinistra. A Trieste c’è l’ICS, la Caritas, S.Martino al Campo, Casa delle Donne, a Gorizia Caritas, Forum e un gruppetto di volontari (che poi alcuni votano 5stelle) che da dicembre preparano ogni sera riso e fagioli per gli afghani, a Monfalcone – Comune problematicissimo per la presenza... → [Continua a leggere]
    • Non ho capito a chi stai rispondendo, ad ogni modo, la fallacia logica alla base del tuo commento è questa: per “sinistra” intendi le sigle della sinistra politica, che 1) ‘sti cazzi (nel senso di “chi cazzo le vuole le attuali sigle della sinistra politica”); 2) sono in crisi *ovunque*,... → [Continua a leggere]
  19. Com’è finita? E’ finita che come previsto Tuiach ha lanciato una propria lista civica a sostegno del candidato sindaco della Lega in vista delle elezioni comunali del 2016. E’ finita che Tuiach si intrufola regolarmente in tutte le manifestazioni contro i migranti e contro il “gender nelle scuole”. E’ finita... → [Continua a leggere]
  20. […] Come suol dirsi, chi si piglia si assomiglia: questo qui sotto è Buttignon, «tra i più brillanti storici contemporaneisti dell’ultima generazione», con il pugile e demagogo emergente Fabio Tuiach, del quale hanno scritto su Giap Andrea Olivieri e Tuco. […]