Viaggio nelle nuove #foibe, seconda puntata. La foiba volante del Friuli orientale – di Nicoletta Bourbaki

La foiba volante del Friuli orientale

[WM:] Dopo l’inchiesta di Alberto Prunetti sulla fantomatica e semovente foiba di Roccastrada, provincia di Grosseto, ecco la storia di una foiba ancor più semovente: questa corre, si sposta in lungo e in largo per il Friuli, ogni notte percorre decine di chilometri, per niente rallentata dall’ingombro di – si dice – 800 morti. La vicenda la racconta Nicoletta Bourbaki. Prima di lasciarle la parola, ci permettiamo solo una domanda: che sta succedendo nell’ANPI tra Udine e Gorizia?  Soci ANPI che presentano i loro libri a Casapound e insieme a personaggi di destra danno il la per campagne come quella raccontata qui sotto?
Really?
Soci ANPI?
Are you serious?

_

di Nicoletta Bourbaki *

Tra i casi di foibe immaginarie che analizziamo in questa miniserie, il più recente riguarda la foiba annunciata a Corno di Rosazzo, provincia di Udine, e poco dopo delocalizzata a Manzano e Premariacco. Si tratta dell’evento pensato dalla Lega Nazionale di Gorizia per Il giorno del ricordo 2016, che si propone – dopo l’ormai leggendario Foibe di John Michael Kane – come nuovo kolossal mai realizzato sul confine orientale.

La vicenda, in sé banale, non meriterebbe nemmeno di essere smentita – e infatti, al di là del bailamme sulla stampa di questi giorni, possiamo stare certi che la smentita non ci sarà – eppure è talmente indicativa, nella genesi e soprattutto nelle conseguenze, delle dinamiche di certi ambienti e certi territori, da meritare di essere esposta al pubblico ludibrio.

Soprattutto, gli ingredienti sono gli stessi del film di Zeppellini/Kaylin/Kane: annunci roboanti, generosa copertura stampa, finanziamenti allegri e un buco – pardon, una foiba – nell’acqua.

1. L’italianissimo Luca Urizio

Il protagonista emerito è Luca Urizio, presidente della Lega Nazionale di Gorizia, dal 2013 in prima linea nel difendere il Confine orientale d’Italia da chi lo minaccia: il gender, gli immigrati… e il bilinguismo, che permette alla minoranza slovena di «discriminare la maggioranza italiana». Così si legge sul profilo Facebook pubblico di Urizio.

La Lega Nazionale, per inciso, è l’associazione che dal 1891 «vive e lavora nella difesa dell’italianità di Trieste e di tutta la Venezia Giulia», e anche noi, come Laura Matelda Puppini, ci chiediamo quali siano oggi gli spazi disponibili per perseguire un simile nobile fine, ma forse è appunto la citata pagina facebook a mostrarcelo con l’esempio:

Screenshot Luca Urizio

Screenshot Luca Urizio 2

Il fatto che il Presidente della Lega nazionale di Gorizia diffonda contenuti del genere presi da siti come il collettore di bufale gazzettadellasera.com e faccia riferimento al gender, definito persino dal Ministro dell’Istruzione «una truffa culturale», ha di per sé una certa gravità.

Questo approccio inopinato alle “fonti” ha certamente un ruolo nella vicenda, ruolo che stiamo per raccontare. Inoltre la carriera di Urizio ci permette di fare un po’ di luce sui meccanismi di selezione della leadership delle associazioni patriottiche che si occupano di foibe ed esodo, e sul loro reale potere di rappresentanza.

Screenshot Urizio 3

Orbene, l’anno scorso il Presidente Urizio ottiene un finanziamento dal Comune di Gorizia e il supporto operativo del senatore del PD Alessandro Maran per effettuare una ricerca a Roma con Ivan Buttignon e Lorenzo Salimbeni. La scrupolosa ricognizione, durata ben una settimana, la bellezza di cinque interi giorni lavorativi, è consistita nella visita degli archivi del Ministero dell’Interno, della Presidenza del Consiglio dei ministri e del Ministero degli Affari esteri «a controllare documenti su documenti».

Il risultato di tanto scartabellare in cerca di foibe è quel genere di errore che nemmeno uno studente farebbe, vale a dire la divulgazione sensazionalistica di documenti che saranno pure “autentici” nella forma ma che come sanno tutti gli storici usi a questo genere di materiali – fonti di intelligence dell’immediato dopoguerra – sono del tutto inattendibili nei contenuti. Si tratta peraltro di un documento già noto dalla metà degli anni Novanta.

2. Salimbeni e Buttignon, il duo dinamico

In effetti, considerato anche l’esborso – pur contenuto – di denaro pubblico, sarebbe forse stato lecito aspettarsi che la ricerca venisse affidata a ricercatori di più solida esperienza, più equilibrato giudizio e più chiara fama di Urizio e del suo seguito, il quale forse è stato scelto più per criteri politici: nota è la loro vicinanza alla Lega Nazionale, meno noto il valore scientifico delle loro ricerche.

Senza accanirsi nel merito di una vicenda già abbastanza meschina, Lorenzo Salimbeni è questo qui e questo qui, e basta una minima ricerca su Google per trovare il suo cursus honorum. Quanto a Ivan Buttignon, eccolo ritratto mentre presenta un suo libro a Casapound ↓

Ivan Buttignon a Casapound

Ivan Buttignon (primo da destra) a Casapound. Si veda anche il poster qui sotto. Costui, facciamo notare, è iscritto all’ANPI. Si parla anche di un suo futuro ruolo da dirigente locale.

buttignon rosso

Buttignon spicca soprattutto per la collezione sconcertante di titoli, ruoli e affiliazioni, davvero le più disparate: è dirigente della Cgil dal 2001 (almeno così si legge in un’intervista rilasciata a Casapound), presidente dell’Associazione mazziniana di Gorizia, socio ANPI e membro della Lega Nazionale. Sostiene di essere stato iscritto al PRC per 6 anni ed è coordinatore del Comitato Pro Renzi di Gorizia.

Il CV di Ivan Buttignon

La casa editrice ha purtroppo chiuso i battenti prima che Dux International vedesse la luce.

Recentemente, Buttignon sembra essersi disinteressato al tema del fascismo – ma noi non ci rassegniamo e Dux International vogliamo leggerlo ad ogni costo lo stesso – per dedicarsi alla curatela di un volume su Berlinguer scritto tra gli altri da Paolo Sardos Albertini, presidente della Lega Nazionale di Trieste, già consulente storico del film Foibe, UN KOLOSSAL CON 12 OSCAR E 30 NOMINATIONS .

Il libro su Berlinguer, almeno, ha il relativo pregio di esistere ed è impreziosito dal contributo di «Luciano Lanna, ex direttore del Secolo d’Italia» e da quello di «Miro Renzaglia, «ex militante missino negli anni ’70 e animatore politico-culturale di area non-conforme poi». Il libro è stato presentato in pompa magna dal Presidente provinciale ANPI di Udine Dino Spanghero, con buona pace della pregiudiziale antifascista.

Come suol dirsi, chi si piglia si assomiglia: questo qui sotto è Buttignon, «tra i più brillanti storici contemporaneisti dell’ultima generazione», con il pugile e demagogo emergente Fabio Tuiach, del quale hanno scritto su Giap Andrea Olivieri e Tuco.

Ivan Buttignon e Fabio Tuiach

Ma abbandoniamo pure queste allegre compagnie e torniamo alla “fonte”.

3. Si dice che dovrebbero esserci…

superdocumento

Il documento è leggibile più chiaramente qui.

Si tratta, come anticipato, di un rapporto di fonti di intelligence dell’ottobre 1945. La versione divulgata alla stampa mostra due cancellature strategicamente piazzate, assenti nel documento originale.

Vi si legge che «secondo quanto afferma la popolazione di ——», «nella zona chiamata ——-» «dovrebbero essere sepolti da 200 a 800 cadaveri facilmente individuabili perché interrati a poca profondità».

Si noti en passant che la zona in oggetto non è mai stata occupata dalla formazione partigiana indicata, la Garibaldi-Natisone. Inoltre, si tratta di un territorio quasi pianeggiante, densamente abitato e decisamente esposto, dove un’operazione come quella descritta non si sarebbe potuta compiere neppure in teoria.

In generale, la “carta” è la classica relazione basata su dicerie antipartigiane, un genere di documento assai comune che trova facile collocazione nella cornice del concitato dopoguerra di confine, in cui, come ben tematizza Gaetano Dato nel suo libro su Vergarolla, il progressivo definirsi dei fronti della Guerra fredda facilitò la creazione di progetti eversivi e torbidi di ogni sorta e permise una convergenza di settori ex osovani ed ex repubblichini, con la relativa compiacenza degli alleati e di ambienti governativi, nel progetto Stay Behind di cui Gladio fu la declinazione locale.

In questo contesto è noto che proprio negli ambienti di intelligence confluì personale ex fascista di cui presto gli stessi Angloamericani presero a diffidare per la smaccata tendenza a fornire resoconti tendenziosi ed esagerati, per alcuni tentativi di depistaggio e per la tendenza a spillare somme di denaro irragionevoli a fronte di risultati assai modesti.

Esauriti i fatti, resta la metafisica, la dimensione marchiana dell’isteria collettiva che Urizio ha saputo prima evocare dal niente e poi cavalcare in trenta giorni di propaganda martellante.

4. Se la foiba non c’è, è la prova che c’è!

Fausto Biloslavo

Fausto Biloslavo

La foiba mobile che si sposta da Rosazzo a Corno di Rosazzo a Manzano a Premariacco – vale a dire nel raggio di decine di chilometri – potrebbe presto materializzarsi nel tuo cortile di casa, e se ti addormenti potrebbe inghiottirti.

In questa fase i piccoli aiutanti della Lega nazionale non sono più i due giovani virgulti di cui sopra ma i giornali locali che rilanciano continuamente illazioni e congetture, ai quali va aggiunto Il Giornale mercé la sempre brillante penna di Fausto Biloslavo, questa volta in buona compagnia de Il Secolo d’Italia, o di quel che ne rimane.

Ma il fumo è tanto e l’arrosto continua a fare la spola tra le province di Udine e Gorizia – dicono – al punto che lo stesso Urizio mette presto le mani avanti nel dichiarare che:

«Se la fossa comune non fosse ritrovata, visto che è risaputo che molte vennero fatte “brillare” per evitarne il ritrovamento, resterebbe comunque la traccia del misfatto, confermato da diverse fonti sempre più numerose»

Bingo! La foiba del Collio fuoriesce dal recinto mentale delle ossessioni dei soliti ambienti e viaggia di notte per mezzo Friuli. Nessuno la vede ma tutti ne sentono parlare, e ci saranno delle conseguenze anche se non esiste, perché se non si trova «l’han fatta brillare». Come le Piramidi di Bibione.

Anzitutto, la foiba-fantasma travalica la storia e la geografia; non può essere una foiba perché il territorio in questione non è carsico ma deve essere foiba, perché come dichiarato da Urizio «il terreno individuato è roccioso» e allora, siccome in tempo di guerra ogni buca è fovea, può andar bene.


L’oscuro oggetto dell’immaginario sconfitto in guerra al confine orientale si configura dunque come un topos che fa collassare in sé tutta la mitologia del genere. Tutti i nodi dell’anticomunismo di frontiera sembrano essere finiti in questa sorta di buco nero, dalle foibe a Porzus. Di Porzus si convocano a forza personaggi e location, a partire dai cattivi partigiani comunisti, prima soprattutto slavi ma ora sempre più spesso italiani, come se l’essere comunisti li rendesse stranieri.

Il risultato è un disperato I want to believe fuori dalla realtà, un voler continuare a sognare – o forse è un incubo? – a tutti i costi il cui risultato più evidente sono le cariche a testa bassa di fronte ai ripetuti richiami alla serietà in primis degli eredi dei partigiani nominati nel “documento”. Il figlio di Dante Donato, il partigiano “Annibale” citato nel documento ovviamente smentisce tutto, ma anche l’Anpi prende una posizione che è in fondo di semplice buonsenso. Il già nominato Dino Spanghero, in un’uscita meno infelice di quella riportata sopra, definisce l’informativa dello scandalo «un documento di propaganda che lascia il tempo che trova» mentre Olvi Tomadoni, Presidente dell’ANPI Manzano chiede:

«Quali sono le prove di questa foiba da 200 a 800 persone secretata per un settantennio? Ottocento persone i cui familiari sarebbero rimasti silenziosi per tutti questi anni.»

La replica di Urizio a chi gli si oppone è inequivocabile, violenta e fallace perché basata su stime non credibili, nel senso che semplicemente non ci crede più nessuno:

Luca Urizio«Comprendo l’Anpi provi un certo imbarazzo a ricordare le 300 mila vittime italiane costrette a fuggire dalle proprie case e onorare le 30 mila vittime delle ideologie del terrorismo slavo-comunista, e gli antifascisti e i partigiani assassinati perché fedeli all’ideale patriota, ma li invito a sfogliare il loro album di famiglia e forse ne potremo discutere assieme.»

Presa di posizione che, oltre a perpetuare l’odiosa pratica dell’uso strumentale del passato per regolare i conti nel presente, peraltro brandendo una spada di legno, finisce paradossalmente per rinnovare quegli aspetti fratricidi della guerra che pure la Lega Nazionale dice di condannare. In questo il Presidente trascina la Lega nazionale lungo un crinale scivoloso, la cui ripidità è proporzionale all’asimmetria di rappresentanza tra l’ANPI – che nonostante i numerosi cedimenti, rimane pur sempre la custode ufficiale dei valori della Resistenza – e uno sciame pur pugnace di organizzazioni che rappresentano a malapena sé stesse.

Si fa la voce grossa per coprire il bluff, insomma. Un bluff che, al di là delle brutte carte, si estende alla cattiva qualità della squadra e alla semplice ignoranza delle regole del gioco.

5. La foiba non c’è perché è ovunque

L’entusiasmo iniziale, però, inizia a scemare nei toni più sardonici della stampa, evidentemente stanca di cercare la foiba alla fine dell’arcobaleno. Leggiamo infatti che «Luca Urizio insiste. Il documento secondo il presidente della Lega Nazionale di Gorizia deve avere un valore.»

Di fronte al rischio tangibile che il pubblico dell’osteria, stanco per l’essere stato troppo a lungo titillato, si disinteressi alle sue “rivelazioni”, al mago Urizio non resta che l’ultimo colpo di teatro, la profezia definitiva, la trasfigurazione dell’oggetto già immaginario in un verboso Grande Nulla:

«Tutta la zona del bosco Romagno è una grande fossa comune. Una tragica pagina di storia nascosta dietro la menzogna e l’omertà. E tutti coloro che negano l’evidenza, pur sapendo, sono complici di questa tragedia».

Sospinta da una così enorme cazzata, la foiba è potuta arrivare fino a Poggiobello, dove sembra essersi incagliata nella Rocca Bernarda. Se questo non aggiunge granché di nuovo (le notizie di “decine di testimonianze” e rivelazioni schiaccianti si lasciano stampare da settimane senza soluzione di continuità), l’aggiornamento ci permette di gustare il livello di compromissione della realtà cui si è arrivati in appena venti giorni di chiacchiere da osteria divenute articoli del Messaggero Veneto.

Il complicato epilogo della guerra al confine orientale viene finalmente presentato come “I segreti di Rocca Bernarda” (nei quali pressi sorgerebbe «la vecchia cjasate» che sembra ora collocarsi in una realtà parallela rispetto alla foiba e in cui si favoleggia siano avvenute delle uccisioni) in una sorta di remake troglodita di Twin Peaks in salsa agraria a base di rovine avvolte dall’edera, «vecchi segreti riemersi», laconiche confessioni di riluttanti testimoni e venerandi addirittura sessantenni che si perdono nei boschi alla ricerca delle dicerie dei Padri.

6. Le «non stragi» e i «non testimoni»

Lungo questa china, si arriva alla gallery fotografica sulla villa che non fu sede di stragi. E lo scrivono pure! È il giornalismo delle non-notizie.

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Del resto, che c’è di strano a scrivere di «non stragi», se ci sono «i non testimoni»? Gente che si fa avanti dicendo che quand’era piccola ha sentito dire dal papà o dal nonno che in un certo posto «nel ’45-’46» era successo qualcosa. Nemmeno i genitori o i parenti o chi ha riferito loro la storia erano testimoni, anche loro avevano sentito dire che.
Uno dice che il posto era proprio dietro a casa sua a Olèis e non erano neanche partigiani ma delinquenti travestiti come tali, un altro salta su e dice no, è successo dietro a casa mia, a Craoretto ed erano partigiani eccome, «col fazzoletto rosso», «titini»! Solo che Craoretto dopo la Liberazione – quando l’eccidio sarebbe avvenuto – non era affatto sotto occupazione “titina” ma si trovava in Italia, a qualche centinaio di metri dal confine con la zona A amministrata direttamente dagli angloamericani.
Un tizio parla di decine di vittime, un altro salta su e rilancia: macché decine, erano centinaia! Venivano ammazzati col piccone e «lo sapevano tutti», e ribadisce: «Tutti.» Ma di questi picconati a morte non si sa niente: chi erano? Dove stanno? Non avevano nemmeno uno straccio di parente?

Uno di questi non-testimoni ha addirittura consegnato a Urizio «una memoria», che in men  che non si dica diventa «fonte storica», e vai con l’ennesima paginata.

Staremo a vedere come andrà avanti. Per ora l’annuncio dell’ubicazione della fossa comune continua a slittare – immaginiamo le difficoltà incontrate nell’utilizzo di Google Maps – ma intanto l’isteria collettiva ha meritato l’apertura di un’indagine della Procura della Repubblica di Udine e l’interessamento di vari organi di polizia.

Dunque non ci resta che – per usare una formula di rito – confidare nella giustizia che individuerà eventuali capi d’imputazione, siano essi strage o procurato allarme.

Di certo l’intossicazione emotiva causata dal clamore sopravviverà all’evidenza che si tratta di una montatura, o al più probabile insabbiamento della questione. Speriamo però che il danno più durevole di questa bubbola in procinto di esplodere sia quello alla credibilità dei diretti interessati.

7. Ho fatto «800 infoibati», lascio?

Cogliamo l’occasione per chiedere all’esuberante duo dinamico Urizio-Buttignon cosa ne sia stato di un’altra mirabolante dichiarazione, quella sul rinvenimento, sempre da parte della Lega Nazionale, di un elenco di «oltre 800 infoibati goriziani» di cui stranamente non si è saputo più niente.

superdocumento2

L’annuncio, dato lo scorso novembre, era scaturito da un superdocumento del tutto simile a quello visto sopra, con l’aggravante che, al di là dell’attendibilità della stima al momento della scrittura, prendere per buona la cifra senza tener conto di quanti sarebbero potuti tornare a casa dopo il 1° ottobre 1945 costituisce una leggerezza imperdonabile.

Ebbene, ciononostante la rivelazione aveva catalizzato l’entusiasmo degli esuli e dei loro amici al punto di annunciare baldanzosamente la revisione del monumento del Parco della rimembranza di Gorizia, aggiunta che in effetti non sarebbe stata male, se si considera che su quella lapide di nomi di sopravvissuti, estranei o diversamente uccisi ce n’è già 99 su 665, il 15%.

Il senatore Alessandro Maran

Il senatore Alessandro Maran

Rimane infine da chiedersi se i finanziamenti stanziati dal comune di Gorizia – e il supporto del senatore PD Maran – potessero essere spesi meglio che per produrre fiumi d’inchiostro e di livore alimentando un clima di isteria che si protrae da settimane.

In chiusura, rivolgiamo un consiglio a Urizio, Salimbeni, Buttignon ed emuli vari: è inutile che cerchiate la foiba, perché la foiba è già dentro di voi.

8. Un aggiornamento fuori tempo massimo

Ad un mese dall’annuncio senza seguito della foiba, l’assessore regionale Gianni Torrenti (PD) ha incontrato Urizio per avviare una collaborazione in quanto

«la corposa documentazione recuperata alla Farnesina contiene in verità molti documenti inediti che apriranno nuove pagine nella storia del confine orientale nel periodo dal ’43 al ’46».

Speriamo ci sappiano presto dire chi ha ucciso Laura Palmer.

* Nicoletta Bourbaki è il nome usato da un gruppo di inchiesta su Wikipedia e le manipolazioni storiche in rete, formatosi nel 2012 durante una discussione su Giap. Con questa scelta, il gruppo omaggia Nicolas Bourbaki, collettivo di matematici attivo in Francia dal 1935 al 1983.

N.d.R. I commenti al post verranno attivati mercoledì 9 marzo, per consentire una lettura ragionata e – nel caso – interventi meditati (ma soprattutto, pertinenti).

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47 commenti su “Viaggio nelle nuove #foibe, seconda puntata. La foiba volante del Friuli orientale – di Nicoletta Bourbaki

  1. […] dal sito wuingfoundation) [WM:] Dopo l’inchiesta di Alberto Prunetti sulla fantomatica e semovente foiba di Roccastrada, […]

  2. DIECI DOMANDE CHIARE E TONDE SULLA “FOIBA VOLANTE DEL FRIULI”
    (Rivolte al senatore Maran, all’assessore regionale Torrenti, al Comune di Gorizia, alla Lega Nazionale, all’archivio del ministero degli Esteri, agli inquirenti e, in ultimo, agli organi dirigenti dell’ANPI.)

    A tre giorni dalla pubblicazione della nostra controinchiesta e per inaugurare l’apertura dei commenti su Giap, il gruppo di lavoro Nicoletta Bourbaki vuole riportare l’attenzione su alcuni punti chiave che continuano a rimanere in ombra nonostante la “foiba volante del Friuli orientale” continui a ricevere una generosa copertura di stampa.

    Questa operazione si rende necessaria anche a fronte di due sviluppi seguiti alla pubblicazione del post.

    Al senatore del PD Alessandro Maran, raggiunto su Twitter, diverse persone hanno chiesto ragguagli sul «supporto» che, come riferito da diversi organi di stampa e dalla Lega Nazionale stessa, egli avrebbe fornito alla ricerca di Buttignon Urizio Salimbeni (d’ora in poi nel testo, per brevità, la ricerca del BUS). Nonostante le insistenze, il Senatore si è rifiutato di fornire chiarimenti.

    In secondo luogo Ivan Buttignon ha reagito alla pubblicazione in maniera che giudichiamo scomposta, facendo apparire e scomparire minacce di querela sui social e incollando un confuso messaggio di accusa e discolpa a commento di tutti i link alla nostra inchiesta che riusciva a trovare su Facebook.

    Queste le nostre domande:

    1. Che genere di «sostegno» il senatore Maran ha offerto alla ricerca del BUS?

    2. Le modalità con cui sono stati copiati e divulgati i documenti rientrano nel regolamento dell’archivio del Ministero degli affari esteri?

    3. Com’è stato avvicinato il senatore Maran? Il senatore era al corrente delle idee e dell’appartenenza ideologica di Salimbeni e delle relazioni di Buttignon con ambienti di destra (presentazioni a Casapound, interviste rilasciate al giornale ufficiale di Casapound, foto di gruppo insieme a personaggi dichiaratamente fascisti, collaborazione con Salimbeni)? E se ne era al corrente, come mai ha sorvolato?

    4. È avvenuto davvero l’incontro tra Urizio e l’assessore regionale del Friuli-Venezia Giulia Gianni Torrenti riportato dalla stampa? È vero che il responsabile regionale alla cultura dà peso a documenti di nessuna affidabilità, documenti che, ad un mese dalla loro pubblicazione, non hanno portato a nulla?

    5. Alcune fonti di stampa fanno intendere che il documento avesse già avuto pubblicità nel 1995. La polizia può confermare questa circostanza? L’archivio può confermare chi abbia avuto accesso a tali documenti in passato?

    6. A quale titolo apparati dello stato svolgono perlustrazioni su richiesta di Urizio? Chi autorizza tali perlustrazioni? Chi se ne assume l’onere?

    7. Quanti soci ha la Lega Nazionale di Gorizia e perché risulta aver sede presso la ditta personale di Urizio?

    8. Perché il finanziamento erogato dal Comune di Gorizia è stato assegnato specificatamente a Buttignon e Salimbeni e non ad altri studiosi più titolati, a istituti universitari o ad istituzioni storiche ufficiali, affinché l’indagine storica venisse svolta con criteri di scientificità ed obiettività?

    9. Qual è la posizione dell’Associazione Nazionale Partigiani Italiani sul ruolo del suo iscritto Buttignon nell’avvio di questa catena di eventi? E cosa pensa l’ANPI delle disinvolte frequentazioni di Buttignon e della sua partnership con Salimbeni e Urizio?

    10. Qualcuno avrà la decenza di rispondere, se non a tutte, almeno ad alcune di queste domande? Chiediamo ai mezzi di informazione di unirsi a noi nel rivolgerle ai diretti interessati.

    Grazie dell’attenzione.

    Nicoletta Bourbaki
    Gruppo di lavoro sulle manipolazioni storiografiche e sulle attività fasciste in rete.

    • Ancora prima che le dieci domande venissero riprese dalla stampa, una di queste, la numero otto, ha ricevuto una parziale risposta dall’intervista a Urizio pubblicata dal Messaggero Veneto di ieri.

      Al giornalista che gli chiedeva chi fosse stato decisivo per la ricerca del BUS, Urizio replica che:

      «[…] Con me è venuto a Roma Ivan Buttignon, insegnante universitario di Gorizia, cultore di storia. Lui è venuto esclusivamente come storico e ricercatore e poi ha dato le dimissioni dal consiglio direttivo della Lega per poter esporre queste cose senza essere partecipe delle scelte dell’associazione; anche perché contemporaneamente è iscritto all’Anpi, per mantenere l’equilibrio, almeno così diceva all’inizio […] Poi invece il motivo mi è sembrato di puro opportunismo».

      Possiamo dunque ritenere che Ivan Buttignon sia stato cooptato nel BUS in virtù del suo ruolo nel direttivo della Lega Nazionale di Gorizia. Contestualmente deduciamo che i dubbi sull’appartenenza dello stesso alla Lega Nazionale, quelli seminati dal diretto interessato «a commento di tutti i link alla nostra inchiesta che riusciva a trovare su Facebook» siano stati dissipati.

      • È veramente in-cre-di-bi-le che l’ANPI locale continui a tenersi dentro Buttignon. Ci uniamo a Nicoletta nel chiedere una risposta chiara, inequivoca, alla domanda n.9. Se dopo tutta questa storiaccia l’ANPI delle province di Udine e Gorizia non dirà nulla sulle responsabilità di Buttignon, perderà un’enorme quota di credibilità agli occhi di tutt* quell* che, a livello nazionale, stanno seguendo la vicenda con autentico raccapriccio.

    • Ho seguito da vicino il caso e conosco Ivan Buttignon, che è indubbiamente uno storico preparatissimo sulle questioni del Novecento (confine orientale in primis) e un antifascista puro e battagliero. So per certo che non c’è alcun legame tra Buttignon e questa vergognosa quanto infamante campagna anti-partigiana, di cui è stato da subito convinto detrattore. Piuttosto, non pensate si tratti di un’operazione mediatica creata ad hoc per danneggiare la resistenza, condotta a prescindere dalla ricerca negli ACS?

      • Spiacente, ma definizioni e complimenti lasciano il tempo che trovano. Noi qui siamo abituati a stare ai fatti concreti, riscontrabili, documentati, corroborati da fonti. Non importa quello che dico di me stesso o che dicono di me i miei amici: importa quello che faccio. Quello che Buttignon ha fatto è qui sopra (nel post) e qui sotto (nello smontaggio della sua autodifesa).

  3. Con riferimento alle ultime righe di questa nota del senatore Alessandro Maran, dove allude a una sua azione legale nei confronti di questo blog, precisiamo i seguenti punti:

    1. la formulazione errata contenuta nella prima versione del post da noi ospitato è stata corretta al primissimo segnale, con relativa comunicazione data su Twitter e pubblicamente rivolta al diretto interessato.

    1b. Questo avveniva già due giorni prima che Maran pubblicasse la sua nota.

    1c. Per inciso, abbiamo anche avviato la procedura per richiedere a Google l’eliminazione della copia cache, che comunque periodicamente si aggiorna in automatico alla versione più recente della pagina.

    2. Quanto descritto equivale a una rettifica, con le caratteristiche di tempestività e pubblicità previste dalle normative vigenti. Maran stesso lo ammette, anche se sceglie di non tenerne conto nel successivo sviluppo del suo ragionamento.

    3. Quell’informazione imprecisa è ora riapparsa sul web per iniziativa del senatore Maran stesso, e la sua nota su Facebook è al momento l’unico luogo del web in cui essa compare.

    4. Se da quel luogo la frase verrà ripresa sui media ed entrerà in circolazione, non sarà certo per iniziativa nostra, dal momento che noi l’avevamo tempestivamente rimossa.

    5. en passant, riteniamo che la frase non sarebbe stata comunque diffamatoria: aiutare finanziariamente una ricerca – ricerca che Maran stesso ribadisce di aver agevolato – non è di per sé negativo, tantomeno criminale. Ad ogni modo, siamo nel reame della speculazione astratta, dal momento che – va ribadito – la svista è stata tempestivamente e pubblicamente corretta due giorni prima della nota FB di Maran che stiamo commentando.

    Ringraziamo Maran per aver risposto in termini chiari – più chiari di quelli usati sinora sui giornali – a proposito del suo supporto alla ricerca di Buttignon Urizio Salimbeni. Ciò è utile. Al gruppo Nicoletta Bourbaki e, soprattutto, ai mezzi di informazione il compito di prendere in esame tali termini.

    Non ringraziamo Maran, invece, per l’avere ridotto la portata della questione. Non crediamo sia sufficiente dire che se si è trattato di un polverone, la colpa ricadrà sui ricercatori e giornalisti. Come fa notare Nicoletta Bourbaki nelle “dieci domande” qui sopra, sono stati discutibili sin dal principio i criteri stessi con cui si è decisa, finanziata e avviata quella ricerca. Questo è il punto sul quale, insieme ad altri, gli abbiamo chiesto informazioni. E sul quale rimaniamo insoddisfatti anche dopo la sua risposta.

    • È vero, come afferma il sen. Maran nella sua nota su FB, che la diffamazione consiste (rectius: può consistere) nell’attribuzione a taluno di un fatto determinato: va da sé che il fatto attribuito deve anche essere lesivo dell’altrui reputazione. Però la diffamazione non si esaurisce in quello che i giuristi chiamano “elemento oggettivo”: cioè, appunto, l’attribuzione del fatto. La diffamazione è un delitto doloso: è quindi necessario che ricorra anche quello che i giuristi chiamano “elemento soggettivo” o “psicologico”, vale a dire la volizione e rappresentazione dell’evento. Detto non in giuridichese: chi attribuisce il fatto determinato deve sapere che quel fatto è lesivo dell’altrui reputazione e, soprattutto, deve *volere* la lesione dell’altrui reputazione. Lo stesso Alessandro Maran riconosce che, una volta riformulata la porzione di questo post che lo riguarda, essa è stata immediatamente diffusa: i passaggi rituali della rettifica sono riassunti nel commento qui sopra. La conseguenza che però Maran non trae da questo comportamento è che nel gruppo di lavoro Nicoletta Bourbaki manca qualunque tipo di dolo diffamatorio nei suoi confronti. Tanto che WM e altre persone che su twitter e FB hanno interagito con lui, gli hanno chiesto ulteriore conto della vicenda di cui si parla in questo post. Ma chiedere conto è cosa logicamente diversa dall’attribuire un fatto determinato: è domandare se un fatto determinato sia vero o falso. Per completezza, linko il post che ebbi modo di scrivere tempo fa per Giap, in cui ho analizzato più nel dettaglio il reato di diffamazione, in particolare a mezzo internet, cercando di chiarire il discrimine tra cosa è diffamazione e cosa non solo non lo è, ma nemmeno può esserlo: http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=17582

    • Constatiamo che il senatore Maran ha riprodotto il testo della nota anche sul suo sito ufficiale, apponendovi il titolo «Bugie virali». Ciò è paradossale, dato che, come già fatto notare sopra, l’unico che le sta “viralizzando” (si fa per dire) è lui stesso. Negli unici due luoghi del web dove quel virgolettato è reperibile, lo è per opera diretta del senatore Maran. Ora, se davvero quel virgolettato fosse diffamatorio, dovremmo concludere che Maran sta facendo opera di autodiffamazione, ergo dovrebbe adire le vie legali contro se stesso.

    • Maran nella sua nota scrive: «L’Archivio è fruibile da ogni cittadino che ne faccia richiesta. Naturalmente, con lo stesso trattamento. Un mio collaboratore ha girato la loro richiesta all’Archivio, ha preannunciato l’oggetto della ricerca e, una volta giunti nella capitale, ha indicato ai ricercatori la strada per raggiungere l’Archivio centrale. Punto.»

      Da quanto scrive Maran risulta che:

      1) se l’ACS è aperto a tutti (come mi risulta) non c’era proprio alcun bisogno che un collaboratore di Maran girasse la richiesta del trio di “ricercatori” all’ACS. Il fatto che si sia voluto far “girare” la richiesta del trio BUS da un collaboratore di un parlamentare lascia quasi intendere che i tre siano molto insicuri circa la loro credibilità.
      2) se il collaboratore di Maran ha dovuto indicare la strada per arrivare all’ACS al trio BUS quest’ultimo evidentemente non sapeva nemmeno dove l’ACS si trovi. Cosa un po’ strana per “ricercatori” dipinti come «tra i più brillanti dell’ultima generazione», nonché autori di vari saggi ecc.

      E visto quanto sopra, perché Maran ha deciso di coinvolgere un suo collaboratore in una procedura alquanto anomala per l’accesso all’ACS (e non necessaria) a favore di “ricercatori” che dimostravano scarsissima dimestichezza con una delle più importanti istituzioni italiane per quanto riguarda il patrimonio archivistico e per la ricerca storica?

      I “ricercatori”, “dottori” e quant’altro Salimbeni, Buttignon e Urizio non sanno dove sia l’ACS (visto che il collaboratore di Maran ha dovuto indicare loro la strada).

  4. Oggi il Messaggero Veneto ha pubblicato una bella intervista a Alberto Buvoli, direttore dell’Istituto friulano per la storia del Movimento di liberazione. Buvoli finalmente chiarisce il contesto storico in cui Salimbeni Urizio Buttignon pretendono di incastrare a suon di martellate la nostra amata foiba mobile. In particolare, Buvoli ribadisce il fatto ben noto che la Divisione Garibaldi-Natisone nel dicembre 1944 fu spostata a est, a Cerkno, e successivamente ancora più a est, nella zona di Novo Mesto. Il 3 maggio partecipò alla liberazione di Lubiana, e solo il 10 maggio rientrò nella “Venezia Giulia”, nella Trieste occupata dalla IV armata dell’ EPLJ. Appena il 12 giugno, all’entrata in vigore degli accordi tra Tito e Alexander, la Natisone tornò in Friuli, a Palmanova, dove smobilitò. Questi nudi dati di fatto bastano da soli a chiarire l’inconsistenza delle dicerie riportate nell’informativa sbandierata dai ricercatori del BUS, che attribuisce il massacro fantasma – che sarebbe avvenuto nel maggio ’45 – proprio alla Natisone, e chiama in causa i suoi vertici nelle persone di “Vanni” e “Sasso”.

    https://drive.google.com/file/d/0B5GeV249UR9NQzBMSl9wbC14TTlxWE5GcndLR2pvN0ZoZWU4/view?usp=sharing

    I ricercatori del BUS hanno sempre dato per scontato che l’informativa si riferisca a fatti del maggio ’45. In particolare, Urizio vuole stabilire a tutti i costi un collegamento tra la foiba mobile e l’elenco dei deportati goriziani, anch’esso rinvenuto a Roma. Ma questo collegamento è del tutto arbitrario e illogico: nel maggio ’45 Gorizia era sotto occupazione Jugoslava, e non si capisce per quale motivo gli Jugoslavi avrebbero dovuto deportare dei goriziani a Manzano, in Italia. A questo punto sarebbe interessante sapere se i ricercatori del BUS hanno ritrovato il documento da cui l’informativa è stata stralciata, in modo da contestualizzarne correttamente il contenuto.

  5. Da ieri, il gruppo di lavoro Nicoletta Bourbaki è anche su Facebook.

  6. […] merito alla comunicazione pubblicata sul Vostro blog nella giornata di ieri, preliminarmente è doveroso precisare e ribadire che la prima versione […]

  7. complimenti per la perfetta esegesi della normativa in materia di diffamazione a mezzo stampa, quasi una monografia sull’argomento. segnalo solo che l’ulteriore requisito aggiunto al cd. “decalogo del buon giornalista” dalla giurisprudenza del giudice europeo e’ quello della buona fede, secondo me senz’altro sussistente nella fattispecie. Ne consegue che nel caso in esame, a mio avviso, non vi è ne’ illecito civile, ne’ illecito penale. Inoltre, la giurisprudenza ha chiarito che allorquando si tratti di un politico, piu’ ampi sono i margini del diritto di cronaca e di critica, pena la lesione del diritto costituzionalmente garantito dall’art. 21 Cost. E’ evidente che avete un buon avvocato. saluti.

  8. Leggo e rileggo la nota del sen. Maran e l’intervista a Luca Urizio, e ripenso alle mille vicende vissute consultando (o tentando di consultare) archivi.
    La prima cosa che si impara è l’ordine: per accedere a un archivio bisogna proprio imparare a mettere in ordine. E non solo i pensieri e le riflessioni, ma anche le richieste di autorizzazione, l’agenda delle consultazioni, il tempo e la quantità delle riproduzioni, il modo di prendere appunti e di raccontare. Si diventa anche molto pazienti, ad attendere le autorizzazioni. Le sale di consultazione, a volte, hanno pochi posti, e bisogna prenotare la propria postazione e attendere che sia disponibile. Oppure, altri ricercatori vogliono consultare gli stessi documenti che interessano a te, e allora aspetti; magari, nel frattempo, vai in un altro archivio o in un’altra biblioteca. Oppure, ti sembra che tutto sia a posto, hai preso un treno la mattina prestissimo, hai fatto un paio di ore di viaggio, e però quel faldone non c’è, non si trova più, o la persona che doveva seguirti si è presa l’influenza proprio quel giorno, e devi tornartene a casa. Nelle giornate migliori, è anche bello comporre questo mosaico. Si chiama “ricerca” anche per questo.

    Leggo e rileggo la nota del sen. Maran e l’intervista a Luca Urizio.
    Dice il sen. Maran nella sua nota:
    «Un mio collaboratore ha girato la loro [dei «ricercatori» che «raggiungevano Roma da Gorizia»] richiesta all’Archivio, ha preannunciato l’oggetto della ricerca».
    Do per scontato che l’Archivio di cui si sta parlando sia quello della «Farnesina», come dice Urizio, che c’è stato:
    «D. È semplice accedere a quegli archivi?
    R. Andare alla Farnesina semplice? Non molto, ci vogliono almeno sei mesi di richieste in anticipo e poi serve l’approvazione. Ci sono andato grazie alla collaborazione dello staff del Pd, di Alessandro Maran».

    Quindi, i «ricercatori» non hanno seguito queste indicazioni (http://www.esteri.it/mae/ministero/servizi/archiviostorico/regolamento_della_salastudio.pdf) per accedere all’Archivio storico diplomatico del ministero degli affari esteri, quelle che anch’io seguirei se avessi bisogno di consultare documenti di uno dei fondi presenti in questo archivio. I «ricercatori» hanno inviato la richiesta al sen. Maran, e un suo collaboratore ha girato la richiesta indicando anche l’oggetto della ricerca.
    Strano, perché la richiesta di accesso si può fare anche on-line, anzi: si *deve* fare on-line (punto 2. del regolamento: «Per ottenere l’autorizzazione alla consultazione è necessario registrarsi al portale dell’Archivio Storico e seguire la procedura indicata. Una volta ottenuta l’autorizzazione sarà possibile prenotare il posto in Sala Studio e, se in possesso degli estremi, la documentazione da consultare»).
    Ma forse non sono andati alla «Farnesina»? Non è chiaro: Maran dice che il collaboratore ha girato la richiesta all’Archivio, ha preannunciato l’oggetto della ricerca e «una volta giunti nella capitale, ha indicato ai ricercatori [che «raggiungevano Roma da Gorizia»] la strada per raggiungere l’Archivio centrale. Punto».
    Punto, dice. Insomma. Sono andati all’Archivio Centrale dello Stato, quindi? O in entrambi gli archivi? Chissà. Comunque, l’accesso all’ACS è regolato da una domanda di ammissione e le richieste di documenti possono essere fatte per telefono o per email (è tutto spiegato qui: http://acs.beniculturali.it/servizi-al-pubblico/193-2/). Alcune consultazioni sono possibili persino on-line.

    Urizio poi nell’intervista dice che ha analizzato migliaia di «documenti», immagino riprodotti. Dunque, vediamo. Il regolamento dell’Archivio del MAE dice, al punto 19: «Di norma è fotocopiabile tutta la documentazione di cui è autorizzata la consultazione», e al 12: «Lo studioso può richiedere un numero massimo di tre buste (o registri) al giorno». Chissà quanti «documenti» sono contenuti in ogni busta: si potrebbe fare un calcolo per vedere se si arriva a migliaia. Se all’Archivio del MAE sono andati in 3 x 5 giorni e ogni giorno si possono chiedere al massimo 3 buste, in totale quanto fa?

  9. Ma Gianni Torrenti ha incontrato Urizio o no? E perché?
    Sto tentando di avere una risposta a questa domanda (è la numero 4 delle dieci formulate da Nicoletta Bourbaki) da diversi giorni, su Facebook e Twitter, anche perché Torrenti è persona piuttosto conosciuta per la sua disponibilità.
    E invece… zero. Sparito, non replica ai post, né ai tweet. Forse ritiene che la faccenda sia priva di rilievo? O anche lui è finito nel loop di ritenere che il suo operato non debba essere sottoposto a scrutinio da chi gli paga lo stipendio (i “cittadini” del FVG)?

    Urizio continua a ripetere che Torrenti lo aiuterà nella sua ricerca. E qui c’è un aspetto grave in modo particolare della questione.
    Il modo in cui Urizio intende la ricerca è da far tremare le vene ai polsi a chiunque abbia una minima idea di cosa significa fare ricerca e muoversi in un archivio storico (si veda il commento di danae più su): Urizio, un commerciante, ritiene di essere titolato a farlo (e come fa intendere, ad essere finanziato con soldi pubblici per farlo!), dall’alto dell’esperienza accumulata in ben due (2!!!) giorni di “scuola” con il “dottor Buttignon”, dopo i quali si sarebbe mosso da solo “per fare una selezione in mezzo a decine di migliaia di fascicoli” (lo afferma in questa intervista a Telefriuli che inizia intorno al minuto 17:30).
    Torrenti è una figura conosciuta nel panorama culturale triestino, pur provenendo professionalmente anche lui dal commercio come si legge nel suo CV. Ora è assessore a Cultura, Sport e Solidarietà nella giunta regionale Serracchiani. A me pare sconcertante che dopo ormai due settimane nelle quali Urizio continua a ripetere che Torrenti gli avrebbe promesso il suo “aiuto”, l’assessore alla cultura della Regione FVG non si senta in dovere di smentirlo, e chiarire che i fondi per la cultura vanno assegnati seguendo criteri molto più rigorosi (e seri) di un imprecisato “aiuto” a un commerciante che si improvvisa storico.
    E questo, sia chiaro, è un metro di giudizio che nemmeno prende in considerazione le implicazioni politiche delle “ricerche” di Urizio, ovvero l’uso strumentale che dichiara apertamente di voler farne per delegittimare la Resistenza comunista della regione.
    Tra l’altro, con la “dissociazione” di Buttignon dalla Lega Nazionale, e l’accusa di opportunismo che lo stesso Urizio per questo gli ha rivolto, ora l’eventuale esborso di fondi regionali per la ricerca in questione mancherebbe anche del requisito minimo della presenza di uno “storico”.
    Insomma, Gianni Torrenti ha intenzione di far sapere come è andata questa faccenda? O è rimasto “bloccato” dalla risonanza che la vicenda ha avuto sulla stampa e su internet, incapace di proferir verbo? In questo caso potrebbe forse investire 29 € in questo corso online del “Dott. Prof. Coach Buttignon”. Dai suoi fondi personali, si intende.

    • Alla luce delle maldestre mosse di questi giorni, su Facebook e a mezzo stampa, il corso on line di Buttignon fa ridere tantissimo!

  10. Intervengo in quanto chiamato in causa a più riprese

    Ho letto che avrei “dato il la” all’attuale caciara mediatica sulle presunte fosse comuni in Friuli.

    Questa affermazione è totalmente priva di senso.

    Può il collettivo Bourbaki essere così gentile da svelarmi da dove abbia desunto questa capziosa informazione?

    Questi i fatti a cui intendo dare risposta e fare chiarezza una volta per tutte:

    1) I miei rapporti con Casa Pound.

    Il sottoscritto ha partecipato in passato, ingenuamente, a conferenze a Casa Pound. Tutto vero. Si trattava non di presentazioni di libri, ma di miei interventi sui temi trattati nei miei libri da una posizione diametralmente opposta a quella degli organizzatori. L’ultima è del 2012, per la cronaca. Da allora non ho più combinato nulla né parteciperò più a iniziative in cui c’entra CPI. Come altre persone di sinistra e antifasciste credevo, evidentemente a torto, di poter fornire un’altra visione della realtà. Magari instillare qualche dubbio. Di certo non ho mai ammiccato con neofascisti dichiarati o meno. Difatti, quello che pensavo già all’epoca di CPI si può leggere esattamente qui: http://www.diritto.net/berlusconi-e-il-fascismo/.

    Del resto chi può dire qual è il limite per definire “accettabile” un interlocutore? Gasparri lo è? Lo è stato? A voi, che evidentemente richiamate all’ordine gli antifascisti al rigore, l’ardua sentenza (piuttosto giudizio, direi, e in quanto tale opinabile).

    Forse ad alcuni risulterà estraneo, ma, come qualcuno ha scritto, è attraverso l’esperienza che si matura. Beato chi nasce “imparato”. Resta il fatto che da quattro anni nessun contatto con Casa Pound c’è stato e non ci sarà. Potete perseverare nell’impiccarmi a quel passato, accomodatevi.

    2) Sarei il “fautore” del circo massmediatico scatenatosi sulla “foiba volante”?

    Come già scritto niente di più falso.

    Mi reputo uno storico, e in quanto tale aderente ad un metodo storiografico che non pretende di riscrivere la storia dalle pagine di quotidiani, ma attraverso una lunga e paziente perizia delle fonti ed un riscontro di esse nella realtà.

    Assumo tutta la responsabilità circa la conduzione delle mie operazioni archivistiche di scavo e spoglio, mentre mi dissocio decisamente dagli annunci attorno alle risultanze delle stesse. Una dissociazione netta e recisa.

    La questione è di metodo. Esattamente come una casa si costruisce dalle fondamenta, una ricerca inizia con la verifica delle informazioni archivistiche (cit. Furet). E solo dopo, se opportuno, si procede con una loro diffusione.

    Collaboro con l’Università di Trieste e sembrerei davvero poco attento alla scientificità metodologica se queste inopportune divulgazioni fossero associate al mio nome.

    Prima di accreditare le informazioni numeriche e considerare come oro colato la responsabilità, nello specifico, di Vanni e Sasso, nonché il numero delle vittime, sono state svolte le debite verifiche? No. E aggiungo: è possibile risalire, di volta in volta, all’identità dell’uccisore? Lo dubito e insieme ricordo che quelle stesse “cavità” vennero abbondantemente usate dai tedeschi.

    Non è un caso che dalle colonne de “Il Messaggero Veneto” il Presidente della Lega Nazionale Urizio mi accusi di “opportunismo”.

    Ma dove sta il mio opportunismo? All’ANPI si fa volontariato, lo sappiamo tutti. Quali vantaggi può dare la tessera del Sodalizio che, forse è bene ricordare, non è la tessera per il pane? Ho gli sconti al cinema? Me l’ha ordinato il dottore? La mia è una questione di appartenenza perché mio nonno era un partigiano garibaldino della Natisone ed io sono un convinto antifascista. Stop.

    Attribuirmi del fascio-leghista solo perché una foto mi ritrae con Fabio Tuiach dopo un allenamento sul ring è molto più scomposto, mi pare. Oltre che maldestro e poco serio.

    Al problema di metodo si aggiunge quello di merito: si è presa di mira la Resistenza. Ed è per questo che non solo prendo le distanze, bensì condanno senza se e senza ma, conoscenti e sconosciuti allo stesso identico modo, insomma tutti coloro che hanno lordato il buon nome della Resistenza.

    3) Infine, tirare in ballo il libro “Prospettiva Berlinguer. Sguardi trasversali sul leader comunista” è stata un’altra operazione capziosa. Bene, su 17 autori della raccolta di saggi (tale è l’opera), ben 13 esprimono ufficialmente posizioni di sinistra o estrema sinistra. Ovviamente qui si citano solo i tre di destra. Be’, se il sottotitolo è “Sguardi trasversali sul leader comunista”, qualcuno non di sinistra doveva pur esserci no? In ogni caso nessuno di questi è fascista.

    In merito al Salimbeni, credo che sia capacissimo di difendersi da solo, se lo vorrà.

    • Sinceramente, dopo tanto tempo ci aspettavamo dal prof. dott. coach Ivan Buttignon qualcosa di più che una stanca miscela di contenuti già diffusi ovunque sui social network. Ma sappiamo bene che «la risposta pronta è un’attitudine che si apprende», per cui rimandiamo Buttignon al corso tenuto dal suo omonimo, intitolato Come avere la risposta sempre pronta e prevalere in un dibattito.

      Il coach della risposta pronta

      Nell’intento di fornire un servizio a chi legge, ci sforzeremo di esaminare e decostruire la dichiarazione di discolpa di Buttignon.

      1. I rapporti con Casa Pound

      In passato Buttignon ha partecipato ad alcune conferenze con Casa Pound, anzi, a Casa Pound, dentro sedi del gruppo fascista. All’epoca aveva la non tenera età di 34 anni e non possiamo credere fosse più «ingenuo» di quanto è oggi. A una delle «conferenze» ha preso parte Mirko Bertolusso, il consigliere provinciale del PD di Venezia che è anche uno degli autori di Prospettiva Berlinguer e che ci pare Buttignon collochi «a sinistra». Non sappiamo se nel caso de Il verde e il nero si trattasse di una conferenza o di una presentazione del libro di Buttignon, ma visto che il titolo è lo stesso il dubbio ci viene.

      Lo spirito con il quale Buttignon ha affrontato i dibattiti/presentazioni francamente non ci interessa perché non è documentabile. Documentata è invece la cornice fascista di quelle iniziative. All’interno di tale cornice, Buttignon non può pretendere di aver voluto «fornire un’altra visione della realtà» come «altre persone di sinistra» e in presunta rappresentanza di quest’ultima, perché non ha alcun ruolo politico né rappresenta alcunché.

      Questo vale tanto più per la conferenza cui ha preso parte con Di Stefano, che di Casa Pound è il vice presidente. Ci viene il dubbio che costui sia andato a Casa Pound per ottenere visibilità; o forse solo i fascisti del terzo millennio erano interessati alle sue pubblicazioni? L’importante è che se ne parli, no?

      Ci sembra imbarazzante che Buttignon continui a proporre a propria discolpa – estratto invero isolato e trascurabile del suo abbondante corpus di scritti – l’articoletto su «Berlusconi e il fascismo». Imbarazzante, più in generale, che venga qui a riproporre un’autodifesa copiata-e-incollata da quella già usata dopo la sua partecipazione alla presentazione del libro di Cristicchi a Udine.

      Inoltre, l’intervista rilasciata da Buttignon al giornale ufficiale di Casa Pound testimonia rapporti con quegli ambienti ben oltre il 2012.

      Noi «perseveriamo nell’impiccarlo al suo passato», perché sarà anche «beato chi nasce imparato», ma Buttignon non «matura attraverso l’esperienza», tant’è che negli ultimi 4 anni ha avuto nuovamente rapporti con quegli ambienti – non da ultimo con la stessa Lega Nazionale che non ci sembra possa essere assolutamente considerata un’associazione di sinistra ed ha al suo interno, anche in posti chiave, personaggi che hanno avuto rapporti organici con partiti di destra anche estrema.

      Per imprimere alla sua persona pubblica una più marcata caratterizzazione «di sinistra», negli ultimi giorni Buttignon ha preso le distanze da tutta una serie di collaborazioni stabili o saltuarie con associazioni o circoli legati alla destra, giustificandosi anche con il fatto che suo nonno era partigiano.

      Facciamo notare al Dott. Prof. Coach Ivan Buttignon che, se anche per ipotesi suo nonno fosse stato un vegetariano, ciò non farebbe necessariamente di lui un vegetariano e nemmeno una persona che s’intende di verdure e ortaggi. Soprattutto, ciò non renderebbe meno incoerente il fatto che, sempre ipoteticamente, Buttignon ora frequenti i mattatoi.

      2. Buttignon e il circo massmediatico sulla «foiba volante»

      L’impressione che Buttignon sia alla base della «attuale caciara», per usare le sue parole, deriva dal fatto che egli era uno dei due – storici? ricercatori? politologi? – coinvolti nella ricerca del BUS. Ne deduciamo che senza Buttignon e senza le «lezioni d’archivio» impartite a Urizio questa «caciara» non sarebbe iniziata.

      Buttignon si reputa uno storico, un politologo, un professore, e tante altre cose a seconda delle convenienze. A tale proposito gli consigliamo di ripassare il punto 4.2 del già citato corso del coach suo omonimo, intitolato Liberati dal narcisismo. Il dramma per Buttignon è che i fatti hanno la precedenza sulle autodefinizioni.

      Ci fa piacere che Buttignon si «assuma tutta la responsabilità circa la conduzione delle sue operazioni archivistiche di scavo e spoglio», ma non ci è chiaro in cosa consista tale «responsabilità» dal momento in cui «si dissocia decisamente dagli annunci attorno alle risultanze delle stesse». Che cosa garantirebbe, al di là del suo personale salvacondotto? La questione è certamente di metodo, ma il metodo non è il suo.

      Questa «dissociazione», inoltre, ci sembra alquanto aleatoria, dato che Buttignon, nonostante lo ripeta spesso, non è mai intervenuto a smentire gli articoli sulla «foiba volante» che si sono susseguiti sulla stampa locale da novembre ad oggi.

      Di particolare interesse l’articolo del Messaggero Veneto del 12 febbraio, quello in cui Buttignon dice di aver preso le distanze mentre in realtà dichiara:

      «La ricerca è di fondamentale rilievo storiografico perché sta consentendo di ricostruire la vicenda dei deportati da Gorizia nei 40 giorni d’occupazione jugoslava; perché comprova il tentativo di annessione di Trieste da parte della Jugoslavia durante il 15 settembre 1947; perché attesta la rettitudine, il coraggio e la coerenza del Cln giuliano di fronte alle convulse vicende confinarie; perché documenta il profondo antagonismo trafascisti italiani e ustascia croati già dal 1941 – scrive Buttignon –. Si tratta infatti di un’indagine che punta esclusivamente a una più approfondita conoscenza delle questioni confinarie degli anni Quaranta. Qualche informazione sarà più apprezzata a destra, qualcun’altra a sinistra».

      Come si vede, nel suo classico stile bi-partigiano, Buttignon con «gli annunci intorno alle risultanze» c’entra eccome. La ricerca è di «fondamentale importanza» perché evidentemente costituisce un banchetto cui prender parte da destra o da sinistra. O forse, nel suo caso, addirittura da destra e da sinistra.

      Buttignon ha ritenuto di prendere le distanze dalla Lega Nazionale per salvare un simulacro di rispettabilità agli occhi dell’ANPI che presenta i suoi libri. Il tutto – almeno all’inizio – d’accordo con Urizio, che ha svelato il retroscena:

      «Con me è venuto a Roma Ivan Buttignon, insegnante universitario di Gorizia, cultore di storia. Lui è venuto esclusivamente come storico e ricercatore e poi ha dato le dimissioni dal consiglio direttivo della Lega per poter esporre queste cose senza essere partecipe delle scelte dell’associazione; anche perché contemporaneamente è iscritto all’Anpi, per mantenere l’equilibrio, almeno così diceva all’inizio. È stato attaccato in modo vergognoso e quindi voglio sottolineare la sua iniziale equidistanza per essere obiettivo. Poi invece il motivo mi è sembrato di puro opportunismo.»

      Buttignon ha certamente ragione quando dice che «non è un caso» se il Presidente della Lega Nazionale Urizio lo accusa di opportunismo. Polemicamente, potremmo spingerci fino ad avanzare un’ipotesi: non sarà che Buttignon è un opportunista?

      In proposito ci preme segnalare – anche a lui, qualora la sua dissociazione avesse preso il sopravvento – che Buttignon continua ad essere un po’ troppo informato sulle mosse della Lega Nazionale di Gorizia:

      informatissimo

      Inoltre è piuttosto chiaro che Buttignon intrattiene – o ha intrattenuto fino a pochi giorni fa – un rapporto perlomeno professionale, continuativo con la Lega Nazionale di Trieste. Prova recentissima, la sua partecipazione al convegno triestino della Lega Nazionale sui fatti di via Imbriani, convegno del 26 febbraio scorso, e il fatto che nel suo intervento egli non abbia minimamente tentato di contraddire la dichiarata impostazione antislava e anticomunista degli interventi che l’hanno preceduto, dando l’impressione a chi era in platea di essere del tutto organico a quel contesto, nonché in rapporti di fraterna amicizia con il presidente della Lega Nazionale, Sardos Albertini.

      La nostra domanda è: in quante scarpe sta tenendo il piede il Sig. Dott. Prof. coach Buttignon?

      Quanto alla «scientificità metodologica», non abbiamo proprio idea di cosa possa essere. Potremmo chiedere a Trieste, dove Buttignon insegna storia a titolo gratuito, o a Udine, dove sempre a titolo gratuito insegna economia.

      3. Un inciso

      A dispetto di quel che scrive Buttignon, nessuno qui lo ha definito «fascioleghista».

      Sul libro Prospettiva Berlinguer non abbiamo molto da dire a parte che si tratta di un’operazione capziosa. Non c’è altra definizione per una raccolta che sembra fatta con criteri da “par condicio” mettendo insieme un certo numero di amici personali – come Sardos Albertini, e davvero non si capisce a che titolo – con cui Buttignon va in giro a presentarla.
      Ci riserviamo di valutare l’opera diversamente se mai dovesse uscire una recensione su rivista scientifica.

      4. Buttignon, l’ANPI, gli sprovveduti

      Alla buon’ora, l’ANPI sembra aver capito con chi ha a che fare. Sul Messaggero Veneto del 13 marzo leggiamo che il documento rinvenuto nella ricerca su cui Buttignon «garantisce» è «un’ informativa priva di fondamento studiata da storici sprovveduti».

      sprovveduti

      Abbiamo detto fin dall’inizio che opportunismo e inesperienza nella ricerca storica sono stati la cifra dell’operazione sul fantomatico documento «della Farnesina» e su tutta la ricerca del BUS, di cui Buttignon è senza dubbio stato parte fondamentale.

      Il fatto che, dopo troppi giorni di inutili allarmi, dalla Lega Nazionale giungano accuse di opportunismo nei confronti di Buttignon, mentre specularmente dall’ANPI – e prima ancora dall’IFSML – si dichiari finalmente che chi si è occupato di questa storia lo ha fatto senza averne le competenze, sono ulteriori conferme di quanto abbiamo denunciato.

      A proposito, qui il senatore Maran dichiara che Buttignon «lavora per l’ANPI». Possiamo confidare in una smentita?

  11. Sul caso della non foiba di Rosazzo ora cosa dirà la Presidenza del Consiglio dei Ministri? Interpellata da Rizzetto?
    Walter Rizzetto, eletto tra le fila del M5S e dal 2015 fa parte del gruppo misto, in merito alla incredibile questione della non foiba di Rosazzo, ha presentato, il 16 febbraio 2016, seduta 570, la seguente interrogazione a risposta in commissione 5-07789. Che ha come destinatari il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale e delegato a rispondere sarà la Presidenza del Consiglio dei ministri:
    “Per sapere – premesso che:
    si è appreso che l’archivio del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale avrebbe celato per oltre settant’anni un documento che confermerebbe la presenza di una foiba a Corno di Rosazzo, in provincia di Udine; nella cavità carsica naturale situata nel cuore dei Colli Orientali, tra le province di Udine e Gorizia, sarebbero state gettate nel 1945 tra le duecento e le ottocento persone. Le informazioni riportate dal documento in questione, datato 30 ottobre 1945, sono state divulgate dal presidente della Lega nazionale di Gorizia, Luca Urizio, in occasione del Giorno del ricordo dell’esodo e delle foibe; viene riferito di cadaveri facilmente individuabili perché interrati a poca profondità e si riportano anche i nomi dei presunti responsabili: il comandante Sasso, nome di battaglia di Mario Fantini, della Divisione Garibaldi-Natisone, coadiuvato dal commissario politico Vanni, nome di battaglia, di Giovanni Padoan; si tratterebbe dunque dei partigiani coinvolti anche nell’eccidio di Porzus. Si cita poi come testimone un certo Dante Donato ex comandante Osovano da Premariacco; a quanto è dato sapere, attualmente sono in corso indagini che vedono collaborare i carabinieri del comando provinciale di Gorizia e quelli della compagnia di Palmanova; la foiba sarebbe già stata individuata, ma sul luogo preciso viene mantenuto per il momento il più stretto riserbo; sembra siano numerose le testimonianze di persone a conoscenza dei fatti, inoltre, viene riferito che già negli anni ’90 venne aperta un’indagine poi bloccata per motivi sconosciuti;
    ebbene, per rispetto alle presunte vittime e alla verità storica, è evidente quanto sia doveroso accertare definitivamente tali fatti, che necessitano urgentemente di riscontri. È assurdo che, ad oggi, a quanto è dato sapere, non siano state verificate le informazioni emerse, che sembra già in passato siano state oggetto di un’indagine mai giunta a conclusione –: quali siano gli orientamenti del Governo sui fatti di cui in premessa e, in particolare, come sia possibile che il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale non abbia proceduto, in oltre sett’anni, ad assumere iniziative per accertare definitivamente i fatti riportati in un documento presente nel proprio archivio; se sia vero che sia stata individuata la foiba e quali iniziative il Governo intenda adottare, per quanto di competenza per contribuire a fare luce sui fatti, anche considerando, che, al di là delle esigenze di riservatezza inerenti alle indagini, non è più possibile tenere all’oscuro i cittadini italiani della veridicità o meno di fatti storici così rilevanti. (5-07789)”. ( fonte http://aic.camera.it/aic/scheda.html?numero=5/07789&ramo=CAMERA&leg=17)

    Visto il quanto emerso sino ad oggi, cioè il nulla, visto quanto ha comportato l’operazione della non foiba di Rosazzo, siamo curiosi di sapere cosa e come risponderà la Presidenza del Consiglio dei Ministri.
    mb

  12. Ho seguito da vicino il caso e conosco Ivan Buttignon, che è indubbiamente uno storico preparatissimo sulle questioni del Novecento (confine orientale in primis) e un antifascista puro e battagliero. So per certo che non c’è alcun legame tra Buttignon e questa vergognosa quanto infamante campagna anti-partigiana, di cui è stato da subito convinto detrattore. Piuttosto, non pensate si tratti di un’operazione mediatica creata ad hoc per danneggiare la resistenza, condotta a prescindere dalla ricerca negli ACS?

  13. Bla bla bla. Il wu ming dalle poche idee e ben confuse. Torno al nocciolo della questione, che mi pare ti sia sfuggito. Ho letto che avrei “dato il la” alla campagna diffamatoria nei confronti della Resistenza. Questa affermazione è così priva di senso, di fondamento e, in una sola parola, di verità, che non meriterebbe risposta. Allora domandina. Può il wu ming essere così gentile da svelarmi chi gli abbia fornito questa falsissima informazione? Perché la querela per diffamazione di cui parlavo sarà diretta proprio a quel cattivone. Magari oggi infanga me e domani uno dei wu ming. Mai fidarsi dei bugiardi…

    • Nota tecnica. Poiché Ivan Buttignon ha risposto nel posto sbagliato, ovvero fuori dal thread aperto dal suo precedente commento, linkiamo qui l’accurato smontaggio dei suoi argomenti a cura di Nicoletta Bourbaki.

    • Di nuovo, nella discussione suscitata dall’indagine di Nicoletta Bourbaki s’è tornato a parlare di una querela per diffamazione. Ivan Buttignon lamenta la falsità del giudizio espresso dal gruppo di lavoro a proposito del suo ruolo nella campagna antipartigiana descritta nel post e nei commenti: quindi invita Wu Ming – ma più corretto sarebbe dire “Nicoletta Bourbaki”, che è identità distinta da Wu Ming: Wu Ming gestisce questo blog, Nicoletta Bourbaki è il collettivo autore di questo post – a fornire le fonti del giudizio ora riassunto, e dichiara di voler indirizzare contro l’estensore di questa o queste fonti una querela per diffamazione.

      Buttignon potrebbe avere davvero intenzione di sporgere querela contro uno o più degli autori dei documenti citati da Nicoletta Bourbaki a sostegno della sua ricostruzione, sia nel post, sia nella risposta al primo commento dello stesso Buttignon, oppure potrebbe trattarsi più sottilmente di uno stratagemma retorico che suggerisce l’intenzione di querelare Wu Ming: è una questione di interpretazione del suo scritto, dalla quale qui prescindo, perché non ho elementi per propendere verso l’una o l’altra ipotesi.

      Quel che invece vorrei dire, da giurista, è ancora una volta questo: l’invocazione promiscua del diritto penale non solo giova poco alla sostanza del dibattito, ma inquina anche quella che dovrebbe essere la funzione propria del diritto. Non ogni giudizio critico verso l’operato di qualcuno integra automaticamente una fattispecie di diffamazione. Nella risposta alla diffida inviata dal Senatore Alessandro Maran, si è già avuto occasione di ribadire quali sono gli elementi costitutivi della diffamazione: verifica delle fonti, continenza dell’esposizione e interesse pubblico alla diffusione della notizia (e, com’è stato molto giustamente ricordato, buona fede dell’autore) scriminano, quanto alla fattispecie di diffamazione, una condotta che possa eventualmente tradursi nella lesione dell’altrui reputazione.

      Sia in questo post, sia nel commento di Nicoletta Bourbaki a lui indirizzato, Ivan Buttignon può trovare citate le fonti dalle quali il gruppo di lavoro inferisce le critiche all’operazione che in questi mesi è stata raccontata dagli organi di stampa. Sono fonti che chiunque può consultare (articoli di giornale, manifesti di conferenze etc.) e che nessuno ha sinora contraddetto. Credo sia una superfetazione chiederne di nuovo polemicamente conto.

      Aggiungo una considerazione *di strategia*: se io avessi in animo di querelare qualcuno, presterei una cura maniacale alla scelta del mio lessico, altrimenti l’arma del diritto penale mi si ritorcerebbe contro. Ad esempio, non apostroferei l’avversario di una disputa dicendo che ha le idee confuse, senza spiegarne il perché, o che non è in grado di rispondere ad una semplice domandina. Così facendo, probabilmente non lo diffamerei, ma se la mia querela “andasse avanti”, cioè se in seguito ad essa s’instaurasse il processo, il giudice potrebbe dire, come sovente si legge nelle motivazioni delle sentenze di proscioglimento, che le affermazioni da me ritenute diffamatorie si inseriscono in un contesto di aspra polemica, o di contrapposizione politica, e l’imputato ne guadagnerebbe l’assoluzione.

    • Seconda nota tecnica. Sono apparsi nella coda di moderazione di Giap alcuni commenti privi di argomenti ma pieni di petizioni di principio ed espressioni tipo «setta rossa», «curatevi», «inquisizione», «vigliacchi», «stile da DDR». Si sappia che vanno diritti nella spazzatura. Fallirà qualunque tentativo di fare rumore per distogliere l’attenzione dai fatti documentabili; quei fatti che nessuno, dall’inizio di questa vicenda, ha ancora smentito. Chi ha controargomentazioni è benvenuto, ma se qualcuno pensa di cavarsela con epiteti, pleonasmi e frasi sgrammaticate finalizzate a buttare tutto in vacca, ha decisamente sbagliato posto.

  14. Sul Messaggero Veneto di oggi si parla ancora della “Foiba volante”. Ad entrare in scena è il gruppo “I recuperanti del Nord Italia” che con i loro sofisticatissimi metal detector sarebbero pronti a dare una mano a Urizio&C. per cercare la presunta “fossa comune”. A capo della spedizione c’è Paolo Garlant (ritratto nelle foto qui sotto) il quale, generosamente intervistato dal giornale diretto da Tommaso Cerno, ha dichiarato: «Quella fossa c’è, se ne sente parlare da molto tempo. La soluzione in pochi giorni».

    Gentile direttore, chi verrà intervistato nelle prossime puntate di questa farsa?

  15. Quando Nicoletta Bourbaki ha diffuso le foto di Paolo Garlant con elmetto SS, croce celtica e divisa nazista, il direttore del Messaggero Veneto Tommaso Cerno ha chiesto scusa su Twitter per la “svista” e ha fatto pubblicare sul sito del giornale un articolo che, a differenza del precedente, dava almeno qualche sommaria informazione sul background e le passioni di questo personaggio.

    Nello spazio commenti sotto l’articolo, Garlant è intervenuto riproponendo, in una lingua pressoché priva di sintassi e crivellata di errori, tutti i clichés a cui siamo abituati: «non sono di destra né di sinistra», «sono apolitico», «sono solo un collezionista» ecc.

    Un utente ha subito smontato questa linea di difesa citando e linkando diversi post di Garlant su FB dove si compiaceva di essere chiamato dagli amici «nazista» e «SS», omaggiava il criminale nazista Joachim Piper (alto ufficiale SS, braccio destro di Himmler), usava il numero 88 (nel codice cifrato neonazista significa «Heil Hitler»), inneggiava al ritorno della X Mas e quant’altro.

    A breve giro, Garlant ha chiuso ai non-amici il proprio profilo FB, fino a quel momento visibile da chiunque.

    Noi però avevamo fatto un considerevole numero di screenshot. Li pubblichiamo qui sotto a futura memoria.

    Nel frattempo, scoprivamo che il “Museo della Grande guerra” presso il quale Garlant afferma di lavorare in realtà è solo una locanda con qualche immagine alle pareti (vedi ultimo screenshot).

    Messo alle strette sul sito del MV, Garlant ha minacciato querele – almeno sembra, la frase era poco chiara – nei confronti degli interlocutori (uff…) e ha concluso dicendo che lui sa dov’è la foiba ma a questo punto, per ripicca, non lo dice. Ecco il suo commento, c’è da fare un po’ di analisi logica ma il senso più o meno si coglie:

    «Mi attaccate con delle foto di una mia vecchia collezione? di un tatuaggio della quale solo io ne so il perche’ ce lho. di una croce di guerra della prima e NON seconda guerra quindi non nazista!!! bene, io unitamente al mio gruppo avevo dato la mia piena disponibilita’ e non solo io a cercare, rinvenire e scoprire quante piu’ verita’ possibili mediante anche delle testimonianze oculari di persone, (gia acquisite ma non pubblicate sul giornale in quanto scomode) ho specificato piu’ e piu’ volte il mio essere apolitico e che comunque non ha nulla a che vedere con la faccenda delle foibe, io le verita’ le so, ma non le diro’ grazie ai vostri commenti denigratori verso il mio operato del tutto imposto ad un unico obbiettivo che mi ero prefissato che era quello di dare una giusta ed onerosa sepoltura a queste persone di modo che le famiglie potessero come tutti portare un fiore ai loro cari in cimitero, ne piu ne meno, ma sto notando una certa questione politica assai pressante e stressante e la cosa non mi va bene in quanto non veritiera, provvedero’ mediante vie legali a chiamare in separata sede coloro che mi anno etichettato come nazista quando non lo sono. Con questo non ho altro da aggiungere…ah si una sola cosa: io so dove sono le foibe…ma ringraziate voi stessi se non diro’ 1 sola parola in merito e se mi chiederanno il motivo lo diro’ senza nessun problema. cosa importante: non ero pagato per dare una mano e non lo facevo per altre cose. Buona fortuna.»

    A questa persona, il MV aveva dato spazio e credito. Solo l’intervento di Nicoletta Bourbaki e nostro ha gettato luce su chi fossero questi “Recuperanti”.

  16. Per completezza, il tatuaggio sulla spalla sembra praticamente identico al simbolo delle SS (totenkopf), usato anche dai reparti di guardia è nei sigilli dei documenti ufficiali dei lager nazisti.
    La croce di ferro potrebbe essere del 1870 o della 1a guerra mondiale (quella nazista aveva una svastica al centro, questa ha una “W”), ma a parte questi dettagli le tre tipologie erano virtualmente identiche per forma e colore.

  17. Ecco il testo della lettera che abbiamo appena inviato al Messaggero Veneto:

    Gentile direttore,

    ai sensi e per gli effetti di quanto previsto dalla l. 8 febbraio 1948 n. 47, art. 8, e al contempo certi di fornire un contributo utile ai lettori del suo giornale, precisiamo quanto segue:

    in un articolo apparso sul Messaggero Veneto del 19/03/2016 col titolo «“Il ricercatore è neonazi”, bufera sulla fossa comune» e il sottotitolo «Ancora polemiche sul caso storico. Wu Ming contro Paolo Garlant», il nostro lavoro di controinformazione sul “recuperante” Paolo Garlant è stato reso in maniera inaccurata e banalizzante. La titolazione sembra attribuirci una frase che però non abbiamo usato e, nel corpo dell’articolo, la nostra presa di posizione è “riassunta” dalla strana subordinata: «definito sul social in posizione “nazista”».

    Noi non abbiamo «definito» Garlant «neonazi», non è questo il nostro modo di procedere. L’atto di definire qualcuno appartiene al campo dell’opinione, ma noi non abbiamo espresso un’opinione: abbiamo constatato dei fatti, ancorandoli a prove visive e testuali prodotte dallo stesso Garlant.

    Su Twitter e sul nostro blog Giap abbiamo mostrato tre fotografie prelevate dal profilo Facebook di Garlant, che fino a ieri era visibile a tutti: nella prima, il nostro “recuperante” sfoggia un elmetto delle SS; nella seconda indossa una divisa nazista; nella terza ha una croce celtica al collo ed è visibilissimo, tatuato sulla sua spalla sinistra, il simbolo delle SS-Totenkopfverbände, le tristemente note unità “Testa di morto” dell’organizzazione paramilitare nazista.

    Oltre a queste immagini, sempre dal profilo di Garlant abbiamo segnalato un omaggio all’alto ufficiale SS Joachim Piper (braccio destro di Himmler, responsabile degli eccidi di Boves e Castellar nel Cuneese) e un messaggio dove Garlant lancia lo slogan «Torneremo!!!! 88». Il numero 88 nel codice neonazista significa «Heil Hitler».

    Anche sul sito del Messaggero Veneto, dove ha lasciato diversi commenti non facili da leggere per via di una sintassi molto idiosincratica, Garlant si è difeso dicendosi «apolitico», «né di destra né di sinistra», «solo un collezionista» e quant’altro. Ha anche accennato al proprio tatuaggio SS «della quale solo io ne so il perche’ ce lho» (cit).

    Mettendo in sequenza fatti documentati e innegabili, noi abbiamo dato la possibilità a chiunque ci legga di trarre le proprie conclusioni, anche sulla credibilità di questo genere di autodifesa.

    Nel dare notizia del nostro intervento, il giornalista Davide Vicedomini ha omesso gran parte dei fatti che abbiamo messo in fila. In questo modo, risulta che noi “definiamo” Garlant un nazista, cioè esprimiamo un parere come un altro. Nella seconda metà dell’articolo, Garlant è di nuovo descritto come un giovane che ha «la passione di setacciare le montagne», e le altre sue “passioni” – ad esempio quella per le SS – svaniscono, puff!

    L’indomani, 20 marzo, il Messaggero Veneto ha dedicato un breve articolo all’autodifesa di Garlant, permettendogli di definirsi ancora una volta «semplicemente un ricercatore storico culturale del primo e secondo conflitto mondiale», e di aggiungere: «Non credo basti una foto per etichettare una persona».

    Queste dichiarazioni sono state riportate sul giornale senza alcun accenno alle esternazioni di Garlant, agli slogan nazisti, alle celebrazioni di criminali di guerra che si trovano sul suo profilo FB. Una vera e propria “scomparsa dei fatti”.

    Un parere lo esprimiamo adesso, e solo dopo aver esposto i motivi che ci inducono a farlo: la ricerca della verità storica può e deve fare a meno di personaggi così.

    Più in generale, pensiamo che questa storia della presunta foiba di Rosazzo stia assumendo sempre più i connotati di un’ignobile farsa.

    Wu Ming
  18. Io so.
    Io so i nomi delle vittime che sono cadute nella foiba volante del Friuli.
    Mi sono chiesto a lungo, dopo aver letto la prosa dei difensori dell’italianità, perché l’Accademia della Crusca tacesse.
    Poi ho capito che tacciono perché non hanno più parole.
    È rimasto loro un ultimo neologismo: garlantoso.
    Io so. Io so dov’è quella foiba e chi ci è morto dentro. Faccio i primi cinque nomi solo perché possiate dare un’onorevole sepoltura alla lingua del sì.

    Nella foiba i recuperatori hanno trovato le spoglie di:

    _Alighieri Dante
    _Dardano Maurizio
    _Trifone Pietro
    _De Mauro Tullio
    _Eco Umberto

    Sono disponibile a collaborare con gli inquirenti per identificare gli altri caduti, dizionario alla mano.
    Non lo faccio per me, ma perché la lingua italiana riceva un ultimo triste, solitario e finale commiato.

    • Leggo solo ora, e scusate se intervengo su di un particolare marginalissimo del tema, tutto sommato marginale ma significativo, dell’uso della lingua da parte dell’individuo in questione (ben di più che ‘sintassi molto idiosincratica’ e ortografia personalizzata!!). Mi piaceva, se possibile, sapere da Wu Ming quanto accurata era stata la trascrizione del lungo brano di prosa di Garlant sul sito del Messaggero Veneto che è riportato tra virgolette: in particolare volevo conferma della giustezza dell’espressione “giusta ed onerosa sepoltura”, che immagino stia per ‘giusta e onorevole’. Se non è, come pare plausibile, un refuso dei trascrittori, si tratta di una vera perla all’interno di un testo (a suo modo un gioiellino ricco di sfaccettature) che meriterebbe un’accurata analisi socio-linguistica. Complimenti a Tommaso Bernardis e, superflui, ai Nicoletta Bourbaki e Wu Ming

      • Ciao Carlo, il commento di Garlant riportato sopra, che contiene la fantastica espressione «onerosa sepoltura», è apparso sul sito del giornale come commento. Purtroppo, il giornale non l’ha ripreso in nessuno degli articoli dedicati al personaggio :-)

  19. Riceviamo e volentieri segnaliamo:

    Conferenza stampa del gruppo di RESISTENZA STORICA:

    LA VERITÀ DOCUMENTALE SULLA FOIBA “MOBILE” DI ROSAZZO

    Mercoledì 23 marzo 2016, alle ore 11
    presso la SALA DEL GONFALONE
    Palazzo D’Aronco
    Via Lionello, 1 – UDINE

    Interverranno i ricercatori storici:
    Alessandra Kersevan – Claudia Cernigoi – Marco Barone

    Nel corso della conferenza si svelerà la vera storia del “famoso” documento della Farnesina sulla cosiddetta foiba di Rosazzo, o Manzano e chissà quanti altri posti.

    Si chiarirà l’origine di questa documentazione, che, lungi dall’essere inedita o “scoperta negli archivi dove giaceva da settant’anni” è in realtà già stata riesumata svariate volte e sempre con gli stessi intenti antipartigiani.

    Si presenteranno infine i documenti collegati nello stesso incartamento dimostrandone l’inaffidabilità, già resasi evidente a suo tempo in un famoso processo degli anni Novanta.

    L’ampio corpus documentale in nostro possesso sarà mostrato attraverso una proiezione video. Ai giornalisti è prevista la consegna dei materiali in uno speciale dossier.

    Durante la conferenza verrà letto anche un nostro commento sulla vicenda.

  20. […] Viaggio nelle nuove #foibe, seconda puntata. La foiba volante del Friuli orientale di Nicoletta Bourbaki / Giap, 6.3.2016 Il senatore Alessandro Maran ci intima di cancellare il suo nome da Giap. Ecco perché gli rispondiamo NO. (Wu Ming, 10.3.2016) … Le frasi della «versione odierna del post» che Maran “incrimina” sono queste: 1. «Orbene, l’anno scorso il Presidente Urizio ottiene un finanziamento dal Comune di Gorizia e il supporto operativo del senatore del PD Alessandro Maran per effettuare una ricerca a Roma con Ivan Buttignon e Lorenzo Salimbeni.» 2. «Rimane infine da chiedersi se i finanziamenti stanziati dal comune di Gorizia – e il supporto del senatore PD Maran – potessero essere spesi meglio che per produrre fiumi d’inchiostro e di livore alimentando un clima di isteria che si protrae da settimane.» … […]

  21. Lettera aperta a Gianni Torrenti, assessore alla cultura, sport e solidarietà della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia.

    Gentile assessore Torrenti,

    chi le scrive è Nicoletta Bourbaki, collettivo che da diverse settimane si sta occupando della presunta “fossa comune” del Friuli orientale. Abbiamo provato a contattarla tramite i social network – Facebook e Twitter –, ma la sua segreteria ha avuto premura di consigliare l’uso della posta elettronica.

    Come saprà, ormai diversi giorni fa abbiamo pubblicato sul blog della Wu Ming Foundation, Giap, una ricostruzione piuttosto accurata del lavoro di “ricerca” sulla cosiddetta “foiba friulana” svolto dai signori Urizio, Buttignon e Salimbeni (qui).
    In quella ricostruzione il nostro collettivo – che comprende ricercatori di vari ambiti disciplinari, tra cui diversi storici – ha mostrato come, oltre ad appianare le difficoltà e ridurre le tempistiche della ricerca d’archivio anche attraverso l’intervento non ancora del tutto chiarito del senatore Maran e del suo staff, quell’operazione prescindesse da tutti i canoni della ricerca storica. Eseguita senza una ricognizione della storiografia sul tema, senza il coinvolgimento di personale professionista e basata su documenti già noti almeno dagli anni Novanta, la “ricerca” non rientra ad alcun titolo nei criteri che garantiscono la produzione di conoscenza scientifica.
    La spedizione romana capitanata da Urizio si configura dunque esclusivamente come una manovra polemica dettata da un intento revisionista a prescindere nei confronti della Resistenza di matrice comunista – per la quale molti e molte italiani, sloveni e croati di questa regione si sacrificarono, spesso con la vita –, manovra tesa a rinfocolare una narrazione della storia del confine orientale di impronta nazionalista e antislava.

    Nicoletta Bourbaki si è limitata fino a quel punto a fotografare quanto si sapeva della vicenda, ma ha poi deciso di continuare a seguirne l’evoluzione, e di tenerne nota, pubblicamente, com’è nel suo stile e in quello della Wu Ming Foundation che ne supporta il lavoro. Lavoro che in queste settimane ci è valso anche diverse minacce di querela, che peraltro non destano preoccupazione alcuna, dal momento che nessuno dei protagonisti della vicenda è stato in grado di smentire anche una sola riga di quanto avevamo scritto.

    Luca Urizio, presidente della Lega Nazionale di Gorizia, ha dichiarato di aver avuto un incontro con Lei per chiedere il supporto della Regione per proseguire le “ricerche”. Come cittadini, in molti casi residenti in regione, e sperabilmente senza doverci appellare alla legge sulla trasparenza 241/90, vorremmo sapere:

    – Che cosa ha chiesto il signor Urizio durante il vostro incontro?

    – C’è la possibilità che venga concesso un finanziamento regionale o il patrocinio della Regione FVG?

    – Se così fosse, quali sono le motivazioni alla base di tale esborso di risorse pubbliche?

    – Dal momento che Lei è persona molto addentro ai meccanismi della comunicazione di massa e dei nuovi media, non trova che sarebbe forse il caso di impedire, finché non sia fatta completa chiarezza, che persone appartenenti a qualsiasi sodalizio tengano conferenze nelle scuole della regione, discettando di qualcosa (la “fossa comune”) che potrebbe rivelarsi un’enorme bufala propalata viralmente e senza controllo (ci riferiamo alla notizia riportata in questo articolo pubblicato sul Messaggero Veneto)?

    – Il suo assessorato e la Regione, non ritengono che, per fare chiarezza una volta per tutte, sarebbe il caso che qualsiasi ricerca che si avvalga del supporto anche solo logistico delle istituzioni, venga svolta in uno spirito di cooperazione transnazionale, coinvolgendo storici e istituzioni slovene e croate, e soprattutto delegandola a studiosi di maggiore esperienza anziché a persone dai curricula a nostro giudizio non conferenti rispetto all’oggetto e alle metodologie di questa ricerca?

    Le chiediamo di poter rendere pubblica la sua risposta sul blog Giap e nella pagina facebook “Nicoletta Bourbaki”.

    Fiduciosa di una sua puntuale risposta,
    Nicoletta Bourbaki le porge illuministi saluti.

  22. […] Resistenza Storica sulla presunta «foiba o fossa comune di Rosazzo» (l’ormai famigerata «foiba volante del Friuli orientale»). Sette punti che riteniamo utili anche al di là del caso specifico. Buona […]

  23. Cari Nicoletta e Wu Ming,
    siamo due anpisti friulani, ovvero due iscritti all’ANPI di Udine e interveniamo per precisare alcuni elementi.
    Innanzitutto ci sembra interessante e puntuale la ricerca del collettivo che si aggiunge alla difficile campagna che l’ANPI di Udine sta conducendo già da metà febbraio. E che questa non sembri la consueta captatio benevolentiae, ma essa è il riflesso limpido dei nostri pensieri, così come quello che segue.
    Infatti evidenziamo come già attraverso il suo Presidente provinciale, Dino Spanghero, l’ANPI di Udine ha preso una posizione netta e decisa, senza ambiguità alcuna, e questo non viene rilevato a sufficienza, a parere nostro, nella ricerca qui pubblicata.
    Sottolineiamo inoltre che sul tema è intervenuto il prof. Buvoli, che, oltre ad essere Presidente dell’Isituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione è iscritto all’ANPI di Udine e con esso intrattiene costanti rapporti. Il suo intervento è stato qui valorizzato e allo stesso tempo andrebbe valorizzato il fatto che appartiene all’ANPI di Udine.
    Francamente ci pare gratuito ed ingiusto l’attacco rivolto al Presidente Dino Spanghero e, per esso, all’ANPI di Udine.
    La presentazione del libro “Prospettiva Berlinguer” venne organizzato dal Comune di Treppo Grande, cosa che avete dimenticato di citare. A tale iniziativa è stato invitato Dino Spanghero poiché si discuteva di una figura rilevante, e qui lasciamo da parte i giudizi politici, del movimento operaio italiano. In questo caso la frase “con buona pace della pregiudiziale antifascista” ci pare del tutto fuori luogo.
    Ivan Buttignon, volenti o nolenti, è un antifascista.
    Tale volgarizzazione degli eventi produce effetti alquanto paradossali, effetti che si possono ben riassumere nello screenshot qui sotto.

    L’ANPI di Udine sta monitorando con estrema attenzione fin dall’inizio la campagna che si è scatenata attorno alle dichiarazioni di Urizio. Così come ha fatto nel 1990 quando analogamente scoppiò il caso del “trinagolo rosso” a Fiumicello, quando furono rinvenute delle ossa, poi rivelatesi di maiale, in un campo.

    Non solo l’ANPI monitora, ma è pure protagonista.
    Ribadiamo che le dichiarazioni rilasciate da Spanghero, fin da subito, sono state perentorie senza tentennamenti. Il mandato allo studio legale di Udine ne è una prova.
    Forse dovreste porre anche il problema che in Friuli vige un monopolio dell’informazione e che un’associazione come la nostra, sebben importante, nulla può sul modo con cui vengono veicolate le notizie.

    Ci teniamo inoltre ad evidenziare alcuni fatti riguardo l’ANPI che evidentemente non vi sono noti.
    L’ANPI non si sottomette a logiche settarie. Essa non è l’associazione, per dirne una, dei soli partigiani garibaldini. Per esempio, storicamente, ha avuto tantissimi iscritti appartenenti alle formazioni “Osoppo”, e, con buona pace – questa volta ci sta – dell’APO , addirittura aveva più associati osovani dell’Associazione Partigiani Osoppo stessa.

    Ciò non emerge a sufficienza dalla stampa, che insiste a identificare l’ANPI solo con i “fazzoletti rossi”. Questa è una logica che respingiamo.

    L’ANPI, in quanto Ente Morale dello Stato, mantiene costantemente rapporti con le istituzioni repubblicane, indipendentemente dal colore politico dei suoi rappresentanti.
    Il 18 marzo si è svolta la presentazione udinese della biografia di Luciano Rapotez nel palazzo della Provincia di Udine alla quale ha partecipato il Presidente Fontanini, della Lega Nord, sarà che improvvisamente l’ANPI di Udine è diventata tutta leghista? No, evidentemente.
    Le cerimonie in giro per tutto il Friuli si organizzano con le amministrazioni che ci sono, siano esse di destra, di sinistra o di centro.
    Ci sarebbe da riflettere, invece, sulla compatibilità di altre persone con l’ANPI, con i suoi princìpi ed i valori che essa difende, prima fra tutti la Costituzione.
    E’ compatibile con l’ANPI, Ente Morale dello Stato, la fede anarchica che con lo Stato si pone in modo irriducibilmente conflittuale? E quindi pure con le costituzioni dalle quali quegli stati sono ordinati?
    Rileviamo inoltre l’utilizzo di un metodo che fa spesso riferimento alle allusioni. Esso ci pare quantomeno discutibile.
    Ricordiamo come in passato il fatto che non fosse più raggiungibile un articolo del sito anpiudine.org venne immediatamente interpretato in modo inutilmente complottista dall’estensore dellarticolo (anche considerando che l’Anpi di Udine, pochi giorni dopo la bufala di Bruno Vespa, ha tolto dal proprio sito foto e riferimenti ai martiri del 29 maggio. Speriamo si tratti di un caso.) – http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=20649.
    Ci volle l’intervento dei marxistinordest per fugare un dubbio instillato gratuitamente, a parer nostro.
    Ci sembra che le sfumature, che non possono essere colte dietro (o davanti?) lo schermo del pc, non siano state approfondite.

    Applicando questa stessa metodologia, chiamiamola del “dubbio sospettoso”, ad altre situazioni non rischieremmo di arrivare a facili fraintendimenti o forzature?
    Come giudicare certe partecipazioni televisive con Bruno Vespa in cui, nonostante la buona fede e competenza di alcune delle partecipanti, ci si confronta in discutibili sceneggiate macchiettistiche e forse di dubbio gusto? Un cedimento? Secondo noi no, ma con questi criteri forse si…
    Anche i Wu Ming stessi la subiscono ogni volta che esce una novità per Einaudi o altre case editrici non di nicchia (rispondendo per altro con argomentazioni che condividiamo al 100%).
    Siete sicuri poi che tutti i giapster in passato non abbiano avuto frequentazioni politiche anche con elementi discutibili come il triestino Riccardo Illy che del revisionismo storico antipartigiano e’ stato un apripista…quindi sono da sconfessare anche loro? Secondo noi no, pero’ col criterio fin qui applicato una scomunica non rischierebbe di macchiare la fedina immacolata?

    Non rischiate di recintarvi all’interno della vostra “conventicola” nella quale i buoni sono sempre stati buoni (e vittime – vd “Critica della vittima” di Giglioli) e i cattivi saranno sempre cattivi?

    • Un anarchico è incompatibile con l’ANPI perché l’ANPI è un ente morale dello stato, azzardano i due sedicenti iscritti che si rivolgono a noi nel commento sopra. Chi legge Giap potrebbe chiedersi: perché questo riferimento? A cosa si aggancia? Di quali anarchici stanno parlando?

      Si tratta di un’allusione a contrasti locali in seno all’associazione, dei quali non importa rendere conto in questa sede. Giap non è un forum dell’ANPI né un sito friulano, ma un blog che si rivolge a lettrici e lettori di tutta Italia, un blog dove siamo impegnati a fare inchiesta antifascista.

      Tuttavia, il paralogismo che ci viene offerto ha una qualche importanza, perché getta luce su aspetti non secondari di questa vicenda.

      Secondo la logica bizzarra dei due sedicenti, un infermiere anarchico dovrebbe essere licenziato da un ospedale pubblico. Un insegnante anarchico non potrebbe insegnare nella scuola pubblica. L’anarchico bolognese Alessandro Galli, protagonista nel 1979-80 di un lungo ed estenuante sciopero della fame, avrebbe dunque avuto torto nel pretendere di lavorare nella scuola pubblica senza prestare un umiliante giuramento di fedeltà allo stato. Eppure fu lo stato stesso a dargli ragione: grazie alla sua lotta, nella scuola il giuramento fu abrogato.

      Se il riferimento dell’ANPI è la Costituzione, ebbene, essa non stabilisce alcuna incompatibilità degli anarchici coi valori professati. L’unica incompatibilità è quella col fascismo.

      Si tratta di una logica simile a quella per la quale in Friuli la Resistenza “rossa” sarebbe da condannare per aver collaborato con gli jugoslavi “ai danni dell’Italia”. L’ANPI dovrebbe stare molto attenta a non avventurarsi lungo una china del genere, o finirà per trovarsi sulle posizioni di Urizio.

      …Ammesso e non concesso che il commento dei due sedicenti iscritti esprima la linea dell’ANPI friulano. Inoltreremo questa risposta agli organi dirigenti dell’associazione, per chiedere cosa ne pensano.

      Lo “sfondone” sull’incompatibilità degli anarchici viene utilizzato per coronare una difesa della “trasversalità” dell’ANPI, come se fosse tale trasversalità il problema sollevato. In realtà, qui si è fatto notare che un iscritto ha avuto frequenti e ripetuti rapporti con neofascisti ed estrema destra. E li ha avuti fino a poco fa. Forse la “trasversalità” dell’ANPI si spinge fino a quelle lande?

      Davvero l’ANPI del Friuli-Venezia Giulia è d’accordo nel definire “incompatibili con l’associazione” gli iscritti anarchici… al fine di difendere un iscritto che ha relazioni con fascisti?

      «Buttignon – volenti o nolenti – è un antifascista», scrivono i due sedicenti. E’ una frase che abbiamo sentito ripetere da lui stesso e da suoi difensori più o meno improvvisati. Stavolta, è arricchita da un inciso. Un inciso curioso e a sua volta rivelatore.

      Essere antifascisti non è questione di autodefinizione. E non è nemmeno questione di retaggio, finiamola una buona volta con la solfa del nonno partigiano.

      In tema di antifascismo, contano i comportamenti, e in special modo le relazioni che si intrattengono. Perché la pregiudiziale antifascista è, appunto, una pre-giudiziale, e consiste nell’escludere a priori certe collaborazioni.

      Se non bastasse quanto abbiamo già esposto (ma già andare a presentare i propri libri a Casapound per noi basta e avanza), aggiungiamo che Ivan Buttignon collabora alla rivista Storia in rete, animata da quell’Emanuele Mastrangelo di cui ci siamo occupati più volte [12], propagandista antipartigiano e manipolatore di fonti storiche, espulso a vita da Wikipedia proprio per questo motivo.

      Buttignon collabora anche a Totalità, rivista on line dove, per fare un esempio, si fa l’apologia della RSI contro la «nefasta giornata» del 25 aprile. Qui si trova Buttignon che tesse le lodi di Edgardo Sogno, mancato golpista monarchico e anticomunista.

      Nel video che incorporiamo qui sotto, invece, Buttignon è fortemente impegnato a non contrastare vedute ed esternazioni del fascista Miro Renzaglia. Guardate che lotta, che tenzone. Un memorabile episodio di dura opposizione al fascismo.

      A proposito dei Marxisti Nordest, gruppo che i due sedicenti iscritti ANPI sembrano conoscere, non dimentichiamo che essi stessi erano venuti a lamentarsi su Giap, scrivendo:

      «Pare molto probabile infatti che il politologo Ivan Buttignon, che ha presentato lo spettacolo “Magazzino 18” a Udine insieme a Cristicchi, abbia sporto querela per diffamazione contro l’autore di questo pezzo:
      http://marxistinordest.altervista.org/2014/04/08/cristicchi-udinee-tutta-tratto-puff-svani/.
      C’è un uso politico della querela, che, in taluni casi, invade anche il campo più strettamente storico.»

      Il post oggi risulta cancellato.

      Questi, volenti o nolenti, sono fatti.

      Nelle ultime settimane, in seno all’ANPI friulano si sono spese molte energie per difendere la reputazione di Buttignon. Se si fossero spese per contrastare con più efficacia la montatura della “foiba volante”, fin da subito e senza toni remissivi né risposte impacciate, forse, chissà, non si sarebbe giunti a questo punto.

      I due sedicenti iscritti ANPI sono venuti a darci notizie che noi stessi avevamo già dato. Nel post e nei commenti qui sopra abbiamo reso conto – anche con link e screenshot – delle prese di posizione di Spanghero e Ruffino. Soprattutto, abbiamo linkato ed elogiato l’intervista a Buvoli. Se c’è un aspetto che più di altri i due anonimi friulani avrebbero dovuto risparmiarsi è proprio il riferimento a quell’intervista, che brilla per la determinazione con cui vengono smontati gli argomenti della Lega Nazionale, determinazione di cui non abbiamo trovato traccia nelle risposte ufficialmente targate ANPI, che erano molto più sbavate. 

      La dirigenza ANPI è sempre rimasta sulla difensiva, i contrattacchi e gli smontaggi sono giunti da altre voci, o da voci ANPI che però non si esprimevano in quanto tali, come appunto è il caso di Buvoli, intervenuto in quanto storico e presidente del’IFSML. Noi siamo ben consapevoli che tra gli iscritti all’ANPI non mancano persone degne e capaci, e Buvoli è una di queste così come lo sono – checché ne dicano i due sedicenti – molti anarchici iscritti all’associazione.

      Il risultato è che si è data un’impressione di debolezza. Fa quindi ancora più specie che i due abbiano infilato altre penose allusioni nel loro commento, tra cui quella riguardante l’efficacissima partecipazione di Alessandra Kersevan a una puntata di Porta a Porta. In quel frangente la storica fece emergere l’uso ribaltato della foto dei civili sloveni fucilati dagli italiani, fatti passare per italiani vittime degli slavocomunisti, spingendo un riluttantissimo Raoul Pupo ad ammettere che aveva ragione lei, e mettendo in difficoltà il conduttore. Oggi noi possiamo citare quell’episodio come scena primaria per la controinchiesta sulle foto false delle foibe, perché Kersevan accettò quell’apparizione televisiva e la volse del tutto a favore della verità, non rimase sulla difensiva ma andò all’attacco. Come andrebbe sempre fatto contro i fascisti.

      Naturalmente non crediamo che l’ANPI debba assumere una posizione settaria tenendo in vita la memoria della sola resistenza “rossa”, cioè garibaldina, ma troviamo inquietante che da un lato si risponda “senza alzare la voce” ad una campagna antipartigiana propugnata da persone e organizzazioni di netta matrice nazionalista e dall’altro non si intenda fare piena luce sul ruolo avuto da un proprio iscritto le cui frequentazioni nell’estrema destra sono ben documentate.

      Perché tutto questo?

      Temiamo che la risposta vada cercata nel fatto che troppe persone paiono interessate a condizionare l’ANPI per coltivare “un antifascismo socialmente accettabile”. Vale a dire:

      – un “antifascismo” che non disdegna frequentazioni con il neofascismo, quasi a voler dimostrare la propria “apertura mentale”, ovvero ad ottenere voti, finanziamenti e appoggi anche da quella parte del ceto medio e delle classi dirigenti italiane che non ha mai nascosto le proprie nostalgie per il ventennio mussoliniano, e che nelle pulsioni d’ordine che caratterizzano i fascismi vede anche la soluzione ai molti conflitti innescati dalla crisi.

      – un “antifascismo” che si dimostra incapace di affrontare gli aspetti più controversi e sanguinosi della guerra di liberazione, perché non ha il coraggio di affermare, come fece Gramsci in un suo famoso discorso parlamentare del 1926, che vi è una bella differenza tra le violenze dell’oppresso e quella dell’oppressore, tra le violenze dello sfruttato e quelle dello sfruttatore.

      – un “antifascismo” che non ha il coraggio di affermare senza infingimenti che tra il 1915 e il 1943 il Regno d’Italia fu un paese aggressore che venne fortunatamente sconfitto, che la difesa (o meglio la conquista) dei “sacri confini” è cosa ben diversa dalla difesa dei diritti delle persone e dei popoli. 

      – un “antifascismo” che confonde il mezzo con il fine. Lo statuto dell’ANPI nel suo secondo punto afferma tra i compiti dell’associazione quello di «concorrere alla piena attuazione, nelle leggi e nel costume, della Costituzione Italiana, frutto della Guerra di Liberazione, in assoluta fedeltà allo spirito che ne ha dettato gli articoli», ovvero sancisce che lo stato italiano e le sue leggi sono uno strumento (non un fine!) per applicare nella sua pienezza la Costituzione, nella fedeltà allo spirito che l’ha ispirata. Ovvero il fine ultimo non è la difesa di una “legalità” di stato e neppure degli “interessi nazionali”; il fine ultimo è dare applicazione a ideali universali che nella Costituzione hanno trovato la loro declinazione italiana. 

      Continuiamo a chiederci se si possa davvero sperare di raggiungere questi fini accettando all’interno della propria associazione chi ha contribuito ad avviare una campagna stampa antipartigiana, chi da anni frequenta i neofascisti e scrive sulle loro riviste.

      Continuiamo a chiederci se si possa davvero sperare di raggiungere questi fini senza criticare il modo in cui la legge che istituisce il “Giorno del Ricordo” racconta la storia del confine orientale, senza prendere pubblicamente le distanze da quegli esponenti politici che mirano ad accreditarsi come “moderatamente antifascisti” incoraggiando pseudo-ricerche sulle “foibe” che sfociano in isteriche campagne stampa contro la resistenza.

      Continuiamo a chiederci se si possa davvero sperare di raggiungere questi fini restando continuamente sulla difensiva senza mostrare chi sono gli autori delle campagne tese a infangare la resistenza, senza rivelare l’origine delle loro narrazioni e senza chiamare in causa con nomi cognomi i loro sodali e protettori nelle sedi istituzionali.

  24. in linea di massima sono d’accordo con voi sulle mistificazioni relative a foibe, resistenza eccetera. MA. Non darei così per scontata una presa di posizione acritica su queste vicende di grande complessità da un punto di vista libertario/anarchico. Per dirne una, grossolanamente : un anarchico radicalmente coerente non aderisce all’ ANPI, non difende la Costituzione, non lavora per lo stato (scuola, sanità, ferrovie, poste ) non si spende per l’esercito di liberazione yugoslavo nè per nessun altro esercito. Detto ciò le contraddizioni sono il sale della vita, io sono anarchico, iscritto alla Cgil, lavoro come funzionario di un ente pubblico, pago le tasse, posseggo una casa e magari frequento qualche sede Anpi ed ho anche amici marxisti, Ma non diamo tutto ciò per scontato. Io vedo oggi anche fra gli anarchici troppo conformismo. Rileggiamo Umberto Tommasini. Dopo la guerra di Spagna, l’esilio e il confino lui non andò partigiano, memore che pochi anni prima a Barcellona gli stalinisti gli sparavano alla schiena ai libertari, Durruti docet. E ovviamente, senza dubbio alcuno, con i fascisti MAI. con rispetto, Raff BB dal Friuli.

    • Capisco bene il punto. Conosco la storia del movimento anarchico, conosco la storia dei rapporti tra marxisti e anarchici sin dalla Prima Internazionale, conosco la storia della guerra civile spagnola, e anche dei filoni rivoluzionari di critica alla Resistenza (ho fatto la tesi di laurea su Bordiga). Per quel che mi riguarda, posso dire che trovo obsoleti e superati dalla realtà, se non tutti, almeno molti motivi di dissidio tra marxisti e anarchici. Come ha detto qualcuno, quando la rivoluzione troverà la propria lingua, non sarà nessuna di quelle che conosciamo. La nostra è la balbettante lingua dei prodromi.

      Detto questo, però, invito tutt* a non aprire in questo thread una digressione su questi temi, sarebbe fuori fuoco, OT. Non è questa la sede.

  25. Su quelli che vanno a Casapound e dicono «ci sono andato come storico», al convegno ANPI della provincia di #Trieste si è espresso in modo chiaro Alessandro Pollio Salimbeni:

    «Occorre guardare non alla sacralità della scienza storica che deve essere portata ovunque ma anche al fatto che se presto il mio lavoro di storico ad una manifestazione di Casa Pound non faccio affatto un servizio alla verità storica ma legittimo invece Casa Pound come interlocutore. Rigore nostro, rigore della politica, richiamo costante alla nettezza delle posizioni. E così si fa il contrasto alle manifestazioni fasciste.»

  26. Chi ha offuscato il 25 aprile?
    [Aggiornamento al 2 maggio 2016]

    Ovvero “Bene, sembra che pioverà. Lo vedo dalle nuvole. Le nuvole ti dicono tutto se le sai ascoltare”

    Giornata prevalentemente soleggiata, come piace dire ai “weather-man” nostrani. Il che non esclude che qualche nuvola provi a oscurare il sole… [Prosegue qui, con le nuove avventure di Urizio, il cercatore di foibe volanti, e del giornale che gli fa da sponda]

  27. […] e ancora QUI e poi QUI e anche QUI e QUI. Oppure basta anche solo leggere della mitica “foiba volante” per farsi una chiara idea della situazione), le bufale sull’ “esodo dei […]

  28. Riguardo il libro di Buttignon su Berlinguer, desidero segnalare una piccola nota in più.
    Oggi (29/11/17) il libro sarà presentato a Udine con l’intervento di Vincenzo Martines, futuro candidato sindaco per Udine del PD e consigliere regionale. Interessante partecipazione da parte di un candidato sindaco del PD in periodo pre-elettorale.

    https://www.facebook.com/events/194203441144096/