
di Mariano Tomatis*
[La prima puntata è qui]
M come Mago dei maghi
Il tredicesimo articolo consacra definitivamente la figura di Gustavo Rol, presentandolo come il “mago dei maghi”: un uomo inavvicinabile, avvolto da un’aura che nessuno è autorizzato a interrogare. È il punto più esplicito della costruzione ideologica che Stampa Sera persegue sin dall’inizio: la sacralizzazione dell’élite carismatica, dotata di poteri eccezionali e sottratta a qualsiasi verifica.
Dopo aver firmato il pezzo inaugurale della serie, Piero Femore racconta il suo incontro con Rol come una rivelazione estetica e quasi religiosa. L’appartamento, saturo di oggetti preziosi, cimeli napoleonici, consolle dorate e carte da parati ottocentesche, è descritto come un’anticamera del prodigio. Se un miracolo accade in un luogo tanto opulento, sembra suggerire l’articolo, non può che essere autentico. L’ambiente, i profumi, la penombra, la voce, il sudore e l’affaticamento del sensitivo concorrono a trasformare gli esperimenti in un cerimoniale in cui l’inaccessibilità diventa prova ulteriore della sua autorità.
Femore non registra ciò che vede: complice del mago, ne amplifica a dismisura gli effetti. Se Rol invoca Ravier, il pittore presenzia davvero dall’aldilà; se soffre, il dolore è autentico; se la tela si dipinge al buio in un quarto d’ora, è perché si è manifestato un miracolo. La narrazione non contempla alternative: rinuncia a ogni distanza critica e trasforma il “mago dei maghi” in un modello di potere che non deve spiegarsi, poiché si colloca fuori dalle regole comuni.
Chi legge è invitato a osservare senza obiettare: Rol non va interpretato né verificato, solo contemplato. La sua inaccessibilità riecheggia, in forma mistica, quella di Gianni Agnelli, che negli stessi anni incarna la forma più compiuta del potere torinese: entrambi uomini bianchi, colti, altolocati, il cui prestigio non si discute ma si contempla in silenzio.
L’articolo, in realtà, non parla di Rol: è l’autoritratto di un giornalismo che abdica alla verifica, interiorizza la verticalità dei rapporti di fabbrica e davanti al carisma – sacro o industriale che sia – sceglie la devozione e l’obbedienza.








