La sinistra che trattiene. Parte seconda: fine del capitalismo e fine del mondo

di Wolf Bukowski *

[La prima puntata è qui.]

Nell’ascoltare gli stralci di conversazione che compongono il documentario Oeconomia di Carmen Losmann (2020) si coglierà il ricorrere del sostantivo Schöpfung, e cioè creazione. Si tratta, qui, della creazione ex nihilo del denaro su conti bancari, effettuata mille e mille volte al giorno negli istituti di credito del globo. Essa è a un tempo atto divino, nel suo costituire realtà sonante a partire dal nulla; e atto liturgico, cultuale, celebrato «senza tregua» nel senso indicato da Benjamin nel frammento con cui abbiamo aperto già la prima parte di questa riflessione. Il suo ripetersi, nelle cattedrali dell’alta finanza firmate da archistar, si riflette e anzi si radica nel riproporsi costante, in ogni recesso della società e del pianeta, delle dinamiche estrattive di accumulazione originaria (come peraltro il film esemplifica assai efficacemente). Queste dinamiche sono a loro volta rese possibili, all’inedita e devastante dimensione attuale, dalla tecnologia sviluppata dal capitalismo stesso. E a questa, appunto, veniamo. Prosegui la lettura ›

È colpa vostra che ci state a sentire. Covid e doppio legame.

«Visto? Il contagio rallenta. La curva flette. Erre con zero alla meno due: vai di zona gialla. Però non dappertutto. Serve un monito. Memento Abruzzi! Se fate i cattivi, finite come l’Abruzzo, branco di irresponsabili. Chiama i giornalisti, digli che salviamo i consumi, salviamo il Natale. Forza, diamoci dentro col cashback. Uniti! Però non esageriamo. Il troppo stroppia, ce lo dice la Scienza. Non così, perdio! Come osate? Assembramenti ovunque. Qua si balla sul ponte del Titanic. La terza ondata sarà disastrosa. Bastardi. Allora sapete che c’è? Niente pranzo di Natale in famiglia. Ben vi sta. Non si esce dal comune. Come dici? A Roccafritta non c’è manco una tabaccheria? E chissenefrega, vi fumate la merda secca. Servono sacrifici. Però dai, coraggio, se fate i bravi, forse tra qualche giorno permettiamo gli spostamenti dentro la Regione. E siccome siamo per la meritocrazia, i più fortunati possono vincere la lotteria degli scontrini e 5 mascherine in regalo col giornale. No, ma che vi salta in testa? Avete frainteso. Est virtus in aurea medio stat rebus! Tanta fatica per niente. Assembramenti anche a Roccafritta. La gente non capiscono. Siamo in guerra. Mai tanti morti dal ’44. Era il ’44, no? O il ’24? Boh, comunque sia, ve la siete voluta: niente pranzo di Natale, zona rossa a Capodanno, si esce solo con la giustificazione firmata dalla Befana. Lo sappiamo: avevate già in mente di eludere i robocop e i tracciamenti. Come “quali tracciamenti”? Ma che domande fate, lo vedete che siete negazionisti? Che delusione. In compenso, c’è tempo fino all’antivigilia per accumulare scontrini e combattere l’evasione. Guardate che poi ci ringrazierete, perché così il Natale è più autentico, davvero lo abbiamo salvato, giusto Francesco? Avanti, sbrigatevi a comprare tutto entro il 22. Stipatevi sui treni nel fine settimana del 19/20. Prendete d’assalto i negozi, sorridete ai fotografi. Fateci vedere cosa sapete fare. Così poi si ricomincia, non è divertentissimo? No, bastardi, è la guerra! Non avete capito. Tortellini proibiti dopo le 12.30 e dieci Avemarie. Vediamo se adesso vi pentite davvero!»

La sinistra che trattiene. Parte prima: il capitalismo come religione

Partita a scacchi tra Walter Benjamin (di spalle) e Bertolt Brecht, Svendborg 1934.

di Wolf Bukowski *

Al prossimo capodanno, avvolto nel coprifuoco notturno, s’aprirà il genetliaco secolare, almeno secondo la datazione accettata, del frammento Kapitalismus als Religion di Walter Benjamin. Possiamo certamente confermare oggi, come si legge nel breve testo, che il capitalismo risponde alle «stesse ansie, pene e inquietudini a cui in passato davano risposta le cosiddette religioni». Nondimeno, adesso, quel passato di appartenenza religiosa, almeno per la maggioranza dei cittadini della parte di mondo che abitiamo, è ormai remoto e avvolto nella nebbia dell’indifferenza e, salvo per curiosità personale, dell’oblio. Dunque, qui e ora, la dimensione religiosa del capitalismo si regge da sola, emancipata dalle sue assonanze con le esperienze religiose storiche. In ciò si manifesta l’attualità mordente di Benjamin, che tratta del capitalismo come «fenomeno essenzialmente religioso» in senso pieno, e «non solo, come intende Weber, come […] formazione condizionata dalla religione», e il riferimento è qui ovviamente al Max autore de L’etica protestante e lo spirito del capitalismo. Prosegui la lettura ›

Il Varco, gli EFA e un documentario sulla Wu Ming Foundation.

Il Varco è un film di finzione costruito con immagini d’archivio. In un certo senso, è il contrario di quel che si fa di solito nell’ibridazione cinematografica tra fiction e realtà, dove a farla da padrone sono le storie vere raccontate con attori, riprese in esterni, set ricostruiti in studio ed effetti speciali.

Qui invece c’è una storia inventata – quella di un soldato fascista che va a combattere in Russia con lo CSIR, nell’estate del ’41 – raccontata attraverso un montaggio di pellicole amatoriali e cinegiornali.

Wu Ming 2 ha contribuito alla sceneggiatura e alla scrittura della voce off, anch’essa frutto, in buona parte, di un remix da diari di protagonisti di quella spedizione. Proprio per questa sua natura, tutta basata sull’assemblaggio di filmati e parole, siamo lieti che il film abbia vinto il premio per il montaggio della European Film Academy – i cosiddetti “Oscar europei”, il riconoscimento continentale più prestigioso. Tra l’altro, come ha detto Marion Döring alla cerimonia di premiazione on line, è la prima volta che il premio va a un “documentario” – anche se Il Varco non è affatto un documentario. Prosegui la lettura ›

Come siamo arrivati fin qui? Il contagio di un’idea di salute.

di Stefania Consigliere e Cristina Zavaroni*

1.Cronache di una primavera e di un autunno

Nei primi giorni di maggio, sul finire della cosiddetta fase 1, in un lungo post intitolato Ammalarsi di paura, analizzavamo l’inaudita gravità della situazione lombarda con gli strumenti dell’antropologia medica e dell’etnopsichiatria e proponevamo di includere fra le concause di quel disastro anche l’effetto nocebo indotto dal «terrore a mezzo stampa». Come molti testi nati in quei mesi, anche quello, in qualche modo, si era scritto da sé in tempi rapidissimi, in una sorta di stato non ordinario di coscienza indotto dal trattenimento casalingo.

Subito dopo, la fase 2 ha portato nuove questioni, nuove angosce, un’enorme stanchezza e un diverso registro di visibilità. Lungo l’estate il moto emotivo collettivo è andato nella direzione di un certo oblio: sperando che tanto la pandemia quanto il governo fossero in remissione, non abbiamo avuto voglia di fare i conti con ciò che avevamo appena vissuto. Troppo faticoso da elaborare e poi il virus non c’è quasi più, pensiamo a ripartire… Prosegui la lettura ›

Con La farina dei partigiani di Piero Purich e Andrej Marini torna la collana Quinto Tipo diretta da Wu Ming 1

La farina dei partigiani

Clicca per ingrandire e vedere la copertina completa, con quarta e alette.

Racconto del «secolo breve» e di tre generazioni, La farina dei partigiani ha l’andamento di una tromba d’aria: comincia a ruotare in Bisiacaria – il territorio tra Trieste e il Friuli – per poi allargarsi all’Europa e al mondo intero.
Con il cuore che batte nella Resistenza e i piedi piantati nelle lotte sul lavoro, Piero Purich – storico e narratore – e Andrej Marini – discendente della dinastia operaia e antifascista Fontanot-Romano-Marini – ricostruiscono una vera e propria saga familiare e proletaria.

La storia, molte storie, vicissitudini di lavoratori comunisti a cavallo tra confini e culture, tra epoche ed epopee. Dai campi profughi austriaci durante la grande guerra all’emigrazione clandestina in America, dalle lotte nei cantieri navali di Monfalcone alla guerra partigiana in Italia e Slovenia, dall’idealistica partenza per «costruire il socialismo» in Jugoslavia alle amare delusioni nei confronti di Tito, dello stalinismo e del Partito comunista italiano, per arrivare al tardo Novecento, alle esperienze di Andrej a Panama, in Nigeria, in Libia e in Giordania.

Biografie incredibili ma vere, messe insieme col rigore di chi lavora sulle fonti e narrate con la penna del romanziere. Vite che incarnano il grande sogno della sinistra europea e mondiale. Vite di chi non si è mai arreso di fronte alle difficoltà e alle delusioni più cocenti. Vite all’insegna della libertà mosse da un ideale intramontabile: la fine dello sfruttamento. Prosegui la lettura ›

«Fallire sempre meglio: tradurre Tolkien, Tolkien traduttore»: un convegno on line

Lunedì 30 novembre e martedì 1 dicembre si terrà il convegno organizzato dal Dipartimento di Lettere dell’Università di Trento e dall’Associazione Italiana Studi Tolkieniani. Ecco l’articolo che lo presenta sul sito dell’AIST: A Trento un convegno: Tolkien e la traduzione. Per partecipare è necessario preiscriversi sul sito dell’Unitn, al link che si trova anche nell’articolo. Il convegno sarà su piattaforma Zoom, secondo la prassi dell’ateneo.

La partecipazione – ancorché solo in voce – di Wu Ming 4 sarà l’unica eccezione alla regola di non trasferire la nostra attività dal vivo su piattaforma online. Trattandosi del caporedattore della rivista I Quaderni di Arda, che verrà presentata in coda al convegno e che ne pubblicherà gli atti, è sembrato giusto non tirarsi indietro.

L’argomento è bello e impegnativo, i relatori sono di prim’ordine, le storie da ascoltare tante.

Il rapporto di Tolkien con i suoi traduttori è sempre stato complicato. Prima di tutto perché lui era un filologo e un fonoesteta, nonché un tipo piuttosto pignolo su certe questioni, in grado di mettere becco a ragion veduta nelle scelte traduttive, almeno per le lingue di origine germanica che erano il suo pane. Ma soprattutto era un traduttore a sua volta, ancorché dalle lingue antiche a quelle moderne, quindi non poteva trattenersi dal confronto con i traduttori a cui toccava l’ingrato compito di tradurre le sue opere. Prosegui la lettura ›