– I romanzi radiofonici, giovanotto, – mormorò Josefina Sánchez,
come se commettesse un sacrilegio. – Stanno diventando sempre più strambi.
(Mario Vargas Llosa, La zia Julia e lo scribacchino)
Nel biennio 2022-2023 portammo in tour Radio Ufo 78, un radiodramma/concerto, un melologo, una sghemba e psichedelica suite con scrittori, musicisti e «caverna dell’antimateria».
I due scrittori erano Wu Ming 1 e Jadel Andreetto, quest’ultimo in doppia veste, in quanto bassista del Bhutan Clan.
I musicisti erano quelli del Bhutan Clan, appunto: band cresciuta a Bologna sonorizzando trekking urbani e serate letterarie, nel contesto del cantiere culturale permanente Resistenze in Cirenaica.
Per varie ragioni il gruppo si è sciolto come tale nel 2024, ma le sperimentazioni proseguono sotto l’egida di Melologos, «laboratorio di fonologia narrativa» che ora è al lavoro su Gli uomini pesce.
«Caverna dell’antimateria» è come chiamavamo, in omaggio al pittore situazionista Giuseppe Pinot Gallizio, l’ambiente sonoro pazientemente ingegnerizzato in studio che ogni tanto erompeva nell’esecuzione dal vivo.
I testi dello spettacolo erano in gran parte tratti da Ufo 78, ma alcuni brani – come già avveniva nel romanzo – gettavano ponti verso un altro mondo narrativo: quello del «Ciclo di Tanino & Karl» di Jadel Andreetto & Guglielmo Pispisa. Finora ne sono usciti due episodi: Tutta quella brava gente (firmato con lo pseudonimo «Marco Felder», Rizzoli 2019) e La parola amore uccide (Rizzoli, 2022). Anzi, tre, perché il terzo è in forma di podcast: Morte di un giallista bolzanino (RaiPlaySound, 2023).
Radio Ufo 78 era un’unica suite della durata di circa un’ora e 15 minuti. Prima di salire sul palco, chiedevamo al pubblico di applaudire soltanto alla fine.
Dopo una prova aperta allo Spazio Stria di Padova, sempre disponibile per i nostri lanci di ballons d’essai, Radio Ufo 78 si mise in strada. La formula era anfibia e strana e non proponibile ovunque, gli incastri di impegni non erano semplici… Insomma, riuscimmo a mettere in fila sette date. Di alcune rimane testimonianza.
La migliore registrazione, realizzata a tracce separate dal mixer (ringraziamo il fonico Gianluca Fabbri), è quella della serata in piazza a S. Giovanni in Marignano, provincia di Rimini. Era la sera del 9 luglio 2023, l’evento era organizzato da Rapsodia, su iniziativa del nostro amico Emiliano Visconti.
Stefano D’Arcangelo di Melologos ha lavorato su quelle tracce, per far emergere ogni suono con la massima chiarezza. Oggi, alla buon’ora, possiamo rendere disponibile Radio Ufo 78, per chi non c’era alle serate e anche per chi non c’era e vuole riascoltarlo. Lo facciamo a due anni esatti da quell’esibizione.
La formazione:
Wu Ming 1 – voce, vociferazioni e triangolo
Jadel Andreetto – voce e basso
Giroweedz – basso e ingegneria sonora
Bruno Fiorini – chitarra
Stefano D’Arcangelo – tastiere, elettronica, antimateria
Michele Koukoussis – batteria
Con la partecipazione di Filo Sottile (nella parte di Carmen)
e Donatella Allegro (nella parte di Milena).
Radio Ufo 78 è ascoltabile/scaricabile direttamente da questa pagina:
Wu Ming 1 & Bhutan Clan – Radio Ufo 78
Wu Ming 1 & Bhutan Clan – Radio Ufo 78
nonché dalla nostra audioteca Radio Giap Rebelde, ergo su Apple Podcasts e su Internet Archive (e altre piattaforme e applicazioni per l’ascolto, caricando il nostro feed).
Il Pentagono, gli UFO e Gaza
Non solo gli UFO non se ne vanno, ma continuano a farsi vedere. L’ultima, recentissima testimonianza arriva dalla Sardegna. Terra di ripetuti flap e, guardacaso, di basi militari, di sperimentazione bellica, di voli segreti…
Il 21 giugno, a Bologna, migliaia di persone hanno riempito piazza Maggiore per vedere la versione restaurata di Incontri ravvicinati del terzo tipo. Film che in Italia uscì nel 1978, e infatti è centrale nel nostro romanzo.
Riflettere sulla «grande ondata» ufologica di quell’anno è oggi molto più attuale di quando cominciammo a scrivere il libro. È persino più attuale che nell’immediato post-pandemia, quando i cieli tornarono a riempirsi di «fenomeni anomali non identificati» e noi provammo a spiegarci il perché.
L’anno scorso è uscito il «Report on the Historical Record of U.S. Government Involvement with Unidentified Anomalous Phenomena (UAP)», una relazione di 63 pagine presentata al Congresso degli Stati Uniti. Se ne è parlato in tutto il mondo, con titoli come «Nuovo rapporto del Pentagono sugli UFO: nessuna prova dell’esistenza di alieni».
Nel giugno scorso il Wall Street Journal ha pubblicato un’inchiesta in due puntate (1 e 2), dettagliata sebbene afflitta da un certo disordine espositivo. I due autori, Joel Schectman e Aruna Viswanatha, documentano diversi episodi rimasti fuori dal rapporto del 2024. In particolare l’Aeronautica Militare avrebbe imposto l’omissione di dettagli sensibili che avrebbero potuto esporre programmi segreti e/o arrecare danno alle carriere di alti ufficiali.
In soldoni: per decenni il Pentagono avrebbe seminato a bella posta – anche nei propri ranghi – disinformazione a proposito degli UFO, incentivando speculazioni sulla loro esistenza e alimentando sospetti di cover-up istituzionale.
Cover-up che in effetti c’era, ma – se l’inchiesta è corretta – di altra natura.
Lo scopo principale era depistare. Coprire programmi segreti, ad esempio la sperimentazione di aerei stealth, ovvero invisibili ai radar, come l’F117 Nighthawk. Sperimentazione che avrebbe avuto luogo proprio nella famigerata Area 51. Far credere che là dentro si stesse facendo “ingegneria inversa” di velivoli alieni, come vogliono numerose fantasie di complotto, sarebbe servito a camuffare i test di volo.
L’F117 fu poi usato per bombardare l’Afghanistan, l’Iraq e la Serbia.

L’F117 Nighthawk della Lockheed.
L’implementazione della tecnologia stealth fu l’inizio di quel processo che avrebbe reso la guerra dal cielo, tra droni e IA, sempre più sicura per chi la fa – che sorvola a quote irraggiungibili da qualunque contraerea, quando non opera “a distanza”, in smart working – e sempre più letale per chi la subisce, quasi sempre inermi popolazioni civili.
Tanto più le guerre si fanno «asimmetriche», tanto più sono combattute, letteralmente, da inumani. La guerra dal cielo ha, per chi la decide e la muove, parvenze sterilizzate e asettiche. Non a caso ricorrono metafore di chirurgia.
Questa situazione reca impressi molti marchi, il più remoto dei quali dice: «Made in Italy». Il bombardamento aereo, infatti, è un’invenzione del Belpaese.
Le prime bombe dal cielo furono italiane, caddero su Ain Zara e su Tripoli l’1 novembre 1911, durante l’aggressione imperialista alla Libia. Gabriele D’Annunzio, sempre pronto a esaltare ogni nefandezza e abominio, celebrò l’impresa in una delle sue Canzoni delle gesta d’oltremare. Versi agghiaccianti, uno su tutti: «anche la morte or ha le sue sementi».
In seguito, sempre sulla Libia (1930-31) e poi sulla popolazione etiope (1935-36), l’aviazione italiana sganciò bombe chimiche: iprite, fosgene, arsine… Ne avrebbe sganciate anche di batteriologiche, se il generale Badoglio non avesse convinto il duce a desistere, ché con le epidemie non si poteva mai sapere: potevano andarci di mezzo anche i “nostri” (cfr. Angelo Del Boca, I gas di Mussolini. Il fascismo e la guerra d’Etiopia, Editori Riuniti, Roma 2007).
Durante quella guerra, l’Italia fu anche pioniera nel bombardare ospedali e accampamenti della Croce rossa. Suona familiare?

I civili come bersaglio. Giulio Dohuet (1869-1930). A lui è intitolata la Scuola militare aeronautica di Firenze, inaugurata nel 2006.
Nel frattempo, il nostro paese esprimeva uno dei più influenti teorici del bombardamento sulle città e sui civili: il generale Giulio Douhet. Nel suo trattato Il dominio dell’aria (1921) egli perorò la causa del «bombardamento aereo che costringa a sgombrare qualche città di svariate centinaia di migliaia di abitanti».
Svuotare una città a furia di bombe. Suona familiare?
Il dominio dell’aria fu tradotto in tutte le lingue europee, e studiato in diverse accademie militari, anche negli USA.
In ogni epoca i «fenomeni anomali» che solcano il cielo ci parlano, dicono qualcosa del mondo, di noi, di come siamo messi. Dunque di cosa ci parlano, oggi?
Ci parlano di Gaza, di Teheran, di Kharkiv e Odessa, dell’Iraq e dell’Afghanistan, dello Yemen, della Cecenia.
Ci parlano di responsabilità di lungo corso, e molto vicine a casa.
Occuparsi di UFO non è mai solo occuparsi di UFO.
Cronachette su UFO 78 all’estero
Al momento, Ufo 78 è stato tradotto in catalano, castigliano, francese, greco e tedesco.
L’edizione più recente è quella in castigliano, pubblicata da Anagrama nella traduzione di Juan Manuel Salmerón Arjona. In occasione dell’uscita ci ha intervistati GQ España. E anche El Diario. In entrambi i casi, ovviamente, siamo responsabili solo delle risposte.
Un bello speciale sul romanzo, con tanto di traduzioni di testi apparsi qui su Giap, si trova sul blog Factor di Alejandro Agostinelli.
Una sorta di speciale sul romanzo, intitolato «¿Está el misterio de OVNI 78 más vivo que nunca?» e piuttosto allucinato, si trova anche sul sito di tale Johnny Zuri, «curatore retrofuturista di contenuti in vari multiversi».
Ci sembra che nello stato spagnolo il romanzo stia avendo un ottimo riscontro, come se avesse toccato qualche corda che non sappiamo. Ecco cosa scrive un lettore su Goodreads:
«La novela tiene esa belleza suave de lo que no se dice del todo. Es política sin sermón, nostálgica sin tristeza, colectiva sin perder lo íntimo. Wu Ming logra que ese 1978 —tan local, tan italiano— se vuelva nuestro también: porque todos tenemos un verano que recordamos como si hubiera sido un delirio compartido. Y porque todos, alguna vez, quisimos que algo inexplicable nos salvara de la normalidad.
OVNI 78 no busca respuestas, y eso es parte de su encanto. Prefiere las historias, las grietas, los ecos. Como si dijera: no importa tanto si los ovnis vinieron. Lo que importa es lo que soñamos cuando creímos que podían venir.»
PK nel ricordo di Adriano Zecca

Adriano Zecca
Concludiamo questa rassegna segnalando l’uscita del libro di Adriano Zecca Cinquant’anni di mondo. Diario di un documentarista.
Zecca, oggi ottantenne, è una leggenda vivente, errante ma con lunghe radici piantate negli anni Settanta «dei misteri», con tanto di libri editi da SugarCo nella collana «Universo sconosciuto». La stessa in cui pubblicava il suo amico e sodale Peter Kolosimo, ispiratore del nostro Martin Zanka.
Proprio la presenza di un capitolo dedicato a Kolosimo – «Pi Kappa, l’uomo delle stelle» – è la ragione per cui ha senso segnalare l’uscita su Giap.
«Ho avuto la fortuna di conoscere Peter nel 1971», ci scrive Zecca, «e di frequentarlo fino alla sua scomparsa. Questo è il racconto personale di un’amicizia che ci ha visto uniti dall’interesse per le civiltà precolombiane e dalla passione politica».