Violenza dello stato, militanza culturale, conflitto: cenni di vita e resistenza dalla Valsusa e non solo

Domenica 18 aprile Wu Ming 1 avrebbe dovuto presentare La Q di Qomplotto al presidio No Tav presso l’ex-autoporto di San Didero, Valsusa. Purtroppo ci tocca annunciare che l’evento è annullato, perché due notti fa il presidio è stato assaltato da un vero e proprio reggimento di uomini in divisa, e sgomberato… a parte l’indefessa resistenza di cinque No Tav che mentre scriviamo sono ancora sul tetto, circondati dalle forze dell’ordine e dai lavori per insediare il nuovo cantiere.

Nel mentre ci sono stati cortei e altri momenti di lotta, caricati da una polizia che è parsa a tutte e tutti particolarmente su di giri.

Il presidio di San Didero – ennesima esperienza di autorganizzazione e autogestione nella lunga storia del movimento No Tav – esisteva dal dicembre 2020. La sua funzione era impedire l’occupazione poliziesca e la presa di possesso del terreno circostante: i 68.000 metri quadri su cui sorgeva il vecchio autoporto, mai entrato in attività e da tempo ridotto a una cornice di ruderi.

Presa di possesso da parte di chi? Da parte di Telt, Tunnel Euralpin Lyon-Turin, la società italofrancese incaricata di realizzare la sezione frontaliera della chimerica «nuova linea ferroviaria Torino-Lione».

Linea della quale, è bene ricordarlo, non esiste ancora un solo metro, nonostante il primo annuncio sia del 1991. E benché si continui a parlare di «Torino-Lione», nel corso degli anni il progetto ha perso gran parte dei suoi pezzi. Ormai la linea si riduce pressoché soltanto al “tunnel di base”, cioè alle poche decine di chilometri che separano Susa da St.-Jean-de-Maurienne, cioè a un inutile buco in una montagna. Buco che è ancora tutto da scavare ma è già una voragine che succhia le risorse di noi molti per generare i profitti di loro pochi, soprattutto grazie al suo «indotto», una pletora di grandi opere collegate. Grandi Opere, ça vas sans dire, Dannose, Inutili e Imposte. GODII.

GODIIteli, capitale, il cemento e il tondino, il mattone e l’asfalto. E GODIIti la dabbenaggine di chi si beve la cazzata del progetto «green», perché in apparenza si parla «solo di un treno», e che vuoi che sia un treno?

A riprova che non si sta affatto parlando di «un treno», lo scopo di Telt è coprire la superficie dell’ex-autoporto di San Didero con una nuova colata d’asfalto, cioè un nuovo autoporto, in sostituzione di quello oggi esistente a San Giuliano di Susa.

Al posto di quest’ultimo, sempre per volontà di Telt, dovrebbe sorgere una spropositata,  incongrua mega-«stazione internazionale». La stazione internazionale… di San Giuliano di Susa, appunto. Location is everything.

In attesa dell’entrata in funzione, l’area del nuovo autoporto potrebbe essere adibita a deposito temporaneo dello smarino proveniente dal cantiere Tav di Chiomonte. Per chi non lo sapesse, lo smarino è una miscela di roccia sminuzzata e olii industriali, un rifiuto tossico prodotto in quantità colossali dalle attività di traforo.

Per non parlare del fatto che tutti questi lavori rischiano di svegliare la diossina che dorme.

Per prevenire questa reazione a catena i No Tav avevano inaugurato e tenuto vivo il presidio. Lo avevano fatto con grande determinazione, creatività e partecipazione popolare. Dato non scontato in tempi di coprifuoco, restrizioni, paura, ma è stato cantato tante volte: «La Valsusa paura non ne ha».

La presentazione de La Q di Qomplotto al presidio doveva mandare il segnale che si può fare; che la cultura può ripartire dal basso perché certe militanze (culturali e non solo) non si sono interrotte nemmeno con l’emergenza pandemica, e che della paura e della «politica della paura» ne abbiamo pieni i maroni.

Non solo: l’evento avrebbe stabilito un ponte tra questo libro di WM1 e quello del 2016, Un viaggio che non promettiamo breve. Venticinque anni di lotte No Tav, col quale condivide diversi tratti.

Insomma, un’iniziativa a cui tenevamo molto, ma nella frenetica gestione del post-sgombero il movimento non avrebbe potuto organizzarla e curarla al meglio, lo capiamo bene.

Ad ogni modo, l’appuntamento è soltanto rinviato.

Intanto la mobilitazione prevede un appuntamento fisso, ogni sera alle 18 al Polivalente di San Didero, poi si vedrà. Per aggiornamenti, seguire i canali e i media di movimento.

Al posto di questa comunicazione oggi avremmo dovuto pubblicare la prima puntata di un lungo post della compagna Filo Sottile. Ma se non lo state leggendo, non è soltanto per lo sgombero che ha fatto saltare vari piani: è anche perché abbiamo proposto a Filo di trasformare quel post in un libro per la collana Quinto Tipo di Alegre.

Sul suo blog, Filo spiega a grandi linee cosa avreste letto, e coglie l’occasione per dire qualcosa su quanto sta avvenendo in valle.

A proposito del mobilitarsi e del riconquistare spazi e cultura oltre e contro la politica della paura: in giro per l’Italia sono in corso occupazioni di teatri da parte di lavoratrici e lavoratori di arti e spettacolo, come il Piccolo di Milano e il Globe Theatre di Roma. Le posizioni sono variegate, c’è un certo trambusto discorsivo, ma è un indubbio sintomo di vitalità, di una rinnovata, irrefrenabile voglia di rimetterci il corpo. Come abbiamo scritto nel post precedente, per quanto possibile noi ci siamo.

N.B. Stiamo preparando il nuovo speciale La Q di Qomplotto e la terza puntata de La Q di Podqast – una conversazione tra Wu Ming 1 e la giornalista e criminologa Selene Pascarella.

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9 commenti su “Violenza dello stato, militanza culturale, conflitto: cenni di vita e resistenza dalla Valsusa e non solo

  1. È dai tempi di “un viaggio” (letto con colpevole ritardo solo 3 anni fa) che ogni volta che sento, leggo o vedo di polizia che carica in valle mi viene l’orticaria, seguita dalla rabbia. Ed è stupefacente la tenacia di “lor signori”, che in nome degli affari vanno avanti ormai da quasi trent’anni, pervicacemente, incuranti dell’evidenza e sprezzanti perfino del ridicolo. Se non ci fossero di mezzo violenze, arresti, drammi personali, si dovrebbe ridere di una arroganza del potere che non sa fare altro che sguinzagliare dipendenti pubblici per boschi e prati, a caccia di padri e madri di famiglia, pensionati, ragazzi, passeggini.
    Tra l’altro non capisco a cosa dovrebbe servire un autoporto. Non è per trasferire le merci da gomma a ferro che si è messo su tutto questo ambaradan?

  2. La frase che avevo trovato inesatta è questa:
    “Per chi non lo sapesse, lo smarino è una miscela di roccia sminuzzata e olii industriali, un rifiuto tossico prodotto in quantità colossali dalle attività di traforo.”
    Di questa frase, l’unica parte sicuramente vera è che verranno prodotte “quantità colossali” di smarino, sul resto ho enormi dubbi e certo non si può spiegare una questione così complessa dandola per assodata (“per chi non lo sapesse…”) e liquidandola in due righe.
    Dunque: la realizzazione di un’opera come quella di cui parliamo determina la produzione di milioni di tonnellate di terre e rocce derivanti dall’attività di scavo. Questo materiale potrà essere gestito come un rifiuto o come un sottoprodotto, nel rispetto delle condizioni previste dalla normativa comunitaria e nazionale, sia di carattere generale che specifica per questo materiale. Per cui, come ti dirò, al momento non può dirsi che questo materiale costituisca un rifiuto. È, al contrario, verosimile che in sede progettuale venga massimizzata, se vi sono le condizioni, la gestione come sottoprodotto. Tipicamente, in un’opera di queste dimensioni, il progetto prevede che sia gestita come sottoprodotto o avviata a riutilizzo interno nella stessa opera una quantità superiore al 90% del materiale scavato. (1/5 – continua)

    • Comunque, visti gli interessi in gioco, tra necessità di favorire il riutilizzo degli scarti, spinte economiche del mondo produttivo e necessità di garantire il tracciamento dei materiali, si è giunti alla disciplina attuale.
      Non sto neanche a ripercorrere le continue modifiche normative, gli interventi della Corte di Giustizia europea, quelli dei giudici nazionali, ecc.
      Quel che ne è derivato è che sono stati fissati dei criteri molto rigidi per escludere che un materiale (incluso lo smarino) possa essere gestito come sottoprodotto e non come rifiuto. Si tratta, credimi, di criteri così rigidi e irrigiditisi nell’interpretazione delle autorità, che a me, quando chiedono quale strada scegliere, suggerisco, neanche scherzando troppo, che se uno ha i soldi, meglio scegliere la strada della gestione come rifiuto che, paradossalmente, ma neanche troppo se uno ci pensa, prevede oneri amministrativi minori. Per dire: in un’opera sottoposta a valutazione di impatto ambientale, se lo smarino è gestito come sottoprodotto, è necessario conoscere, già in sede di progettazione definitiva, dove verrà conferito ogni singolo grammo di materiale, mentre se la gestione è come rifiuto, la decisione può essere presa anche dopo la produzione (dunque: anni dopo, con enormi vantaggi gestionali).
      In sintesi, perciò, la tua asserzione che quello smarino sia un rifiuto è concettualmente sbagliata, dimentica trenta anni di dibattito, presta il fianco a qualche critica visto che di discariche ce ne sono, per fortuna, sempre meno e mandare terra “buona” in discarica a me (e sono in buona compagnia) sembra una assurdità e, in sostanza, farebbe alzare il sopracciglio a chiunque si occupa professionalmente della questione.
      Ma … e questo è il secondo punto: come fai a dire che si tratta di terra “buona”, se io ti dico che è un rifiuto tossico, gravido di olii minerali?
      Beh, pure su questo ho tanti dubbi. Primo, di natura formale e terminologica: sono almeno 25 anni che non si parla di “rifiuto tossico” ma di “rifiuto pericoloso/non pericoloso”. È il minore dei mali, nella tua frase, ma tra noi che ci occupiamo professionalmente di questa materia, se uno viene e dice “rifiuto tossico”, poi smettiamo di sentire il resto … lo so, problema nostro, comune a tutte le congreghe di gente che si occupa ossessivamente solo di una questione, ma prendilo come un suggerimento visto che hai scritto e scriverai molto di questa materia. (3/5 – continua)

    • Ciò premesso, che lo smarino possa venire inquinato dagli olii minerali nel corso delle operazioni di scavo è un dato di fatto; normalmente non avviene, perché un appaltatore che combina un tale disastro viene messo alla porta, visti i risvolti che possono derivarne nella gestione di quel materiale (risvolti economici, come vi dicevo, che poi l’esecutore dovrebbe accollarsi direttamente, per cui adotterà ogni precauzione oltre a quelle imposte per evitarlo).
      Se accade, quel materiale non potrà essere gestito come sottoprodotto, semplicemente perché non rispetta una delle condizioni previste dalla normativa. Quale condizione? Eh, nel nostro ordinamento si è scelta una strada che a me sembra abbastanza condivisibile. Esistono dei valori limite di contaminazione di sostanze inquinanti che determinano la necessità che un dato sito sia classificato come potenzialmente inquinato? Sì, nel D. Lgs 152/2006. Bene, visto che di terreno che deve essere abbancato in un sito stiamo parlando, allora adottiamo questi limiti. Se sono quelli previsti per un sito non scavato, vanno bene anche nel caso in cui il materiale vi sia stato riportato. In più, trattandosi di riporto e non di terreno vergine, aggiungiamoci anche il test di cessione (non previsto nelle bonifiche). Vediamo cioè come si comporta quel materiale in termini di rilascio di inquinanti quando comincerà a pioverci su. È sufficiente? Beh, direi. Abbiamo superato le eccezioni di “dose legale di inquinamento” tanti, tanti anni fa: le moderne tecniche analitiche hanno notevolmente ridotto il limite di rilevabilità analitica, per cui oggi possiamo trovare sostanze inquinanti ovunque: sulla scrivania da cui ti scrivo, se uno vuole, trova di certo qualche fibra di amianto. Per cui, con il processo tecnologico e l’aumento della sensibilità degli strumenti, abbiamo fatto l’unica cosa sensata che poteva esser fatta: abbassare i valori limite al di sopra dei quali considerare il materiale un rifiuto e non un sottoprodotto (vedi, per esempio, la riduzione del valore limite dell’amianto nei terreni agricoli). Questo discorso vale non solo per stabilire se un materiale è un rifiuto o un sottoprodotto, ma anche, nella categoria dei rifiuti, se si tratta di un rifiuto pericoloso o non pericoloso (ovviamente, metodiche diverse e limiti da altra normativa, ma la teoria è quella). (4/5 continua)

  3. La questione sottoprodotto/rifiuto agita gli animi degli operatori del settore almeno dagli anni ’90. Da una parte la necessità di garantire il maggior controllo possibile sulla destinazione di tutti gli scarti di produzione, per limitare la possibilità di gestioni illecite, abbandoni, realizzazioni di discariche abusive. Dall’altro lato, la volontà del mondo imprenditoriale di limitare la qualificazione di rifiuto ai propri scarti, per ragioni prettamente economiche. Gestire uno stesso scarto come rifiuto o come sottoprodotto determina un aumento dei costi direi di 10 volte. Se uno pensa a un’opera come quella di cui parliamo, si tratta letteralmente di centinaia di milioni di euro. Da un lato, dunque, i normatori che, nel dubbio, propendono per classificare un materiale come rifiuto per ragioni di controllo; dall’altro le imprese che, se trovano un modo di cedere i loro scarti a costo zero, ne sono contente.
    Terzo incomodo in questa controversia, il concetto di economia circolare. Non so citarvi la fonte, ma ricordo a memoria che gli scarti di produzione del 50% delle aziende italiane sono con varie modalità riutilizzati come input in processi di produzione di altre aziende dello stesso settore o di settori diversi; il 70% degli scarti di produzione di 1 azienda su 10 sono riutilizzati come input in altri processi di produzione.
    Questo, in sostanza, significa che utilizzare lo smarino, ripeto nel rispetto dei requisiti anche ambientali di cui diremo, come sottoprodotto incontra, per così dire, il favore di una certa politica che difficilmente può, nei suoi principi, essere contestata, quella politica che per comodità definiamo “economia circolare”.
    Se occorre riambientalizzare una cava dismessa o se esiste un processo produttivo che necessita di materia prima che dovrebbe derivare dalla coltivazione di una cava, è preferibile, invece, che questo materiale derivi (come scarto) dalla realizzazione di una nuova opera. Beninteso: non sto dicendo che scavare qui per portare lì sia un’attività utile in sé, sto cercando di dimostrare la fallacia della parte della tua frase in cui si asserisce, senza dubbi, e in evidente contrasto con quello che potrebbe dirti chiunque nel mondo si occupi di queste questioni, che quello smarino “è – un – rifiuto”. Non lo è, verosimilmente nel 90% dei casi. (2/5 – continua)

  4. Siamo al punto: riporto la tua frase: “Per chi non lo sapesse, lo smarino è una miscela di roccia sminuzzata e olii industriali, un rifiuto tossico prodotto in quantità colossali dalle attività di traforo” e aggiungo come l’avrei scritta io: “Per chi non lo sapesse, occorrerà stare attenti a come verrà gestito lo smarino, alla periodicità e alla qualità delle analisi che verranno eseguite, per evitare che nei siti di deposito o di destinazione giunga smarino inquinato dalle attività di scavo, da altre attività umane o da fenomeni naturali. Al primo intoppo, anzi prima del primo intoppo, andrà preteso che quello smarino sia caratterizzato e gestito come rifiuto, indipendentemente dai costi che ne derivano. Al contrario, una corretta campagna analitica garantirà la riduzione dell’approvvigionamento di materiale vergine e il mancato ricorso al conferimento in discarica. La nostra azione dovrà, perciò, determinare una pressione sugli organi tecnici di controllo perché la verifica della qualità del materiale sia rispettata.” Lo so che è difficile che questo avverrà, e per questo, come ti dicevo, non ho scritto il commento quando i polpastrelli mi prudevano. Saluti (5/5)

  5. Una comunicazione di servizio, per la lettura del mio intervento appena postato. Ho inserito il commento dividendolo in cinque parti distinte, per rispettare i termini di lunghezza massima di ciascun commento. Ovviamente, nonostante l’attenzione che vi ho posto, i commenti non sono venuti in serie, nel senso che il commento 2 viene dopo il commento 3 e il commento 4 (e uno può accorgersene solo al termine della lettura del commento!). Perdonatemi, con questa avvertenza la lettura comunque può essere fatta e se vi serve posso inviare il documento completo, senza interruzioni, via mail. Saluti. Andreas.