«Io non ho il minimo dubbio». Il fallimento comunicativo di scienziati ed «esperti» nei giorni del Covid-19



di Roberto Salerno *
[Traducción en castellano aquí.]

INDICE
1. Medici, virologi, immunologi: poca roba, è un’ecatombe, pfui, moriremo tutti
2. Scenari epidemiologici: un report vi seppellirà (vivi)
3. Da «potrebbe succedere» a «succederà» per arrivare ad «Aaargh!»
4. Le ali di cera degli scienziati, il calore dei riflettori
5. Capire quando un esperto non parla più “da esperto”
6. Possibilità, probabilità, democrazia

Sembra semplice: un virus ha fatto il salto di specie e da un animale si è trasferito all’essere umano. Appartiene alla famiglia dei coronavirus, diversa da quella dei virus influenzali. Per attaccare gli organi umani deve usare una delle tante cavità presenti nel nostro corpo: bocca, occhi, naso, ecc. Nel nostro organismo può entrare in due modi: o direttamente, grazie a un soggetto infetto che parlando emette goccioline che finiscono in una delle nostre cavità; oppure indirettamente, attraverso le nostre mani, se toccano prima una superficie infetta e poi una delle nostre cavità.

Su queste semplici affermazioni non esistono pareri discordi. Meglio segnarsele, perché sono le uniche.

Nel percorso da queste acquisizioni ai provvedimenti che hanno incatenato l’Italia e – con varie gradazioni e sfumature – il 75% dell’intero pianeta, la scienza ha offerto uno spettacolo di sé abbastanza desolante. Anzi no, non la scienza, poveretta, ma coloro che ritengono di “possederla”, e cioè un nugolo di persone che a vario titolo si ritengono – e vengono riconosciuti come – scienziati.

1. Medici, virologi, immunologi: poca roba, è un’ecatombe, pfui, moriremo tutti

Maria Rita Gismondo

Hanno cominciato i medici. Senza per forza arrivare ai casi che vi sono subito venuti in mente, e che afferiscono più allo show business politico-mediatico che alla scienza, possiamo notare che tra Maria Rita Gismondo, direttrice del laboratorio dell’ospedale Sacco di Milano, che dice «non voglio sminuire ma la sua (del virus) problematica rimane appena superiore all’influenza stagionale», e Andrea Crisanti, direttore del laboratorio di Microbiologia del policlinico di Padova, secondo cui «la mortalità è la stessa dell’influenza spagnola del 1918 che ha fatto milioni di vittime», ci sono tante posizioni quanti sono coloro che frequentano gli ospedali.

Il 22 febbraio Giuseppe Ippolito, direttore dello Spallanzani, dice all’AGI che «il nuovo Corona virus non è una malattia mortale» e che «il sistema funziona, il paese regge». Il 2 marzo è ancora molto ottimista: «penso che, anche se l’epidemia potrà andare avanti per diversi mesi, riusciremo comunque a gestirla. Dobbiamo essere vigili per controllarne la diffusione ed eventualmente prepararci a mitigarne gli effetti sulla popolazione, in special modo sulle fasce più avanzate di età che, come abbiamo visto, sono quelle più esposte».

Walter Ricciardi

Diversa la posizione di Walter Ricciardi, rappresentante del governo italiano nel Comitato esecutivo dell’OMS: il 23 febbraio dichiara che «in Italia ci sono alcuni focolai epidemici, bisogna lavorare affinché non si trasformino in epidemia. Nel mondo c’è una serie di epidemie e occorre impedire che diventino una pandemia». Secondo Ricciardi la chiusura dei voli dalla Cina non ha molto senso perché basta semplicemente fare scalo da un’altra parte. Segue un riferimento leggermente improvvido: «Francia, Germania e Regno Unito seguendo l’Oms non hanno bloccato i voli diretti e hanno messo in quarantena i soggetti a rischio, inoltre hanno una catena di comando diretta, mentre da noi le realtà locali vanno in ordine sparso.»

Fabrizio Pregliasco, presidente nazionale dell’Associazione Nazionale Pubbliche Assistenze (ANPAS), il 28 febbraio rassicura tutti: «La situazione è sotto controllo». Secondo lui l’analogia con l’influenza ci sta: «questo virus poi ha naturalmente dei piccoli cambiamenti. Perché, come quello dell’influenza, è più semplice e meno stabile».

Pierluigi Lopalco, ordinario di Igiene e medicina preventiva all’università di Pisa, il 23 febbraio invita a non fare allarmismo: «Noi abbiamo un Sistema sanitario che è la punta di diamante in tutto il mondo. Se si organizza bene questo sistema sanitario può fare fronte tranquillamente all’epidemia. Si cura.» L’epidemiologo non sembra troppo preoccupato: «Il messaggio da dare – chiarisce – è questo: nell’80% dei casi probabilmente non si ha bisogno neanche di assistenza medica. Il 20% dei casi dobbiamo cercare di limitarlo come numero perché ha poi necessità di andare in ospedale. E dobbiamo fare in modo che i nostri ospedali siano pronti per questo 20%. Perché se facciamo assistenza di alta qualità a questo 20%, non muore nessuno.»

Nei primi giorni di marzo i toni di Lopalco sono un po’ cambiati, ma continua a rassicurare: «la malattia non è grave, se non in rari casi e per persone con condizioni di salute già complicate» e in fondo «quello che abbiamo nel Nord Est lo troveremo nel resto d’Italia, spostato di qualche settimana», ma tutto sommato basterà «sostenere piccoli sacrifici. Per un paio di mesi, invece di incontrarsi in 30 ci si incontra in tre. E vediamo che succede».

Il 31 marzo è ormai difficile sostenere la stessa posizione e dunque «Abbiamo avuto un’esposizione al virus enormemente superiore al Nord rispetto al Sud. E di questo dobbiamo tener conto anche ai fini delle politiche di riapertura.» Naturalmente non si parla più di piccoli sacrifici, anzi (corsivo nostro): «non arriverà mai il momento in cui diciamo stop, tutti fuori come prima

Pierluigi Lopalco

A metà aprile Francesco Le Foche, immunologo del policlinico Umberto I di Roma, ritiene che il virus possa spegnersi da solo, a maggio andremo in vacanza e il vaccino non è poi così necessario. Non sembra d’accordo Daniel Hagara dell’ospedale ticinese di Moncucco: «il virus non scompare da un giorno all’altro, una seconda ondata potrebbe essere peggiore della prima», cosa che però non spaventa il collega Beda Stadler, convinto che «fintanto i gruppi a rischio vengono protetti e gli ospedali non si riempiono di pazienti Covid-19, non ho paura di una seconda ondata».

Ma al di là delle specifiche caratteristiche del virus, questione che riguarda i medici, il fenomeno investe altre ambiti scientifici. A che velocità è lecito attendersi che si espanda il virus?

2. Scenari epidemiologici: un report vi seppellirà (vivi)

Partono i raffronti con altri virus. A fine gennaio la velocità di R0 – l’indicatore principale, che ci dice sostanzialmente quante persone può contagiare un infetto – viene stimata tra 1,5 e 3,5. La Lancaster University prova ad essere più precisa e parla di un R0 pari a 2,5. L’OMS pensa invece che 2,5 sia la stima più pessimistica, e situa quella ottimistica a 1,4. Siamo ancora ai calcoli fatti per Wuhan, che secondo i maggiori istituti epidemiologici avrebbe dovuto avere quasi 200.000 infetti nei primi giorni di febbraio. Vale la pena far notare che a fine aprile in Cina gli infetti erano – almeno ufficialmente – meno di 85.000.

Il 6 febbraio Giovanni Maga, dell’Istituto di genetica molecolare del CNR di Pavia, ci dice che R0 è 2,6 ma con un intervallo tra 1,5 e 3, e comunque «in Italia attualmente il rischio è estremamente basso e non c’è pericolo attualmente di pandemia».

Rapidamente entrano in scena i predittivi. Partendo da assunzioni abbastanza vaghe – «Intervenire sì» vs. «intervenire no», a prescindere tanto dal tipo quanto dall’estensione degli interventi – all’Imperial College mettono a punto modelli statisticamente sofisticati che portano a dire: senza interventi ci saranno centinaia di migliaia di morti nella sola Gran Bretagna, provocati dal collasso del sistema sanitario.

«Shock! Watch the monkey get hurt, monkey…»

Il report dell’Imperial College, destinato a grande celebrità, descrive una serie di ipotesi partendo da due possibili strategie: la «mitigazione» e la «soppressione». Nell’Introduzione al rapporto si dice con una certa leggerezza che la mitigazione, pur riducendo di 2/3 il picco della domanda di assistenza sanitaria e della metà il numero dei morti, provocherà «probabilmente» centinaia di migliaia di morti e il collasso del sistema sanitario. Per questo si dovrà scegliere la «soppressione».

Il rapporto contiene molti caveat. Un paio in particolare dovrebbero suggerire maggiore cautela, quantomeno nel riassumere i risultati del rapporto. Un’avvertenza dice che anche in assenza di provvedimenti obbligatori è altamente probabile che la popolazione cambi i propri comportamenti:

«è altamente probabile che ci siano significativi cambiamenti spontanei nei comportamenti della popolazione anche in assenza di provvedimenti imposti dal governo»
[it is highly likely that there would be significant spontaneous changes in population behaviour even in the absence of government-mandated interventions];

in un altro passaggio si legge che le misure di soppressione non saranno a costo zero, anzi, probabilmente avranno

«enormi costi sociali ed economici che a loro volta potrebbero avere un impatto significativo su salute e benessere nel breve e nel più lungo periodo»
[enormous social and economic costs which may themselves have significant impact on health and well-being in the short and longer-term]
.

Le avvertenze non si esauriscono qui, nella nota metodologica se ne esplicitano altre, e a distanza di poco tempo alcune premesse del report si riveleranno poco corrette. È il caso dell’alta infettività dei bambini – ipotesi che porterà alla chiusura delle scuole ovunque ma su cui ci sono, a essere cauti, ragionevoli dubbi – o della diversa capacità infettiva degli asintomatici rispetto ai sintomatici. Il rapporto presuppone poi che il 30% degli ospedalizzati finiranno in terapia intensiva. Per l’Italia il dato è decisamente sovrastimato, visto che non si è mai raggiunto il 15.

Pochi giorni dopo è il Nuffield College di Oxford a offrire un’altra interpretazione con predizioni decisamente differenti. Il modello proposto si basa sulla percentuale di popolazione a rischio di morte o di grave malattia; sulla capacità di riproduzione del virus (R0); sul periodo di tempo che si resta infetti, e sul tempo trascorso dall’infezione alla morte. Assumendo che la popolazione a rischio sia o lo 0,01 o l’1%, e che R0 sia 2,25 o 2,75, gli studiosi del Nuffield ritengono che, al 19 marzo, potrebbe avere già incontrato il virus una percentuale della popolazione britannica compresa tra il 36 e il 68%.

Lo stemma dell’Imperial College. Il motto in latino dice: «La scienza è ornamento e difesa dell’Impero».

Il 30 marzo un altro lavoro dell’Imperial College si presta meglio a essere divulgato dai fautori del lockdown. Il rapporto numero 13 stima l’impatto delle misure non sanitarie in undici paesi europei. Già la premessa dello studio dovrebbe suggerire cautela, visto che dice chiaramente: «Uno degli assunti-chiave del modello è che ciascun intervento abbia lo stesso effetto sul numero di riproduzione nei vari paesi e nel corso del tempo» [One of the key assumptions of the model is that each intervention has the same effect on the reproduction number across countries and over time].

Dando per buono che dal punto di vista della costruzione del modello tale assunto sia accettabile, si può comprendere come invece dal punto di vista dell’analisi delle misure non abbia senso e infici tutto il ragionamento seguente. Isolamento dei positivi, chiusura di scuole o  università, divieto di raduni di massa, blocchi locali e nazionali, chiusura di fabbriche o di locali… Tutto ha lo stesso effetto.**

Il report così finisce per sostenere che grazie agli interventi – non importa quali – si sarebbero evitati 59mila morti (dato aggiornato al 31 marzo). Può essere interessante notare che la Svezia ne avrebbe evitati 82, la Danimarca 69, la Norvegia una decina. Figurarsi se qualcuno si sofferma su questo passaggio (corsivo nostro): «si assume anche che l’effetto degli interventi sia lo stesso in tutti i paesi, cosa che può non essere del tutto realistica». [We also assume that the effect of interventions is the same in all countries, which may not be fully realistic.]

Fa infine abbastanza scalpore il lavoro presentato dalla «task force» costituitasi presso il governo italiano per gestire la «Fase 2». Nel rapporto uno scenario prevede la possibilità che, se tutto venisse riaperto, ben 151.000 persone finirebbero in terapia intensiva. Le assunzioni sono naturalmente del tutto teoriche e riguardano il numero di contatti tra le persone che poi si riverserebbero sul numero dei contagiati. In realtà il gruppo di lavoro ha preso in considerazione scenari persino peggiori (in uno i posti in terapia intensiva occupati sarebbero stati 191.824 il 9 giugno…) ma in buona sostanza quasi tutti – sono 98 scenari! – molto migliori.

Questi lavori all’interno delle varie discipline non sono certo rari, anzi sono l’essenza stessa del lavoro scientifico. L’idea che la scienza possa dare una risposta univoca e definitiva può venire in mente solo a chi ha enormi deficit di competenze epistemologiche. «Enormi» perché non sono questioni particolarmente complicate, l’epistemologia affronta temi ben più complessi e non dedica neanche troppa attenzione a questioni così banali.

Se non si vuole arrivare a questi livelli di sofisticazione basti pensare a quel che succede nei dibattiti che riguardano la realizzazione di un’opera pubblica di una certa rilevanza. Negli schieramenti che finiscono per fronteggiarsi ci sono sempre «esperti» in entrambe le fazioni, per misurare gli effetti sulla salute, sulla viabilità, sulla qualità della vita ecc. Ciò non toglie che la decisione alla fine sarà sempre eminentemente politica, nel senso che favorirà alcuni interessi e ne danneggerà altri.

3. Da «potrebbe succedere» a «succederà» per arrivare ad «Aaargh!»

In genere questi dibattiti, più o meno sofisticati, rimangono confinati o nelle aule universitarie o magari all’interno di “arene” in cui si dibatte uno specifico problema. Anche temi che oltrepassano il livello locale per diventare di rilevanza nazionale – si pensi per esempio al TAV Torino-Lione – incontrano un’attenzione parziale, perché per quanto si possa esprimere un’opinione anche a distanza di migliaia di chilometri, il coinvolgimento sarà sempre relativo.

Stavolta gli scienziati si sono trovati improvvisamente al centro del palcoscenico e, come sarebbe stato ragionevole attendersi, hanno mostrato un certo impaccio nel rapportarsi a contesti poco frequentati. Nemmeno i più sobri erano attrezzati a comprendere l’effetto che semplici constatazioni “da laboratorio” possono avere all’interno di una comunità ben più ampia e magari attraversata dal terrore.

Soprattutto, gli scienziati non sono attrezzati ad avere a che fare con le dinamiche dei mass media. I pareri dei vari virologi ed immunologi, o i sunti dei report dei vari istituti epidemiologici, sono raccolti in interviste in cui in genere non mancano cautele, disclaimer, verbi al condizionale… Tutto questo, però, viene travolto dalle finalità differenti di chi materialmente redige l’articolo.

Il caso dei report predittivi dell’Imperial College è particolarmente illuminante. Per apprezzare le stime di un modello è necessario partire da ipotesi teoricamente possibili ma spesso del tutto implausibili. Abituati a rivolgersi a comunità con cui in genere si condividono linguaggi impliciti ed espliciti, gli autori non si sono soffermati a specificare che l’opzione «non fare niente» è senza alcun senso pratico. Come lo stesso rapporto ricorda, è altamente probabile che le persone cambino i propri comportamenti a prescindere o meno dai provvedimenti governativi. Eppure il rapporto è stato assunto dalla stampa e da molti decisori nostrani come una specie di tabella sinottica, capace di prevedere perfettamente il numero di di contagiati, di morti e di malati in terapia intensiva.

Il fatto che alcune assunzioni siano state poi smentite – come la percentuale di ospedalizzati in terapia intensiva – o messe ampiamente in discussione – come la trasmissibilità del virus da parte dei bambini – diventa persino una questione secondaria, perché il punto non è fare le pulci a un lavoro elegante ma per sua natura impreciso.

Ma guardiamo, per esempio, alla frase «uno starnuto particolarmente potente di una persona infetta potrebbe teoricamente infettare qualcuno che sta a poco più di 2 metri di distanza.»

L’affermazione, fatta tra ricercatori, sarebbe arricchita da particolari: la quantità di virus potenzialmente trasmissibile, la virulenza, la reale probabilità che questo accada veramente, a che condizioni atmosferiche su che tipo di soggetti ecc. Resterebbe un’ipotesi di scuola, buona per accrescere la conoscenza sul virus, sull’ambiente, sui soggetti vulnerabili e così via.

Immaginate ora la stessa affermazione raccontata a un giornalista. Se il giornalista è di una testata filogovernativa la notizia verrà sparata in prima pagina magari col titolo «Non si è sicuri neanche a 2 metri di distanza». Se è di una testata antigovernativa, magari sarà di spalla con un più sobrio «il virus può colpire anche a 2 metri di distanza». L’effetto sul “consumatore finale” è devastante: per lui neanche tre metri a questo punto basteranno.

4. Le ali di cera degli scienziati, il calore dei riflettori

L’improvvisa esposizione mediatica e l’intento manipolatore dei media sono dunque gli unici responsabili della costruzione di un senso comune grossolano su temi così vitali – è proprio il caso di dirlo – del nostro dibattito pubblico? Ci sono almeno due buoni motivi per non assolvere frettolosamente gli ingobbiti frequentatori di laboratori e aule di seminari.

Il primo, e meno interessante, riguarda le umane debolezze. Tutti andiamo cercando i nostri cinque minuti di celebrità e tra rivolgersi a un uditorio altamente qualificato ma numericamente limitato – che in genere discute e più spesso critica l’assunzione di questa o quella variabile interveniente – e rivolgersi a una platea adorante a cui parlare dall’alto in basso, impossibilitata a discutere e pronta a plaudire, serve una discreta forza d’animo per scegliere la prima per tutti i giorni della propria vita. E lasciarsi andare, essere una star dei social, brillare in questo o in quel talk show, può essere piacevole e gratificante, e pazienza se questo potrà fare danni difficilmente quantificabili.

Hansel, male virologist of the year.

Il secondo motivo è più complesso e riguarda l’uso pubblico della scienza. Si è parlato molto della necessità da parte dei giornalisti di entrare meglio e più profondamente nel metodo scientifico, di imparare a comunicarlo con maggior contezza e minore superficialità. Certamente è un aspetto, ma forse marginale, perché questo punto di vista assume una posizione su cui è lecito avere dubbi, e cioè che il giornalismo sia principalmente interessato a informare. Non è da escludere che se lo è, lo sia marginalmente.

Ma qui interessa l’altro attore di questo dialogo, lo scienziato: quest’esperienza pandemica mostra quanto sia necessario un ripensamento profondo del suo ruolo pubblico. Questo ripensamento sarebbe il caso passasse anche dall’introduzione nella propria formazione di rudimenti di discipline umanistiche.

Abbiamo assistito con un certo sgomento a discorsi di straordinaria chiarezza sul comportamento del virus che però slittavano e sfociavano in suggerimenti sulla sanità pubblica per niente correlati: «Il virus si comporta così, però gli italiani sappiamo come sono quindi meglio cautelarsi e chiudere tutto». Non c’è nessun nesso tra le due affermazioni. È come se un sociologo dicesse «sappiamo che il gruppo sociale X ha questi comportamenti quindi il virus non è un problema». Se il secondo caso è palesemente improbabile è solo perché le scienze sociali non hanno la stessa aura di autorevolezza di quelle “dure”. Accettiamo che un virologo parli di società, ma difficilmente accettiamo che un sociologo parli di virologia.

Meglio evitare equivoci: il problema non è certo che il virologo o l’epidemiologo parlino di società, tutti devono farlo. Il problema è parlarne come se si fosse ex cathedra, pur non avendo competenze specifiche, e purtroppo senza l’umiltà di comprendere che anche altre discipline hanno acquisizioni a cui si arriva dopo uno studio approfondito. Di comprendere che magari si è lontani dalla determinatezza delle scienze fisiche ma che anche le scienze umane qualche regoletta l’hanno messa insieme.

Lingenuità di molti scienziati “duri” nel disinteressarsi di temi così complessi, o addirittura nel pensare di poterli maneggiare con disinvoltura non può e non deve essere trattata con troppa condiscendenza.

5. Capire quando un esperto non parla più “da esperto”

Il problema quindi non è l’invasione di campo. Di fronte a un evento che tocca tutti e a diversi livelli di coinvolgimento, è più illusorio che ingenuo pensare che le persone si fermino sulla frontiera delle loro competenze. Al netto delle perversioni accennate nel paragrafo precedente, il desiderio di contribuire al dibattito sulle decisioni da prendere non è verosimile si arresti nel momento in cui si passa dal come curare un paziente alle policies di sanità pubblica, alle loro ricadute di tipo socio-economico, ai vincoli costituzionali ecc.

E qui si pone un altro problema, perché nello stesso discorso possiamo trovare illuminanti spiegazioni su un aspetto del fenomeno e opinioni da lasciare almeno perplessi su un altro. Solo la capacità di esercitare il nostro senso critico può in qualche modo cautelarci.

Ernesto Burgio

Prendiamo il caso di Ernesto Burgio, esperto di epigenetica e biologia molecolare e presidente del comitato scientifico della Società italiana di medicina ambientale. Burgio più di una volta è stato molto efficace nel raccontare quanto sia stata disastrosa la gestione italiana del cornavirus. Ha spiegato che mancavano esperti di epidemie, ha descritto le politiche liberiste che hanno smantellato il sistema sanitario e soprattutto impedito che gli ospedali potessero attrezzarsi per evitare appunto di far morire medici e operatori sanitari…

Il problema è che, in alcune interviste rilasciate a marzo, dopo aver detto tutto questo Burgio concludeva che… bisognava riaprire a metà maggio, perché il numero dei morti non consentiva di dire che l’epidemia stesse rallentando. Saltava, insomma, a considerazioni di carattere politico: poiché non è ragionevole attendersi che si riesca a far quel che si deve, lasciamo che tutti siano chiusi in casa.

In questa seconda parte, a parlare non era più l’esperto di virus, ma il cittadino comune, sconfortato dalle prove dei decisori e desideroso di salvaguardare la comunità a cui è più legato: i medici. Burgio ha detto cose fondamentali, per esempio che il 90% dei contagi avvengono in ambienti chiusi e con contatti ravvicinati: ma se è così perché non stare negli spazi aperti e a distanza? Lui stesso, in altre interviste, aveva detto che impedire quei comportamenti era sbagliato e controproducente.

Andrea Crisanti

Burgio cita più volte Andrea Crisanti, il microbiologo dell’università di Padova a cui verosimilmente si deve il miglior controllo dell’epidemia in Italia, il quale a sua volta fa un curioso ragionamento: in Veneto siamo riusciti a controllare l’epidemia grazie ai tracciamenti e agli isolamenti dei contagiati, ma siccome altrove non lo capiscono… non si deve riaprire.

Queste considerazioni da cittadino comune che ragiona sull’inadeguatezza della politica finiscono naturalmente per essere stralciate e presentate come «l’esperto, dall’alto della sua esperienza, dice che non si deve riaprire».

Prendiamo ora il caso di un’intervista ad Alessandro Vespignani, epidemiologo di chiara fama della Northern University di Boston. La struttura dell’intervista è interessante: su un centinaio di domande – o comunque di interventi dell’intervistatore – almeno la metà non riguardano le questioni specifiche, e la prima parte sembra sostanzialmente inutile. In realtà le prime 34 domande servono a dirci che l’intervistato è una persona che ha fatto cose che voi umani non potete immaginare né sareste mai in grado di fare. E vorreste forse non credere ad uno così?

Alessandro Vespignani

Chiaramente Vespignani dice cose interessanti e condivisibili, per quanto possiamo capirne noi non esperti. A un certo punto dice:

«lei davvero vuole paragonare le interazioni del Molise con la Cina a quelle con la Lombardia industrializzata? Sono due paesi diversi. Due mondi».

Giusto. Solo che, due righe più sotto, questi mondi si uniscono, perché per entrambi c’è una sola soluzione:

«Io non ho il minimo dubbio, e nessuno dati alla mano può averlo. Il blocco funziona. Il dramma sarebbe accaduto se all’epoca si fossero fatte chiusure differenziali».

Al di là di un errore strano per uno statistico – «dati alla mano», allo stato attuale è impossibile capire se il blocco abbia funzionato o no, servirebbe costruire un controfattuale – non si comprende bene in che relazione stiano le due affermazioni.

Di nuovo, non si tratta di annullare tutto quanto di ragionevole e di “esperto” c’è nelle risposte di Vespignani, Burgio o Crisanti, ma di cercare, anche all’interno dello stesso testo, di comprendere che tipo di enunciato stiamo leggendo di volta in volta.

6. Possibilità, probabilità, democrazia

John Ioannidis

L’11 marzo scorso John Ioannidis, forse uno dei più famosi epidemiologi del mondo, che lavora alla Stanford University, ha pubblicato un articolo dal titolo «The harms of exaggerated information and non-evidence-based measures» [I danni causati dall’informazione esagerata e da provvedimenti non basati su prove.]

Tutte le decisioni fin qui prese e persino i pareri che abbiamo via via incontrato hanno questa caratteristica: non sono «evidence-based», cioè non sappiamo se funzionino o meno. Sul distanziamento sociale le evidenze sono molto flebili, come mostrato anche dal “nostro” Mauro Vanetti e più diffusamente qui.

A dirla tutta, non conosciamo neppure tutte le caratteristiche del virus e dell’epidemia. Per esempio l’ipotesi di Burgio sulla mutabilità del virus non sembra realistica secondo Lisa Gralinski, una virologa dell’università del North Carolina, e davvero per un lettore, per quanto attento, è impensabile riuscire a districarsi tra oggetti così specifici. Sull’espansione dell’epidemia lo stesso Anthony Fauci il 26 febbraio, aveva parlato di un rischio «molto, molto basso per gli USA». Anche della malattia non sappiamo molte cose, perché pare che attacchi non solo polmoni e vie respiratorie ma anche cuore, reni, intestino, sistema nervoso, ma non si sa se direttamente o meno.

Se a questo aggiungiamo, come già rilevato da Ioannidis che le stime delle percentuali di popolazione infetta sembrano esagerate; che le stime del tasso di letalità sembrano marcatamente esagerate; che la percentuale di infezione è sconosciuta ma probabilmente varia da paese a paese (e, potremmo aggiungere, da territorio a territorio); che le curve epidemiologiche sono in gran parte influenzate sia dalla disponibilità dei test che dalla volontà o meno di testare il virus nel tempo; che su molte misure adottate ci sono evidenze che procurino danni psicologici, sociali, economici ma le stime di questo impatto sono del tutto speculative; che similitudini ed estrapolazioni riguardanti la pandemia del 1918 sono precarie, se non addirittura fuorvianti e dannose…

A essere completamente saltata in aria è la distinzione tra possibilità e probabilità.
Come abbiamo visto è possibile che uno starnuto particolarmente potente riesca a trasmettere il virus anche a distanza superiore a due metri, ma le probabilità che questo avvenga davvero sono nell’ordine dello 0,niente%. È possibile che il Palermo vinca la Champions’ League nella stagione 2024/25, ma non è il caso di scommetterci.

Quando usciamo di casa sappiamo che c’è la possibilità di non tornarci: possiamo avere un incidente d’auto, essere coinvolti in una sparatoria, essere colpiti dal vaso di fiori che cade dal quarto piano eccetera. E anche stare in casa a pensarci non è poi così sicuro: c’è sempre qualche corto circuito in agguato, il phon che può caderci nell’acqua, si può inciampare e sbattere la testa su uno spigolo…

In molte zone i diritti costituzionali sono stati limitati per evitare eventi solo poco meno improbabili di quelli elencati, a volte altrettanto improbabili. Ad esempio, è stato detto da alcuni governatori e sindaci che non si doveva andare nei boschi a correre perché si poteva cadere, sbattere la testa e avere bisogno di cure, col che si sarebbero intasati gli ospedali.

L’azione combinata di provvedimenti e narrazione massmediatica, impattando su una società più terrorizzata di quanto forse non ci aspettassimo, lascerà strascichi non soltanto nella vita collettiva ma anche in quella individuale.

È urgente cambiare prospettiva e tornare a ragionare in termini non solo sanitari, ma di recupero di agibilità democratica. Perché sì, è possibile che il virus ci uccida tutti, ma…

Scommettiamo?

* Roberto Salerno è dottore di ricerca in Scienze Politiche e relazioni internazionali. Si è occupato di analisi dei processi decisionali e collabora con Giap, Jacobin Italia, Palermograd e con la rivista di storia delle idee inTrasformazione.

** Su questo, una precisazione nei commenti.

LEGGI ANCHE:

Italia vs. Resto del mondo

di Michele Bandoli e Roberto Salerno

«Siamo ben consapevoli che non è possibile proporre confronti puntuali, che dipendono dai dettagli delle restrizioni applicate, dei sistemi sanitari e dall’estensione dell’epidemia nei diversi paesi. Però secondo noi è possibile dare una risposta ad una domanda ben precisa, tecnicamente molto limitata ma con ampie implicazioni politiche: è necessario porre restrizioni sulla circolazione locale dei singoli per tenere sotto controllo l’epidemia? In termini di riduzione dei contagi, quali sono stati i risultati dei paesi – la maggior parte come ormai sappiamo – che hanno lasciato la possibilità ai cittadini di non dover giustificare ogni singolo spostamento? Davvero senza perseguitare le grigliate sui tetti, il corridore in spiaggia, l’accompagnatore di un disabile, gli addetti al delivery, gli altri paesi hanno avuto risultati peggiori? O sono bastate le altre misure messe in atto, per raggiungere risultati del tutto comparabili a quelli italiani?»

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141 commenti su “«Io non ho il minimo dubbio». Il fallimento comunicativo di scienziati ed «esperti» nei giorni del Covid-19

  1. Rewind di centocinquant’anni, nel secolo delle magnifiche sorti e progressive. Bakunin discute del pericolo che la scienza sfoci in tecnocrazia. “Ciò che predico è fino a un certo punto la rivolta della vita contro la scienza, o piuttosto contro il governo della scienza. Non per distruggere la scienza – sarebbe un crimine di lesa umanità – ma per rimetterla al suo posto, in modo che non possa mai più uscirne. […] Allorché si tratta di stivali, ricorro all’autorità del calzolaio; se si tratta di una casa, di un canale o di una ferrovia, consulto quella dell’architetto o dell’ingegnere. Ma non mi lascio imporre né il calzolaio, né l’architetto, né lo scienziato. Li ascolto liberamente e con tutto il rispetto che meritano, riservandomi però il mio incontestabile diritto di critica e di controllo. Non mi accontento di consultare una sola autorità specializzata, ma ne consulto parecchie; confronto le loro opinioni e scelgo quella che mi pare la più giusta. Ma non riconosco alcuna autorità infallibile, neppure per le questioni del tutto specialistiche; […] non ho fede assoluta in alcuno. Una fede simile sarebbe fatale per la mia ragione, per la mia libertà e per lo stesso buon risultato delle mie iniziative; essa mi trasformerebbe immediatamente in uno stupido schiavo”. Il regno dell’intelligenza scientifica, dice altrove, potrebbe diventare “il più dispotico, il più arrogante e il più spregevole di tutti i regimi”.

    • il problema penso sia lo smarrimento dell’interdisciplinarietà. e qui la questione dei diversi piani di realtà resta comunque essenziale. la verità e la realtà non sono propriamente concetti risolvibili tramite dogmi scientifici. e la cosa pazzesca è che questo lo sanno benissimo anche gli scienziati, alcuni dei quali però sembrerebbero ostinati nell’ignorare l’evidenza di tale complessità. penso che il confronto tra studi sia una prerogativa che gli accademici non hanno mai smesso di considerare (ho una visione romantica dell’università) e i docenti e ricercatori non hanno perso la facoltà di interazione e dialogo costruttivo. a livello di informazione mediatica però sembra di essere in un mondo che con la ricerca di una realtà vivibile non ha nulla a che fare. più semplicemente forse il problema è che incasinati come si è nel cercare di poter sopravvivere ad una società palesemente piuttosto illogica non si abbia più il tempo di pensare. e la rabbia conseguente a questa schiavitù si riversa facilmente in rancorose guerre tra ideologie, anche all’interno delle stesse classi di studio. figuriamoci quindi come poter avere dialogo, per dire a titolo di esempio, tra scienza e filosofia (intese come macroaree) che personalmente ritengo inscindibili. la scienza non ha dubbi (anche se ogni scienziato la pensa diversamente). mentre per molti la filosofia è soltanto un impegno per buontemponi ma non ha fondamenti considerabili. ecco a me da anni fa paura questa deriva sociale. se la narrazione può direzionare teleologicamente la ricerca della realtà e non credendo personalmente nel determinismo tipicamente scientifico/religioso continuo comunque a pensare che si potrà migliorare

      • Sono d’accordo su quanto dici circa l’interdisciplinarietà. Non solo con la filosofia, ma le scienze esatte dovrebbero parlare con tutte le scienze umane. Solamente così possono arrivare alla necessaria sintesi, al discernimento, alla separazione del grano dalla pula, che è cosa diversa dall’interpretazione (che fa tanto paura allo scientista). Solo un appunto: in realtà le scienze naturali avrebbero proprio il ruolo di scoprire la verità e descrivere la realtà. E nell’esplicare questo ruolo non procedono per dogmi (un dogma scientifico, in realtà, sarebbe un controsenso).

        • i concetti da tener presenti sono tantissimi e interpretazione e intuizione sono importantissime. il ruolo delle scienze non riesco più francamente a riconoscerlo. certamente dovrebbero scoprire e descrivere la realtà. così come qualsiasi altra scienza umanistica. il problema è appunto che invece ho l’impressione che, a livello di informazione diffusa tra le persone e quindi di condizionamento delle credenze, si stia prendendo una deriva dogmatica (ribadisco che sto parlando del discorso mediatico) che mi fa molta paura. proprio perché non dovrebbe essere così. inoltre mi dispiace perché il potenziale di ricerca potrebbe essere interessantissimo e quindi la mia non è soltanto paura ma è anche un po’ demoralizzazione dovuta al riconoscimento delle possibilità che si stanno sprecando.

  2. Sará che é un campo che conosco bene perché ci lavoro ma un altro aspetto dov’é andata in corto tutta la comunicazione scientifica degli “esperti” é stato quello sui dati e sulla loro interpretazione. Tutto un fiorire di tabelline, timelines, diagrammi per una corsa all’ultima dashboard che é servita solo a confondere di piú le cose.

    Dati incompleti o di bassa qualitá, aggregazioni faziose, correlazioni fallaci, conclusioni errate, si é visto (e si continua a vedere) di tutto in questo campo: come la pagina della JHU usata come feticcio per giustificare le peggioni tifoserie nazioniali

  3. Lascio qua un breve commento per dire che i modelli matematici in epidemiologia sono una cosa molto più complessa delle curvette logistiche che di tanto in tanto compaiono sui giornali, in tv e in rete, e che forse hanno guidato le scelte politiche di molti governi. Un esempio per farsi un’idea della complessità (e dei limiti teorici) di questi modelli (che sono equazioni di reazione diffusione, quindi equazioni alle derivate parziali, non equazioni ordinarie) potrebbe essere questo, che è consultabile liberamente:

    https://arxiv.org/pdf/1703.02760.pdf

    Non ho nulla di specifico da dire sulla matematica di questa particolare epidemia, ma volevo solo mostrare quale sia il gap tra i modelli matematici e la loro versione “spettcolare” che vediamo sui giornali.

  4. I modelli predittivi sono uno strumento potente, che in alcuni settori funziona bene (si pensi alle previsioni meteo). La loro matematica è complessa, ma la cosa più difficoltosa non è tanto elaborare le equazioni, lavoro estremamente specialistico (l’utilizzatore può non sapere nulla di matematica così come un autista non deve necessariamente sapere di meccanica), quanto determinare con esattezza le condizioni al contorno. Questo significa che se i SW predittivi non vengono alimentati con la giusta quantità e qualità di dati noti di cui necessitano, restituiscono approssimazioni talmente vaghe da essere inutili. È facile trasformare l’inutilità in danno, quando, come dice tuco, i modelli non sufficientemente strutturati determinano decisioni a livello governativo.

    • Ciao, sono nuovo del blog, lo sto seguendo da qualche settimana su indicazione di un amico.
      Ho trovato l’articolo interessante ed anche il commento riguardo i modelli matematici predittivi.
      A questo proposito mi faccio e vi faccio una domanda: poiché mi pare di capire che alla base delle scelte politiche legate a questa vicenda vi sia una serie di studi matematici, soprattutto dell’imperial College di Londra, qualcuno è in grado di spiegare, studio alla mano, quale sia il livello di attendibilità di quanto scritto e predetto?
      Io non sono in grado di farlo da solo perché non sono un matematico, nè un epidemiologo ma un approfondimento potrebbe essere molto utile.
      Grazie, ciao.

      • ciao Daniele, a propsito della tua domanda segnalo questo breve articolo apparso ieri su scienzeinrete che si focalizza proprio sui dati forniti dall’Imperial College:

        https://www.scienzainrete.it/articolo/scarsa-intelligence-dellimperial-e-di-altri-modelli/donato-greco/2020-05-11

        L’articolo non si addentra molto in questioni tecniche su come sono stati costruiti i modelli inglesi e sul perché abbiano sempre fornito dei dati sbagliati, ma mette in evidenza quali sono le difficoltà di partenza nell’impostazione (e nella lettura dei dati) di questi modelli matematici.

        Sempre a proposito di modelli matematici di previsione pandemica, ri-segnalo anche l’ottimo video di 3Blue1Brown:

        https://invidio.us/watch?v=gxAaO2rsdIs

        dove viene illustrato bene il funzionamento di un’epidemia, soprattutto come questa cambi modo di espandersi al variare di alcuni parametri, ed è secondo me seguibile anche se non si è dei matematici.

      • Ti rispondo per quello che so e che credo sia il problema di tutte le analisi moderne. Quando sviluppi un modello di analisi di dati (che sia manuale o di machine learning) si parte da porzione dei dati disponibili e la si usa come base di “allenamento” per quello che sará poi il modello da applicare ai dati rimanenti. Una delle operazioni fondamentali in questa fase é quella del data cleaning: analizzare i dati della base di allenamento, ripulirli dagli errori, uniformare i formati, separare il rumore di fondo etc…

        Questa é una delle fasi piú lunghe e laboriose del processo (solitamente si stima il 50% delle risorse per questa fase) anche perché si basa su analisi che sebbene ovvie per un umano sono difficili da automatizzare (per questo spesso si usa il crowdsourcing: vedi ad esempio il progetto Microsetta che ha coinvolto i videogiocatori: https://www.rockpapershotgun.com/2020/04/08/you-can-do-science-in-borderlands-3-now-to-help-out-real-life-medical-research/).

        Errori madornali di valutazione succedono anche col meteo, e questo pur avendo a disposizione milioni di ore di analisi e storia (e dove entrano ovviamente anche le considerazioni politiche https://www.youtube.com/watch?v=qMGn9T37eR8).

        La mia umile opinione é che la pressione e la fretta di produrre QUALSIASI risultato abbiamo influito molto sulla qualitá dei modelli legati al codvid-19. Stiamo parlando di dati da diversi paesi con diversi formati e una quantitá incredibile di variabili spesso sconosciute. Anche la crowdchallenge di Kaggle ha prodotto risultati abbastanta scarsi (https://www.kaggle.com/covid-19-contributions) e qui stiamo parlando della miglior community di data science al mondo con migliaia di utenti con risorse e skills paragonabili (se non superiori) a quelli di qualsiasi universitá.

        Come recita un adagio famoso: “Tutti i modelli sono falsi, qualcuno peró é utile” e stabilire quali sono quelli utili é sempre una scelta politica.

  5. Ho apprezzato molto questo articolo. Mi ha suscitato immediatamente riflessioni che vanno molto al di là della situazione contingente da cui, peraltro, sorgono. Il che è molto positivo secondo me. Il nocciolo della questione, guardandola negli aspetti universali, è la questione dell’unità della scienza. Qui parliamo della scienza moderna, non dell’episteme (distinzione importante su cui inciampò il presidente Conte). Il filosofo italiano Severino ha colto con grande chiarezza, e ne ha sovente scritto, che tanto più la scienza si specializza, tanto più si perde la sua unità. Al punto che ci chiediamo se davvero vi è unità nella scienza. Il problema non è solo filosofico, ma è empirico: più si specializzano, più le scienze acquisiscono un proprio linguaggio, al punto che risulta impossibile per alcune scienze dialogare. Non possono dialogare perché non c’è un sistema di riferimento comune. Si dirà: e peggio per loro. No. Peggio per noi, perché nella società contemporanea la scienza non è solo una disciplina conoscitiva, ma in quanto tecnoscienza, è alla base di tutti i processi sociali, compresi quelli strettamente politici. Il politico di oggi si deve destreggiare fra le varie tecniche che governano i vari campi del sociale, e poiché la società è una rete di relazioni, deve incrociare e mescolare le tecniche. E qui incontra i guai, al punto che recentemente un politico ha dichiarato che è ora che la scienza dica parole di certezza. Lasciando perdere il lato umoristico, questa richiesta del politico è significativa: il politico chiede alla scienza cosa fare, e la scienza risponde, ma ogni ramo del sapere scientifico in campo dice cose diverse, e anche presso lo stesso ramo abbiamo molte voci discordanti, e il politico si spazientisce. Tutto ciò perché da tempo è morta la categoria del “politico”, o la si è ridotta appunto a mera tecnica di gestione di tecniche.

    • che cosa sia la scienza penso sia la domanda essenziale da farsi, a questo punto. non conosco la filosofia di Severino. e non so perché però negli anni di studio mi risultava troppo connesso agli ambienti distantissimi dalla mia cognizione e quindi non ho mai avuto, come dire, incentivo a studiarlo. limite mio. certamente è un grande filosofo. non fraintendetemi. non sto giudicando. negli anni le cose è normale che cambino e avrà avuto le sue scelte da logisticizzare. come tutti. inoltre non ne conosco nulla quindi perdonatemi l’approssimazione. magari questa potrebbe essere l’occasione per conoscerlo meglio. infatti sono d’accordo che l’unità della scienza sia persa, però le specializzazioni non riesco a considerarle come negative. dipende appunto dalla volontà di dialogo tra specializzazioni. la tuttologia non esiste. neanche se espressa da esperti. al di là di questo volevo dire che il ragionamento di una ricerca della possibilità di un ponte tra empiria e metaempiria (la mia avversione alla religione mi impedisce di chiamarla metafisica. siamo schiavi del nostro tempo) è il mio argomento da anni. non ho soluzioni eh. però mi sembra un tema importante

      • poi oh a me la differenza tra epistemico ed epistemologico mi fa impazzire da anni. e non ho ancora capito come districare il problema. e forse non lo capirò mai. però se non altro le domande mi tengono attivo il cervello. quindi ecco non volevo apparire fuori luogo. inoltre se parlo tendenzialmente al presente è perché nonostante tutto ancora penso che cercare di capire la contemporaneità sia meglio che affliggersi con rimorsi e rimpianti cronologicamente insuperabili. il futuro invece mi interessa. ed è bello poter provare a parlarne. tengo a precisare che quando sento parlare di filosofia è come se mi esplodesse nel pensiero qualcosa che cerco di tenere tranquillo da anni. ma ora ho capito che il modo migliore per stare tranquilli è esattamente riuscire a parlare dei nostri dilemmi. ora provo a dormire. magari inizio inoltre Il sentiero degli dei. che ho ripescato dalla libreria proprio ieri. notte e grazie delle parole

      • Vado forse un attimo fuori tema, ma solo per risponderti, Pao. La filosofia di Severino sarà ricordata per una metafisica estrema che nega il divenire riprendendo il pensiero di Parmenide. E’ molto interessante per i metafisici, ma affronta tematiche che non rientrano direttamente nei nostri interessi attuali. Invece, nel libro Oltre il linguaggio, nel primo capitolo, c’è questo esame della specializzazione della scienza condotto con grande rigore, che può risultare di grande interesse anche per chi non è direttamente interessato al suo pensiero. Ma la critica al sapere scientifico è condotta in maniera radicale da altri grandi filosofi del 900: da Adorno ad Heidegger, da Gentile a Husserl, e anche da poco conosciuti filosofi italiani (due dei quali incominciano ad essere noti, cito Melandri che è anche presente in una nota dell’articolo qui su Giap, Ammalarsi di paura, e Bacchin, di cui si stanno riscoprendo le preziosissime opere). Concludo dicendo che quello che tu dici essere il ponte tra empiria e metaempiria, e dici che è il tuo argomento da anni, sappi che è, almeno secondo me, l’argomento della filosofia da sempre, da quando nacque presso i greci. (Scusate l’OT, ma ci tenevo a rispondere a Pao)

        • grazie mille della risposta. mi informerò sugli studi dei filosofi attuali dei quali parli e che non conoscevo. il bello è che è un universo di conoscenze pressoché infinito. Husserl lo adoro. dovrei rileggermi molte cose ma senz’altro la crisi delle scienze europee è interessantissima e attualissima. sì il ponte tra empiria e metaempiria è il nucleo della filosofia da sempre. specificatamente negli studi che ho cercato di affrontare in questi anni il tema è più contestualizzato nella musica. e nelle scienze creative in generale. Bergson e soprattutto Jankélévitch. comunque davvero qui si rischia il fuori contesto rispetto all’argomento dello scritto in questione. però grazie davvero per questi dialoghi. è come respirare

  6. Vorrei aggiungere ancora una osservazione: si parla di scienza, come fosse una identità, è lo è, ma almeno in apparenza e anche nelle applicazioni non è così. Perché è possibile mandare un missile da una base americana in modo che arrivi perfettamente nella camera da letto di Putin, ma non puoi avere la stessa esattezza nel prevedere ad esempio una epidemia. Sono tutte uguali le scienze? Il problema anche qui è simile al precedente della perduta categoria del politico. Qui si è perduta la categoria del puro sapere e si è resa la scienza principalmente tecnoscienza, cioè uso del sapere scientifico volto alla soluzione di problemi pratici, cosa giusta, per carità, ma dopo un po’ si è promosso un sapere solo in grado di funzionare, e non più di essere vero-sapere. Forse proprio qui si è persa l’unità della scienza

    • Si potrebbe considerare la tecnologia un po’ come la “scienza del passato”. Oggi usiamo un accendino o un telecomando come semplici strumenti, anche se le teorie che ne rendono possibile la costruzione sono state alla frontiera della conoscenza in un altro periodo storico. Secondo me lo sviluppo di tecnologia non produce conoscenza perchè non cerca di dimostrare o superare le attuali teorie scientifiche (ovvero i nostri modelli di interpretazione della realtà fisica), ma solo di costruire qualcosa che funziona. Ciò non toglie che, grazie agli strumenti sempre migliori messi a disposizione dallo sviluppo tecnologico, si possano concepire esperimenti per verificare o superare le teorie scientifiche attuali.

  7. Queste esagerate misure restrittive sono un danno enorme per gli adolescenti e per il modello scolastico. L’allontanamento di centinaia di migliaia di studenti da una routine didattica sta creando e creerà un precedente. All’interno di questo precedente proveranno a mettere: DAD per tutti, riduzione degli organici di fatto, utilizzo di strumenti e piattaforme private in un contesto pubblico e il solito, decennale impoverimento della cultura scolastica. I giovani di tutta italia si stanno “assembrando” comunque ed in ogni luogo e di contro lo Stato non riesce a trovare un’alternativa plausibile alla chiusura totale di tutti gli istituti scolastici fino a settembre. In questo caso andrebbero applicati grafici e modelli matematici. Si ha l’idea di quanti ragazzi in condizioni di handicap ( parlo dei vari casi della legge 104) stanno perdendo Conoscenza? Riusciamo a fare un grafico sulle differenti performance individuali nella fascia di età fra i 14 e 18 anni pre e post lockdown, ci interessa? No perchè la scuola ( la scholè) è un processo di gruppo, in presenza che si può fare all’aperto, in campagna, in grandi aule e bloccarla blocca una significativa parte della coscienza collettiva giovanile

  8. Articolo interessante per cominciare a rimettere in prospettiva la vicenda dal punto di vista della comunicazione della scienza. Vorrei aggiungere che, una volta messa di fronte al pubblico “esterno”, la comunità scientifica ha mostrato le crepe anche al suo interno. Paradigmatico il caso Ioannidis, che, dopo aver pubblicato l’articolo succitato, è stato fatto oggetto di critiche feroci da parte di molti colleghi. Lì credo abbia commesso lui un grave errore: si è fatto prendere dalla smania di dimostrare di avere ragione, e ha firmato, insieme ad altri, uno studio sierologico metodologicamente fallato (ironicamente, proprio lui che è considerato il paladino della riproducibilità!). A questo punto è stato aggredito scompostamente, tanto da indurre altri a scrivere un articolo dove si ricordava che non si può e non si deve emarginare le visioni meno “ortodosse” (https://www.statnews.com/2020/04/27/hear-scientists-different-views-covid-19-dont-attack-them/).
    Carl Bergstrom si premura su Twitter di fare debunking di ogni uscita di colleghi che mettano in dubbio l’efficacia delle misure in essere, con competenza, ma anche senza discussione, senza spazio al dubbio, e in modo molto aggressivo.
    Michael Levitt, premio Nobel per la chimica, ha analizzato dal punto di vista matematico le curve di contagio (senza proporne interpretazioni epidemiologiche, che sono fuori dalla sua area di competenza) e ha messo in dubbio l’efficacia dei lockdown; ha proposto un confronto con il famoso epidemiologo dell’Imperial College Neil Ferguson, il quale pare non abbia risposto alle sue sollecitazioni.
    L’inconsistenza del ruolo di “depositaria della verità” che alcuni scienziati hanno provato a costruire principalmente per la medicina – culminata nello sciagurato motto “la scienza non è democratica” – è la spia di una più preoccupante lacunosità della comunità scientifica di mettersi in discussione e di ammettere che la scienza è solo uno dei canali di accesso alla conoscenza.

  9. Ciao a tutti
    la piega che hanno preso i nostri tempi ormai già da anni, si è smascherata e brutalmente materializzata nel periodo di chiusura e nelle misure che lo determinano. è stato facile sin dall’inizio prevedere come si sarebbero evolute le cose, dico ciò in base a considerazioni personali che hanno trovato riscontro (sfortunatemente) nei fatti e (fortunatamente) nei pensieri critici di altre persone come in questo blog ad esempio.
    questo preambolo per (ri)dire che le condizioni per arrivare a tutto ciò sono state preparate negli anni precedenti (come già espresso su questo blog),
    quali sono queste condizioni?
    1- la già citata e fondamentale dipendenza dai social media e annessa tecnologia,
    2- una scala di valori “vincenti”, che fanno da carburante per questo turbocapitalismo: competizione, carrierismo, avidità, spettacolarizzazione a tutti i costi,…… mi fermo per brevità;
    3- la formazione scolastica e universitaria che mira alla formazione di operai specializzati (gli esperti), e non a quella di individui coscenti e consapevoli e critici;
    ed è qui che mi collego all’articolo sopra;
    4- la relegazione delle materie umanistiche a un corredo formale, e di contro di quelle scientifiche a dio in terra, ma solo se produttrici di profitto;
    5- la specializzazione estrema che si allontana da un ragionamento generale fino a scollegarcisi
    6- lo sdradicamento degli individui da un tessuto sociale reso incosapevole di se e creato digerito ed evacuato continuamente e velocemente attraverso il bombardamento mediatico.

    …..mi fermo…. Però penso che in questi punti si può scorgere il perchè di scienziati che dicono tutto il contrario di tutto, che si fanno strumentalizzare dal politico ecc…
    Spero di contribuire in maniera costruttiva alla decostruzione di questa società malata.
    p.s. è il primo blog a cui partecipo, e ringrazio tutti per il vostro pensare

  10. Questo articolo riesce veramente a svelare, in modo approfondito ed equilibrato, i difetti dei meccanismi comunicativi in azione tra ricerca e società. Nel caso del Covid il fallimento è ben visibile perché le varie posizioni si sostanziano in regole semplici (scuola si/no, uscire si/no, lavorare si/no) e previsioni ben definite (numero malati/decessi) verificabili su una scala temporale di pochi mesi. Temo però che anche in contesti diversi e più difficilmente controllabili, ad esempio nelle scienze economiche o dell’educazione, molte delle infallibili ricette proposte dagli “esperti” siano il risultato di questi difetti comunicativi e non di una analisi tecnico/scientifica (ovviamente nell’ipotesi che l’esperto sia uno studioso onesto e non un portatore di interessi di parte).

    Anche io penso che questi fenomeni siano i sintomi di una intossicazione molto profonda:
    – nella ricerca, il passaggio da un modello di valutazione basato sul “giudizio dei pari” ad un modello bibliometrico fondato sulla “attenzione di molti” ha introdotto una componente essenzialmente mediatica nell’autorità goduta da uno scienziato, oltre a instaurare delle condizioni formali in cui questa autorità può essere capitalizzata in termini di carriera o finanziamenti.
    – nella informazione, qualunque argomento viene semplificato e trasformato in emozioni facilmente consumabili/monetizzabili, con pubblico e media imprigionati in un feedback che sembra avere perso qualunque capacità di autoregolazione.

    Le leggi che hanno permesso ed indotto queste derive sono state promosse con l’obiettivo di ampliare lo spazio di manovra concesso al profitto privato a scapito del livello culturale della società nel suo complesso. Purtroppo la narrazione che le ha accompagnate è sempre stata vincente. Nel 95 abbiamo addirittura approvato con un referendum nazionale le interruzioni pubblicitarie in TV. Le leggi che regolano la valutazione nelle università e ricerca sono state precedute da campagne denigratorie su professori fannulloni e parentopoli universitarie.
    Negli ultimi anni nel mirino è entrata la scuola superiore, spinta dalla valutazione Invalsi verso una didattica che privilegi il “saper fare” rispetto al “saper pensare”.

  11. Un ottimo articolo di giornalismo investigativo su cui faccio un’osservazione e una ri-segnalazione.
    In Italia mi sembra evidente che gli esperti siano stati usati come un manganello per imporre decisioni governative ritenute, giustamente, impopolari, e per questo ammantate di scienza indiscutibile. Cioè: “Non siamo noi che vi chiudiamo in casa, sentite cosa dice il prof.X”.
    E’ da tempo che su questo Blog è stato fatto notare l’assurdo di un trattamento profilattico identico per Lombardia e Basilicata.
    I sacrifici imposti al Meridione sono il caso più evidente dell’etica del “fioretto apotropaico”: più soffriamo, prima il Maligno se ne va.
    Pierluigi Lopalco, correggendosi, dice:”Abbiamo avuto un’esposizione al virus enormemente superiore al Nord rispetto al Sud. E di questo dobbiamo tener conto”; qualcuno ha forse seguito il consiglio dell’esperto? No, perché contrastava con la visione governativa della gestione dell’epidemia.
    In Francia l’unico esperto che ha avuto un’esposizione mediatica di rilievo è stato il prof Didier Raoult, una specie di Di Bella francese che ha sostenuto che l’idrossiclorochina, nel trattamento del virus, è efficace nel 91% dei casi.
    Ma in Francia è assodato che è il governo che decide, sentiti gli esperti. Ed ecco come.
    Il paese è stato diviso, a livello di dipartimenti (le nostre province) in tre zone: verde, arancione e rossa. La zona rossa è quella delle regole profilattiche più severe. Ad esempio: «L’accesso del pubblico a parchi, giardini e altri spazi verdi gestiti nelle zone urbane è proibito nei territori classificati in “zona rossa”».La Provenza è in zona arancione. In Corsica esistono due dipartimenti, del nord e del sud; il dipartimento del nord è in zona rossa, quello del sud in zona verde. Situazione molto diversa da quella italiana, con la Sardegna equiparata al Veneto.
    Per le critiche all’operato del governo francese: https://invidio.us/watch?v=lnIC9OBv0-g&feature=youtu.be&autoplay=0&continue=0&dark_mode=true&listen=0&local=1&loop=0&nojs=0&player_style=youtube&quality=dash&thin_mode=false

    • L’Autore dell’articolo ha citato John Ioannidis. In un video segnalato da Mr.Skimpole in un’altra discussione, Ioannidis dice: “il tasso di mortalità per questo nuovo coronavirus è probabilmente comparabile a quello di un’influenza stagionale”. Questo il video:
      https://invidio.us/watch?v=cwPqmLoZA4s&feature=youtu.be&autoplay=0&continue=0&dark_mode=true&listen=0&local=1&loop=0&nojs=0&player_style=youtube&quality=dash&thin_mode=false
      L’affermazione è fatta al minuto 2.38.
      Ancora più interessanti sono le osservazioni fatte in relazione ai danni fisiologici, psicologici e socio-economici del confinamento coatto. “Penso che i danni possano essere enormi”. Queste affermazioni mi hanno fatto pensare al “dilemma del principio di precauzione”, ma questa è un’altra storia…

      • Però le ipotesi di Ioannidis sono superate dai fatti. Gli studi sierologici che si stanno man mano accumulando nel mondo stanno portando a stimare la mortalità da Covid-19 fra lo 0,4%, 0,5%, o più, che è molto meno di quanto paventato all’inizio, ma anche molto di più dell’influenza (che si aggira intorno allo 0,1%, e alcuni dicono sia anche questa una sovrastima). Per discutere criticamente le misure adottate, o anche solo per rivedere le modalità di comunicazione del rischio relativo all’epidemia, non è certo necessario ridimensionare l’IFR (infection fatality rate). Si tratta piuttosto di accettare – e comunicare al pubblico – che il processo di conoscenza scientifica passa attraverso l’accumulo di dati, la validazione di teorie e anche la loro confutazione.

        • Coi numeri è difficile districarsi. Bisogna distinguere tra morti “con” coronavirus e morti “per” coronavirus. A seconda di cosa si sceglie, i numeri cambiano. In Germania ci sono stati, ad oggi, 12 maggio, 172.000 casi e 7.700 morti; in Francia 178.000 casi e 26.000 morti (tutti i numeri sono arrotondati per difetto). La grande differenza di morti in relazione ai casi accertati è dovuta al diverso metodo di computo, tenendo conto che la sanità francese è di ottimo livello (tale almeno è considerata in Francia), e comunque non abissalmente inferiore rispetto a quella tedesca.
          Il ragionamento che ha condotto John P. A. Ioannidis a fare quell’affemazione di bassissima mortalità era appunto legato ad una diversa interpretazione dei dati disponibili nel momento in cui l’ha fatto. Chiaramente nuove evidenze conducono a rettifiche del pensiero.
          L’indirizzo del video, molto lungo e di cui ho visto i primi dieci minuti, non è però quello da me postato. L’attuale indirizzo mi manda a una pagina vuota, non so se a te o ad altri lettori accade lo stesso.
          Il video si trova su YouTube e si intitola:
          Perspectives on the Pandemic | Dr. John Ioannidis Update: 4.17.20 | Episode 4
          Diversi altri video di Ioannidis, e più recenti, si trovano sul medesimo sito.
          Anche l’indirizzo del video che ho postato nel primo intervento è cambiato. Si può trovare su You Tube con questo titolo: COVID-19 : LE BAL DES MENTEURS.

          • Sui numeri, su chi è bravo e chi no, sui tassi di mortalità, di letalità, insomma per un quadro più chiaro dell’epidemia possiamo pure fare tutte le ipotesi che vogliamo ma queste non cambieranno quella che – IMHO ci mancherebbe – è la realtà: sapremo tutto tra non meno di 18 mesi, quando probabilmente queste cose non interesseranno più molti di noi. Allo stato io credo sia impossibile capire troppe cose per azzardare scenari fuori da un bar con un amico. Secondo me bisognerebbe avere l’onestà di dirlo. Poi naturalmente qualcuno tra 18 mesi ci avrà azzeccato e capitalizzerà la sua fortuna ma, per fare un esempio a me caro, è assolutamente ridicolo, il 12 maggio, dire l’Italia(o la Norvegia, o la Finlandia o la Germania) ha avuto risultati migliori (o peggiori) della Svezia. Semplicemente non lo sappiamo, possiamo sempre scommettere, ci mancherebbe. Qualcuno vincerà

            • Sono d’accordo. Il problema è che alcune delle uscite dei cosiddetti esperti somigliano fin troppo da vicino alle conversazioni fuori da un bar con un amico, soprattutto se viste in prospettiva, e questo si sarebbe dovuto evitare: ne va della credibilità della comunità scientifica, e quindi dell’apporto che potrà dare alla società nel prossimo futuro. A proposito dei 18 mesi da ora, aggiungo che anche sul vaccino si è fatta comunicazione opaca, che lo si spaccia per l’unica salvezza, che lo si rende protagonista di un conto alla rovescia surreale: non si dice troppo ad alta voce che lo sviluppo di un vaccino (efficace, durevole) non è da darsi per scontato, che molti virus hanno eluso i tentativi di sviluppare vaccini efficaci, che successive mutazioni possono renderlo inefficace in seconda battuta, che potrebbe volerci molto più tempo del previsto, che non sappiamo ancora nemmeno quanto è stabile l’immunità acquista.

          • I numeri che riporti sono riferiti ai tamponi (e infatti la mortalità così calcolata supererebbe ampiamente il 14% in Francia e il 4% in Germania). Solo un’analisi retrospettiva, e soprattutto basata sugli studi sierologici, potrà darci una stima definitiva dell’IFR. Ripeto: le interviste di Ioannidis (che ho visto, integrali) sono datate. La questione del “con” e “per” coronavirus è difficilmente risolvibile, e anche un po’ stucchevole, a mio parere (la comorbidità nei decessi da/con/per covid pare si avvicini al 100%). Che la pandemia abbia comportato un eccesso di morti significativo non è in discussione, e temo che fosse anche inevitabile, una volta che l’epidemia è diventata pandemia. Tutto ciò però non toglie che l’interrogativo che Ioannidis sollevava (forse non nei termini più adeguati) resta ragionevole: abbiamo, dati alla mano, fatto un’equa valutazione costi-benefici del lockdown? In realtà, gli unici al mondo a proporre una risposta alternativa a quella dominante sono stati gli svedesi. Del resto, tornando ai modelli, ci hanno anche raccontato inizialmente che per raggiungere l’immunità di gregge ci sarebbe stato bisogno che si infettasse il 70% della popolazione, ora altri stanno già proponendo una soglia molto più bassa, intorno al 43% (https://www.medrxiv.org/content/10.1101/2020.05.06.20093336v1). Andarci maggiormente con i piedi di piombo con i proclami, sia in un senso che nell’altro, sarebbe stato più saggio, anche da parte degli epidemiologi più quotati.

  12. Tutto molto interessante, come sempre, tuttavia credo che se mettessimo da parte i numeri, i modelli, la matematica, solo per un momento, quel momento necessario a visualizzare il primo scenario, cioè si viene a scoprire un nuovo e sconosciuto, quindi temibile virus.
    Abbiamo i protocolli adeguati, ben scritti e comprensibili a tutti i ministeri e le categorie sociali per affrontare una simile situazione? O dobbiamo prima avere in chiaro i modelli matematici da applicare per poter definire i protocolli?
    Cioè, abbiamo i protocolli ad esempio per i lavoratori delle agenzie funebri? Sono loro i preposti a mettere i corpi nelle bare e sigillare le stesse? Credo ci dovrebbe essere personale altamente qualificato, assicurato, protetto, ecc. Ma a noi serve far vedere i camion militari con i morti, non certo far sapere che i lavoratori si rifiutano di lavorare a quelle condizioni. Abbiamo i protocolli pronti per le case di cura, per i reparti specifici, per gli ospedali privati e non? Abbiamo scritto e verificato l’eventuale successo di un protocollo? Ricordo stiamo parlando solo di un virus, mica di un incendio a bordo, o un’eventuale eruzione vulcanica. Abbiamo un protocollo per le scuole? Per le università, per gli asili? abbiamo dei protocolli per le varie attività produttive? Abbiamo pronte delle indicazioni ragionevoli e funzionali per proteggere e proteggerci adeguatamente senza isterismi da eventuali danni alla salute? A giudicare da i vari territori perennemente avvelenati dai mostri della produttività, da i vari siti mai sanati, o bonificati solo sulla carta, non credo che la salute interessi molto. Però interessano molto i modelli, vanno di moda, roba forte, prima dobbiamo verificare e prenotare quello più giusto, più adeguato alla situazione, più preciso, poi, forse, penseremo a alle azioni, nel frattempo dovete capire, se volete con le buone, altrimenti con le cattive. Grazie scienziati, sono sicuro che nessuno tra costoro si vergogni. Figuriamoci i politici.

    • Su questo però faccio fatica a trovare colpe specifiche, se non quelle generiche di quando in posizioni di responsabilità non hanno mai sollevato il problema. Cioè di quando, dico così per semplicità, non stavano facendo il loro mestiere. Tutti gli interventi di cui parli sono, credo, lo “specifico” della politica, ma secondo me forse il discorso va allargato in senso più ampio. Perché mai hanno potuto disinteressarsi di questo temi? Noi non c’entriamo nulla? Le nostre modalità di partecipazione politica – dalla militanza alla delega – non hanno in qualche modo influito?

  13. Perdonatemi ma torno sul terra-terra, dai modelli e dalla loro interpretazione, dalle questioni epistemologiche torno un attimo al “dato bruto” (ammesso poi che esista).
    Ogni giorno riceviamo numeri e da un paio di settimane mi chiedo: ma perché la Regione Lombardia, almeno per la terza volta oggi, produce numeri sempre più a caso? Oggi sono spuntati “419 positivi” che risalgono ai “giorni scorsi” (quali? Di quando stiamo parlando? Boh). Giorni fa già era successo, e un’altra volta c’era stato un “altissimo numero di morti” che risultava anche da duecento comunicati in ritardo dalla Lombardia. Chiedo, e scusate se sono così terra terra: ma com’è possibile che facciano questo balletto? Non falserà le stime, non modificherà nulla, ma solo a me dà l’ennesima impressione di cialtroneria e di gioco a dare, davvero, i numeri?

    • Purtroppo i numeri che danno non servono a niente alle persone comuni e non si dovrebbero dare. Gli scienziati, statistici ed epidemiologi non usano i dati giornalieri della protezione civile. E anche se spiegato in un modo non chiaramente comprensibile ai non addetti ai lavori, l’ho sentito in qualche conferenza stampa dell’ISS al venerdì. I modelli si fanno sui dati della comparsa dei sintomi nei malati, solo su quelli. Il ritardo medio tra sintomi e tampone e` sette giorni, che puo` arrivare finoa venti. Poi si usano tecniche e modelli per estrapolare e i ritardi di comunicazione sono modellati con altrettante tecniche statistiche usate in tante discipline diverse. Non pensate che chi fa scienza sia un cazzone, che invece non sia bravo o abituato/educato a comunicare fuori dal proprio ambiente è vero. Il problema è anche che politici, decision maker e opinione pubblica in Italia non hanno un background scientifico per capire e attuare misure per mitigare il rischio. Questo ultimo aspetto non e` compito degli scienziati almeno per come sono formati in Italia.

      • Non sono tanto sicuro che gli statistici (a chi ti riferisci?) non usino i dati della protezione civile. Su questi dati, secondo me c’è un equivoco che forse ho accennato altrove: i dati non sono inaffidabili perché non lo sono mai (tranne quando non sono falsi), dipende da cosa stai chiedendo a quei dati. Se chiedi per esempio il numero di morti in Italia in un periodo X quei dati non sono in grado di rispondere; se chiedi quanti morti ha segnato la protezione civile quel giorno il dato è reale. Cosa te ne fai è un altro discorso. Ma per quanto ne so non esistono dati “puri”, tant’è che un mio vecchio insegnante ci diceva che andrebbero chiamati non “dati” ma “presi”, perché non troverai mai il dato che risponde perfettamente alla domanda che ti stai facendo, ma devi costruirtelo “prendendo” il numero che maggiormente ti interessa. Per esempio: cosa ci dice il fatto che pur aumentando il numero di tamponi non riesci più a trovare la stessa percentuale di infetti di prima?

        • Partendo dal presupposto che mi trovi d’accordo con quello che dici, volevo solo rispondere al post precedente su come ballano i numeri dati. Esempio c’è in tutte le serie temporali del mondo una bella periodicità a 7 giorni che rappresenta bene la capacità dei laboratori di processare tamponibe fare il reporting. Volevo solo dire che per i modelli si usano i dati sulla comparsa dei sintomi che come la mamma è sempre certa. Sull’atteggiamento da prima donna degli scienziati e l’università concordo. Mi viene da pensare alle similitudini con il post terremoto de L’Aquila argomento più attinente a quello che faccio io. Sul chiedere ai dati, boh io tutti i giorni mi assicuro che ibdatibsiano affidabili, cosa rapprrsentano e li studio per capire cosa li ha prodotti o almeno il processo più plausibile che potrebbe averli generati. A questo link i reports del Robert Koch Institut dove forse si capisce meglio il senso di quello che volevo dire
          https://www.rki.de/DE/Content/InfAZ/N/Neuartiges_Coronavirus/Situationsberichte/Archiv.html

  14. Scusate, non ho ancora letto tutti i commenti. Tuttavia volevo osservare che l’intepretazione che avete dato di “One of the key assumptions of the model is that each intervention has the same effect on the reproduction number across countries and over time” mi sembra errata.

    Voi interpretate: “Isolamento dei positivi, chiusura di scuole o università, divieto di raduni di massa, blocchi locali e nazionali, chiusura di fabbriche o di locali… Tutto ha lo stesso effetto.”

    Secondo me, invece, la frase significa che si assume che ciascuna misura abbia lo stesso effetto su R non *rispetto a ogni altra misura* bensì soltanto *rispetto alla stessa misura applicata in un altro paese o in un altro momento*. È totalmente diverso dall’affermare di assumere che l’effetto della misura A sia uguale a quello della misura B, della C, etc.

    Spero vi (o mi) correggerete.

    • Attendiamo che risponda l’autore. Nel frattempo, posso dire che anche per quest’assunto mi sembra valga quanto scritto nell’articolo:

      «Dando per buono che dal punto di vista della costruzione del modello tale assunto sia accettabile, si può comprendere come invece dal punto di vista dell’analisi delle misure non abbia senso […]»

      Assumere che la stessa misura abbia lo stesso effetto su R a prescindere dalla tempistica e dal contesto in cui viene presa è, appunto, utile per costruire il modello, ma è mistificante se lo scopo è analizzare l’impatto delle misure reali nella loro concretezza.

      Quel che è accaduto è che i media hanno preso (e presentato) il report dell’Imperial College – veramente un nome di merda, en passant, un odioso residuo di colonialismo che andrebbe raschiato via – come una sorta di tabula combinatoria che analizzava in anticipo i vari provvedimenti. E i politici sono andati a traino.

    • Ciao Edogawa, in effetti hai ragione tu, questo è stato l’ultimo dei rapporti che ho visto e nonostante ci sia pure il grafico che mostra la diversa stima dei diversi provvedimenti devo aver lasciato la parte in bozza senza correggere. Ovviamente non è una giustificazione e mi scuso per l’errore.

      In cambio – anche se potete vederlo nel rapporto linkato – evidenzio la “classifica”:
      1. Lockdown (contribuirebbe a ridurre R0 di circa l’80%)
      2. Chiusura della scuole (circa il 50)
      3. Chiusura eventi pubblici e distanziamento sociale (circa 30%)
      4. Autoisolamento (circa il 22)

      Il discorso secondo me non cambia molto, ma è giusto correggere.
      Ne approfitto per segnalare l’intervallo di credibilità (è una specie di’intervallo di confidenza’) sulla stima del 9,8% dei contagiati in Italia: 3,2-26.

  15. Provo a toccare dei punti, ma prima consiglio di leggere il link segnalato alla fine del post, che nasce su Giap grazie ai commenti ed è frutto del grande lavoro di pm2001, io mi sono limitato a dargli un po’ di fastidio.
    Sul mio pezzo invece provo a chiarire/aggiungere qualcosa. Intanto un chiarimento: non penso certo che TUTTI gli scienziati “semiduri” (“duri” è un’altra cosa) siano disinteressati al tema del rapporto col mondo non scientifico. Ho visto per esempio che il CNR ha una specie di progetto per la comunicazione scientifica di cui fanno parte, anche se numericamente minoritari, anche dei medici. Devo dire che ad un’occhiata sommaria si resta un po’ delusi (nonostante il promettente titolo di una pubblicazione “scienziati in affanno”) ma a parte questo le intenzioni sembrano oneste, speriamo bene. Qui mi riferivo a degli scienziati che occupano ruoli pubblici di un certo rilievo e coinvolti in un processo decisionale di enorme rilevanza, secondo me rappresentativi di un certo mondo scientifico.
    Meno che meno intendevo sollevare una questione sugli studi “umanistici” o sulla dicotomia umanisti/scienziati, lo so persino io che molti hanno studi classici alle spalle. Peccato non sia questo il punto. E ovviamente non penso certo che siano cazzoni, ma su alcune cose magari proverò ad esprimere più puntualmente la mia opinione.
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      Sui modelli io non intendo dire tanto di più di quello che ho detto nel pezzo. Non metto neanche lontanamente in discussione la correttezza formale (sulle quali ho una cattiva competenza di base che necessiterebbe di essere rinfrescata, se solo avessi tre vite davanti) né dell’Imperial College, né del Nuffield e neppure della task force italiana. Ma sugli assunti, sul “dato” che viene inserito, perdonate la presunzione, qualcosa so pure io.
      Avendo una formazione sociologica e una certa frequentazione delle università, non posso certo restare indifferente alle osservazioni sul passaggio allo specialismo unito all’ansia della citazione e della valutazione. Tutte questioni che secondo me hanno condotto l’università al ridicolo punto in cui è, poco sopra al giornalismo d’accatto. E come nel caso del giornalismo ricordare le eccezioni non significa niente, roba buona solo per una difesa corporativa. Del resto pensare ad una ricerca, ad una università, “buona” all’interno di una società che mostra il peggio di sé in continuazione è roba buona per gente che la notte ha voglia di dormire in santa pace e che sa come va il mondo, mica ingenua come noi.

  16. Da quel che mi dicono persone serie che stanno lavorando sui modelli, non esiste nessun modello vero e proprio per il covid. Questo è abbastanza ovvio, perché trattandosi di un virus nuovo per costruire un modello vero bisogna aspettare che l’epidemia sia finita e lavorare a posteriori su dati fermi. Il modello a quel punto potrà essere utile per affrontare meglio eventuali successive ondate. Quello che i matematici sono riusciti a fare ora è stato molto banalmente riconoscere l’andamento esponenziale del contagio nella fase iniziale, quando i numeri erano ancora piccoli. Una sequenza 2, 4, 8, 16, 32, 64 nell’arco di 12 giorni alla maggiorparte della gente, compresi i politici, non dice un cazzo. In un paese di 60 milioni di abitanti sono numeri trascurabili. Ma per un matematico scatta il campanello d’allarme: sa con ragionevole sicurezza che i termini successivi della progressione nei docici giorni seguenti saranno 128, 256, 512, 1024, 2048, 4096 e che a quel punto sarà panico. E questo è quanto. Da lì in poi è stato solo un andar per tentativi, per ridurre concretamente le occasioni di contagio, con provvedimenti a volte sensati, a volte del tutto deliranti, dettati spesso dal panico bianco del momento (ad esempio Fedriga che improvvisamente proibisce tou court di uscire di casa perché in quel giorno particolare erano arrivati un po’ di tamponi positivi arretrati, e poi da lì non si smuove per un mese intero, salvo poi sbracare del tutto nel giro di una settimana). L’importante sarebbe avere l’umiltà di ammetterlo e non presentarsi come aruspici.

  17. 1) Interdisciplinarietà

    Per capire bene come funziona la scienza bisogna scendere nelle sue pratiche. Il fallimento dell’interdisciplinarietà è dovuto a due cause, una inevitabile una no.
    Quella inevitabile è la complessità. Quanti sono riusciti ad arrivare in fondo all’articolo su arxiv saggiamente postato da Tuco, capendo tutti i passaggi? E chi c’è riuscito, riuscirebbe a leggere fino in fondo capendo tutti i passaggi anche un articolo di biologia molecolare? E chi c’è riuscito, riuscirebbe a leggere fino in fondo capendo tutti i passaggi anche un articolo di fisica dei materiali? O genetica? O cosmologica? O matematica pura? Non credo proprio. Non importa quanto ci si ingobbisce (Salerno è un po’ indietro come immaginario) è proprio impossibile avere il tempo e la mente necessari a stare dietro a più di un paio di discipline.
    Quella evitabile si chiamano categorie concorsuali. Per avere un salario dall’accademia in età adulta, grazie all’abolizione della posizione di ricercatore a tempo indeterminato, è necessario diventare professore, per diventare professore è necessaria l’abilitazione, per l’abilitazione è necessario avere un curriculum CONGRUENTE AL SETTORE. Se hai dedicato il decennio precedente a tre discipline, due terzi dei tuoi lavori sono non congruenti, varranno zero e non otterrai l’abilitazione a lungo andare dovrai andare a fare un altro mestiere. Il premio alla specializzazione era implicitamente vero in larga misura anche prima dell’abilitazione: visto chi veniva premiato chi era sempre stato nello stesso gruppo e sapeva aspettare più degli altri, di fatto si creavano iperspecialisti. Adesso c’è un procedimento ufficiale di selezione che assicura un premio a chi non si è mai mosso dal suo tema prediletto.

    • 2) Rudimenti di cultura scientifica

      Non credo sia possibile avere una comprensione del pericolo associato a un’epidemia se non si sa almeno cos’è una funzione esponenziale e perché è speciale. L’analfabetismo scientifico era già un problema mostruoso quando si cerca di parlare di riscaldamento globale – con l’epidemia i nodi sono venuti proprio al pettine.
      Se si vuole scendere nei dettagli della faccenda ovviamente sono necessari strumenti maggiori, nei commenti precedenti vedo un po’ di confusione tra modello inteso come fit dei dati (dai punti “ci passa” una funzione esponenziale o quadratica) – che è facile e poco utile – e modello inteso alla Vespignani (simulazione che predice i dati a partire da assunzioni sulle modalità di propagazione) – che è difficile ma se funziona molto utile.
      Le conclusioni di Salerno sono che gli scienziati sono vanesi (ancorchè ingobbiti, o forse proprio per quello) e non aprono un libro non specialistico dalle superiori. Statisticamente è abbastanza vero, con tutti i limiti delle approssimazioni generaliste.
      Ma, a parte le battute, il vero problema politico giustamente sollevato è quello della comunicazione – gli scienziati accusano il pubblico di ignoranza scientifica, e in parte hano ragione. ma la colpa è loro, perché non fanno abbastanza per trasmettere le conoscenze scientifiche che sono sempre più necessarie per prendere decisioni politiche (vedi il punto 3). Aggiungerei all’articolo solo che sarebbe decisamente più utile fare un lavoro continuo di divulgazione della metodologia della scienza e delle basi della matematica, altrimenti qualsiasi sforzo sulla comunicazione di un risultato specifico sarà vano.

      PS
      nel precedente commento ci almeno sono due typo: “cosmologia” – “visto che chi veniva premiato”

  18. Secondo me è quasi impossibile sconfiggere illuministicamente (tramite un uso critico, individuale e sistemico, della ragione) l’antica necessità sociale di riconoscere una casta di sciamani/sacerdoti in grado di parlare (credibilmente) del futuro.
    Noi abbiamo gli scienziati, con le loro varie specializzazioni disciplinari. Probabilmente non sono nemmeno la casta di divinatori peggiore che la storia abbia mai visto, e non credo che il loro prestigio uscirà sminuito dalle incertezze e dalle incongruenze che ha mostrato nella gestione di questa epidemia (anche e semplicemente perchè nessun altro è in grado di ricoprire la loro stessa, fondamentale, funzione sociale).

  19. 3) Scienza e potere

    Parlando della scienza Foucault dice che non si tratta di affrancarla da ogni sistema di potere, dato che è essa stessa un potere, ma di staccare il potere delle verità dalle forme di egemonia all’interno delle quali per il momento funziona.
    La scuola di economisti macellai di Milton Friedman aveva tra i proprio cavalli di battaglia la pretesa di essere l’unica scienza economica oggettiva. Era grazie al supporto della presunta scienza neoliberista che la Thatcher poteva dire “There is no alternative”. Questo supporto ha fatto danni immensi agli esseri umani, al pianeta, ma anche alla stessa scienza che – senza alcun fondamento – si è vista affidata un ruolo di guida scientifica che assolutamente non le compete. Il mito governo dei tecnici, l’importante è fare le cose al di là di destra e sinistra, tutte queste cagate si basano sulla difesa degli interessi dei pochi con un paravento scientifico invece di quello religioso che ha funzionato per i millenni precedenti. Solo che nel momento in cui ci si deve basare su una scienza vera, non sull’ideologia del liberismo travestita da scienza, si scopre che la scienza vera non è adatta al compito.
    La scienza offre strumenti, non soluzioni. Se anche sapessimo esattamente come è fatto il virus e come si propaga e gli effetti su ogni persona, la scelta di come agire di conseguenza sarebbe politica, politica e solo politica.
    Spero che un lascito dell’epidemia sia il ritorno della scelta politica dichiarata. Ne dubito.

  20. 1)
    Il problema scientifico è complesso, non esiste una risposta tecnologica indipendente da parametri sociali e politici. Infatti il metodo stupidamente “tecnologico” per fermare con certezza una epidemia è l’isolamento totale per un tempo prolungato (che porterebbe comunque all’estinzione della popolazione…) e qualunque vera soluzione richiede il bilanciamento di esigenze sociali e politiche in un contesto probabilistico. In questa azione di bilanciamento vengono comparati elementi che normalmente si misurano con metriche diverse, e bisognerebbe quindi definire scale di priorità in base a considerazioni morali e non scientifiche. In termini utilitaristici: qualunque soluzione tecnica che permetta forme di interazioni personali comporta un rischio di contagio, che, per quanto piccolo sia, su una popolazione di milioni di persone si traduce in un numero atteso di morti per Covid, e quindi in una determinata quantità di sofferenza nelle vittime e nel loro ambito. Dall’altra parte l’isolamento produce un livello di sofferenza diffuso, in genere più limitato, ma che se applicato a milioni di persone può probabilisticamente indurre dei picchi di disagio comparabili.
    Non ho le competenze per proporre una analisi dell’intreccio tra etica ed utilitarismo, però sono convinto che la nostra società sia stata incapace di assumersi la responsabilità morale di discutere delle priorità. Anzi, si potrebbe dire che è addirittura incapace di osservare il problema nel suo complesso, limitandosi al conteggio dei morti in una prospettiva giornaliera e chiedendo misure di chiusura/apertura con una superficialità disarmante.
    In particolare, chiunque abbia cercato di analizzare la situazione in termini razionali è stato accusato di cinismo e seppellito di insulti, creando un contesto dove è stato impossibile un confronto dialettico tra i portatori delle diverse sensibilità (politiche, sociali, religiose, scientifiche, filosofiche), dialogo che avrebbe certamente contribuito ad aumentare la consapevolezza complessiva.

  21. 2)
    E ora veniamo agli scienziati, per cui nutro una sconfinata stima, ci mancherebbe. Quasi tutti hanno proseguito il proprio lavoro in silenzio, presentando risultati e considerazioni nei canali di diffusione convenzionali della loro disciplina. Alcuni, investiti di una autorità formale o sostanziale, hanno scritto lettere pubbliche portando il contributo della comunità di riferimento. Altri invece, come ben descritto nel post di Roberto Salerno, si sono lasciati travolgere dalla pressione mediatica e hanno fatto valutazioni su argomenti al di fuori della loro sfera di competenza, violando le elementari regole metodologiche. Inutile parlare dei pochi soggetti che hanno spettacolarizzato il loro lavoro e sono diventati parte dell’industria dell’intrattenimento.
    L’effetto più visibile di tutti questi comportamenti è una serie di contraddizioni, previsioni fallite e affermazioni ingiustificate che configurano nel complesso un fallimento comunicativo. D’altra parte in qualunque comunità scientifica sarà sempre possibile trovare qualche personaggio che per debolezza o convenienza si presta alle esigenze di una linea editoriale, quindi sarebbe veramente utile una riflessione sull’opportunità di utilizzo di determinati canali comunicativi. Ad esempio: se una intervista in voce può subire facilmente una manipolazione, tramite domande tendenziose o estrapolando frasi dal contesto complessivo, un testo scritto pubblicato su un sito istituzionale permette di meditare le risposte e mette chiunque in grado di verificare le dichiarazioni rilasciate nella loro interezza. Il testo originale risulterà noioso, ma i giornalisti potranno evidenziare gli aspetti che preferiscono, prendendosi completamente la responsabilità delle loro interpretazioni.

  22. Concordo con neuro. Ci si avvita in discussioni sul “valore” della scienza e sulla capacità degli scienziati, ma il vero nodo è l’uso politico che si fa della conoscenza.
    Se nessuno discute sull’esattezza del due più due fa quattro, quando la scienza è alle prese con un fattore nuovo, procede necessariamente per ipotesi, da confermare o scartare via via. Ovvio che, in questa fase iniziale, ci siano opinioni diverse fra gli scienziati, perché ci sono ipotesi di lavoro diverse. Ma mentre gli studiosi si scannano (cosa che hanno sempre fatto e, se vogliamo, al di là della vanagloria dei singoli, è un fattore positivo per il progresso scientifico) il politico deve avere la capacità di selezionare il più plausibile e serio dal meno credibile, e sulla scorta di questa selezione prendere le decisioni, definire le scale di priorità, come dice pm2001 (la sintesi, a proposito di interdisciplinarietà), cosa che in questi mesi è avvenuta raramente.
    E come fa il politico a valutare correttamente la credibilità dello scienziato? Lo spiega bene ancora pm2001, il cui pensiero, in termini rozzi, si potrebbe tradurre: meno fa rumore, più lo scienziato è serio.

  23. Sono d’accordo con neuro e con Marcello07.
    La scienza offre strumenti, non soluzioni. Sta alla politica prendere decisioni sulla base di scenari il più esatti e onesti possibili offerti dalla scienza.
    Questo però non esime la politica, nel momento in cui decide e sceglie, dal dover prendere la decisione più razionale (nell’ambito degli indirizzi politici dati) e più efficiente, avendo l’umiltà di accettare che non è che per scelta politica 2+2 può fare 6.

    Il punto, a rischio di sembrare qualunquista, e al netto di tutte le beghe “fra” scienziati, è che oggi buona parte della classe politica, nazionale e regionale (e non parliamo poi dei Sindaci), ha grosse lacune ANCHE nel sapere come funziona la macchina amministrativa, figuriamoci nel valutare la credibilità di uno scienziato e poi nel prendere decisioni difficili orientando politicamente le proprie scelte.

    E non è questione di semplice “ignoranza”, che di per sé non dovrebbe impedire di fare politica, ma dell’uso che si fa dell’ignoranza come una bandiera e una clava.

  24. Un’altra “deriva” che dovremmo evitare, secondo me, è quella di scivolare nel “i politici sono scemi”. Non foss’altro perché non è poi così difficile trovare del metodo in queste scemenze. Discutendo di “scienziati” mi sono trovato a sottolineare una cosa che forse qui non ho messo bene in risalto e cioè – sempre secondo me, ci mancherebbe – che dovrebbero essere loro i primi interessati a padroneggiare qualche strumento delle scienze meno dure, perchè a me pare che la cosa che davvero succede è che ci vogliano cinque minuti cinque per blandirli e fare finta di ascoltarli. Io sono molto convinto che questa epidemia NON sia stata gestita da esperti come virologi, immunologi, statistici, matematici & co. ma che sia invece un trionfo della politica, che ha usato tutte gli strumenti a sua disposizione facendo piazza pulita di qualsiasi altro “specifico”, dai costituzionalisti ai biologi, tutti piegati agli interessi di gruppi di interessi abbastanza agevoli da individuare. Questa “scaltrezza” della politica andrebbe svelata ed evidenziata per bene.

    • Francamente non saprei. Ormai ho sviluppato un riflesso in stile istantaneo che ottiene l’effetto immediato del “appena intercetto un cosiddetto politico su schermo -quando capito per caso da mia mamma (è da escludere che mi scontri con la televisione se non per concomitanze casuali) che ha la tele accesa- spengo istantaneamente il video”. Ormai è davvero automatico. Neanche devo pensarci più. E vivo meglio perché così, evitando il rumore di fondo delle boiate, riesco a parlare. Poi riesco comunque a capire come la socialità sia purtroppo condizionata dalla pseudo politica. Però in anni di allenamento ho imparato a cercare di evitare di farmi condizionare troppo da gente che mi è sostanzialmente indifferente. Penso sia importante

  25. «Non foss’altro perché non è poi così difficile trovare del metodo in queste scemenze. Discutendo di “scienziati” mi sono trovato a sottolineare una cosa che forse qui non ho messo bene in risalto e cioè – sempre secondo me, ci mancherebbe – che dovrebbero essere loro i primi interessati a padroneggiare qualche strumento delle scienze meno dure, perchè a me pare che la cosa che davvero succede è che ci vogliano cinque minuti cinque per blandirli e fare finta di ascoltarli. Io sono molto convinto che questa epidemia NON sia stata gestita da esperti come virologi, immunologi, statistici, matematici & co. ma che sia invece un trionfo della politica».

    Ok, sono d’accordo su questo. Ed è vero che nella fattispecie la politica ha scaltramente ottenuto il risultato di fare la qualunque dando la colpa di tutto quello che non andava “agli esperti”, un po’ come nel classico “ce lo chiede l’Europa”, etc.

    Il fatto però che la politica sappia essere scaltra e che gli interessi che ci stanno dietro sappiano usare questa scaltrezza non esime dalla considerazione qualunquista fin che vuoi che “molti politici siano incapaci”.
    Incapaci quantomeno di amministrare la cosa pubblica con una certa coerenza e competenza.
    (segue)

    • Cerco di spiegarmi con un esempio: una legge su un argomento con grossi aspetti tecnici la puoi scrivere “da destra” o “da sinistra” (non so, tipo il codice dei contratti?), ma se poi quella legge al di là del punto di vista ideologico e della parte di posizioni politiche che prende è scritta male, in modo contraddittorio, fumoso, illogico, al di fuori di un quadro coerente di leggi e regolamente, magari farà “scaltramente” gli interessi di qualcuno, di una categoria o di un gruppo economico che è riuscita a inserire un emendamento o una deroga, ma resta una legge scritta male che già solo per questo non otterrà per “tutti gli altri” i risultati attesi e che sarà di difficile o di arbitraria applicazione.

      Ecco, questo tipo di scaltrezza ho la sensazione che sia tipicamente “nostra” e che sia peggiorata negli ultimi 30 anni.
      Mi chiedo come si possa fare per invertire la tendenza, al di là della buona volontà dei singoli coinvolti a vari livelli.

  26. Dall’impossiblità di normare nel dettaglio in maniera sensata i comportamenti delle persone senza effetti surreali (boschi, runner ecc) deducete che non andava fatta nessuna normativa o semplicemente reputate migliori o almeno uguali per il loro effetto dal punto di vista sanitario le strategie delle nazioni che hanno avuto un lockdown meno duro? In questo senso come valutate l’effetto sanitario del lockdown in Cina, tralasciando l’aspetto “dittatoriale”? Grazie comunque per il ricapitolo della babele informativa, anche se naturalmente lo spettatore o il lettore ormai legge, vede, incrocia le fonti, a volte aumentando la confusione a volte facendosi una propria idea.

    • Mariano, io in due mesi ormai ho pure il piano per il governo del mondo, figurarsi una pandemia. Molte proposte ragionevoli sono state avanzate, la strategia delle tre T non è che sia nata ora. Dall’inizio c’è gente che dice che non si devono trattare allo stesso modo territori diversi. Alcuni hanno sottolineato che andavano requisiti fabbricati (alberghi, caserme, capannoni) da trasformare in strututre in grado di ospitare contagiati che non serviva ospedalizzare. Naturalmente la rapida assunzione di personale (medico e infermieristico). La dotazione dei DPI per le “prime linee”. Chissà quale mente malata ha partorito la spedizione dei contagiati in RSA. L’aumento dei mezzi di trasporto con il limite immediato per evitare le calche. Insomma “bastava” un piano sanitario, non è che ci si dovesse inventare chissà cosa.

      Approfitto per ribadire una cosa: io non sono in grado di valutare l’effetto sanitario di un bel niente, ma non è una professione di modestia. Il fatto è che se qualcuno lo fa in questo momento è un ciarlatano. Anche lo spostamento dalla media del numero dei decessi è un numero di cui è impensabile conoscere adesso la reale significatività, pensa tu una cosa così complessa e tutta da definire come “effetto sanitario”. Cosa si intende? Contagiati? Morti? Letalità? Mortalità? Su classi sociali? Su classi d’età? Ecc. ecc.

      Tanto per gradire pare che circoli un pezzo del lancet, spero di recuperarlo ma immagino che presto finirà sui giornali, che dice che tra il 18 febbraio e il 20 aprile a Bergamo il caso di bambini affetto dalla malattia di Kawasaki è aumentato di 30 volte. Spaventoso vero? Peccato che in valure assoluto siano solo passati da 19 in 5 anni a 10 in quel periodo. Di questi 10 2 non sono stati risultati positivi al test? Beh, falsi negativi, che problema c’è? (però è una voce, sono prevenuto magari è una cosa più seria).

    • Mariano, l’articolo citato nel post ( http://www.palermo-grad.com/italia-vs-resto-del-mondo.html ), di cui sono coautore, confronta le disposizioni applicate in diversi paesi e dimostra dall’analisi a posteriori dei dati che l'”isolamento in casa” non era condizione necessaria per controllare l’epidemia. Io penso che in quasi tutta Italia sarebbe stata sufficiente una normativa simile a quella Svizzera o Austriaca, limitando gli affollamenti e la mobilità a medio-lungo raggio. Nelle zone densamente popolate, se oggettivamente impossibile evitare gli affollamenti, modelli più restrittivi come quello applicato a Parigi si sono rivelati comuque efficaci: “ci è concessa un’ora d’aria per passeggiare, per portare a spasso il cane o per fare la spesa.” (citato da https://www.frammentirivista.it/parigi-in-lockdown-confinamento-e-distanza-sociale-nella-citta-dei-flaneur/ ). Aggiungo che in Italia, nonostante l’evidente inutilità di limitare attività svolte da persone sole, la normativa è stata rispettata dal 97% dei cittadini, quindi la narrazione dell’italiano indisciplinato si è rivelata inconsistente.

      Per quello che riguarda la Cina: il metodo “tecnologico” per fermare con certezza una epidemia è l’isolamento totale per un tempo prolungato (che porterebbe comunque all’estinzione della popolazione…) e qualunque vera soluzione richiede il bilanciamento di esigenze sociali e politiche in un contesto probabilistico. Le misure messe in atto in Cina sono andate ben oltre i semplici divieti: corridoi sanitari, isolamento dei positivi, residenze separate per medici e infermieri. Di questo si è parlato diffusamente in altri post su Giap, posso ritrovare i riferimenti se vuoi.

  27. Di solito vi apprezzo, anche molto, ma in questo momento sinceramente trovo l’analisi assai carenti.
    Prendiamo l’esempio del bosco:
    “In molte zone i diritti costituzionali sono stati limitati per evitare eventi solo poco meno improbabili di quelli elencati, a volte altrettanto improbabili. Ad esempio, è stato detto da alcuni governatori e sindaci che non si doveva andare nei boschi a correre perché si poteva cadere, sbattere la testa e avere bisogno di cure, col che si sarebbero intasati gli ospedali.”
    In realtà anche WuMing, nonostante la sua cultura, cade nell’errore di confondere comportamento singolo con le necessità collettive.
    Il punto NON è che un singolo non può andare a correre nel bosco, il punto è che se TUTTI ci adoperiamo in comportamenti simili a quelli “normali” (correre nei boschi, fare parapendio, giocare alla roulotte russa per dirla in battuta) avremo avuto l’effetto di riempire ulteriormente e in maniera significativa i Pronti Soccorsi (che prima del CoV erano strapieni, questo non dimentichiamocelo), anche in molte zone in cui erano già stra-occupati dai pazienti CoV o presunti tali (e non è che comunque possiamo cancellare l’infarto, l’ictus o l’incidente domestico fortuito).
    Con il duplice effetto A di saturare ancora di più il PS (e annessi, penso alle ambulanze) B di mettere a contatto quello che nel bosco ha preso una storta (ma che non ha altre soluzioni che andare al PS) con il paziente CoV, con rischi annessi. Il punto quindi è limitare i comportamenti che inevitabilmente possono andare ad insistere sul Sistema Sanitario, quando i comportamenti sono evitabili. Nel piccolo comune dei miei un signore, che abita in collina, si è fatto male in una passeggiata nel bosco (oltre i suoi 200m ma tanto non controllava nessuno) e ha occupato un’ambulanza per ore, anche solo per cercarlo e soccorrerlo.

  28. Termino dal commento precedente:

    IMHO la spiegazione di molta della morale dell’articolo, mi duole dirlo, è tutta qui:
    * Roberto Salerno è dottore di ricerca in Scienze Politiche e relazioni internazionali. Si è occupato di analisi dei processi decisionali e collabora con Giap, Jacobin Italia, Palermograd e con la rivista di storia delle idee inTrasformazione.
    Di fatto sta dicendo che come i medici si sono fatti abbagliare dalle luci della ribalta e non erano pronti (e molti sono caduti vittima del narcisismo, come un De Donno qualsiasi aggiungo io), anche lui rivendica il suo strapuntino di fama dicendo che in fondo, a decidere devono essere gli scienziati sociali (come lui, non lo dice ma è fin troppo chiaro)

    • Noi il commento te lo abbiamo approvato, ma speriamo che a risponderti sia qualcun altro/a, perché, dopo quasi tre mesi di pazienti ricapitolazioni, siamo stufi marci di spiegare in cosa consista la fallacia logica “se tutti facessero così”, nota come fallacia “del piano inclinato”. Fallacia, in questo frangente, resa ancora più grave dalla premessa che tutti i territori siano uguali. Non è obbligatorio aver letto Giap in questi mesi, ciò non toglie che noi siamo stanchi di ripetere certe cose.

      Una noterella: quando si commenta un articolo, il minimo sindacale di igiene del discorso è avere almeno letto chi ne è autore, e attribuirlo correttamente, se non altro per rispetto.

    • Ci duole dirlo, ma quest’attacco ad hominem è particolarmente stupido. Qui non accettiamo discese a tali livelli. Era meglio quando non avevi ancora capito chi era l’autore e attribuivi il pezzo a “Wu Ming”.
      Qui non siamo su Facebook, c’è un metodo del discutere che ci sforziamo di mantenere. Al prossimo episodio del genere, ti mettiamo alla porta, e anche in malo modo.

      • Come ho già detto, mi scuso della cosa soprattutto se è ho capito male. E’ che non ho trovato particolarmente elegante la teoria per cui a decidere deve essere un esperto di scienze sociali e, ohibò, che caso sono io.
        L’ho letta molto, e ripeto mi scuso, come una certa voglia di rivincita degli scienziati politici rispetto agli scienziati classici nel vedersi attribuire un ruolo più “serio”. E non dico mica non abbiano ragione, solo che il ruolo lo si deve ottenere non tanto per la auto-rivendicazione di serietà ma piuttosto per il prestigio che assume per la giustezza di quanto detto.

        Poi ripeto, se ho sbagliato ad interpretare chi è l’autore, mi scuso nuovamente

        • “A decidere deve essere un esperto di scienze sociali” è un’idiozia che hai introdotto nella discussione tu. Questo nodo di intervenire è di una scorrettezza plateale. Già due volte hai chiesto scusa per un commento precedente, fatti qualche domamda sul tuo modo di leggere un testo e di commentarlo.

  29. Mi scuso se ho letto male l’autore, nel caso potete tranquillamente eliminare il commento perchè inopportuno, sono il primo a riconoscerlo.

    Magari mi sono perso qualche post, può succedere credo, ma non è il primo in cui leggo che effettivamente controbattete alla logica del “se tutti facessero così”. Non ero d’accordo sul ragionamento quelle volte (ma non mi sono mai preso la briga di rispondere) non lo sono ora, almeno non completamente. Come ha risposto prima di me l’utente mariano, inoltre dedurre che una norma forse esagerata (sono il primo a dirlo in realtà) metta in dubbio l’intero impianto usato in Italia (e non solo) mi pare una forzatura logica.
    IMHO il ragionamento fa esattamente lo stesso errore (ma detto 100 volta meglio, sia chiaro, detto con argomentazioni migliori sia chiaro) di quelli che riducono il confronto Italia-Germania (che è andato tanto di moda) con il fatto che lì vanno al Parco e da noi era proibito. Tra l’altro la cosa che fa ridere è che fino a 15 gg fa sembrava impossibile vivere senza andare al parco ma ora che si può il parco su cui si affaccia la mia abitazione è vuoto esattamente come prima del CoV. Dove sono finiti tutti quelli che gridavano allo scandalo che non ci si potesse andare?
    IMHO il sunto di quasi tutte le norme al mondo è stato “chiudiamo quanto possibile” e su quella linea si sono attestati più o meno tutti i Paesi Democratici. Si sono sfilati la Cina (con una chiusura più dittatoriale, ma se lo possono permettere per via del fatto che chiudere 60 milioni di persone equivale a chiudere per noi il Molise) e alcuni semi-dittature modello il Brasile. All’interno di quelle regole ci si è mossi più o meno tutti in maniera simile, tranne alcune ovvie differenze dovute alla cultura del Paese, alle capacità del SS e soprattutto alla dimensione del contagio (in Italia abbiamo 5 volte i morti della Germania, nonostante una popolazione minore, da qui l’esigenza di una maggiore stretta)

    • IMHO da voi mi aspetto un’analisi più improntata sul fatto che un sistema enorme come quello liberista si basa su assunti talmente deboli per cui basta un’epidemia, forse anche debole, per far crollare l’intero SS (smantellato da anni di logica liberista) e poi l’intero sistema economico e di sussidiarietà.
      Non siamo in grado di reggere un aumento del rapporto deficit/PIL del 10% nemmeno per sacrosante ragioni sanitarie (e non parlo del CoV in sè, potrebbe domani venire fuori il CoV2 con la mortalità dell’Ebola e il discorso sarebbe analogo)?
      Non siamo nemmeno più in grado come sistema di pensare di emettere debito senza rimborso o con rimborso parziale (e lo ha detto Draghi, non un pericoloso comunista)? Non abbiamo imparato nulla da quanto successo dopo la Prima Guerra Mondiale e quanto fatto di differente dopo la Seconda? Non abbiamo ancora capito che affamare un Paese dopo che si è trovato a combattere una battaglia enorme (sia essa sanitaria che bellica) è portatore solo di istanze di caos? Eppure dopo la Seconda si è deciso di cancellare parte del Debito Tedesco con una matita. E’ impossibile pretendere che si possa fare anche in una emergenza sanitaria?
      Oppure è giusto che una Agenzia di Rating si svegli una mattina e anticipi il report per declassare uno Stato e nessuno possa mettere in dubbio la cosa?

      • “Da voi mi aspetto”. Infatti sono cose che abbiamo scritto e ribadito fino alla nausea, fin dalla prima puntata del Diario virale. Scusa, ma qual è l’utilità di ri-inchiodare la discussione a premesse che qui su Giap sono acquisite da tempo? Tempo che, complici tre lunghi mesi di emergenza con annessi lockdown, sembra persino immemore? Costringere gli interlocutori a ripetere pappagallescamente cose che per tutta la community qui sono l’ABC?

        • Ho risposto perchè questo articolo l’ho trovato condiviso in mezzo alle tesi di Trump o di Bolsonaro (per non dire sulle tesi di quelli per cui la pandemia l’avrebbe inventata Bill Gates) sul fatto che, beh in fondo dovremmo andare avanti più o meno come prima. Che sinceramente lo trovo assai triste e sminuente rispetto a quanto di solito leggo da parte vostra (non sono un lettore assiduo per carità).
          Io posso anche portare avanti una bellissima battaglia (es non dubito che il plasma possa essere una possibile cura) ma poi se mi trovo accumunato ad una selva di ciarlatani (come sta accadendo a De Donno), beh a me verrebbe da chiedermi se sto combattendo la battaglia dalla parte giusta.
          E’ per questo che trovo strana la vostra posizione (non siete gli unici per carità, e non è una posizione che non condivido a priori, anzi ne capisco il senso), quando di fatto state dalla parte di quelli che si sono messi a giocare sulla pelle dei lavoratori chiedendo immediata riapertura incondizionata (Confindustria e stampa collegata).
          Quando di fatto state attaccando il Governo (ben lungi da me l’idea che questo sia un Governo perfetto o anche solo buono) quando ahimè non vedo altre soluzioni che un governicchio di stampo iper-liberista e cialtrone con a capo i vari Renzi e Salvini.
          O, più semplicemente, posso aver anche espresso 100 volte la tesi dell’inadeguatezza del Sistema capitalista (e lo avete fatto più di 100 volte) ma se poi le altre tesi le trovo ad accompagnare le tesi ultra-liberiste una domanda io personalmente me la porrei.
          Salvo ovviamente non interessi solo una analisi intellettuale, che per carità ha magari molta più dignità di una gretta analisi pratica.

          • Vedi che la maieutica funziona? Basta un minimo perché un pezzo di merda si riveli tale.

            Uso quest’espressione a ragion veduta, perché solo ed esclusivamente la disonestà intellettuale può portare a falsificare le nostre prese di posizione al punto di dire “state dalla parte di quelli che si sono messi a giocare sulla pelle dei lavoratori chiedendo immediata riapertura incondizionata (Confindustria e stampa collegata)”.

            Ma in fondo s’era già capito tutto al primo commento, con l’incipit “Di solito vi apprezzo” seguito da chiare evidenze che di quel che scriviamo da mesi non sapevi nulla di nulla.

            Avevamo detto che ti avremmo accompagnato alla porta in malo modo: sopravvalutavamo il nostro aplomb. Alla porta ti ci spediamo a calci nelle terga.

  30. Sarò io superficiale, ma condivido integralmente il contenuto dell’articolo e trovo che vi sia perfetta coerenza tra il titolo relativo al fallimento comunicativo ad opera degli scienziati e lo sviluppo delle argomentazioni. Per non tediare nessuno riprendendo i singoli punti ( anche perché, come già detto, ne abbraccio il senso), vorrei solo rispondere ad AMirandola riguardo l’esempio che cita a supporto della teoria che la valutazione dei comportamenti singoli deve cedere dinanzi alla constatazione che la somma di quelle condotte individuali costituisce il PROBLEMA. Come dire: non c’è legame tra fare una passeggiata nei boschi e rischio ( per sè od altri) di contagio, ma se statisticamente se tutti si mettono a passeggiare qualcuno finirà al P.S. A parte che basta guardare i dati Inail per capire che gli incidenti domestici rappresentano eventi decisamente frequenti e spesso, purtroppo, anche gravi tanto che il rischio infortunio per le casalinghe è sempre stato oggetto di dibattito, pensare di limitare o addirittura azzerare gli spazi di libertà delle persone al punto da segregarle entro quattro mura sulla base di considerazioni simili è pericolosissimo. La maggior parte delle misure adottate dal Governo sono state inique e lesive della dignità umana. A qualcuno può sembrare una affermazione azzardata, ma le conseguenze sono già evidenti e non di poco conto. Vietare ogni forma di manifestazione e riunione avrà un impatto incredibile sulla democrazia, e non lo dico io che non sono nessuno. L.’ammonimento arriva anche da giuristi di grande esperienza. Ciò detto nè io nè nessun altro qui ha mai affermato che si dovesse rimanere inermi a guardare l’evolversi della situazione ed accettare che il contagio dilagasse o che questo virus non andasse in qualche modo arginato. Le misure andavano prese, ma di ben altro tenore. Infine una rapida considerazione sul fallimento comunicativo: gli scienziati o sedicenti tali continuano a non trovare una linea comune. Ci sta! Se di patogeno nuovo si tratta è ovvio che l’esperienza e la ricerca devono ancora perfezionarsi ma almeno, sulla base di questo assunto, che la smettano di dire tutto ed il contrario di tutto e con umiltà accettino i loro limiti e quelli delle loro discipline.

    • Qualche mese fa mia madre è scivolata in casa, si è incrinata tre costole e ha dovuto andare a farsi una lastra in ospedale. Anni fa, quando uno dei miei figli era piccolino, cadde dal divano e si ruppe un braccio, dovettero ingessarlo in ospedale.
      Non sta scritto da nessuna parte che se esco a correre in un bosco rischio più che a stare in casa. Mentre è certo che andare in ospedale in tempi di Codvi-19 è rischioso, tanto è vero che parecchia gente non c’è voluta andare. Di fatto l’incidente domestico fortuito e l’infarto li abbiamo cancellati eccome. Non solo si sono svuotati i prontisoccorso, ma c’è stato un improvviso calo delle richieste di ricovero per eventi patologici più o meno importanti. Piuttosto che rischiare il Covid-19 si è preferito tenersi l’infarto, farsi una fasciatura di fortuna, imbottirsi di antidolorifici. C’è gente che non ha mandato i figli a fare le terapie in ospedale per paura del contagio.
      Poi certo, senza traffico automobilistico, il numero degli incidenti in strada sarà crollato, ma in compenso sono aumentati i TSO e le violenze domestiche (anche se ne parlano poco). Ma la prova controffattuale sono proprio quei paesi che hanno consentito alla popolazione di spostarsi semplicemente mantenendo il distanziamento. Non mi pare che siano messi peggio dell’Italia. Il dato che stiamo provando a leggere – e di cui si discute nell’altro thread – è che non è stata la scelta del lockdown “duro” o del lockdown “morbido” a sancire una grossa differenza nell’andamento del contagio. C’è evidentemente dell’altro. C’è la differenza tra i territori, la diversa mobilità, i luoghi di lavoro, ecc. Ed è per questo che trattare tutti i territori allo stesso modo – l’hinterland milanese come il paesello sulle Alpi o nel mezzo della Sardegna – è assurdo.

    • L’incidente domestico è in qualche modo inevitabile e lo si deve mettere in conto, così come l’infarto o l’ictus. La norma credo abbia dietro l’idea che A tutti i rischi in questo momento evitabili siano da evitare B che le libertà individuali in questo momento sono da declinare all’interno di una salute pubblica, che in tempi pandemici è più importante.
      Anche perchè dal poco che so su temi giuridici, le leggi devono essere A certe B uguali per tutte. Non sarebbe nè certo nè uguale per tutti permettere “de iure” a chi abita in campagna di muoversi come vuole all’interno della campagna stessa e invece a chi abita in città di limitare lo spostamento senza motivazioni ai 200m (e lì la norma era già confusa, non avendo stabilito confini certi).

      Ad esempio sul tema “Vietare ogni forma di manifestazione e riunione avrà un impatto incredibile sulla democrazia”, astrattamente sono pure d’accordo ma nella pratica come lo si coniuga? Cosa permetto? Permetto le elezioni (che ricordo ci dovevano essere adesso) con tutti gli annessi democratici (comizi, iniziative) in nome della superiorità dell’importanza democratica e correndo il rischio di diffusione del contagio? E allora le iniziative di supporto come le cene elettorali e le feste di Partito (dove si fanno)? E se permetto quelle, perchè non gli appuntamenti di stampo Cattolico e/o Solidaristico, come le Sagre che devolvono in beneficenza il loro guadagno? In breve ti saresti trovato una babele di iniziative pseudo-politiche al limite del concesso (come è successo con le aziende che hanno cambiato il codice Ateco pur di continuare a produrre).

      Infine, quando dici “Ciò detto nè io nè nessun altro qui ha mai affermato che si dovesse rimanere inermi a guardare l’evolversi della situazione ed accettare che il contagio dilagasse o che questo virus non andasse in qualche modo arginato. Le misure andavano prese, ma di ben altro tenore.” manca la specificazione di quale tenore. Quello svedese? Anche se, bufale a parte, rimane che il nudo dato rispetto ai paesi confinanti (quindi comparabili per arrivo del contagio e statistiche demografiche) è assai più alto?

  31. Ciao Mirandola, mi sottovaluti se credi che il mio piano per la conquista del mondo sia così scoperto :-)
    Il problema che secondo me inficia abbastanza la tua convinzione è che semplicemente non hai le prove e, sempre IMHO, se mi sbatti in galera civiltà giuridica vuole che almeno tu mi dia argomentazione migliore del “mio cugino è caduto nel bosco, quindi tu stai in galera”. Il fatto, un po’ banale, è che qualcuno prima o poi dovrebbe fornire una banale analisi costi benefici, capace di rispondere ad una domanda: qual è il saldo tra gli infortuni nel bosco evitati e gli incidenti domestici provocati? Spero tu sia d’accordo che fino a quando non ci sia una qualche stima valida a me stare in in galera un po’ di fastidio lo da.
    Poi. Io capisco che tu non legga tutto quanto però se decidi di parlare di un tema io piccole ricerche le farei. Una di queste ti condurrebbe da statistici che stanno dibattendo sul “nudo” dato. Pensa che c’è una certa concordanza SOLO sul fatto che c’è un alto eccesso di mortalità nelle zone di Bergamo e Brescia e in altre un eccesso di mortalità difficile da stimare.
    Il tenore delle misure non è stato sistematicamente specificato ma insomma è stato detto talmente tante di quelle volte che la tua domanda è strana, visto che una sintesi l’hai proprio nel mio ultimo intervento, appena sopra il tuo “esordio”.
    Sulla Svezia mi viene da capire il fatto che i nostri sopiti stiano perdendo la pazienza perché persino io comincio a non poterne più. Ma ripetiamolo pure: ancora non sappiamo bene come vengono conteggiati i morti e non credo tu conosca la serie storica di Norvegia, Danimarca e Finlandia. Il dato “nudo” guarda che non esiste. Come detto altrove fare comparazioni di questo tipo, in questo momento, rivela solo la scarsa dimestichezza con una disciplina che, guarda tu a volte il caso, riguarda le scienze sociali, la policy evaluation.
    Infine. Più che il riferimento personale a me da fastidio l’accenno al non aver visto nessuno nei parchi (e lasciando stare il fatto che uno potrebbe dire “ma se non ci va nessuno, com’è che l’hai chiuso?) perché davvero indica un rapporto malato, direi reazionario, con il potere pubblico. Sono io che scelgo se e quando, non l’autorità.

    • AMirandola è stato accompagnato alla porta, dopo averci attribuito posizioni infamanti che non abbiamo mai espresso, quindi non potrà replicare. Se ti interessa, comunque, qui a Bologna i parchi sono tutti pieni e infatti gli amministratori se ne stanno già lamentando… Prima li riaprono, poi non vogliono che la gente ci vada. Ionesco continua a governare le città.

  32. il principio di causa/effetto tanto declamato in tempi di “quarantena” effettivamente fa essere perplessa anche me. o meglio, una determinata attribuzione di logica lineare a tale principio non riesco proprio a capirla. cerco di spiegarmi meglio: è stato un tempo percettivamente immemore, seppur limitato a pochi mesi. in questo tempo mi sono accorta che impedendomi di fare una camminata in montagna ero più a rischio anche soltanto nel fare le scale di casa. in questo periodo di reclusione obbligatoria mi sono sentita debole e adesso riuscire a riacquisire una capacità di tranquillità mentale che influisce tantissimo sulla mia possibilità di non farmi male è ancora più difficile. ogni volta però che sono fuggita comunque in montagna perché capivo che era più pericoloso stare ad attendere piuttosto che provare a reagire, mi sono sentita rinascere. ritrovando belle energie essenziali. e questo mi ha dato la possibilità di non inchiodarmi facendo le scale. è certamente una interpretazione soggettiva e non prettamente “scientifica”. ed è forse una specie di causa/effetto anche questa. però se non altro è una logica differente che permette di spaziare e cercare di stare meglio. voglio essere ottimistica

  33. Per quanto riguarda la quarantena mi viene in mente un dialogo fra Marlowe e uno sbirro, Marlowe gli dice: ” i poliziotti sono tutti uguali; individuano tutti quanti le cause di determinate situazioni in fattori che non c’ entrano affatto. Se un tale perde la busta paga al tavolo da gioco,bisogna abolire il gioco d’azzardo. Se si ubriaca, vietare i liquori. […segue una di esempi di questo genere].Se casca giù dalle scale, non si devono più costruire case.”. Non riesco a vedere l’ efficacia di queste restrizioni sul piano sanitario ma riesco a percepirne l’essenza profonda sul piano autoritario/ securitario. La coincidenza che si istituisce fra sanità e sicurezza mi fa pensare che alla base non ci sia solo qualcosa di profondamente illogico ed irrazionale ma anche di peculiare, strutturale e sistemico che nulla ha ha che fare con prevenzione e contenimento del virus.

  34. Intanto sembra che io con i modelli sia stato sin troppo generoso. Quelli dell’imperial li ha smontati il pezzo successivo a questo su Giap; quelli della task force li smonta (ovviamente? scusate le provocazione) una sociologa

    https://www.scienzainrete.it/articolo/fase-2-e-alcune-questioni-sul-report-governativo/maria-luisa-bianco/2020-05-14?fbclid=IwAR0BVPwIavNMoycBJ3G6uMqsEvq-jaUj8UBe6TDr9tACNsiay0mnAgpSGew

    Scienza in rete (che secondo me sta facendo un lavoro egregio) nel frattempo ha anche reso conto di una ricerca che trova risultati che a me ricordano quelli del Nuffield:

    https://www.scienzainrete.it/articolo/sondaggi-immuni-italia-decine-di-volte-numeri-ufficiali
    /carlo-vecchia-vilma-scarpino-eva

    Queste acquisizioni mi sorprendono solo fino ad un certo punto, se i “terrorizzati” si degnassero di spiegare in modi che vanno oltre l’autoevidenza (“eh, ma non vedi i morti?” “eh, questo è superficiale” “eh, citazioni fuori contesto”) magari aiuterebbero.

    • 1)
      L’articolo che segnali si avvicina alle radici del problema, ma purtroppo finisce con una serie di rilievi tecnici puntuali che rischiano di offuscarne la portata. Speriamo che la discussione pubblica che ne partirà sia costruttiva. Vi lascio alcune considerazioni, forse troppo lunghe, ma che sono fondate sul lavoro di approfondimento fatto da tutti qui su Giap:

      – i modelli epidemiologici studiano da anni l’effetto delle interazioni umane sulla diffusione di una malattia trasmissiva. Un epidemiologo non potrà che consigliare di ridurre le interazioni umane.
      – non mi sembra che il lockdown in Italia sia stato deciso in base a studi epidemiologici specifici. Ad esempio in questo articolo di Giorgio Parisi dell’8 marzo http://archive.is/Altw7 si spiega cosa è una curva esponenziale e si consiglia il lockdown in base alla esperienza cinese.
      – Le misure di lockdown applicate in Italia sono state arbitrariamente repressive nei confronti di comportamenti non a rischio, come discusso anche nell’articolo richiamato dal post e ampiamente qui su Giap. Non mi sembra che ci siano documenti formali che hanno consigliato di applicare qui norme più stringenti che in quasi tutta Europa. Certamente, nel fallimento comunicativo descritto da Robydoc, non sono mancati gli articoli giornalistici che presentavano/pilotavano la posizione di “esperti”.
      – Il modello epidemiologico è comodo perchè ti promette che non morirà più nessuno. Il problema è che, una volta che hai controllato la diffusione e vuoi iniziare a riaprire, devi accettare che in qualche misura la malattia ricominci a circolare e quindi sei obbligato ad accettare qualche vittima. Chi se ne prenderà la responsabilità? (molto utile l’intervista a Giesecke proposta nei commenti dell’ormai famoso articolo sulla Svezia https://unherd.com/thepost/coming-up-epidemiologist-prof-johan-giesecke-shares-lessons-from-sweden/ minuto 12:00).

      • 2)
        – Secondo me a questo punto entra in gioco lo scaricabarile: Governo->Ministero salute->ISS->epidemiologi di FK, a cui alla fine viene demandata la responsabilità di trovare il modo di riaprire. Se le cose andranno bene saranno accusati di essere stati troppo rigidi, se andranno male saranno ritenuti responsabili di tutte le vittime.
        – Nelle conclusioni del report ISS-FK si cerca di rimettere sul piano razionale la gestione italiana del lockdown: “Si ritiene inoltre che sia possibile consentire attività fisica su base individuale (o dove necessario intrafamiliare) inclusi bambini ed anziani, alle persone in prossimità della loro residenza purchè effettuate con distanziamento sociale e non consentendo in alcun modo l’aggregazione sociale”. Se mai ci sarà il “processo di Norimberga” sognato da Wu Ming 1 in un commento al post sui bambini, io chiederò una assoluzione sulla base di quella frase.
        – Per quanto riguarda i rilievi tecnici, riporto per comodità l’opinione che ho scritto a Marco Mamone Capria nei commenti di un altro post:
        “è un dato di fatto che la comunità scientifica ha approvato quei modelli accettandoli dopo peer review su decine di riviste. Certamente sono il meglio della attuale tecnologia predittiva, e i limiti alla loro efficacia non sono certo un segreto. Per chiarire meglio la mia posizione: mentre è certamente lecito discutere le ipotesi (cioè i parametri che cercano di rappresentare la società oggetto di studio), aggiustare uno o due parametri interni di un modello potrebbe cambiarne le previsioni, ma dovrebbe essere validato nel contesto tecnico del modello stesso. Inoltre, e questo è il punto più importante, quei modelli hanno credito perchè il lockdown ha rappresentato una occasione per molti ed è stato quasi invocato dai più. Probabilmente se l’Imperial cambiasse le sue raccomandazioni non avrebbe il credito di cui gode: politica e società non fanno sempre quello che dicono medici e scienziati, come dimostra la libera vendita e il consumo diffuso di sigarette.”

        • 3)
          e una ultima, per me amarissima considerazione. Il responsabile scientifico del lavoro di FK è noto e correttamente citato da Maria Luisa Bianco come “autore del rapporto”, avendo preso parte alla conferenza di presentazione del report all’ISS. Il suo curriculum e i suoi lavori sono pubblici e ho potuto consultarli senza problemi, facendo le mie valutazioni. Quindi sono portato ad interpretare i “tempestivi chiarimenti” richiesti dall’autrice su “Come era composto il gruppo dei ricercatori e chi ne è il responsabile scientifico” semplicemente come una accusa di mancata esposizione mediatica.
          Io non lo conosco, ma certamente apprezzo la forza d’animo che ha dimostrato in questi mesi (spero che Robydoc mi perdoni se rubo le sue parole):
          “Tutti andiamo cercando i nostri cinque minuti di celebrità e tra rivolgersi a un uditorio altamente qualificato ma numericamente limitato – che in genere discute e più spesso critica l’assunzione di questa o quella variabile interveniente – e rivolgersi a una platea adorante a cui parlare dall’alto in basso, impossibilitata a discutere e pronta a plaudire, serve una discreta forza d’animo per scegliere la prima per tutti i giorni della propria vita.”

          • Scusa pm ma la comunità scientifica approverebbe anche QUEL modello? Perché io faccio fatica a credere che siano così indietro da far passare in secondo piano – mi fido o devo controllare? – il fatto che sia costruito su assunzioni del 2005. Io non posso verificare tutto singolarmente e se se Vespignani mi dice che il modello l’ha visto ed è elegante (o una roba del genere) tendo a fidarmi, soprattutto perché non è certo il mio campo. Boh, io sto uscendo male da queste discussioni, non perché abbia mai avuto una visione particolarmente lusinghiera della ricerca, ma insomma mi pare sempre che per quanto possa pensar male le cose stiano pure peggio.

            • La mia impressione è che siano allo stato dell’arte. Immagino che tutte queste riviste scelgano come reviewer i ricercatori con la migliore reputazione nel campo, (Science mi pare chieda a 3 esponenti di gruppi diversi). Quindi il loro lavoro è certamente approvato da tutti. Per quanto riguarda Vespignani è spesso coautore.

              The effect of travel restrictions on the spread of the 2019 novel coronavirus (COVID-19) outbreak; in «SCIENCE»; 2020
              Potential short-term outcome of an uncontrolled COVID-19 epidemic in Lombardy, Italy, February to March 2020; in «EUROSURVEILLANCE»; Vol. 25; 2020
              Evolving epidemiology and transmission dynamics of coronavirus disease 2019 outside Hubei province, China: a descriptive and modelling study; in «THE LANCET INFECTIOUS DISEASES»; 2020
              Baseline Characteristics and Outcomes of 1591 Patients Infected With SARS-CoV-2 Admitted to ICUs of the Lombardy Region, Italy; in «JAMA»; 2020

              Non posso sapere se usare QUELLE assunzioni sia pratica comune, comunque non stento a credere che abbiano usato le migliori assunzioni disponibili. Certamente non potevano ricavare da soli delle nuove tabelle, tieni conto che POLYMOD aveva 15 partner in tutta Europa (https://cordis.europa.eu/project/id/502084). Anche Maria Luisa Bianco ha detto che POLYMOD è vecchio, ma non mi pare abbia suggerito una base dati alternativa.

    • @robydoc Da matematico, per deontologia professionale, mi sento in dovere di dire che il pezzo successivo non smonta il modello dell’imperial college. Infatti il modello dell’imperial college non viene nemmeno presentato, e di conseguenza non viene discusso né tantomeno smontato. Lo scrivo qua e non nell’altro thread, perché di là c’è troppo casino. In quel pezzo, di matematica ce n’è ben poca (io direi che non ce n’è proprio). A scanso di equivoci, visto il casino, mi tocca precisare che non dico questo per difendere il modello dell’imperial college, che non conosco minimmente, se non nelle sue versioni “spettacolari” comparse sulla stampa. Dico questo perché da matematico ritengo che ultimamente coi numeri si stia smarmellando un po’ troppo, purtroppo anche qua su giap. Forse, dopo 90 giorni di merda totale come questi, dovremmo prenderci tutt* una piccola pausa, riposarci, rilassarci, pensare anche a qualcos’altro. Covid è diventato una specie di droga un po’ per tutt*.

      • Ciao Tuco, immagino di essere stato impreciso: mi riferivo ad alcuni articoli citati in quel pezzo:

        https://off-guardian.org/2020/04/29/lokin-20-the-lockdown-regime-causes-increasing-health-concerns/

        https://reason.com/2020/03/27/no-british-epidemiologist-neil-ferguson-has-not-drastically-downgraded-his-worst-case-projection-of-covid-19-deaths/

        https://www.startribune.com/360-deaths-or-22-000-why-minnesota-s-covid-19-models-are-so-different/568966211/

        Questi errori passati forse non inficiano il modello? O l’errore è tutto nelle assunzioni? (Sono domande vere, io forse potrei rispondermi da solo ma ci devo impiegare almeno dieci giorni e non è detto che ci riesca, quindi prendo una scorciatoia :-)

        • Scusa, poi smetto: per me smontare un modello significa prendere le formule, e smontarle col cacciavite, parametro per parametro, assunzione per assunzione, funzione per funzione. Verificarne la correttezza, e poi discuterne il significato: evidenziare il senso della scelta di certi parametri invece che di altri, cercare eventualmente i bias culturali nascosti nei meandri del modello, eccetera. Io negli articoli linkati non vedo formule da nessuna parte, al massimo qualche grafico. Se nessuno mi mostra il modello che sarebbe stato smontato, se nessuno mi mostra le formule in base alle quali sono stati disegnati quei grafici, come faccio a capire se il modello è stato smontato o meno? E’ come andar di notte, mi si chiede un atto di fede, come me lo chiede repubblica quando mi propone i pupoletti che illustrano le previsioni del modello. Ah, questo lavoro di smontaggio io non lo saprei fare, perché le formule immagino di poterle capire dal punto di vista matematico, mi manca completamente la preparazione in campo medico per valutarne la consistenza con il fenomeno reale che dovrebbero descrivere.

          • Grazie mille (ma perché smettere? non mi pare OT, a me interessa davvero). Adesso ho il problema di arrivare ai 500 caratteri e non ho idea di come fare. Quindi ti faccio domande (ma se non rispondi capisco, perché magari hai il problema anche tu di arrivare alle battute). Quindi il modello dell’IC tu non lo conosci? Le assunzioni fanno parte del modello? Quello della task force aveva assunzioni vecchie di 15 anni ma mi pare di capire che pm2001 dicesse “o quelle o il modello non lo fai”, avevo capito bene? Vabbè dovrei avercela fatta, grazie ancora per le risposte

            • No, non conosco il modello dell’imperial college, né quello della task force. E sì, le assunzioni fanno ovviamente parte dei modelli. Se si assume che non si sia contagiosi in fase di incubazione, l’equazione sarà un’equazione con ritardo. Se invece si assume che si sia contagiosi da subito sarà un’equazione senza ritardo. E così via. Queste assunzioni vengono fatte sulla base della conoscenza clinica della malattia, e quindi nel caso di una malattia nuova già la scelta del modello deve essere accompagnata da mille cautele che i divulgatori di solito ignorano, figurarsi i giornalisti di repubblica che giocano a cassandra crossing.

              Qua c’è un articolo che spiega un po’ come funzionano in generale i modelli matematici base per le epidemie.

              http://maddmaths.simai.eu/divulgazione/focus/epidemie-matematica/

              n.b. “assunzioni vecchie di 15 anni” non significa niente. Per il vaiolo assunzioni vecchie di 100 anni vanno benissimo. Per il covid assunzioni vecchie di 15 anni non possono esistere, visto che si tratta di un virus nuovo. Quindi non so cosa intendessero dire.

              Ora smetto davvero, però.

              • Le assunzioni vecchie di 15 anni si riferiscono al numero di contatti fra le persone, che in una malattia infettiva a trasmissione aerea sono particolarmente importanti per determinare il numero di persone che potenzialmente s’infettano. E negli ultimi 15 anni la mobilità è sì molto cambiata, è presumibile che le assunzioni fatte sulla base di questi dati siano inaccurate (presumibile, perché bisognerebbe prendere i dati di oggi e verificare che in effetti siano significativamente diversi da quelli di 15 anni fa). Onestamente io credo che i giudizi sui modelli siano tutti lì: il livello di competenza di gruppi ultraspecialisti come quello dell’Imperial College non è in discussione (certo non significa che non possano sbagliare, ma), quindi non è credibile che non abbiano saputo fare i compiti a casa, ma la differenza la fanno le assunzioni di base, e quelle 1) devono essere più possibile evidence-based (da qui il paradosso della dicotomia dati-modelli) e 2) non possono non denunciare una “visione del mondo”: se per “eccesso di prudenza” ti mantieni sempre sul limite più alto di un range, per esempio usando la R0 più elevata, o il numero di ricoveri in terapia intensiva della Lombardia invece che quello nazionale, ecco che quello che già di per sé è presentato come “worst case scenario” finisce per sembrare l’apocalisse.

                • Quelli di cui parlate voi però sono i dati, non le assunzioni. Per “assunzioni” si intende la scelta delle variabili significative per descrivere il funzionamento del meccanismo e la formalizzazione del modo in cui queste variabili interagiscono tra loro, il che dal punto di vista matematico si traduce in struttura delle equazioni. Assunzione ad esempio è inserire o meno un periodo di latenza, inserire o meno un termine di diffuzione spaziale, decidere se e come compartimentare la popolazione (dal punto di vista matematico significa passare da un’equazione singola a un sistema di equazioni), ecc. Poi è chiaro che le assunzioni sono guidate anche dalla tipologia di dati che si hanno a disposizione. Inutile costruire modelli sofisticati e compartimentare la popolazione, se poi i dati a disposizione sono generici e non compartimentati. Se i dati a disposizione sono grezzi, nel modello bisogna fare delle semplificazioni, e ovviamente bisogna poi aspettarsi output grezzi.

                  • Ok, sistemata la terminologia, ecco allora un punto critico del modello dell’Imperial College: fra le assunzioni, c’era quella della trasmissione significativa da parte dei bambini. Ora, leggo un commento di pm2001 che dice che la discussione sui modelli sta diventando un falso bersaglio; probabilmente ha ragione. D’altronde però se ai modelli si dà dignità oracolare e i media e la politica li agitano come una clava (quando sono più uno strumento d’indagine), diventa inevitabile mirare (anche) alla clava.
                    Personalmente, ritengo che la riflessione sul loro valore e sull’uso che ne fa sia – ancora una volta – una grande occasione: oggi sono i modelli epidemiologici, ma domani, come ieri, saranno di nuovo i modelli climatologici. E’ importante che gli scienziati, il pubblico, i media e i politici ne facciano l’uso che meritano ed e ne evitino quello aberrante.
                    (Se interessa, una discussione specialistica qui: https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMp2016822?source=nejmfacebook&medium=organic-social&fbclid=IwAR045o-0YrT_tdfFXuQQxjTpxzaph8X9DP84qEg8VoVw-w60VzA6dwXpcsQ)

            • Robydoc, secondo me la discussione sui modelli sta diventando un falso bersaglio. I modelli danno una illusione di controllo totale del fenomeno, che nella percezione comune è: se faccio quello che suggeriscono non mi ammalerò. Dal punto di vista della politica il controllo totale equivale a un pannello con tante manopole di apertura/chiusura, che il politico di turno pensa di poter girare in base alle esigenze del suo elettorato, controllando immediatamente il risultato su un monitor.

              Questa è una china pericolosa. In primo luogo il modello non dice chi si ammalerà, ma solo la media degli ammalati. In molte regioni hanno chiuso in casa ammalati e sani insieme, anche se gli scienziati virologi erano certi che tutta la famiglia sarebbe stata contagiata. Però dal punto di vista epidemiologico questo ha limitato il contagio ai soli componenti della famiglia, bloccando la diffusione sociale. La scelta veramente corretta sarebbe stata organizzare prima possibile le residenze per positivi asintomatici e magari nell’attesa pagare un albergo ai familiari ancora sani.

              I modelli sono certamente una guida importante a livello statistico, ma non possiamo accettare il principio di essere governati in nome di un modello, magari in cambio dell’illusione di averne contribuito a migliorare gli ingranaggi. Non possiamo lasciare che sia la politica a interrogare l’oracolo:
              Perchè non viene chiesto ai modelli se sarebbe utile raddoppiare le corse dei servizi di trasporto pubblico, oppure se è utile aumentare i medici sul territorio per evidenziare più velocemente i focolai?
              Perchè non chiedere ai modelli dove è meglio investire i soldi dei vari decreti economici: aumentare le terapie intensive o fare nuove strade?

              >mi pare di capire che pm2001 dicesse “o quelle o il modello non lo fai”
              Mi pare di avere capito che quella tabella serve a differenziare il numero di contatti sociali delle diverse fasce di età. Potresti comunque evitare di differenziare, ottenendo un valore medio indistinto per tutta la popolazione. A livello statistico complessivo probabilmente è egualmente accurato, ma la tabella ti permette di mettere tutte le manopole che poi servono alla politica per prendere le decisioni di dettaglio.

              • Sui modelli però a me pareva di essere stato chiaro nel pezzo che stiamo commentando: possono essere particolarmente raffinati ma sono buoni per discussioni seminariali non certo per prendere decisioni. Rispondo con questo anche a swann, sulla centralità dei modelli, che appunto secondo me non esiste, al limite (molto al limite) esiste quella del modellista, ma solo se in linea con lo spirito del tempo, cioè con quella che sarà la decisione da prendere. Il motivo (naturalmente a mio parere) ho provato a spiegarlo nei commenti al nuovo pezzo, mi permetto di rimandare a quelli.
                Le domande a Tuco, che ringrazio per la gentilezza (e congratulazioni per la serenità, io comincio a pensare che qualcuno si sia messo a trollare :-) ) sono curiosità intellettuali e niente di più, che magari mi possono tornare buone, non si mai che torni ad occuparmene…

  35. Dalla Svezia.
    Chi tra i virologi ed epidemiologici in Svezia critica la strategia di FHM critica la strategia FHM, non si lascia andare a commenti da comune cittadino. Le critiche sono basate su studi effettuati da loro o da altri ma si rimane nella cornice epidemiologica o virologica. Ad esempio in questi giorni viene rinfacciato a FHM lo studio spagnolo che dice che solo il 5% degli spagnoli ha incontrato il virus. FHM risponde che la Svezia non è la Spagna, che lo studio aveva i suoi limiti e fine. Diatribe tra scienziati su un argomento nuovo, come scritto all’inizio dell’articolo.

    Il comportamento interessante è quello delle istituzioni. FHM con tutti i suoi esperti di vario genere, sanità, protezione civile, primo ministro, ministro salute, ministro esteri, ministro economia, ministro lavoro e così fino ai più o meno corrispettivi a livello regionale ognuno parla strettamente del proprio ambito di competenza e cede la parola o rimanda al collega se il discorso rischia l’avviso amento a una cagata fuori dal vaso.

    In generale, meno vetrine per esperti di ogni genere, meno programmi tv, meno interviste, meno dichiarazioni, meno protagonisti e quindi meno orecchie (le nostre) che ascoltano il cittadino comune dietro ad ogni esperto.

    “ è più illusorio che ingenuo pensare che le persone si fermino sulla frontiera delle loro competenze”. Forse no e la Svezia secondo me mostra ancora una via alternativa.

    • Ciao red, le mie “fonti” – e qualche mia lettura – sono un po’ più scettiche di te sulle modalità del dibattito in Svezia e non si contano le critiche a Tegnell non strettamente “epidemiologiche”. Ad ogni modo posso solo sperare che tu abbia ragione, anche se a me sembra che tutto il ragionamento che ho provato a sviluppare nel post non valesse esclusivamente per l’Italia. Come ho detto varie volte (lo ripeto solo per arrivare al numero minimo di caratteri) non sono un “tifoso” della Svezia e non credo che ci sia una partita in corso. Non è che hai i riferimenti dello studio spagnolo?

      • Ciao! Capisco che le tue fonti siano più scettiche, io descrivo la mia percezione. :)
        Tra le critiche non strettamente epidemiologiche ce ne sono state sulle modalità di comunicazione di FHM/Tegnell – per me sono appropriate dato che uno scienziato deve saper comunicare.
        Critiche meno appropriate ci sono sicuramente state, io ho elencato una serie di “meno”.
        Secondo vari sondaggi statistici, FHM ha il supporto della maggioranza della popolazione, i gradimenti per governo e socialdemocratici sono saliti (dopo anni di costante discesa per questi ultimi). Questo indica per me un clima in generale che appoggia la linea. Una linea che ha due pregi: olistica e chiara.
        Neanche io sono tifoso della Svezia. Ovviamente spero che ci vada bene. Le istituzioni non hanno mai detto “la Svezia fa giusto gli altri no” e io la penso uguale (Giesecke tra le voci famose l’ha detto, ma lui non è parte istituzioni). Ogni paese è diverso e la Svezia alla fine fa come tutti: rallentare il virus, non far esplodere il sistema sanitario (e ad oggi 16 maggio se valutata da questi aspetti va benissimo). Personalmente capisco dal basso della mia incompetenza quanto succede e questo è importante. Tuttavia mi “piace” parlare della Svezia proprio perché è una via alternativa che non è chiaramente una cazzata (i numeri sono ok, non buoni come i vicini nordici ma ok) ma è l’unica ad intraprenderla, e quello che gli altri paesi fanno è molto peculiare, anche a livello storico (vedi Piero Purich qui) e tante persone sono diventate invasate da lockdown, #stiamoincasa, etc (tutto quanto scritto su Giap). È una situazione di merda, si vive di merda, un paese fa un po’ diverso e non muoiono in decine di migliaia, ma viene criticatissimo. È interessante, proprio a livello epistemologico, perché sia così. Da qui il mio interesse, non tifo. :)
        Sullo studio spagnolo non ho riferimenti diretti, io ne ho letto nei giornali online svedesi. Da duckduckgo cercando “spain coronavirus study 5% antibodies” https://www.reuters.com/article/us-health-coronavirus-spain-study-idUSKBN22P2RP

        • PS: il grosso errore è stato permettere al virus di entrare nelle residenze per anziani e simili. Questo ha fatto sì che i numeri di morti non siano lontanamente paragonabili ai vicini nordici, che infatti criticano molto la Svezia e ora che si parla di riaperture non vogliono riaprire verso la Svezia.
          FHM&co indagano sul perché sia successo. Un motivo, interessante, è ritenuto essere la forza lavoro precaria impiegata in tali strutture che, proprio perché precaria (= assunta ad ore), non era inserita nelle routine, meno esperta, ecc. Una condizione materiale che ha ricadute sanitarie.
          Circa i morti, la Svezia dice di beccarli tutti, dentro a ospedali e fuori, non distingue tra morti per e con il virus ed preferisce usare l’eccesso di mortalità paragonata con una media dei 5 anni precedenti come misura dell’impatto di covid-19.

          • Io non posso che ripeterti la mia posizione, mi auguro che il modello svedese, sicuramente più rispettoso dei propri cittadini (quale che sia il motivo) alla fine abbia dei risultati decenti, compatibilmente al fatto che purtroppo stiamo parlando di morti. L’altro parere è che in questo momento non ha sostanzialmente nessun senso fare ragionamenti particolari su Norvegia vs Danimarca per una serie infinita di ragioni, che ho disseminato in vari interventi e una è che manco sappiamo come contano i morti in giro per il mondo. Quella che posso aggiungere qui è che comincio a pensare che questo virus, per ragioni a me ignote, sia abbastanza indifferente alle misure prese per contrastarlo e che abbia modalità di contagio che un giorno qualcuno scoprirà. Allo stato è sostanzialmente impossibile persino scoprire la percentuale di contagiati sul totale della popolazione – c’è troppa leggerezza in questo moltiplicarlo per 10 – sono sicuramente state sbagliate le stime sulla percentuali di contagiati che sarebbero finiti in terapia intensiva e chissà cos’altro. Solo questo ha senso dire, il resto a me pare fuffa.

            • Quanto tu scrivi – abbastanza indifferente alle misure prese per contrastarlo – è quanto ha detto Tegnell in più di una occasione (o meglio, quanto ho compreso io, lo svedese lo capisco ma non sono esperto nell’argomento :) ). Lo ha detto proprio per spiegare il fatto che non si vedono differenze chiarissime nel numero di morti nei vari paesi a seconda delle misure prese. La differenza grande, continuava, ad oggi la fa 1) se si riesce a proteggere i propri anziani, 2) se il virus entra nelle case per anziani o si diffonde negli ospedali e 3) se il sistema ospedaliero collassa, così da non poter dare cure (terapia intensiva e non) a chi ne ha bisogno.

              Il ragionamento Svezia VS paesi nordici è solo diciamo politico: la Danimarca ha aperto con la Germania, ma non con la Svezia; Norvegia e Finlandia non vogliono aprire ad aperture “nordica” per come ha gestito la Svezia. Si guardano i numeri e la strategia ad oggi e si fanno decisioni politiche.

              In sostanza quindi la penso come te, mi sembra. :)

              • Dobbiamo solo stare attenti a non far diventare questa impressione qualcosa su cui fare battaglie di religione. Non per timidezza ma perché dopo aver tanto criticato la leggerezza e l’ingenuità di molti non mi pare il caso di fare allo stesso modo. Insomma una cosa è se lo diciamo noi, altro è se lo dice Tegnell quindi voglio eperare che abbia usato almeno una formula enormemente dubitativa. La mia è al massimo una suggestione, se dovessi studiare il caso è un’ipotesi che terrei in considerazione ma non starei troppo a sorprendermi se non funzionasse.
                Qui entra in gioco, secondo me, anche la questione della grandezza dei numeri. Se ragioniamo con numeri piccoli l’errore sul singolo settore può modificare tutto; su numeri grandi meno. Ecco, una delle cose che ci si è scordati è che i nostri numeri SEMBRANO piccoli. A parte un’eccezione: la Lombardia. Il vero mistero è cosa diavolo sia successo lì, a mio parere.

                • Il quotato di Tegnell non lo ricordo. Però sì, non era risultato di studi, era dal mio punto di vista una ipotesi (educated guess direi in inglese) che lui faceva. Una supposizione, una risposta a delle domande di giornalisti sulle differenze con gli altri paesi, se ricordo bene. Le verifiche se saranno possibili si faranno tra mesi i anni, ripete Tegnell. Per ora solo ipotesi, certo da lui esperto mi aspetto ipotesi fondate da esperienze epidemiologiche precedenti (che lui ha). È una sottolineatura su cosa sia la tattica di FHM, che ribadiscono tutto il tempo, quindi quei 3 punti che ho specificato.
                  Guerre di religione? Non mi sembra, certamente non da parte mia e non mi sembra proprio neanche da parte di FHM che è convinto nella sua linea (e meno male) senza esserne accecato e senza mancanza di autocritica, e che non sminuisce le linee estere.

  36. Posto qui, dove forse è OT, che nell’altro post la discussione è chiusa.
    Sono alcune considerazioni che mi frullano in testa ogni volta che guardo i dati. Riguardano la possibilità o meno di stabilire l’efficacia del lockdown. Il ragionamento si basa sull’osservazione dell’andamento dell’indice di letalità.
    Prima di tutto dove far coincidere il picco. Tuco aveva indicato il picco degli ospedalizzati e dei contagiati attivi nel giorno immediatamente precedente la diminuzione del loro numero complessivo. Non so se intendesse anche il picco dell’epidemia che io sarei portato a far coincidere con i giorni in cui, nonostante i valori assoluti continuassero ad aumentare, iniziava invece a diminuire il loro aumento percentuale rispetto al totale. Come data siamo intorno al 20 Marzo per tutti i valori considerati (contagiati, positivi totali, deceduti, ospedalizzati, ospedalizzati in terapia intensiva). Esempio: il picco dei contagi attivi si ha il 19 Marzo (nuovi contagi attivi 4480, aumento del 15,60%), il 18 Aprile, giorno con più alto numero assoluto, i nuovi contagi attivi sono 809 aumentati dello 0,76%; in terapia intensiva ugualmente è dal 19 Marzo che inizia la fase calante (nuovi ricoverati 241 aumento del 10,7% – rispetto al giorno con maggior numero assoluto, il 3 Aprile, dove i nuovi ricoverati sono 15 aumento dello 0,37%). Se la considerazione fatta è giusta, l’unico valore che non segue il trend è l’indice di letalità. Al 20 Marzo infatti era pari a 8,57 e da allora continua ad aumentare fino a superare quota 14 questa settimana.
    Come si spiega? Io faccio tre supposizioni ma mi piacerebbe sentire altri pareri:
    1) In alcune zone d’Italia è circolata una mutazione particolarmente letale o vi erano condizioni ottimali per il virus;
    2) Nel conteggio dei deceduti sono contate anche quelle situazioni che in linea di massima non sarebbero dovute ricadere nel computo. In questo caso il lockdown all’italiana non è riuscito a ridurre i morti.
    3) Il numero dei contagiati è molto più ampio di quello che pensiamo. Ovvero se a fine Marzo sfuggiva alle statistiche, mettiamo, il 50% dei contagiati oggi dovrebbe essere il 75%. In questo caso il lockdown all’italiana non ha funzionato a ridurre i contagi.

    • Il mio parere è che questi dati non vanno usati in questo modo. Il tasso di letalità, come ormai sappiamo, è dato dal rapporto morti/contagiati. Ora, il denominatore, il numero dei contagiati, dicono tutti che è sottostimato, ne sono convinto anch’io ma non ho capito bene come stimarlo con una certa sicurezza. Di fatto potrebbero essere 10 volte tanto (2 milioni e spicci) o 40 volte tanto (quasi 10 milioni). Anche il numeratore è un casino: come vengono contati i morti? Qual è il senso di attribuirli tutti al virus? [WARNING: questo non significa che se il virus ha influito togliendo sei mesi di vita a qualcuno sia una cazzata che non va considerata, stiamo solo parlando del tasso di letalità.] Con una situazione del genere a che serve sapere il tasso di letalità? Io non lo capisco. Ne deduco che la tua prima domanda è del tutto slegata dalla questione. Il virus è circolato in zone d’italia, in montagna, si è indebolito,ha ucciso quelli che doveva uccidere e continua il suo sporco lavoro: semplicemente non lo sappiamo e non è pensabile saperlo prima di, boh, un anno?

      • Grazie della risposta robydoc. Ho letto ora il tuo commento nell’ultimo post dove, riferendoti all’articolo rimosso, dici “Ci sono davvero tanti argomenti inattaccabili per essere contro la gestione all’italiana, l’argomento “effetti del lockdown su contagiati (o morti)” secondo me non è tra questi e non lo sarebbe stato comunque”. Concordo a pieno.
        Nondimeno, visto che sono mesi che incolonniamo cifre su excel, secondo me la variazione del tasso di letalità andrebbe spiegata. La variazione dico e non la letalità in sé il cui valore, per le critiche che fai anche tu, vale quel che vale. In questo senso se la letalità aumenta giorno per giorno (e al contempo, dal 20 Marzo, tutti gli altri valori scendono) una spiegazione ci deve essere, sempre che non vi siano stati drastici cambiamenti nelle modalità di raccolta dei dati. La spiegazione matematica è che o diminuisce nel rapporto l’incidenza del denominatore (contagiati) o nel rapporto aumenta l’incidenza del numeratore (morti). Nel primo caso o i numeri sono più sottostimati di prima (quindi il contagio in prospettiva si è diffuso di più) o le misure adottate sono servite a prevenire il contagio solo delle fasce meno a rischio. Nel secondo caso o vi è stato un aumento di letalità effettiva del virus o le misure adottate non sono servite a ridurre i morti. Un ultimo caso che prima non avevo considerato è che i morti fossero sottostimati al 20 Marzo di circa la metà. Non dico che una di queste supposizioni sia esatta, solo che sarebbe interessante capire il motivo.

        • Immagino che conoscere il valore del tasso di letalità sia importante per calibrare le cure, per sapere se sono efficaci o no. Serve anche, credo, per capire quando è opportuno che il SSN prenda in carico un paziente; molti decessi si sono avuti perché le persone arrivavano in ospedale quando già la loro situazione era disperata (se Mattia avesse avuto 90 anni probabilmente non se la sarebbe cavata). Se entrassero in ospedale prima le terapie sarebbero più efficaci?
          Il problema poi è quello che effettivamente segnalate, ossia come avere dei numeratori e denominatori reali. Per il denominatore (contagiati), non potendo fare 60 mln di tamponi (questo tuttavia non giustifica il basso numero effettivamente fatto finora) suppongo che una soluzione sia andare a vedere il rapporto “tamponi positivi/tamponi totali” e la sua evoluzione negli ultimi due mesi (dati noti), e da lì inferire una stima per i contagi su tutta la popolazione, mentre per il numeratore (morti) si può fare ben poco se non si decide una volta per tutte (e per tutti) quale criterio adottare per conteggiarli.
          Per quanto riguarda il dubbio di tilto “o vi è stato un aumento di letalità effettiva del virus o le misure adottate non sono servite a ridurre i morti”, suppongo che le misure adottate (lockdown uguale per tutti) abbiano contribuito a far diminuire i contagi di persone non proprio a rischio, ma le contemporanee falle del sistema hanno contribuito a contagiare le categorie a rischio che poi sono finite in terapia intensiva, ma, ripeto, è solo una supposizione.

        • Tilto i motivi, come tu stesso dici possono essere i più svariati. C’è anche il ritardo di una decina di giorni, quindi ieri e oggi muiono quelli contati come contagiati una decina di giorni fa. Per rispondere anche a Marcello io non sono sicuro che sia così importante il tasso di letalità, ho provato sommariamente a ricostruire il processo decisionale in quest’altro articolo https://jacobinitalia.it/fate-parlare-gli-esperti-chi-si-deve-occupare-di-unepidemia/ e la mia convinzione è che il “problema di policy” è sempre stato il rapporto tra contagiati e capacità delle terapie intensive. Quel rapporto che secondo l’Imperial era del 30% e che in Italia non è mai arrivato al 13 mi pare.
          Quell’evoluzione di cui parla Marcello io ce l’ho nel mio bravo foglio excel, e quindi posso dirti che mentre nel momento terribile in Lombardia è arrivato al 40% (il 24 marzo era il 40,03)su base nazionale ha toccato il 23,29, lo stesso giorno. Adesso siamo al 14,72 e 7,50 percentuali che andranno sempre più diminuendo. In Sicilia siamo sotto al 3,5.Ma anche da questo è complicato inferire chissà cosa. Gli infettivologi con cui parlo io e di cui mi fido molto (anche perché appena cambiano discorso smetto di ascoltarli…) mi dicono che questa difficioltà di trovare i positivi passa anche dal fatto che un sacco di gente l’ha presa ed è guarita e quindi col tampone non la becchi più.
          Io ribadisco ancora quello che penso che succederà, magari ci azzecco:
          – si ritorna ad una certa stretta;
          – si fa finta di nulla (basta far sparire dai giornali i contagi e sei a posto);
          – si pensa ad una strategia di contrasto seria e differenziata.

          Ad inizio aprile le mie quote erano 30 alla prima ipotesi, 65 alla seconda e 5 alla terza. Oggi, direi 2, 92, e 6…

          • Grazie per le delucidazioni e per i dati che sapevo esistono ma finora non ho mai avuto la pazienza di mettermi a cercare (ce li ho solo per la mia regione, dove oggi, ad esempio, siamo sotto 1). Effettivamente non avevo pensato agli asintomatici guariti per i quali il tampone è inutile. I test sierologici saranno più utili immagino, ma i tempi…
            Le tue percentuali le varierei, rispettivamente a 20, 80, 0, perché penso che si stia innescando una “spirale” di ottimismo sulla sintesi dei vaccini che, almeno nell’immediato, fa percepire l’elaborazione di una strategia di lunga durata come inutile.

  37. Ciao Roberto, da quando è uscito il tuo articolo ci ragiono sopra e seguo la discussione. Avrei in realtà voluto formulare delle critiche ;-) ma poi mi è capitata sotto gli occhi una vicenda su cui la tua interpretazione (e parte della discussione anche tecnica sui modelli) mi sembra calzare come un guanto, quindi la racconto, scusandomi in anticipo per alcune parti simil-tecniche e la lunghezza. Una fisica tedesca, Viola Priesemann, pubblica con il suo gruppo su Science un modello, basato sul solito SIR a eq. differenziali ordinarie, di cui determinano i parametri tramite inferenza bayesiana (che ci capisco fino a un certo punto, magari qualcuno esperto lo può giudicare meglio): https://science.sciencemag.org/content/early/2020/05/14/science.abb9789
    Mi sembra di capire che il modello completo, descritto più in dettaglio nella sezione di materiali e metodi, contenga otto parametri. La mia sensazione di pancia è che con otto parametri puoi modellizzare quello che ti pare a scelta dal menù del giorno. Loro lo usano, guarda caso, per dimostrare che le misure del governo tedesco hanno avuto effetti positivi – cosa che io, per inciso, penso sia anche vera, ma il pinto è se il modello ne sia davvero la dimostrazione. Lo fanno identificando tre “change points” coincidenti con l’introduzione di tre pacchetti di misure successivi (analoghi ai nostri DCPM) in cui i parametri (velocità di propagazione e altro) cambiano il loro valore. L’argomento centrale è che questi tre “change points” permettono un fit migliore di un modello con un solo o due “change points”, quindi, questa la conclusione, le misure hanno influito sull’andamento. Per i parametri viene comunque in ogni fase considerato non un valore unico ma una distribuzione, questo a mio parere aumenta ulteriormente i gradi di libertà del modello a tal punto mi chiedo proprio quale ne sia il valore descrittivo e predittivo. (continua)

    • Ma fin qui sarebbe ancora normale amministrazione per i fisici teorici che anche loro porelli devono portarsi a casa la pagnotta. La cosa interessantissima è che lo stesso giorno dell’uscita del paper su Science (15 maggio per un articolo presentato il 21 aprile, peer-review con il turbo) esce un’intervista su Die Zeit, dove la scienziata dice tante cose ragionevoli e spiega che si sarebbe però dovuto aspettare a riaprire:
      https://www.zeit.de/amp/wissen/gesundheit/2020-05/corona-massnahmen-lockerungen-coronavirus-eindaemmung-viola-priesemann. Cita varie ragioni. Una interessante è questa: attualmente è stata stabilita una soglia di max. 50 nuove infezioni a settimana ogni 100.000 abitanti per una circoscrizione. Le circoscrizioni che superano questa soglia devono reintrodurre limitazioni. Secondo lei questi 50 sono troppi, perché, conoscendo la soglia, i cittadini potrebbero appositamente evitare il test, per non rischiarne il superamento e le conseguenti restrizioni! La sua affermazione e il suo timore non hanno un legame diretto con il modello ODE+Bayes di cui è autrice, sono speculazioni sul comportamento delle persone. E contraddittoria è la sua conclusione che questa soglia di 50 dovrebbe essere ridotta a un numero inferiore, perché secondo me in questo caso l’effetto da lei temuto diventerebbe maggiore e non minore. In aggiunta, la Priesemann afferma che nel numero delle infezioni che devono restare sotto la soglia non andrebbero conteggiate quelle nei cluster facilmente rintracciabili, come p.e. le fabbriche, e questo proprio nel momento in cui i cluster che si stanno scoprendo in Germania sono nelle grandi macellerie industriali in cui sono impiegati operai dell’est europeo in condizioni abitative e lavorative precarie. L’impianto logico di queste affermazioni mi risulta oscuro. (continua)

      • Poi altri due punti significativi: 1) La Priesemann dice più o meno: “La Germania dovrà riaprire le frontiere, ma solo a quei Paesi che abbiano una densità inferiore di contagi”. Sembra logico, ma sarebbe interessante chiedersi perché quei Paesi dovrebbero a loro volta riaprire alla Germania, che ha più contagi? Se ogni paese applicasse questo criterio, nessuna frontiera verrebbe riaperta. 2) Considerando il periodo di latenza di circa 14 gg, lei assume che, nel momento in cui scoprissimo un nuovo aumento dei contagi, potremmo essere già nel pieno di una fase di ricrescita esponenziale e ritrovarci in men che non si dica con un numero altissimo di contagi “covati” nel blind spot dei dati delle due settimane precedenti. Questa sua visione non tiene conto del fatto che, anche considerate le riaperture, la situazione attuale è completamente diversa da inizio marzo. La gente è consapevole dei rischi, c’è obbligo di mascherine nei mezzi pubblici e negozi, le scuole lavorano in piccoli gruppi, la Bundesliga gioca senza spettatori, ecc. Quindi è molto più probabile che, se si misurasse una ripresa dei contagi, ci sia tempo di riaggiustare le misure per riprendere il controllo della situazione. Qui so che tocco un nervo scoperto perché non tutti qua dentro sono d’accordo con me sulla sensatezza di questo approccio di controllo, ma mi sembra importante sottolineare che sarebbe almeno possibile, mentre la scienziata presenta la situazione come se un nuovo aumento potesse far riprecipitare la Germania dall’oggi al domani indietro di due mesi e mezzo. Ora ho tralasciato diverse cose giuste e interessanti che lei afferma, non la accuso di incompetenza, ma certi passaggi li trovo poco solidi logicamente nel senso descritto da te per alcuni scienziati italiani. Poi così all’unica scienziata donna citata nel tuo pezzo almeno se ne affianca un’altra.

        P.S. Ultima osservazione, forse pedante: non mi sembra corretto dire “la velocità di R”, perché quello di cui stai parlando è R stesso e non il suo tasso di variazione. (fine)

        • Ciao, per quello che ho capito io del modello ISS-FK, a diversi livelli di consapevolezza (“maggiore precauzione degli individui in termini di distanziamento sociale, generata dalla parziale consapevolezza dei cittadini dei rischi epidemici”) vengono associati scenari con il tasso di trasmissione ridotto del 15%, 20% e 25%.
          Ho visto anche questo articolo di Battiston, http://archive.is/Pg7EQ , dove mostra che il sistema di controllo è riuscito a identificare e limitare un nuovo focolaio nel Molise. Non penso che i modelli riescano a tenere conto di queste azioni di contenimento, che isolando i contagiati riescono a ridurre la diffusione in sottoinsiemi della popolazione. Forse queste azioni puntuali sono possibili solo in zone non densamente popolate.

    • Viola Priesemann! miiiii non ci posso credere! Siamo andati per qualche anno agli stessi congressi la conosco abbastanza forse un commento ad personam per una volta è interessante. Rosa da una ambizione elettrica che rendeva quasi impossibile parlarci e attenta a buttarsi sempre sul tema più alla moda, convinta come tutti i fisici teorici di poter studiare tutto. Evidentemente la strategia ha pagato, se ha pubblicato su Science ha vinto. Anche in contesti tipo cene e pause caffè non l’ho mai sentita parlare di altro che di scienza, anzi di accademia. A una prima lettura il paper mi sembra fatto bene ma le estrapolazioni politiche a latere mi sembrano le più compiacenti con le politiche in vigore che se potevano trarre, il che è in linea con il personaggio. Non esattamente il mio modello di scienziato.

  38. Intanto grazie per aver letto con tanta attenzione. Ho sempre pensato che i post di Giap siano spunti per una discussione più che delle conclusioni e direi che quello che sta avvenendo in questi giorni è un ulteriore dimostrazione.
    La tua ricostruzione mi pare perfetta nell’analizzare i vari livelli di discorso della stessa persona, forse una differenza con il mio “focus” è che mi pare di capire che tu abbia dei dubbi anche sul campo specifico dell’esperto, ma naturalmente è un dettaglio. Per quello che volevo dire io per me è meglio basarsi su esperti che almeno sulle propri cose siano molto convincenti, in modo da far risaltare meglio la “schizofrenia”. I modelli per dire, do per scontato che siano eleganti e precisi, anche se il breve scambio con Tuco sopra mi ha fatto sorgere dei dubbi. Che per fortuna non tocca a me risolvere :-)
    Ovviamente invece hai ragione sulla “pedanteria”. Quella “velocità” chissà da dove è saltata fuori nel mio pc, me ne scuso.

  39. Forse mi sono voluta esprimere in modo troppo colorito, non sono nella posizione di sollevare obiezioni sulle competenze del gruppo e sulla validità della pubblicazione, il modello è sicuramente concepito e usato correttamente, io poi di certo non l’ho smontato col cacciavite. Sono incerta solo sulla possibilità di usarne i risultati per arrivare a delle conclusioni sull’efficacia delle misure, quindi sul livello dell’interpretazione del modello. Mi sembra di vedere qua un esempio in cui al risultato numerico delle equazioni si voglia far dire di più di quanto in realtà contenga. È un dubbio che non riguarda solo questo modello in particolare: la disinvoltura con cui giocando sui parametri si riescono a tirare fuori ogni tipo di serie temporali è a mio avviso un problema generale dei modelli complessi (lo diceva qua sopra pm2001, mi sembra).

    Tu scrivevi che i modelli “possono essere particolarmente raffinati ma sono buoni per discussioni seminariali non certo per prendere decisioni”, io non sarei così tranciante, ma dei dubbi sull’interpretazione dei risultati li ho anche io.

    In ogni caso, come dici tu, il punto centrale anche per me era un altro e cioè la commistione dei livelli del discorso, rappresentata emblematicamente dalla scienziata che fa uscire in contemporanea un articolo altamente specialistico su una rivista scientifica e un’intervista sul sito online di un giornale ad ampia divulgazione in cui a mio avviso esprime pareri molto soggettivi e incorre in errori logici.

    Per rispondere anche a pm2001: non saprei confrontare direttamente con il modello ISS-FK, quello che leggo qua nel paper di Science è che stimano un calo del tasso di contagio al 50% con “mild social distancing” e al 10% con “strong social distancing”. Questo parametro però non è il numero di riproduzione di base, ma credo semplicemente il fattore di crescita assumendo un andamento esponenziale, ma qui si va troppo sul tecnico e non ho studiato l’articolo così approfonditamente per addentrarmi.

  40. A proposito di comunicazione. Se qualcuno volesse chiarire perché io sono profana di interpretazione di numeri e grafici e statistiche. La settimana scorsa Selvaggia Lucarelli su Tpi intervistava prof. Galli e questi sentenziava che il Covid in Italia non circolava da Dicembre. Oggi su Il fatto quotidiano un articolo ( visibile solo se sei sostenitore) cita uno studio della Statale, del Sacco e del Policlinico secondo il quale il citato virus circolava nell’area metropolitana di Milano già a Dicembre scorso e che il numero dei contagiati è superiore di almeno 230.000 unità ( credo di ricordare questi numeri ma non riesco a leggere il testo, per cui vado a memoria da quanto estrapolato dall’anteprima del mio smartphone) rispetto alle stime ufficiali. Ma in tutto ‘sto marasma come si fa ad avere punti fermi? È ovvio che a maggior ragione di debba mettere in discussione TUTTO della gestione dell’emergenza. Quanto teatro abbiamo visto…

    • Mandragola, secondo me ho ragione io :-) All’inizio e alla fine del post che stiamo commentando ci sono le “chiavi”. All’inizio invito a segnarsi le cose che si sanno con certezza. Si può aggiungere molto poco: il SARS-CoV-2 appartiene alla famiglia dei corona-virus; la forma delle proteine sulla superficie del virus è nota; l’intero genoma è noto. Nient’altro.

      Alla fine dico che su tutto il resto brancoliamo nel buio. Non sappiamo perché prende gli anziani, perché in alcune zone si e alcune no, quando è cominciata, eccetera eccetera

    • Ciao, penso che l’articolo a cui si riferisca FQ sia questo:
      https://www.medrxiv.org/content/10.1101/2020.05.11.20098442v1 (in preprint)
      Hanno analizzato il sangue donato (campione statistico casuale) tra il 24 febbraio e 8 aprile, trovando che circa il 4% dei donatori era già venuto in contatto con il virus alla data del 24 febbraio. All’inizio di aprile invece si parla del 7%. Nelle conclusioni affermano solo che il virus era circolante a Milano già il 24 febbraio, senza dire nulla sulla data di ingresso.
      Il lavoro di Galli dove si fanno affermazioni sulla data di ingresso è:
      https://www.medrxiv.org/content/10.1101/2020.03.15.20032870v1 (già pubblicato)
      dove studiano il codice genetico di 3 pazienti e stimano che *quel* virus con cui sono stati infettati sia arrivato in Italia a fine gennaio-inizio febbraio (credo che questa affermazione non possa escludere che altre copie del virus siano entrate prima o dopo).
      In entrambi i lavori Galli è coinvolto. Non viene specificato se un virus entrato in Italia a fine gennaio potrebbe essersi diffuso in quel modo tra i donatori di sangue (4% in un mese), probabilmente ora qualche epidemiologo potrà controllare con dei modelli, i risultati noi li leggeremo tra 1-2 mesi.
      E’ vero che ci sono pochi punti fermi, le informazioni stanno arrivando di mano in mano che le osservazioni vengono completate/analizzate e per avere un quadro chiaro di quello che è successo probabilmente che ci vorranno ancora molti mesi. Alcune informazioni le avremo solo tra un anno, con le osservazioni demografiche di tutto il 2020.

      • Aggiungo che in ogni caso non siamo fermi a tre mesi fa, né dal punto di vista medico, né in quello diciamo di sanità pubblica. Leggevo ieri un post di Silvestri – che tutto sommato è stato abbastanza equilibrato in tutta la vicenda, anche se si è ben guardato dal criticare il governo in questi due mesi – che sembrava essere scritto da un giapster (tra le altre cose diceva chiaramente che è impossibile sapere se il lockdown ha funzionato o meno. In sostanza diceva che anche se i contagi dovessero tornare a salire è impensabile che il virus trovi la stessa impreparazione: le terapie anit-virali e anti-infiammatorie con una discreta efficacia; il plasma pare funzioni abbastanza; alcuni vaccini pare promettano bene; poco o tanto un po’ di immunità in giro c’è. Tutto questo dovrebbe contribuire ad evitare tassi alti di letalità (di nuovo: qualunque essi siano, perché non questo non lo sappiamo).
        Dal punto di vista delle politiche sanitarie si dovrebbe aver capito che movide e passeggiate c’entrano pochino, che nelle RSA meglio non mandare nessuno, che i dispositivi di protezione dei medici sono fondamentali. Questo ovviamente non significherà che se mai dovesse servire a qualcosa (non certo a contrastare il virus) si potrà rifare tutto come prima (ma a me pare che le probabilità siano molto, molto basse).

        • Chiedo scusa per il doppio invio ma ci tenevo a ricordare una cosa: nessuno ancora sa cosa diavolo sia successo VERAMENTE. Perché alcune zone sembrano immuni e altre no; dove e come VERAMENTE si infetta la gente (sembra per esempio che tu debba stare almeno una decina di minuti e al chiuso con un infetto); perché alcuni manco se ne accorgono e altri muoiono. Dal punto di vista sociologico questa NON E’ un’epidemia unica, ma una serie di medio/piccole epidemie che, l’abbiamo ormai ripetuto tante volte, avrebbe necessitato di un approccio differenziato.

        • Ho letto anch’io il post di Silvestri e penso abbia utilizzato un’allegoria efficace, quella della nave (la società) che si trova tra due scogli: da una parte il virus, dall’altra la chiusura. Due scogli, perché entrambi comportano rischi, anche soltanto dal punto di vista sanitario. Sulla scorta di quella metafora, Silvestri parla del fatto che d’ora in avanti possiamo e dobbiamo navigare con un radar migliore (monitoraggio e sorveglianza epidemiologica), rafforzare lo scafo della nave (preparazione delle strutture ospedaliere, del personale, delle RSA…) e ammorbidire lo scoglio (terapie efficaci, vaccino, mezzi per isolare gli infetti). Nel valutare la pericolosità dei due scogli, per traguardare meglio la rotta, Silvestri dice che, in questo momento e probabilmente anche in futuro, la chiusura (con le sue conseguenze sulla salute e la sanità pubblica) è più pericolosa del virus e che nel ponderare la pericolosità del virus, non dobbiamo affidarci sempre e soltanto al “worst case scenario”. Non possiamo darci come obiettivo un “rischio zero”, perché il “rischio zero” non esiste, altrimenti smetteremmo di andare in automobile e via così. Tutto molto condivisibile. Eppure, ci sono passaggi più spinosi e ambigui, come quando dice che il rischio zero non esiste nemmeno per “lavoratori di aziende strategiche che non hanno mai chiuso (persone non tutte giovani)”. Qui il discorso sembra essere: siccome a lavorare si rischia sempre un tot, e mai zero, allora il rischio-virus è accettabile, specie per i lavori strategici. Credo quindi che svariati giapster insorgerebbero contro il post di Silvestri, dicendo che “vuole riaprire le fabbriche” – e nel suo caso penso ci siano più elementi, per sostanziare una critica del genere, di quanti ce ne fossero nell’ormai famigerato articolo pubblicato qui.

          • Nel leggere l’intervista al prof. Silvestri anche io pensato che il passaggio sul rischio nei luoghi di lavoro fosse il punctum dolens della sua analisi, però ho trovato la posizione espressa decisamente più lucida e meno emotiva di quelle di altri medici/ scienziati. Per curiosità sono andata a sbirciare il commento di Sua Eccellenza Burioni nel suo Medical facts.
            Una nota di colore che vorrei segnalare perché mi ha strappato una risata: Tarro, tramite l’avv. Taormina, ha querelato Burioni. Al netto degli aspetti serissimi della pandemia, questo è puro avanspettacolo.

          • A me la cosa che ha convinto di più – e mi dispiace non avere inserito queste cose sul post – è la denuncia del mancato worst scenario su uno dei due scogli, quello della chiusura, che sostanzialmente è quello su cui ragioniamo qui da mesi. Sembra davvero che abbia letto Giap in questo periodo, soprattutto quando elenca gli effetti collaterali del lockdown: la peggiore gestione sanitaria delle altre malattie; danni psicologici provocati dall’isolamento; danni provocati dalla crisi finanziaria; bambini e adolescenti dalla vita sconvolta con i problemi relativi alla fragilità cognitiva ed emotiva; la discriminazione della DAD. Cita persino Ioannidis – quella parte a me pare di averla letta solo su Giap, ma magari in inglese c’è altrove, per quello che vale.
            Poi, come dici tu, non è netto sulla questione delle fabbriche, dando per scontato quello che per noi qui sappiamo essere il vero problema: la sicurezza di chi va a lavorare. Per questo i giapster insorgerebbero, credo. (nessuna intenzione di aprire un altro fronte ovviamente…)

            • In effetti questa è stata una grave pecca ( non di robydoc) ma di chi in Italia ha gestito e sta gestendo la situazione. È risaputo che quando chiedi ad un medico perché dovresti assumere un dato farmaco o sottoporti ad un trattamento o ed un esame diagnostico invasivo ti senti semite rispondere: “ bisogna guardare al bilanciamento tra rischio e beneficio”. Invece pare che questa sintesi non sia proprio avvenuta. La prospettiva è stata univoca. Ecco perché anche io trovato molto efficace l’immagine del vascello tra due scogli.
              Segnalo anche questa intervista che contiene qualche spunto interessante.
              https://archive.is/eL4xS

            • E per certi versi, sembra ispirata a Giap e al nostro post sul «Mao Dun» anche l’immagine dei due scogli: per evitare uno, rischi di infrangere la nave sull’altro. Evidenziando i pericoli dell’uno, passi per uno che nega i pericoli dell’altro. E per considerarli entrambi, rischi lo strabismo. Il che forse significa che dobbiamo superare anche questo dualismo (e mi viene in mente il post sull’ammalarsi di paura, con la sua critica al sistema cartesiano).
              Dire che il virus e la chiusura sono entrambi “scogli”, cioè rischi concreti, serve in effetti anche a questo, a non considerarli come due problemi di natura completamente distinta, uno materiale/scientifico (il virus) e uno sociale/simbolico/percettivo (la chiusura – che ci fa star male, ma solo “nello spirito”, perché siamo ancorati a un certo stile di vita). Entrambi invece hanno conseguenze che riguardano i due aspetti, perché società e natura non sono ingredienti del mondo che possiamo distinguere e seprare con chiarezza.

          • Allora vado un po’ controcorrente sull’interpretazione di quel passaggio, dal mio punto di vista “privilegiato” di operaio metalmeccanico relativamente giovane (sono coetaneo proprio di Wu Ming 2, se non sbaglio).

            Ho letto anch’io il bel post di Silvestri e l’ho anche girato ai miei amici “catastrofisti” su WhatsApp. Ho ricevuto in tutto una risposta tendenzialmente positiva, da parte di un amico insegnante di scienze alle medie, che nelle sue lezioni fa spesso riferimento alla pagina divulgativa di Silvestri su Facebook; e una risposta tendenzialmente negativa, dall’amico forse più pessimista di tutti, che dell’intero discorso isolava l’ipotesi di confronto tra la Georgia e la Lombardia, con densità di popolazione non paragonabili. Ognuno ha il proprio evidenziatore incorporato, lo sappiamo.

            Tornando al mio punto di vista sul “rischio zero” per i lavoratori, io leggendo quelle parole ho pensato a una battuta che uso spesso per rispondere a chi mi mette in guardia dai rischi (limitatamente a quelli per la salute) di un consumo eccessivo di carne. Ovvero: per pareggiare su quel versante i rischi per la salute che corro anche solo respirando quello che respiro in fabbrica, nell’arco di decenni, credo che dovrei mangiare carne di operaio.

            E chissà perché nessuno divulga mai le statistiche sull’aspettativa di vita per categoria professionale, che pure esistono.

            Non sto certo dicendo che sia giusto così, sia chiaro. Anzi. Ma è così. Il rischio va valutato correttamente, ma per valutarlo correttamente va anche rapportato a una soglia basale (tutto ‘sto leggere di influenza mi si è attaccato addosso e non se ne andrà tanto facilmente). Quindi, o davvero ci poniamo l’obiettivo di cambiare il lavoro alla radice, che è sacrosanto e primario per chiunque si definisca comunista, oppure le cose stanno esattamente come dice il post: possiamo e dobbiamo pretendere misure di sicurezza specifiche e adeguate, possiamo e dobbiamo pretendere ammortizzatori sociali nel caso si dovesse chiudere di nuovo (o davvero), ma non possiamo pretendere di arrivare al “rischio zero” sul lavoro più di quanto possiamo pretenderlo per la circolazione stradale.

  41. E’ uscito uno studio dell’INPS sulla mortalità in tutta Italia fino al 30/4.
    https://www.inps.it/docallegatiNP/Mig/Dati_analisi_bilanci/Nota_CGSA_mortal_Covid19_def.pdf

    Queste le premesse dello studio:
    “Il periodo che stiamo attraversando ha svariate ripercussioni sulla mortalità sia in negativo che in positivo. Pensiamo ad esempio alle persone che muoiono per altre malattie, perché non sono riuscite a trovare un letto d’ospedale o perché non vi si sono recate per paura del contagio, oppure alla riduzione delle vittime della strada o degli infortuni sul lavoro per il blocco dell’Italia. Poi ci sono interrogativi su come sono realmente distribuiti i morti in relazione all’età e al sesso. In questo contesto si vuole dare un contributo basandosi sui dati relativi ai decessi che affluiscono regolarmente all’Istituto e che risultano disponibili negli archivi amministrativi (“Anagrafica Unica”) aggiornati al 30.04.2020.”

    A livello europeo è interessante il sito https://www.euromomo.eu
    “EuroMOMO is a European mortality monitoring activity, aiming to detect and measure excess deaths related to seasonal influenza, pandemics and other public health threats.”

    • Grazie per i dati. Al di là di un confronto col grafico dell’articolo rimosso, essi ampliano e confermano quelli dell’Iss già postati. Molto interessante la tav. 5 (p.14): dal I gennaio al 30 aprile 2020, in tutto, 4mila morti in meno nel centro-sud rispetto alla media 2015-2019 dello stesso periodo (contro i 13mila in più del centro-nord).
      L’Inps però legge tutti questi dati a vantaggio del lockdown all’italiana, perché:
      – si concentra solo sul marzo-aprile, ignorando la netta diminuzione del gennaio-febbraio, che non è problematizzata (-10mila morti in tutt’Italia: non è che alcuni di essi siano stati conteggiati solo nei due mesi successivi? Ipotesi ad oggi indimostrabile, ma forse da tenere in considerazione);
      – suggerisce, senza argomentazioni rigorose, che è grazie al lockdown se la mortalità al centro-sud non è aumentata. Se la Puglia, infatti, ha visto più morti, è perché “regione interessata dai maggiori rientri dal nord” prima del lockdown (p.9): così scrive l’Inps senza addurre dati;
      – non distingue infine, di fatto, fra decessi per e decessi con COVID, aumentandone l’incidenza sulla mortalità (che pure è stata molto rilevante, ovviamente).

      • Scrivo qui solo per scusarmi molto rapidamente dell’errore nel post dell’articolo eliminato. Ha ragione Querulo: ai dati riportati si deve aggiungere uno zero finale per avere un numero verosimile (perché ho letto trentamila, invece di tremila).

        Il discorso, comunque, rimane ovviamente esattamente lo stesso, solo con un grado di evidenza minore. Perdonate il parziale OT ma era per me doveroso specificare. Non pubblicherò più dati dell’Iss né di altri, essendo ormai conclusa l’emergenza, come tutto lascia credere, e anche per evitare un’infinita serie di commenti. Grazie

    • La cosa curiosa del rapporto INPS è che le buone intenzioni espresse in partenza (Pensiamo ad esempio alle persone che muoiono per altre malattie, perché non sono riuscite a trovare un letto d’ospedale o perché non vi si sono recate per paura del contagio, oppure alla riduzione delle vittime della strada o degli infortuni sul lavoro per il blocco dell’Italia.) spariscono nelle conclusioni, quando pure il rapporto ISTAT aveva suggerito che la differenza tra i morti registrati dalla protezione civile e lo scarto reale dal valore atteso potesse essere dovuto appunto ad “una mortalità indiretta non correlata al virus ma causata dalla crisi del sistema ospedaliero nelle aree maggiormente affette (…)”.Faccio notare en passant che queste morti sarebbero sostanzialmente da addebitare al lockdown più che al virus, ma lasciamo perdere. Il capolavoro è quello notato da Deantonio, con Milano evidentemente assediata da pugliesi ma non da siciliani o campani (o forse quest’ultimi si sono sacrificati, va a sapere). Il Manifesto naturalmente non aspettava altro.
      Comunque quel sito, pm2001, è fantastico, non riuscirò più a farne a meno!

  42. Credo che tra le ragioni che spingono gli scienziati all’esposizione mediatica si deva aggiungere, al di là dell’umana debolezza citata nel testo, anche l’influenza delle politiche di gestione della scienza di stampo produttivistico/di mercato. Da anni ormai gli scienziati vengono spinti alla competizione tra di loro per poter sperare di accedere ai pochi fondi disponibili per didattica e ricerca. La selezione degli scienziati ‘eccellenti’ si fa sulla base di ‘prodotti’ contabilizzati, e in tutto ciò la visibilità mediatica gioca un ruolo non indifferente.
    Questo contesto di gestione della ricerca spinge gli scienziati a cercare l’esposizione mediatica anche a scapito della qualità della comunicazione. I tempi rapidi, imposti dalla logica dei media e dai calendari serrati delle valutazioni di qualità della ricerca e degli appelli a progetto per accaparrarsi i fondi, sono spesso incompatibili con l’esigenza di riflessione di una ricerca, e dunque di una comunicazione della ricerca, di qualità. Inoltre, il bisogno di essere identificati come ‘star’ del proprio settore per ricevere finanziamenti spinge gli scienziati a privilegiare nel processo comunicativo il sensazionalismo e l’affermazione di conoscenza a una rappresentazione corretta del loro lavoro che invece fa i conti continuamente con incertezze, limiti di applicabilità dei modelli …
    Senza averne la certezza, penso che tutto ciò possa avere avuto un ruolo anche negli strafalcioni mediatici visti durante l’emergenza Covid-19. Alcuni scienziati, abituati a lavorare nel contesto attuale di comunicazione degradata dalla politica di gestione della ricerca, potrebbero aver visto nella crisi l’occasione per attirare su di sé l’attenzione necessaria per ottenere i fondi lungamente agognati. Questo elemento ovviamente non assolve dalle loro responsibilità gli ingobbiti etc. etc. (di cui confesso di fare parte), ma piuttosto mostra, secondo me, che il problema è almeno in parte sistemico e non solo il frutto di debolezze o manchevolezze individuali.

    • Condivido la tua sensazione sul possibile ruolo dell’attuale modello di valutazione della ricerca, che ha instaurato delle condizioni formali in cui l'”autorità” di uno scienziato può essere capitalizzata in termini di carriera o finanziamenti. In questo contesto degradato non si può escludere che certi fallimenti comunicativi non si trasformeranno in successi nei prossimi bandi nazionali.
      Infatti nell’ultimo (e unico negli ultimi 5 anni) bando per progetti di ricerca del ministero (391 milioni euro, PRIN 2017), la valutazione ha avuto una fase di preselezione dove non è stata presa in considerazione la sostanza della ricerca proposta, ma la sola “reputazione” del proponente:
      a) indicatori bibliometrici
      b) riconoscimenti ricevuti a livello nazionale e/o internazionale
      c) precedente acquisizione di finanziamenti di ricerca su base competitiva

    • Tutto questo è vero anche – forse soprattutto – nelle scienze sociali. Se guardiamo A e B indicati da pm2001 vediamo quanto la “fama”, la capacità di intrecciare relazioni sia fondamentale. La giustificazione dei riconoscimenti internazionali è vagamente correlata all’importanza delle ricerche, e dall’essere conosciuto dipende il numero di citazioni (l’indicatore bibliometrico). Se il mio oggetto di studio è il potere in una comunità o rendo il tema scandalistico, in modo da poter attrarre i media così da ampliare la mia notorietà facendo arrivare i miei risultati lontano dall’università di appartenenza o rimango in una nicchia, non sarà mai la forza della ricerca in sé a “sfondare”. E già il “potere” è un tema spendibile, figuriamoci altri lavori ancora più specifici. In un contesto degradato come quello universitario, in cui i processi di selezione sono peggio di come si possa immaginare, il tutto è devastante. Forse alcune di queste “strategie” indicate da barbagigio sono in buona fede, probabilmente è una delle caratteristiche che nel XXI secolo sono richieste a chi vuol rimanere all’università ma fatta salva la doverosa pietas per chi si trova ingarbugliato in questi meccanismi, uscrine in questo modo, cioè con le strategie individualistiche, ha poco senso. Non mi aspetto chissà cosa e altri contesti non sono certo migliori – quello che sta succedendo tra i docenti delle scuole è incredibile, con la loro corsa all’adeguamento – ma secondo me la levata di scudi di quelli “ma io ce l’ho fatta perché sono brav*” a difesa dell’istituzione è parte, e neanche tanto piccola, del problema.

  43. Questo è un punto fondamentale secondo me. L’università e la ricerca esistono da prima del capitalismo, ma oggi il capitalismo ha infiltrato la scienza e le ripercussioni sono devastanti.
    I dettami del mercato capitalista (“concorrenza, accumulazione, massimizzazione del profitto e aumento della produttività del lavoro”) danneggiano l’integrità scientifica e la ricerca collettiva della conoscenza.
    Un articolo secondo me interessante a proposito di scienza e capitalismo.
    https://www.jacobinmag.com/2018/07/capitalism-science-research-academia-funding-publishing

  44. Segnalo questo passaggio dall’ultima “pillola” di ottimismo di Guido Silvestri:

    <>

    Ora, Silvestri è quasi inattaccabile, perché è lui e anche perché, tra le altre cose, come ricorda scusandosi in maniera paracula per l’errore, aveva previsto lo svuotamento dei reparti di terapia intensiva al 31 maggio già sei settimane fa. L’errore, per la cronaca, è che i ricoverati in TI sono scesi solo del 90%.
    Ma a prescindere dal caso Zangrillo, che comunque se ha dei dati in mano potrebbe essere pure Mengele e avere ragione lo stesso, il tiro al piccione nei confronti di chiunque dia notizie minimamente positive è inquietante. Non è soltanto la legittima diffidenza nei confronti di una comunicazione ambivalente. C’è di più. Siamo al paradosso per cui tantissima gente si sente sicura solo se terrorizzata.

    • Il passaggio è questo:

      Come detto molte volte, la principale ragione di essere ottimisti davanti a COVID-19 è che abbiamo, grazie alla scienza, gli strumenti per conoscerlo e bloccarlo. Questa consapevolezza dà grande serenità di fronte al virus, ma anche di fronte a chi cerca di strumentalizzare quello che diciamo su questa pagina. In particolare mi riferisco alla gazzarra creatasi attorno a certe affermazioni un po’ “ruspanti” del collega Zangrillo.

      All’insegna di questa grande serenità rimando rapidamente al mittente le strumentalizzazioni di questo episodio che vengono da:

      -la squinternata congrega dei “complottisti nano-ciambotti” (lascio a voi l’etimologia di questo neologismo), quelli secondo cui COVID-19 non esiste, e se esiste è una malattia più lieve dell’influenza, ma il virus è stato creato in laboratorio come arma biologica per sterminare l’umanità (ma allora esiste? e se è lieve che arma biologica è? Boh).

      -la più sofisticata ma ugualmente fastidiosa cricca dei “catastrofisti ad oltranza”, quelli che se metti in dubbio i loro dogmi “dai spago ai negazionisti”, e sembra che gli dispiaccia che il virus se ne stia andando. Tanto che poi ti fanno venire alla mente qualche ipotesi un po’ malignetta sulle vere ragioni dietro la loro inossidabile ritrosia per ogni speranza.

  45. Mentre negli USA è scoppiata la più grande ed estesa insurrezione dai tempi di Malcolm X, e in tutto il mondo i compagni scendono in piazza in solidarietà e sostegno agli insoti americani, in Italia le piazze sono vuote, o al più sono mezze piene di fascisti di lotta o di governo, un circo che va dal generale Pappalardo a Salvini&Meloni. Ma i compagni in Italia no, in piazza non ci vanno. Ormai sono intimamente convinti che la lotta di classe si debba fare dal balcone, che comunismo=hikikomori+netflix. Vedono i fasci in piazza e l’unica cosa che hanno da dire è che si assembrano, oppure che non sanno indossare correttamente le mascherine. E però poi si esaltano con le immagini di Minneapolis, dove le mascherine sono indossate in maniera sciatta, e le distanze di sicurezza non sono rispettate (è difficile fare un un riot mantenendo le distanze di sicurezza, molto difficile). E’ questo il bellissimo risultato ottenuto da chi ha passato 100 giorni a gridare “aaargghhh!!11! agamben!!!11!” addosso a chiunque facesse notare che il virus si contrasta con le medicine, non coi carri armati nelle strade.

    • Condivido anche le virgole. E’ quello che sto bofonchiando da giorni, tra una bestemmia e l’altra, leggendo i c******* su Facebook, Twitter e l’altro coso curioso. Ce ne sono diversi che hanno proprio invocato la repressione poliziesca nei confronti dei fascisti in piazza, e nemmeno in quanto fascisti, ma proprio per la violazione delle norme anti Covid-19. Il delirio. Per fortuna ho letto anche risposte di gente irritata che invitava ad andarli a cacciare via a calci in culo, i fascisti, e a riprendersi le piazze. Che poi “riprendersi”… chi le ha mai avute? In ogni caso non si può, Bergamo-Minneapolis è un match impari.

  46. “Siamo al paradosso per cui tantissima gente si sente sicura solo se terrorizzata” ( Isver)
    ” Mentre negli Usa è scoppiata la più grande ed estesa insurrezione dai tempi di Malcolm x”. ( Tuco)
    Sono due constatazioni che fanno a pugni, rilevando le contraddizioni sollevate da questa situazione. In Italia, aleggia il terrore a mezzo stampa da tempo immemore: si è solo spostato da una questione ad un’ altra ( dal decoro al virus, ed anche la strategia di contrasto al virus ha assunto infatti le sembianze della lotta contro il degrado, e sempre per ottenere il medesimo scopo: il controllo della popolazione), in America il virus è stato per innumerevoli motivi ( relativi alle possibilità di intervento della sanità pubblica) minimizzato dallo stesso establishment al punto da essere considerato,dalla popolazione, come fattore secondario rispetto alle discriminazioni razziali e alla lotta di classe, che si sono fortemente acuite, che tanto se non muori senza cure, vieni ammazzato per strada dalla polizia e muori di fame, senza lavoro. Tornando dalla passeggiata dal contrafforte pliocenico, con Lucie e Stefano, ci siamo chiesti perché in Italia nessuno protesti. Come se il virus del terrore, che è un paravento per giustificare l’ inazione, fosse stato inoculato alla nascita o come se fosse stato formulato un malefico incantesimo sulla popolazione italiana… Oppure, semplicemente, la posta in gioco non è ancora troppo alta, anche se invece è già altissima. Ma esiste ancora, e forse per poco, uno “stato sociale familiare” parallelo e in grado di attutire i colpi della povertà di massa. E l’ italica sinistra dorme all’ ombra di questo paravento, satura di chiacchiere pseudo rivoluzionarie (che, all’ occorrenza, diventano addirittura reazionarie) che si esauriscono quando c’è veramente bisogno di passare all’azione. Come ricordato dagli amministratori del blog, il sei giugno ci sarà un’ altra assemblea pubblica per la scuola, sarebbe bello se il seguito spontaneo della passeggiata fosse quell’ appuntamento.

    • L’epidemia a Minneapolis è passata in secondo piano per motivi abbastanza evidenti. Ci si trovava peraltro in una fase discendente dell’emergenza e tutte le attività commerciali stavano riaprendo. Il governatore del Minnesota non aveva mai minimizzato. Aveva fatto appello al senso di responsabilità dei cittadini, che erano stati invitati a praticare il social distancing, e tra mille critiche aveva fatto chiudere scuole, parchi, musei, biblioteche e tutti gli esercizi commerciali. Decine di migliaia avevano fatto richiesta del sussidio alla disoccupazione. Si contava sulle riaperture che dovevano avvenire durante lo scorso weekend. È in questo contesto che di colpo si è inserito l’omicidio di George Floyd. Detto questo, io credo che la posta in gioco, qui, si trovi su un piano completamente diverso dalla situazione italiana. Razzismo sistemico e brutalità della polizia, povertà, gente che vive una vita senza poter accedere a neanche un minimo di assistenza medica. Dipendenze, famiglie piene di problemi. Enough is enough. Venerdì scorso le autorità locali sono andate in televisione ad annunciare il coprifuoco, che sarebbe servito a separare i manifestanti pacifici da quelli che stavano spaccando tutto. Ripeto: parliamo di una comunità sofferente e brutalmente oltraggiata, una situazione per cui la reazione rabbiosa è del tutto comprensibile. I sindaci di Minneapolis e St. Paul, Jacob Frey e Melvin Carter, hanno detto di sentirsi a disagio a imporre un tale divieto, che in altre circostanze sarebbe bastata la persuasione, e si sono detti certi dello spirito di collaborazione dei concittadini. Chi era fuori a protestare doveva decidere tra il rientro a casa alle 8 o la violazione del coprifuoco. Non è che non vi fosse coscienza del rischio di infettarsi, è che proprio la gente si trovava di fronte a una sfida di ben altra portata. Questa è la mia opinione.

      • In questo momento ci sono imponenti manifestazioni in solidarietà agli insorti americani, a Parigi, a Lione e stamattina ad Amsterdam. Nei giorni scorsi ci sono state grosse manifestazioni a Londra, Berlino, ecc. ecc., persino nella piccola Lubiana, dove peraltro si manifesta da due mesi ogni sabato, contro il governo di destra di Janez Jansa. Solo in Italia non si scende in piazza. Non solo: di fronte alle manifestazioni dei fasci, l’unica cosa che i c0mp4gn1 sanno dire è che i fasci hanno le mascherine messe male e si assembrano. Però fanno riotporn con i video di Minneapolis. Se fai notare la contraddizione, ti rispondono che però i compagni americani invitano i manifestanti a indossare le mascherine e a sfilare in sicurezza. E’ una banncarotta politica senza possibilità di redenzione.

      • Si, grazie Claudio per le precisazioni. Con ” establishment che minimizza” intendevo Trump. La cosa più preoccupante però è quella notata da Tuco ed Isver: le continue contraddizioni, sotto gli occhi di tutti ormai, sono frutto delle bugie propalate agli italiani. Non parlo solo della enorme questione dell’ efficacia/ insuccesso della quarantena. Questione di cui dibattiamo qui da mesi, grazie ai dubbi sollevati dagli articoli pubblicati e dalle inchieste fatte. Penso ad esempio alla grande balla delle mascherine all’ aria aperta, come se dietro non ci fossero interessi economici giganteschi, considerata la conversione della produzione di alcune aziende. Queste mascherine sono da utilizzare e da vendere. Ma come è possibile che siano diventate il pretesto per spostare l’ attenzione dal motivo della protesta al modo in cui si protesta? Come è possibile che il dibattito italiano, fra i cosiddetti compagni, sia concentrato sulla “forma” anziché sulla “sostanza”, per continuare ad inoculare il virus della paura? Nel subconscio delle menti più lineari, però, questa operazione è fallita. E chi continua a propagare la paura del contagio, è in malafede. L’ obiettivo è conferire un carattere di permanenza a questa paura. Attraverso una nuova formula di educazione all’ obbedienza.
        Anche qui vi sono validi motivi per protestare. La pressione poliziesca subita durante la quarantena non è paragonabile alla “storica” brutalità della polizia americana contro gli afroamericani ed i poveri, ma è il sintomo di una arroganza del potere economico che non tollera di essere messo in discussione, Sala lo ha “ingenuamente” testimoniato con le sue dichiarazioni. Le restrizioni valgono solo per i poveracci. Ma per salvare le apparenze, è necessario che tutti indossiamo la mascherina. Per sembrare tutti sulla stessa barca…

  47. c’ è un paese che si regge in parte sul lavoro degli stranieri in parte clandestini e che per non far marcire i prodotti della terra “offre” una forma di regolarizzazione, mentre un’ altra parte di questi clandestini continua a lavorare sempre clandestinamente(?) in servizi e industria.
    Oltre che di brigantaggio :-/ ,siamo (stati)anche un popolo legato alla terra, eppure .. una fiumana di braccianti a Foggia poche settimane fà, oggi il secondo anniversario dell’ omicidio del ragazzo maliano nelle campagne di Vibo Valenzia… e noi, oi oi, si aspetta il bando dei 60.000 assistenti civici leggendo i post su FB e Twitter.

  48. Anche se in ritardo, anche in Italia stanno partendo molte manifestazioni di solidarietà con le proteste americane, solo qui su un thread a caso su Twitter ne ho contate almeno una quindicina: https://twitter.com/alessiapani/status/1267846804982431748. Il lavoro da fare potrebbe essere cercare di innestare su che su questo approccio iniziale “di testimonianza” anche le istanze italiane/europee su immigrazione e controllo poliziesco (come vedo del resto che sta succedendo in maniera molto forte in Francia già da oggi). Siamo indietro ma possiamo recuperare; e se “certi ambienti compagni” sono troppo spaventati, cerchiamo di convincerli, e se proprio non si smuovono tanti saluti. Confido comunque che molti si ricrederanno: la paura passa…