Il cattivo tedesco e il bravo italiano. Intervista allo storico Filippo Focardi

Copertina del libro di Filippo Focardi

Premessa – di Wu Ming 1

Ecco un’occasione da cogliere al volo.

Il 2014 si è aperto alla luminosa insegna degli «Italiani brava gente», la solita autonarrazione vittimistica e tossica su cui si basano tanto le versioni dominanti della vicenda «due Marò», quanto il discorso dominante sullo spettacolo Magazzino 18 di Simone Cristicchi. L’Italiano, chiunque e ovunque egli sia, va rappresentato come buono e come vittima: vittima dello straniero, delle circostanze, della sfortuna, di “traditori”…
Le parti di storia che vedono – o anche solo potrebbero vedere – l’Italiano nel ruolo di carnefice vanno minimizzate, quando non completamente rimosse. E’ sempre colpa di qualcun altro, sono «loro» ad avercela con noi.

Miliardi di miliardi di parole stampate, migliaia di ore di programmazione televisiva sui marò, ma è rarissimo udire o leggere i nomi di Ajesh Pinky Selestian Valentine, i due pescatori uccisi in quel braccio di mare da colpi d’arma da fuoco partiti dalla petroliera Enrica Lexie.

[Potrà sembrare strano a chi abbia visto solo la montagna di fandonie, complottismi e sensazionalismo e non le notizie sepolte sotto, ma questo è quanto emerge dalla perizia balistica indiana alla quale hanno assistito tecnici italiani. La premessa che gli spari siano partiti da armi in dotazioni ai marò è accettata dalla difesa italiana.
Del resto, la maggior parte degli italiani non sa nemmeno che il governo italiano ha risarcito preventivamente (già due anni fa) le famiglie dei pescatori, che dopo l’elargizione non si sono costituite parte civile.]

Evidentemente le due vittime (quelle vere) sono in fondo non-persone, straccioni, per giunta «di colore», quindi a un livello di umanità inferiore a quello dei «nostri ragazzi». Un po’ come siamo stati considerati noialtri in vicende come il Cermis o l’uccisione di Nicola Calipari, ma l’Italiano, avvelenato com’è dal provincialismo e dalla cattiva memoria, non è mai in grado di rovesciare lo sguardo, di riconoscere se stesso nei panni dell’Altro.

Analogamente, perché il dibattito sulle foibe e sul cosiddetto «Esodo» – con la E pseudobiblicamente maiuscola, altrimenti dove va a finire la sua Unicità, dove va a finire l’italocentrismo? – possano proseguire nelle attuali forme, è necessario rimuovere o comunque minimizzare (magari liofilizzandola in cinque minuti cinque, per poi passare all’usuale vittimismo) una buona fetta di storia:
– la persecuzione di sloveni e croati dopo l’annessione della Venezia Giulia nel 1918;
– l’italianizzazione forzata perseguita dalle autorità savoiarde prima e fasciste poi: cambio dei cognomi, dei toponimi, chiusura dei giornali in lingua non italiana, scioglimento coatto delle associazioni e istituzioni delle comunità slovene e croate, divieto di scrivere in sloveno e croato sulle lapidi dei propri cari, e così via;
– la ruberia delle terre di sloveni e croati per darle a coloni italiani, courtesy by Ente Tre Venezie (e magari il nipote oggi dice «Mio nonno aveva la terra in Istria!», tacendo o ignorando come l’aveva avuta!);
– i processi-farsa e le condanne a morte comminate dal  Tribunale speciale a Trieste e Pola;
– l’occupazione tedesco-italiana della Jugoslavia nel 1941;
– la deportazione di civili sloveni, croati, serbi, montenegrini ecc. in campi di concentramento (sparsi anche nella nostra Penisola) dove morivano come mosche.
E l’elenco sarebbe ancora lungo.

Queste cosa sono, sofferenze di serie B? E quelle degli esuli “giuliano-dalmati” sono di serie A? Non lo credo, e nemmeno vale il viceversa. Fatto sta, però, che foibe ed «Esodo» meritano una giornata commemorativa ad hoc e puntate su puntate di Porta a porta, mentre si è boicottato quasi ogni tentativo di far conoscere  fuori dai recinti del sapere specialistico le responsabilità e i crimini dell’Italiano. Va sempre ricordata la censura Rai contro questo documentario:

[A un’analisi di Magazzino 18 nel contesto della narrazione «Italiani brava gente» dedicheremo presto un post. Senza inutile fretta, niente corse di topi. Lo sta scrivendo uno dei partecipanti a questa puntata di Fahrenheit, il cui ascolto suggerisco vivamente.]

Da quasi un anno porto in giro per l’Italia (anche) queste storie, perché sono parte essenziale del libro Point Lenana, che ho scritto insieme a Roberto Santachiara. A proposito, oggi, allo spazio sociale “La Boje!” di Mantova, farò la settantunesima presentazione di questo «oggetto narrativo non-identificato» (e WM2 farà la chissaquantesima di Timira).

A pag. 592 di Point Lenana, nella sezione intitolata «It’s been a long strange trip», c’è scritto:

«Mentre chiudevamo Point Lenana è uscito il libro di F. Focardi Il cattivo tedesco e il bravo italiano. La rimozione delle colpe della Seconda guerra mondiale, Laterza, Roma-Bari 2013. Non abbiamo fatto in tempo a leggerlo, ma lo segnaliamo sulla fiducia.»

Ebbene, se nel frattempo qualcuno lo ha letto fidandosi di noi, converrà che la segnalazione era giusta e doverosa.
Da qui, l’occasione da cogliere al volo a cui accennavo all’inizio: proprio oggi, su Carmilla, Anna Luisa Santinelli pubblica la densa, notevole, chiarissima intervista che ha fatto a Filippo Focardi. E com’era doveroso segnalare il libro, anche a scatola chiusa, così è doveroso linkare l’intervista. Buona lettura.

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11 commenti su “Il cattivo tedesco e il bravo italiano. Intervista allo storico Filippo Focardi

  1. In quest’opera di rimozione delle colpe includerei anche, sul versante fiction televisive, la recente mini-serie intitolata “Generation war” andata in onda sulla Rai e riguardante, però, “il cattivo tedesco”.

    • @ Nigricante
      Sì, il tuo riferimento a quella fiction è calzante. Lì addirittura scompare l’Olocausto (alla faccia della rimozione!). Però non saprei dirti nulla (sono poco informata) sulle reali intenzioni del regista e dello sceneggiatore: manipolazione volontaria della storia (quindi gesto politico) o invece azione inconscia (più probabile)?
      Nel libro di Focardi, ad esempio, si parla del film di G. Salvatores *Mediterraneo* e della rappresentazione non veritiera del soldato italiano (per nulla violento, anzi affabile anche se calato nel ruolo dell’aggressore) veicolata da quella pellicola. Si tratta di un esempio interessante perché la distorsione storiografica è del tutto preterintenzionale. In quel caso non c’è stata alcuna consapevolezza da parte del regista e degli attori della riproposizione di uno stereotipo ben preciso, oramai standardizzato.
      Una situazione che esprime bene l’elevato grado di sedimentazione del cliché (Italiani sempre vittime, sempre brava gente, etc …) nell’immaginario collettivo.

      • Stando all’analisi offerta da Giuliano Santoro nel post indicato da Wu Ming 1 sembrerebbe che invece esista una precisa volontà ideologica e quindi un gesto politico seppur indiretto da parte di sceneggiatore e regista. Temo che andando avanti nel tempo aumenteranno e non diminuiranno questi tentativi di “diluizione” storica, supportati da “innocenti” fiction da dare in pasto a stanchi telespettatori in prima serata. Sarei tentato di assolvere le fiction dicendo che si occupano di emozioni, di narrativa sentimentale e non di ricostruzioni storiche, ma gli eventi a cui ci riferiamo non ci permettono di fornire terreni facili ai negazionisti o ai “diluizionisti”. Fu molto più coraggioso (e forse profetico?) lo scrittore tedesco Heinrich Böll con il suo romanzo “Opinioni di un clown” quando stanò l’ipocrita borghesia post-bellica in Germania che fino a pochi anni prima aveva inneggiato al nazismo e subito dopo cercò di ricoprire il tutto diluendo la propria connivenza…
        Infine credo che la preterintenzionalità di Salvatores sia stata preparata negli anni grazie a un certo tipo di cinema (vedi quello di Sordi e altri) che ha proposto il cliché dell’italiano vittima degli eventi, codardo, cattivo per caso ma pronto a ritrattare, ecc. Premesso che i cliché devono essere combattuti sempre e a qualsiasi latitudine, sento però di dover spezzare una piccola lancia a favore di “Mediterraneo”: l’obiettivo di quel film era paradossalmente proprio quello di scardinare il cliché (inizialmente forte, marcato, volutamente evidenziato fino allo sketch) tramite un lento processo di maturazione dei personaggi grazie a due fattori fondamentali, la “lontananza” (la distanza dalle cose, dai fatti, quindi la conquista della disappartenenza seppur forzata) e il “ritorno all’arcaicità”, alla conquista del non-tempo. In questo caso il cliché è servito come base quasi necessaria dal punto di vista narrativo per parlare di altro, della fuga che salva, dell’immaturità italica che è difficile da sradicare… Ma forse mi sbaglio! :)

        • Paradossalmente in questo genere di fiction “innocente” (ho dato solo ora una scorsa veloce all’analisi di G. Santoro che leggerò con calma) si usano sentimenti ed emozioni per raccontare contesti e vicende storiche, salvo poi rimuovere intere porzioni di storia…
          Su *Mediterraneo* e “la fuga che salva”: sì, hai ragione quel tema è fondamentale e si ricollega alla produzione precedente del regista (es. Marrakech Express), ma su quello stilema caro a Salvatores si innesta anche la contrapposizione stereotipata dell’italiano buono e del tedesco cattivo. Nel dialogo con il pope greco il cliché è involontariamente riproposto: i tedeschi sull’isola hanno distrutto e deportato, mentre gli italiani (“italiani, greci … una faccia, una razza”) sono visti come il male minore.

  2. Questo tema è molto interessante, perché nel dopoguerra ha dato luogo ad una sorta di “schizofrenia” risultante dall’oscillazione tra il volersi presentare come popolo pacifico, tollerante, umanitario (sia a scopi lenitivi delle condizioni del trattato di pace, sia a scopi politici interni) e il non tollerare che dall’estero si facessero commenti sprezzanti sulle qualità militari e di coraggio degli italiani. Ogni volta che su qualche giornale americano o britannico comparivano frecciatine contro l’esercito fascista, estese in automatico al popolo italiano, le reazioni delle autorità italiane erano veementi (per quanta “veemenza” potesse esserci, beninteso, da parte di un Paese sconfitto nei confronti della superpotenza mondiale e dei suoi rappresentanti nel Vecchio continente). Da un lato l’immagine dell’italiano “mandolino e maccheroni” era strumentale alla riabilitazione dell’immagine internazionale dell’Italia – giocando sulla differenziazione dal “cattivo tedesco” specie nei film neorealisti – dall’altro però, in una curiosa eterogenesi dei fini, produceva un discorso intollerabile per “l’onore nazionale”, finendo con l’affermare a livello internazionale e specialmente nel mondo anglosassone un’immagine ridicola, farsesca, infantile dell’italiano. Gli italiani come popolo di allegri scansafatiche che si grattano la panza al sole fra un piatto di spaghetti e una lucidata alle scarpe, hanno “un’unica marcia sui carri armati: la retro” e sono estranei alla virilità della guerra, preferendo indulgere nei lati edonistici ed irenici dell’esistenza. Questa è l’immagine che si è enormemente diffusa nei Paesi anglosassoni, creando una serie di corrispondenze con l’autorappresentazione melensa e buonista della maggioranza degli italiani su se stessi.

  3. Collegandomi a quanto scrivono Anna Luisa e Andrea, mi sembra che il necessario complemento della narrazione “soldato italiano mandolino e maccheroni” sia stato quello “e che però nel momento del bisogno diventa eroe”- forse proprio per cercare di salvare in corner l’orgoglio nazionale di cui parlava andrea. come esempio citerei “La Grande Guerra”: per tutto il film Sordi e Gassman cercano in tutti i modi di svicolare dai combattimenti, ma alla fine preferiscono una stoica morte piuttosto che tradire la patria. Per inciso, per me, si tratta in ogni caso di un grandissimo film…ma come diceva Anna Luisa per Salvatores, forse anche qui si tratta di distorsione preterintenzionale: il pubblico non accetterebbe una visione diversa del soldato italiano, e forse anche a livello di intellettuali, registi etc. si crede veramente che la realtà sia questa. dei bugiardi sinceri, insomma.

  4. Ottimo libro davvero quello di focardi, tra l’altro lo sto utilizzando per la mia tesi di laurea triennale in storia contemporanea dal titolo “Il mito del bravo italiano e la rimozione dei crimini di guerra nella storiografia italiana”. Purtroppo in queste settimane non ho molto tempo per scrivere sul vostro blog a riguardo di questi temi, spero di poterlo fare sul prossimo articolo che pubblicherete. Da quel che ho capito riguarderà il tema delle foibe, dell’esodo, del cristicchismo e dello strumentale uso politico di questi fatti attuato dalla destra neofascista e sciovinista. A tal proposito mi permetto solo di consigliarvi la visione di due documenti, tratti dal sito – che penso conosciate – diecifebbraio.info e che per certi versi reputo paradigmatici: uno riguarda il riconoscimento per gli infoibati concesso dalla presidenza della Repubblica anche a moltissimi fascisti, repubblichini e comprovati criminali di guerra ( http://www.diecifebbraio.info/2012/03/i-riconoscimenti-per-gli-infoibati-ai-criminali-di-guerra-italiani/ ) mentre il secondo è un dettagliato dossier sulla falsificazione della foto degli sloveni di Dane, nel comune di Loska Dolina, fucilati il 31 luglio 1942 (http://www.diecifebbraio.info/wp-content/uploads/2013/dossier%202013.pdf) da quell’esercito di “brava gente” che era – ed è tuttora con le sue missioni di pace – quello italiano. Sì, perchè i veri ed unici colpevoli di massacri, violenze e crimini erano i tedeschi (nostri alleati fino al 43, macchine belliche di teutonica efficienza, privi di qualsiasi sentimento e civiltà), gli ustascia aizzatori della sanguinosa guerra civile causa esclusiva degli sconvolgimenti balcanici (che ospitammo ed incoraggiamo dal 29 al 41), i barbari slavocomunisti, infoibatori titini e, tutt’al più, qualche fanatica ed indisciplinata camicia nera fascista. Magari eravate già a conoscenza di questi documenti, però penso possano comunque essere utili ai vostri lettori. Un saluto, a presto

  5. Segnalo, se interessa che l’Istituto per la storia della Resistenza e della storia contemporanea di Modena gli ha dedicato un convegno di piu’ giorni. http://associazioni.monet.modena.it/iststor/page4.php?id=1140

  6. Sarà per questo che in Italia esiste un giorno della memoria (cattivi i tedeschi) un una giornata del ricordo (cattivi gli jugoslavi), ma nessun giorno che ricordi cosa sia stato il fascismo italiano.
    Sarà per questo che in Italia esistono da decenni ben tre (3) progetti per degli altrettanti musei nazionali della shoah (tra l’altro nessuno dei quali ancora ultimato), molti musei dedicati alla resistenza e alle stragi nazifasciste, ma non esiste un museo nazionale (ma forse neppure locale) che ricordi le vittime del fascismo.
    Metti che a un insegnante venga voglia di portare i suoi studenti a visitare un museo che racconti cosa è stato il fascismo… cosa fa? dove va? ad Auschwitz?

  7. Magari a qualche giapster di Bologna può interessare questo appuntamento, quindi lo segnalo.

    Filippo Focardi : Il cattivo tedesco e il bravo italiano. Le rimozioni delle colpe della seconda guerra mondiale, Laterza 2013.

    Eric Gobetti : Alleati del nemico. L’occupazione italiana in Jugoslavia (1941-1943), Laterza 2013.

    Doppia presentazione dei volumi
    Giovedì 10 aprile 2014 ore 17.30
    Sala dell’Ex-Refettorio – Via S. Isaia 20, Bologna.