#PointLenana. Nuove recensioni, foto, audio e fughe transmediali

Tomba di Felice Benuzzi a Dro

Dro (TN), 22 maggio 2013. La tomba di Felice, dei suoi genitori e dei suoi fratelli con le rispettive mogli. Accanto al nome di Felice c’è lo spazio libero per quello di Stefania, Clicca per ingrandire.

[Sedici presentazioni in tre settimane, e dopo la pausa londinese il tour riprende. A metà giugno pubblicheremo anche le date di luglio e agosto. Intanto è partito il passaparola; del libro si discute intensamente (un bel dibattito è sotto questo post); un gruppo di lettori cura su Tumblr un blog interamente dedicato a Point Lenana  (nella sezione “Audioteca” c’è anche l’audio integrale di alcune presentazioni: Trieste, Genova, Belluno, Milano); il bot di Einaudi e WM1 allestiscono giorno dopo giorno un board su Pinterest (il pin più apprezzato, sinora, è quello dove Elvira Banotti ne dice quattro a Indro Montanelli sulla questione della “moglie” dodicenne comprata in Africa orientale).
Di seguito proponiamo alcune recensioni di Point Lenana uscite su carta e online nelle scorse settimane. La prima è uscita sul quotidiano in lingua italiana di Trieste, Il Piccolo, il 15 maggio scorso.
Mentre succedeva tutto questo, la mattina del 22 maggio siamo andati a Dro a dare l’ultimo saluto a Stefania Marx Benuzzi. Abbiamo scelto di illustrare questo post con le foto di quel giorno.]

Le spine di Trieste sulle tracce di Benuzzi

di Pietro Spirito

«Rileggere “Fuga sul Kenya” adesso, sapendo tutto quello che sappiamo, è come navigare un ipertesto. Ogni parola, ogni nome, ogni riferimento en passant è diventato “cliccabile”». Ed è esattamente questo ciò che hanno fatto Wu Ming 1, al secolo Roberto Bui, e Roberto Santachiara, in Point Lenana (Einaudi, pagg. 596, euro 20,00) racconto enciclopedico di no-fiction novel – genere di ormai consolidata fortuna – che si tuffa nelle pagine e nella storia del triestino (anche se nato a Vienna) Felice Benuzzi, e dei suoi compagni d’avventura Giovanni “Giuàn” Balletto (poi morto suicida) e Vincenzo Barsotti, fuggiti nel 1943 dal campo di prigionia di Nanyuki con il folle scopo di scalare la Punta Lenana (4985 metri) sul Monte Kenya per poi tornare al campo, in un anelito di libertà, patriottismo e riappropriazione della propria identità.
Vicenda molto nota soprattutto negli ambienti alpinistici, in particolare quelli triestini, raccontata appunto da Benuzzi nel long-seller Fuga sul Kenya, pubblicato per la prima volta in italiano nel 1947 e poi più volte ristampato nel corso degli anni. Libro – e vicenda – che gli autori di Point Lenana non conoscevano fino a qualche tempo fa, quando la lettura del libro scatena la voglia di calarsi nel mondo evocato da quelle pagine: «La storia e della scalata – meditano gli autori – l’ha già raccontata Benuzzi, ed egregiamente. Ma si può ripercorrerla a partire da quello spunto per parlare di Africa, di montagne, di fughe, raccontare tante storie, cucirle coi nostri appunti (…)».
Ed ecco che il lettore viene catapultato in un racconto che mischia come in un frullatore alpinismo e fascismo, colonialismo e imperialismo, saltellando tra passato e presente, sempre seguendo il filo delle tracce lasciate da Benuzzi e dai suoi amici. Tra biografia, inchiesta, saggio storico e reportage gli autori navigano nell’ipertesto tessendo una trama complessa che pesca come una rete a maglie fitte nella Storia e nel presente tirando su dal fondo anche scomodi relitti. Per esempio le pagine su Trieste affrontano i controversi rapporti fra alpinismo, irredentismo, fascismo e nazismo, frutto di letture e incontri con Dušan Jelincic, Livio Isaak Sirovich, Luciano Santin, Spiro Dalla Porta Xidias, Dario Marini e altri, rievocando l’intricata mappa irta di spine non solo del mondo alpinistico triestino ma della città intera. Ma è sempre la nobile figura di Felice Benuzzi e della sua famiglia – la moglie Stefania, morta proprio pochi giorni fa all’età di 96 anni, e la figlia Daniela – che guidano Bui e Santagata [sic] lungo la labirintica via che porta al Monte Kenya, «dove le storie prorompono in versioni differenti, divergono e di nuovo convergono, si contraddicono e si sfidano a duello a colpi di dettagli incongrui, senza mai avere il sopravvento l’una sull’altra».

La tomba di Giacomo Emilio Benuzzi

La tomba di Giacomo Benuzzi, nonno irredentista di Felice. Clicca per ingrandire.

[Una bella recensione la dobbiamo allo scrittore e blogger Angelo Ricci. La riprendiamo dal suo blog Notte di nebbia in pianura.]

Point Lenana, di Wu Ming 1 e Santachiara

Un altro pianeta si aggiunge all’universo wuminghiano. Point Lenana nasce dall’intrecciarsi delle narrazioni dell’ellroyano Wu Ming 1 e di Roberto Santachiara, il comandante Heriberto Cienfuegos e come ogni oggetto narrativo che scaturisce dalla fucina del collettivo bolognese fonde piani narrativi, stilemi, temporalità storiche e ricerca di tutti quei segnali sottotraccia che combinano punti spesso sconosciuti che, uniti assieme in una ricerca che fa dell’infinito la sua cifra, esibiscono al lettore tracce di percorsi, di cammini. Tracce che portano verso vie poco battute e spesso sconosciute.
Certo, Point Lenana è, come affermano gli stessi Autori, luogo narrativo e narrante che prende in parte le mosse anche da Timira, ma non solo. Point Lenana diviene, nel corso del suo snodarsi, momento imperdibile di contaminazioni e di fusioni che sfociano in una metanarratività che dal racconto approda al saggio e che dal saggio procede verso mete che fanno scoprire al lettore pieghe celate e ripugnanti della storia della nostra nazione.
Point Lenana, nella sua affascinante dimostrazione che tutte le narrazioni sono sempre in qualche modo collegate, si trasfigura a sua volta in narrazione che vive di vita propria, trascendendo dagli stessi suoi artefici letterari, gli Autori, portando in superficie quelli che sono i veri artefici della narrazione, i protagonisti. Protagonisti di un’epifania storica di umana sofferenza e di incrollabile resistenza nei confronti di tutti i mostri che il sonno della ragione non ha mai, purtroppo, smesso di generare. E così l’intreccio, la fusione dei piani narrativi e temporali diviene simbolo di quell’intrecciarsi di accadimenti che mai hanno fine e che, spesso, segnano in modo indelebile destini di odio e di violenza. E in questo cammino, in questo percorso, in questa scalata verso la purezza della parola che si fa strumento di lucidità, Point Lenana non è la fine, Point Lenana è il principio.

Un libro.
Mountain Wilderness

La bandiera di Mountain Wilderness alla sepoltura di Stefania, per un quarto di secolo segretaria e infaticabile motore dell’associazione. Clicca per ingrandire.

[Un altro collega scrittore, il calabrese Fabio Cuzzola (una delle anime dell’autore collettivo Lou Palanca e autore di un libro dolente e magnifico, Cinque anarchici del sud. Una storia negata) ha parlato di Point Lenana sul suo blog Terra è libertà.]

Point Lenana: la scalata è finita! Ora scendiamo e continuiamo la lotta.

Un romanzo, un’opera collettiva, un “oggetto narrativo non identificato” che una volta in più esplora e
sperimenta una metodologia della ricerca storica di ampio respiro.
Se fosse vivo Marc Bloch, padre delle Annales, storico e maquisard fucilato dai nazisti, sarebbe andato fiero di questo libro.
Geografia, linguistica, storia locale e globale s’intrecciano lungo arcate di breve e lunga durata, in un rimando continuo di analessi e prolessi che accompagnano il lettore in questa “scalata”!
Questo è Point Lenana di Wu Ming 1 e Roberto Santachiara, l’ultimo libro uscito qualche settimana fa dall’infaticabile lavoro di studio, ricerca e scrittura del collettivo più famoso della letteratura europea.
La route entra dai piedi” ci ricordavano i nostri vecchi capi scout, e così anche Wu Ming 1 ha voluto provare direttamente l’ebbrezza delle alte vette, del resto per scrivere un libro che parla di montagna, guerre coloniali e storia bisognava scarpinare fuori dagli archivi.
Per salire, ascendere, scalare non serve solo ossigeno e fisico, ma serve spirito.
Ed è  quello che ritroviamo nelle pagine del libro,  uno spirito antifascista! Ogni pagina smonta e ricostruisce come il nostro paese è diventato colonialista e razzista, cancellando secoli di civiltà e tolleranza.
A questi tentacoli che soffocano e uccidono sfugge Felice Benuzzi, protagonista insieme ad altri due compagni di avventura, di una fuga sul monte Kenya, durante la loro prigionia inglese.
Una fuga dal significato che supera l’impresa alpinistica in sè, perchè i tre fuggitivi non si danno alla macchia, ma rientrano al campo di  prigionia fra lo stupore e l’ammirazione degli inglesi.
Ancora una storia dimenticata quindi, ma in Italia, perchè le imprese di Benuzzi furono accompagnate anche dal successo letterario dei suoi libri, conosciuti ed apprezzati all’estero.
Ne esce stroncato anche il nostro eurocentrismo che spesso dimentica di considerare l’Africa e la sua storia come il teatro della coscienza sporca dell’uomo occidentale, dell’italiano.
Ma è anche un racconto che calamita altre storie, altri testi e  invita a studiare e scrivere, a farsi un proprio percorso di esplorazione individuale attraverso oltre sessanta pagine in appendice di fonti e richiami, di film, musiche, link.
Un ultimo richiamo alla visione estasiata di Benuzzi quando rientra in Italia dopo la fine della seconda  guerra e della prigionia, le prime montagne che vede sono quelle dello Stretto di Messina, a sinistra i Peloritani a destra l’Apromonte, già perchè anche il Sud è terra di montagna spesso irta da scalare.

Ciao Stefania

Sotto la fotografia è scritto: Ciao Stefania. Clicca per ingrandire.

[Molto bella anche la recensione scritta da Claudio Castellacci nella sua rubrica on line “Al coniglio agile”, ospitata sul sito  su LeiWeb.]

«Vai su una montagna? Stai attento a non cadere giù!»

E dunque, che razza di libro è questo Point Lenana che l’editore Einaudi (pagg. 604, euro 20) ha appena pubblicato? Lo si può definire in molti modi, a partire, da come spiegano gli stessi autori – Wu Ming 1 (pseudonimo dello scrittore e traduttore di Stephen King, Roberto Bui) e Roberto Santachiara (agente letterario) – «racconto di tanti racconti che parla di uomini che vagarono sui monti», in particolare del triestino Felice Benuzzi, funzionario coloniale a Addiss Abeba, catturato nel 1941 quando la città venne conquistata dagli Alleati (divenne il prigioniero di guerra n. 41033, internato dagli inglesi nel campo di Nanyuki, alle pendici del monte Kenya) e protagonista, insieme al medico genovese Giovanni Balletto (detto Giuàn) e al camaiorese Vincenzo Barsotti, di una clamorosa “evasione temporanea” di 17 giorni. Ma, badate bene, una storia senza retorica del tipo: «Il popolo italiano ha creato col suo sangue l’impero. Lo feconderà col suo lavoro e lo difenderà contro chiunque con le sue armi, eccetera, eccetera», solo il resoconto (con molto di più) di un gesto “sportivo” di tre civili che, come tale, sarà (molto) apprezzato dagli stessi inglesi.

Il 29 gennaio 1943 i tre evadono lasciando un messaggio per il responsabile del campo, in cui lo rassicurano che sarebbero tornati entro un paio di settimane, per andare a scalare il monte Kenya, la seconda cima più alta dell’Africa dopo il Kilimagiaro. A metà percorso, un malore di Barsotti e una tempesta di neve spingono però i tre a soprassedere all’obiettivo che si erano dati, la vetta principale del monte, per tentare di scalare l’obiettivo secondario: la punta Lenana (prende il nome da un capo Masai, alta 4985 metri) che raggiungono con relativa facilità e su cui issano la bandiera italiana. Raggiunto lo scopo, rientrano al campo e si consegnano all’ufficiale responsabile che, da buon inglese, riconoscendo la sportività del gesto, li condanna a una sola settimana di prigionia. La bandiera piantata dagli italiani sulla punta Lenana fu recuperata una settimana più tardi dagli inglesi e per anni rimase a Nairobi nella sede del Club della Montagna del Kenya. Nel 1948 il reperto fu (sconsideratamente) donato al Cai di Milano. Da allora se ne sono perse le tracce.

La notizia del gesto verrà addirittura ripresa dal Times di Londra e, in seguito, Benuzzi racconterà l’impresa in un libro scritto prima in inglese (No Picnic on Mount Kenya) e poi autotradotto e riadattato in italiano (con molti agiustamenti) col titolo Fuga sul Kenya, recentemente ripubblicato da Corbaccio. Nel settembre del 2007, anche la rivista National Geographic pubblicherà un reportage del giornalista Matthew Powell e del fotografo, Bobby Model, che ripercorreranno lo stesso tragitto di Benuzzi, Balletto e Barsotti, dal titolo Escape to Mount Kenya.

Ma torniamo alla domanda iniziale – che razza di libro è questo Point Lenana? La risposta non è semplice. Apparentemente è, come dicevamo, la storia di un’evasione e di una scalata, ma c’è di più. C’è il metodo con cui è stato messo insieme il libro che nasce da un’idea di Roberto Santachiara che in veste di agente letterario, prima, lancia l’idea che, poi, realizza come co-autore e che, infine, gestisce di nuovo come agente letterario. E poi c’è la tecnica giornalistico-documentaristica del secondo (o primo a secondo della prospettiva) autore che “stravolge” il genere e conduce il lettore in una labirintica indagine ai limiti del poliziesco dove una serie di testimoni diretti e indiretti sono interrogati per ricreare un affresco che va al di là della storia stessa. Uno dei «lettori di prova», Filippo Sottile, invitato dagli autori a dare un giudizio preventivo al testo aveva commentato: «È come se aveste preso tessere da puzzle diverse e le aveste utilizzate per creare una nuova figura, abnorme, frankensteiniana, ma viva. […] Con Point Lenana è come se osservassimo il lavoro delle componenti di un ascensore antico di cui molte parti sono visibili attraverso griglie metalliche, che salendo e scendendo dalla tromba delle scale gli si avvolgono intorno, accompagnati dai ricordi del portiere del palazzo: sì, una volta, la Stoppani, quella del terzo, è rimasta chiusa per tre ore…».

Ma questo libro è anche un po’ Tre uomini in barca, soprattutto nella prima parte, quella in cui il Roberto che si cela sotto lo pseudonimo Wu Ming 1 cerca di dissuadere l’altro Roberto dal coinvolgerlo nell’impresa («Mi verrà il mal di montagna. Non si rischia l’edema cerebrale? Uno che morì di edema cerebrale era Bruce Lee (o forse fu ucciso da sicari della mafia cinese). Io sono un padre di famiglia. Ma il Kenya non è uno dei luoghi a più alta concentrazione di riccastri italiani? Villoni rutilanti, cafonauti carichi di platino e gioielli, sottoboschi di amici di politici in Lamborghini?»). Tutto inutile. L’altro Roberto smonta, pezzo per pezzo, le obiezioni dell’amico. E in tre (alla spedizione parteciperà anche Cecilia, moglie di Santachiara), più le guide, partiranno per la spedizione, nonostante lo scetticismo iniziale di Claudia, la compagna di Wu Ming 1, il quale però ricevette l’inaspettato sostegno della figlia Matilde di quattro anni che gli dette il consiglio più saggio di tutti: «Vai su una montagna? Stai attento a non cadere giù».

«Sin dagli albori dell’alpinismo il resoconto è stato parte dell’impresa», scrive Wu Ming 1. «Senza il resoconto, non solo non esisterebbe l’alpinismo, ma non esisterebbe nemmeno la montagna, intesa come costruzione culturale, mito che sempre si nara e sempre affascina. Sono stati i racconti di esploratori e alpinisti a creare la montagna quale oggi la conosciamo e a trasformare l’atto di scalarla in un’impresa che si inserisce in una tradizione». E lo stesso Wu Ming 1, mentre arranca per il massiccio del Kenya si chiede come sarebbe stato il suo scrivere di montagna. Il risultato, se i due Roberti mi passano l’analisi, è che questo libro di montagna non è un libro di montagna, ma una gran bella inchiesta giornalistica (lo dico con un pizzico di invidia) come non se ne fanno spesso. Ma soprattuto è il risultato di un’intelligente operazione editoriale da cui molti direttori di giornali, molti responsabili di case editrici, molti (patetici) amministratori delegati di grandi case editrici dovrebbero imparare, invece di aspettare, seduti dietro la scrivania, che qualcuno scriva il Grande Romanzo e glielo scodelli già editato e magari impaginato (tanto per risparmiare) o, in alternativa, piangere su «c’è la crisi dell’editoria» e giù tagli. Il problema è la (mancanza di) fantasia, di creatività, in fondo, di professionalità di molti “addetti ai lavori”. E non è un caso che una simile operazione editoriale sia partita dal (forse) più “americano” degli agenti letterari italiani, Roberto Santachiara, appunto, che, per l’occasione si è anche trasformato in art director (già perché l’elaborazione grafica dell’immagine di copertina è sua, a partire da un’immagina di Ginger Rogers e Fred Astaire che ballano il tip tap nel film Follow the Fleet, con sullo sfondo il monte Kenya).

Già, perché è così che si fa. È così che un “libro di montagna” può diventare un case history da manuale. Anche se poi, il traduttore di Stephen King, tornato a Bologna, per giorni se ne sarebbe andato in giro vestito da alpinista della domenica: «Non riuscivo a staccarmi dai giorni del Kenya», confesserà. Fin quando la moglie Claudia gli farà presente che, in fondo, era stato in Africa solo otto giorni e che avrebbe fatto bene a farla finita «con ‘sto trip alla Hemingway». Sì, ma che giorni, fu la risposta.

[N.d.R. A scanso di equivoci, WM1 ci tiene a precisare che Claudia, passata la perplessità iniziale, gli ha dato pieno incoraggiamento e sostegno emotivo prima e dopo l’ascensione sul Monte Kenya e durante tutta la stesura del libro. Dopo l’infortunio alla schiena scendendo da Monte Adone, Claudia ha efficacemente prevenuto la crisi di autostima del suo compagno. Se nel libro c’è enfasi sulla scena del mezzo litigio, è perché l’autore ne esce come un complessato al limite della talassofobia, cosa che fa sempre ridere.]

***

POINT LENANA A VERONA

Questo invece è l’audio della presentazione veronese, una delle poche ma buone dov’erano presenti entrambi gli autori. Il luogo è il Museo africano dei padri comboniani, il tempo è la sera del 22 maggio. WM1, Santachiara e il librario Luigi Licci erano reduci dal viaggio a Dro. Luigi è uno dei personaggi di Point Lenana, ed è quello che ci mise in contatto con la famiglia Benuzzi. Interviene anche il medico e alpinista Federico Gobbi, anch’egli nominato nel libro. Dura esattamente un’ora e trenta minuti.

Libreria universitariaIBSUnilibro

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37 commenti su “#PointLenana. Nuove recensioni, foto, audio e fughe transmediali

  1. Vedo che qualcuno ha ricordato che Wu Ming 1 è stato anche traduttore di Stephen King. In effetti durante la lettura di Point Lenana, strano a dirsi, mi son trovata spesso a pensare a King che io amo soprattutto per la caratterizzazione dei personaggi. Difficile trovare un personaggio secondario nei suoi libri di cui non si scavi nell’animo e nel passato, magari diversi capitoli dopo aver solo accennato alla sua esistenza. E così è anche in Point Lenana, nessuno è semplicemente citato, anche quando in un primo momento potrebbe sembrare così. Ogni personaggio e avvenimento storico viene ripreso e approfondito quel tanto che basta per essere incastrato col suo perché nella storia.

  2. Sono stato alla presentazione di Padova e l’ho trovata interessantissima. Pur conoscendo alcune delle cose che sono state dette, avendole lette qui su Giap, ci sono stati numerosi nuovi spunti, grazie anche agli interventi del pubblico (a parte il mio, naturalmente :D) ed è stato un pomeriggio speso bene.

  3. Imperdibile “Libero” di oggi su #PointLenana:
    http://ow.ly/i/2eHNt

    • “Dopo pagine zeppe di frasi inglesi” è l’affermazione più divertente… ma che libro hanno letto (o non-letto)? Ora, qualche frase in inglese c’è – sarà un caso che qualche battuta in inglese nei dialoghi è proprio nelle prime 50 pagine? -, ma andando oltre questo aspetto quel che fa una certa impressione è che P.M.F. ha scritto queste venti righe che suonano semplicemente come un rimprovero a Santachiara, mica per quel che è scritto nel libro… ognuno al suo posto!

      È chiaro che vogliono guadagnarsi un’altra citazione nella colonnina “Hanno detto di noi”… attendiamo Il giornale, che non vorrà certo farsi battere 3 a 1 da Libero…

  4. Ciao a tutti, mi riaggancio alla discussione su “l’archivio e la strada”. A fronte di questa esperienza, c’è la possibilità che point lenana venga venduto in formato ebook? Personalmente, sarei ben lieto di poterlo acquistare fin d’ora piuttosto che aspettare il classico downad gratuito + donazione. Spero di non essere troppo OT, ma credo che con la diffusione degli ebook la possibilità di una uscita contemporanea dei libri in formato elettronico e cartaceo, tutelando la remunerazione degli autori, sia un tema importante – e infatti ampiamente discusso nel post de “l’archivio e la strada”.

    • I diritti elettronici di #PointLenana ce li siamo tenuti, non li abbiamo venduti a nessuno. Troppe cose ancora non ci convincono, e dobbiamo rifletterci sopra. Non abbiamo ancora i dati di vendita di “Giap. L’archivio e la strada”, ma “a spanne” mi sembra che l’abbiano comprato quattro gatti in fila per due col resto di zero. Forse quell’esperimento non lo abbiamo condotto nel migliore dei modi, chissà… Ad ogni modo, credo che anche stavolta metteremo l’ebook in download gratuito con donazione. Mozione d’ordine: di ebook in generale parliamone altrove, siccome il tema è “caldo”, parlandone qui si rischia di non parlare più di Point Lenana…

  5. In un piccolo paragrafo dell’ultimo capitolo del libro affrontate la “vexata quaestio delle foibe triestine”, avete deciso di non approfondire il tema ma è chiara la vostra richiesta di contestualizzare quell’evento. E’ vero che dal vostro romanzo possono partire spunti di analisi diversi sulla storia d’Italia, ma non pensate che il tema “foibe” sia tra i più importanti? Ovvero non è il caso di rilanciare il dibattito culturale e storiografico sulle foibe? Vedere nel mio paese “piazzetta martiri delle foibe” e neanche un pezzo di strada dedicata alla lotta partigiana mi sembra emblematico di un Paese che continua a gettare fango su quella che è stata prima di tutto una battaglia per la libertà e per la democrazia.

    Ancora, avete fatto riferimento al libro di Claudia Cernigoi “Operazione Foibe. Tra storia e mito”, libro del 2005 che a suo tempo avete definito “Un libro fon-da-men-ta-le, che deve circolare, che va diffuso con ogni mezzo necessario e letto dal maggior numero di persone possibile. La lettura spalanca il mondo davanti agli occhi.”, effettuando una rapida ricerca su google ho notato che in quasi dieci anni si è parlato poco e niente di quest’opera, forse non ha suscitato il clamore sperato?

    • Sull’ultimo punto, credo sia importante leggere questo:
      https://docs.google.com/file/d/0B2Fig3cDXuVMWkFuUHlINmxhbTQ/edit
      che va compendiato con questo:
      http://studiareconlentezza.noblogs.org/post/2013/02/14/alessandra-kersevan-sulla-vicenda-dellaggressione-squadrista-alluniversita-di-verona-12-febbraio-2013/
      Detto ciò, dovremmo far santa Caterina Guzzanti, perché con il grido “E allora le foibe?!” lanciato da Vicky di Casapau ha fatto capire a molte persone origine politica, carattere strumentale e carenze argomentative del “dibattito” mediatico sulle foibe, dibattito che ha toccato il culmine sette-otto anni fa e che oggi, a parte gli exploit telematico-squadristici dei neofascisti, sembra aver perso un po’ di appeal…

      • Dopo aver letto devo correggere leggermente il tiro, clamore ne ha suscitato e sicuramente la vita della Cernigoi è cambiata.. è stata presa di mira dai neofascisti, tanto che collegandolo alla vicenda dell’Università di Verona verrebbe da pensare che sia in atto una sorta di strategia della tensione per frenare le discussioni sul tema.

        Piuttosto mi sembra che a livello istituzionale e mediatico ormai il discorso sia chiuso: è stato istituito il “giorno della memoria” per il 10 febbraio, da qui non si torna indietro e chi tenta di alzare un obbiezione viene tacciato di negazionismo. Come la Cernigoi, che eppure si esprime in modo chiarissimo “non si può fare di un criminale di guerra un eroe solo perché è stato ucciso in maniera ingiusta. Se Hitler fosse stato ucciso in un atto di giustizia sommaria invece di suicidarsi come ha fatto, basterebbe questo a farne un eroe?”

        Tutte le strade portano a Point Lenana, un molestatore della Cernigoi tesse le lodi di un vero patriota italiano “la vera figura di Giuseppe Cobolli Gigli è quella che si vede rappresentata dai 4000 km di strade in Etiopia […] Quel grande italiano che ha portato l’Etiopia fuori dal medioevo.”

    • Io invece sono contento che “le foibe” siano rimaste fuori o molto ai margini di Point Lenana. Sia perchè tirarle in ballo sarebbe stato par mio un po’ forzato, visto che Benuzzi era residente altrove in quel frangente storico e quindi estraneo alle sorti di Trieste di quel periodo, sia perché avrebbe infilato il libro in un frame a dir poco asfittico, insomma avrebbe significato cercarsela un po’ la reazione alla Vicky di CasaPau.

      Riguardo Claudia Cernigoi, sicuramente la sua opera è stata meritoria nello svelare l’operazione propagandistica di estrema destra dietro al caso foibe. Tuttavia ritengo che il suo approccio così smaccatamente di parte (la Cernigoi è dichiaratamente “jugonostalgica”) nuoccia alla causa per la quale essa stessa si batte. Dalle sue pagine emerge un regime jugoslavo infallibile, sabotato da poche mele marce. A me questa narrazione non piace, sia perché sono un libertario e le dittature personalistiche e repressive come quella di Tito mi paiono inconcepibili, sia perché occulta in parte la realtà storica che nel caso di Trieste e dell’Istria fu quella di una sanguinaria lotta di potere geopolitica che esulò dal socialismo e dall’antifascismo.
      Nascondere questo aspetto in qualche modo legittima le rimozioni della parte avversa…
      Fa schifo sentir parlare di genocidio subito dagli italiani: è falso, una minoranza italiana continua a esistere in Istria (dimenticata e vituperata) e gli italiani non sono mai stati deportati come invece è accaduto a sloveni e croati ad opera dei fascisti italiani, chi ha scelto la via dell’esodo lo ha fatto di propria sponte (magari perchè non trovava materialmente di che campare, molti perchè seppur proletari non erano inseriti nel nuovo dispositivo politico-sociale). Non si può equiparare la persecuzione su base politica a quella su base etnica.
      Occorrerebbe ricordare ai fasci ma anche a Bersani e Napolitano che nel campo FASCISTA (non nazista) di Rab/arbe sono morti o scomparsi un migliaio fra bambini, BAMBINI, sloveni o croati. Per non parlare dei sloveni e Croati sterminati nella Risiera di San Sabba, niente di simile è stato perpetrato dai partigiani jugoslavi ma è sbagliato non riconoscere che molte persone non fasciste e spesso persino comuniste sono state uccise e deportate perchè critiche nei confronti di Tito o contrarie ad alcune pretese territoriali jugoslave, non si può ridurre la violenza a semplice jacquerie o regolamento di conti.
      Sia chiaro, tra le sciocchezze di Napolitano (e della vulgata nazionale inconsapevolmente fascistoide stile “cuore nel pozzo”) e le tesi della Cernigoi preferisco queste ultime, ma per fare chiarezza una buona volta credo sia meglio rivolgersi all’opera di storici qualificati come Marina Cattaruzza o Anna Maria Vinci.

      • Riguardo al primo punto la penso come te, un approfondimento sulle foibe in Point Lenana sarebbe stato fuori luogo, però il libro dà tanti spunti di approfondimento e penso che l’argomento foibe abbia una certa importanza.

        Sulla Cernigoi: ho preso in mano il suo libro è lo sto leggendo, non ti saprei dire delle sue tendenze jugonostalgiche, ma dalle varie recensioni e notizie lette su “operazione foibe” mi pare vengano semplicemente esposti i fatti, con dovizia storica, documenti alla mano, per un progetto che non parte per dimostrare che gli italiani erano cattivi e i partigiani di Tito buoni, ma per smontare tutto l’apparato mitologico e di propaganda costruito sulle foibe.

        Parli di “storici qualificati” e mi citi Cattaruzza e Vinci, a quali loro pubblicazioni fai riferimento? Io parlerei più che altro di “scritti storici qualificati” e nessuna critica è ancora riuscita a mettere in dubbio la veridicità storiografica dell’opera della Cernigoi. Della serie non è l’abito che fa il monaco.

        • Penso si stia parlando di questo argomento. Sono capitato per caso sull’argomento e provo a condividerlo. http://muceniskapot.nuovaalabarda.org/index.php

          • Mozione d’ordine, per favore, evitiamo che un thread su Point Lenana si trasformi in un dibattito pro o contro Claudia Cernigoi. Ne ha già passate abbastanza, come ha raccontato nel suo “sfogo”, non vorremmo infliggerle anche un OT personalizzato su Giap… Restiamo, se possibile, a Point Lenana. Almeno in questo thread.

  6. Sull’opera di “smontaggio” della propaganda sulle foibe sono d’accordo ed è un merito che riconosco alle inchieste della Cernigoi. Soprattutto quando indaga sul passato degli “ideologi” della “foibologia” riscontrando certe inquietanti appartenenze a gruppi stragisti o parastragisti di destra. Non sono d’accordo quando liquida la violenza “in eccesso” a semplice jacquerie…
    La Cernigoi ha dimostrato che ufficialmente nelle cosidette foibe sono finite ben poche persone. Ma è un dato che migliaia di persone sul confine orientale siano sparite, non tumulate nelle foibe ma magari morte di stenti in un campo di lavoro. Alcune di queste persone erano aguzzini fascisti, tante altre non lo erano affatto.

    Per storici qualificati intendo storici di professione che hanno conseguito dottorati e trattano le fonti con la dovuta perizia e cognizione di causa. Claudia Cernigoi, per sua stessa amissione, storica non lo è.
    Io comunque mi fermerei qui, anche perchè la Cernigoi ne ha passate di cotte e di crude per le sue idee, rispetto la sua coerenza e non vorrei passare per uno dei suoi denigratori: la compagnia che ingrosserei non mi piace per niente.

    Difficile individuare testi seri specifici “sulle foibe”, perchè è una questione politica e non storica… isolarla dal contesto è già di per sè indice di strumentalizzazione politica. Lo storico serio contestualizza, a mio modo di vedere, per cui si ritrova l’argomento all’interno di trattazioni più ampie come quella della commissione italo-slovena http://www.storicamente.org/commissione_mista.pdf
    o in opere come “Esodi. Trasferimenti forzati di popolazione nel novecento europeo”o “L’italia e il confine orientale” di Marina Cattaruzza.
    Forse un testo meritorio è “Le Foibe Giuliane” di Elio Apih che però non ho ancora letto.

  7. Ho letto adesso la mozione d’ordine. Faccio autocritica ;-), cancellate pure i miei ultimi interventi.

  8. Prima di gettarmi nella rilettura di Point Lenana ho deciso, anche per una piacevole coincidenza, di leggere “No Picnic on Mount Kenya”. Lo sto facendo – come reso possibile dall’aver prima divorato, sebbene ancor non digerito, Point Lenana – come fosse un ipertesto. A pagina 102 mi sono di colpo imbattutto in una frase che mi e’ apparsa come una sorta di crocevia di tutto quello di cui si tratta in Point Lenana ma che, almeno a quanto mi ricordi, in Point Lenana non si trova citata. Eccola in inglese come nell’originale:

    “I could not help toying with a thought I had so far successfully repressed: that we were perhaps the first white men to wander unarmed up this valley”

    Il contesto. Superata la zona di “pericolo umano”, i tre amici fuggiaschi entrano in quella del “pericolo animale”, ovvero dove, sebbene alquanto improbabile essere incrociati e ripresi da inglesi o locali, il vero rischio divengono le bestie feroci. Ad un improvviso cambiamento di atmosfera, i tre compagni iniziano ad aver timore di quello che gli sta attorno, del mistero che si nasconde tra gli alberi, del loro essere completamente disarmati di fronte al pericolo.
    La cosa che piu’ mi ha colpito di questa frase e’ pero’ come essa riesca a mettere in circuito una serie di tematiche che in Point Lenana vengono tutte dissezionate. L’idea di una liberta’ disarmata (e disarmante), l’anelito verso la montagna come luogo della purificazione, il rapporto con il colonialismo e con lo spazio coloniale. In questo senso la presenza di un uomo bianco disarmato in Africa doveva essere piu’ unica che rara in generale, figuriamoci in mezzo alla giungla! Ma e’ proprio la scelta di fare la spedizione disarmati, nonostante ad un certo punto venga offerta a Felice e Giuan una pistola, che rappresenta a mio avviso non solo, come spiega lo stesso Felice in No Picnic, una scelta di buon senso (essere disarmati li costringera’ a fare maggiore attenzione ai potenziali pericoli), ma una scelta etica e politica: la volonta’ di andare sul Mount Kenya come sarebbero andati, che so, sul Monviso, di confrontarsi quasi a mani nude con la natura e con uno spazio che fino ad allora era esistito per le potenze coloniali solo in quanto spazio conquistato con la forza. Conquistare il Mount Kenya senza realmente conquistarlo e’ la cifra che si riverbera anche su un altro modo, precedente alla prigionia, di fare alpinismo rispetto a quello eroico del fascismo, e su un’altra idea di conoscenza: un sapere che puo’ essere fine a se stesso (o a se stessi) e servire a produrre uomini migliori piuttosto che migliori forme di dominio.
    Insomma, un altro tastino da ipertesto che e’ potuto apparire come linkabile grazie al lavoro di Wu Ming 1 e Santachiara.

    Ps: commuove in No Picnic il rapporto quasi fanciullesco con le bellezze della natura, il continuo mettere sul tavolo da gioco i giorni di rigore che aspettano i fuggiaschi al ritorno al campo per il loro gesto con l’appagamento per la visione di un panorama, un bagno nel fiume, l’incontro ravvicinato con un elefante (per il quale non si sa chi dei tre dice che questa esperienza li ripaghera’ di tutte le fatiche passate e future: la scalata al Mount Kenya come punto zero del tempo della propria vita, luogo messianico della realizzazione del senso di un’intera esistenza).

  9. Dopo “Libero”, stavolta tocca a “Il Giornale”
    Salta all’occhio che il tizio “recensisce” il libro avendo letto solo la nostra intervista al “Venerdì”. Tutto il poco che sa, il molto che fraintende e il moltissimo che tira a indovinare derivano da quella fonte:
    http://pointlenana.tumblr.com/post/50113033578/chi-e-quel-signore-vicino-a-wu-ming-pdf-da-il

    • Ahaha “Santachiara e Co.” e già dal titolo non nascondono che gli state sulle scatole. Poi “Ma che, viste le recensioni (quasi nulle) e le vendite (a occhio, bassine), resterà tale”, questo fa tifo altroché…

    • Ma io mi chiedo: questi recensori (perché chiamarli critici mi fa specie) chi sono? Dove li prendono? Che curriculum hanno?
      A me all’uni stanno facendo un mazzo così sulla pertinenza, sul fare riferimento prima di tutto al testo, sull’evitare sempre e comunque di mandare tutto in vacca personalizzando troppo l’analisi, facendo congetture azzardate ecc.
      Ecco, immagino che sta gente, per scrivere su un giornale nazionale dei riassuntini della trama interpolati da rozzi commenti personali di stampo politico, sia laureata e la cosa mi fa rabbrividire.

    • Si apprezza nella dotta recensione la licenza romanesca “nome de plume” (amici dell’Urbe: cosa sono le plume?), l’uso moderno e disinvolto delle preposizioni articolate (“i libri Del Boca”), una nuova traduzione, provvisoriamente limitata al solo titolo, di un classico di MacFarlane («quando gli uomini e le montagne si incontrano») e la fregola documentale che di Wu Ming 1 tralascia di pubblicare solo la misura degli scarponi, al netto del rammarico postumo di Vitale Bramani.
      È per merito delle pagine comiche di Giornali come questo che Il Male ha chiuso bottega.

      • Il nome de plume der Boca è appunto Er Boca, credo. #PointLenana

        Comunque una cosa va detta: sono in pochi ad aver osservato che siete due di sinistra che si sono messi al lavoro su una storia che sembra fascia. Tra i pochissimi che l’hanno notato, oltre a questo genio, figurano anche un certo Santachiara e un certo Bui, in un libro omonimo di quello recensito…

    • qua un generatore automatico di articoli di libero:

      http://digilander.libero.it/spaceman70/PaeseCivile/generatore_libero.htm

      lavorandoci sopra, si potrebbe creare un generatore automatico di recensioni.

    • vabbè, preferivo il delirio di Libero… ‘sta cazzata dell’epica fascista dà fastidio forte, roba che fa scattare la testata automatica sulla faccia di chi la spara…
      Mi colpisce anche sta storia secondo la quale “ogni appassionato di montagna” avrebbe una copia di Fuga sul Kenya in casa, tesi sostenuta anche da Pietro Spirito su Il Piccolo. Ma si può sapere, definitivamente, quante copie hanno venduto le edizioni italiane prima della ristampa Corbaccio?
      Le berciate a vanvera dànno ancora più fastidio di quelle in malafede.

  10. Realisticamente, dal 1948 al 2012 Fuga sul Kenya avrà venduto 1000 copie, forse poco di più. Da quando Cecilia e Roberto hanno fatto in modo che fosse ripubblicato, ne ha vendute 6000. Adesso tutti ce l’avevano in casa da anni. Saranno state fotocopie…

    • :-) Io non avevo in casa né l’originale né le fotocopie, ma basta leggere le prime 40 pagine di point lenana (come ho fatto io ieri sera, finalmente!) per farti venire voglia di correre in libreria ad avere la tua copia di Fuga sul Kenya. Accidenti a voi!

      • @tomm_zan
        Ho appena finito PL per la seconda volta e attaccato Fuga sul Kenya: è un gran bella lettura. Mi stupisco di aver letto libri di montagna da decenni senza averlo mai sentito nominare fino a qualche mese fa, e c’è davvero di che meravigliarsi di così poca notorietà.
        Ma preparati a rompere il maialino: quando arriverai alla bibliografia sarà un disastro.
        ;-)

  11. #PointLenana Intervento di Tommaso De Lorenzis al @Communia di Roma, 7 giugno 2013. Dura 18 minuti:
    http://pointlenana.tumblr.com/post/52531351899/lectio-magistralis-di-tommaso-de-lorenzis-su

    • Approfitto di questo audio per fare a Tommaso una “domanda” che mi è venuta in mente a notte fonda, dopo la serata al @Communia.
      Sono d’accordo sul fatto che Point Lenana tocchi un punto estremo: già nelle prime impressioni di lettura ho sentito e toccato i fili (ispidi) di un tappeto, tirati (fin quasi al punto di rottura) per annodarsi, distendersi ed essere nuovamente tirati. Mi verrebbe da scrivere che se possiamo dire che, a oggi, Point Lenana tocca il punto estremo delle possibilità di un UNO, allora quegli oggetti narrativi li possiamo identificare, ma questo sarebbe un gioco di parole da torre d’avorio che non ci farebbe procedere di un passo :-)!
      Penso sia più utile provare a dire in modo più specifico in cosa sta la tensione di questo UNO: e questa è la “domanda” per Tommaso.
      Provo a dire impressioni sparse a questo riguardo.
      A proposito di montagne, quote, tappeti, mi sembra che uno degli elementi portanti di Point Lenana sia nella compresenza “non pacificata” delle due direzioni (orizzontale e verticale): ci sono scalate in montagna, sì, ma anche traversate via mare; altipiani ad alta quota e il mare di Trieste; la bandiera piantata dai tre fuggiaschi in vetta e la folla sotto il balcone di Piazza Venezia…
      E poi, la tensione prodotta dalle mille voci diverse: le voci che parlano di sogni e desideri, le voci tracotanti e quelle “fallite”, quelle indistinte e quelle fin troppo stentoree, quelle burocratiche, quelle delle confidenze…
      E poi, la tensione tra l’io narrante (che è osservatore e osservato, fuori e dentro la storia che racconta) e la materia raccontata (ampia ma non offerta come magmatica e indistinta), che si dà tra controllo e abbandono, programma e scoperta, senza voler esaurire tutte le possibili strade, ma facendo in modo che il lettore abbia voglia di sapere di più, di andare a cercare nuovi sentieri.
      E poi basta, che sono curiosa di sapere cosa ne pensa Tommaso :-)!

      • @danae
        Più che un risposta il mio è un assenso convinto perché sono d’accordo con te: a cominciare dal gioco di parole che non trovo per nulla gratuito. A furia di parlare di “oggetti narrativi non identificati”, di leggerli, compararli, “smontarli” per capirne i congegni, scriverli quand’è possibile, credo che sia emerso un preciso sapere pratico. Insomma sappiamo cosa sono e come si fanno, riusciamo a distinguere le “dosi” dei vari elementi, comprendiamo le tecniche, notiamo se un personaggio storico “pensa” o “parla”, e se sì come lo fa, individuiamo il punto di miscela tra ricerca documentaria e soluzioni della scrittura letteraria, ecc. Quindi, sì: sono identificabili, e forse identificati. Abbiamo radar che ci consentono di rilevarli ed efficaci strumenti per analizzarli. Forse un tempo, non era così. Oggi, mi pare di sì. Credo che quel tipo di ragionamento collettivo sia quasi implicato nei libri di questo tipo. Come se ogni volta si avanzasse almeno di un metro rispetto a quello che c’era prima.
        Potremmo perfino decidere di non usare più una definizione che, però, è stata preziosa nel dibattito degli ultimi anni. Ha aiutato ad affermare un tipo di narrativa non-finzionale. Bello, tra le altre cose, che all’apertura della prospettiva in questione, abbiano concorso romanzieri, scrittori di solidi romanzi d’intreccio, a loro volta autori di oggetti narrativi non identificati: fin da “Asce di guerra”.
        Le cose che dici di “Point Lenana” sono – a mio avviso – caratteristiche imprescindibili del libro. Ovvero: varietà delle persone della narrazione (prima singolare e plurale, seconda, terza), varietà dei registri e delle tipologie di prosa, molteplicità delle storie amministrate da precisa regia narrativa, specifica modalità d’uscita dal genere biografico, eventuali sentieri che si aprono di continuo e conducono ad altri libri scritti o da scrivere, e via dicendo. Anch’io rilevo il rapporto orizzontalità-verticalità. Avrei detto che l’ascesa aumenta la capacità di allungare lo sguardo accorciando così gli spazi e le geografie, “avvicinando” in qualche *misura* il confine italiano, le terre irredente, le folle oceaniche di piazza Venezia, all’Africa del colonialismo.
        Alle tue osservazioni aggiungo un altro elemento: la gestione delle fonti e l’uso delle citazioni. Durante la prima lettura sono stato attento a capire se c’era qualche riferimento di troppo, se una cosa che veniva affidata a una voce esterna, tramite rimando, poteva essere narrata dagli autori o se in certi passaggi fosse subentrata la pigrizia della delega, per così dire. Invece, no: penso che anche su quel terreno gli incroci sono perfettamente riusciti.
        Un’ultima cosa. Ammetto di avere fatto una secca comparazione tra “L’aspra stagione” e “Point Lenana”. Credo che sia una cosa lecita: libri scritti a quattro mani, uso dei vari materiali, ibridazione saggistica-narrativa, rottura della *time line*, e tanto altro. Non ne ho parlato in presentazione perché sarebbe stata una roba autoreferenziale. Però, quel paragone, confesso di averlo fatto. Allora: invidio proprio la presenza delle voci narranti sulla scena del racconto e la capacità di restituire in chiave narrativa le riflessioni di poetica. Io e Mauro abbiamo fatto la scelta esattamente inversa: siamo “scappati” da quel piano lì. C’eravamo detti: “Siamo due, il libro è a quattro mani, come possiamo muoverci direttamente nel racconto? È impossibile. Verrà fuori una cagata”.
        Ecco come si faceva. Bastava aspettare un anno per leggere, e imparare.

        • Impressioni a caldo (ho appena ascoltato l’intro di Tommaso) e un po’ random, anche se non ho ancora terminato il libro. In sintesi:

          1) @Tommaso: hai fatto bene a porre l’accento sull’uso della seconda persona. È un espediente arduo da coordinare, ma se è ben gestito, ha un impatto che non lascia indifferenti. Questo accorgimento ha colpito molto anche me. Da subito.

          2) La a-linearità dell’esposizione e il brulichio di “voci” autorizzano il lettore a perdere le coordinate – è un apprezzamento, non una critica – di continuo. Ho letto le prime dieci pagine convinta che l’io narrante fosse Santachiara e quindi ho inteso come sua la descrizione dell’ascesa in vetta; mi ero dimenticata dell’omonimia (entrambi gli autori si chiamano Roberto) e ho adottato un punto di vista interamente ribaltato. Riconosciuta la svista, ho ricominciato da capo la lettura sovrapponendo così le differenti percezioni: una sensazione singolare.

          3) Assai incisivi i resoconti dei familiari di Benuzzi, ricordi spesso più attigui alla narrativa che alla memorialistica. L’episodio a pag. 402 (il ritorno di Felice dalla prigionia e il mancato riconoscimento iniziale da parte della piccola Daniela) mi ha colpito nel profondo. Il rimando all’Odissea è scattato in automatico. Il nesso con l’eroe omerico presenta però un dettaglio rovesciato: Benuzzi torna a casa e viene riconosciuto non per la presenza di una cicatrice (cfr. Odisseo e la nutrice) ma per un assenza di cicatrici. Ho trovato quel racconto biografico di Daniela davvero toccante: esistenza e letteratura sono, in quel passo del libro, magnificamente saldati.

          4) Felice Benuzzi è l’epitome del ‘900. A suo modo, lo è anche Point Lenana.

          • Refuso: un’assenza (con l’apostrofo) di cicatrici.

            Dimenticavo: in PL, a parer mio, sono molto interessanti anche certe ipotesi storiografiche che vengono inserite qui e là, tra i mille rivoli della narrazione.

        • Penso, Tommaso (ed è solo una postilla), che Point Lenana ci (di)mostri anche che per ogni storia vada cercato il modo di narrare che ci sembra più adatto e penetrante e tensivo in quel momento. Corriamo il rischio, sennò, di fare tanti Point Lenana, e il tardo-manierismo ci sommergerebbe…
          Piuttosto, quello che mi sembra accomunare Point Lenana e L’Aspra Stagione è lo sguardo cinematografico. Mi sono andata a riguardare le vostre pagine per cercare una scena magistrale che mi ha catturato fin dalla prima lettura. Le righe finali di p. 35, straordinarie. L’aria fredda della sera, il cronista che fa scattare il cavalletto, la Guzzi che si mette in moto e si allontana da piazza Indipendenza (a Roma) mentre «un’Alfa accosta il gruppetto di ragazzi […] – Che, ma te lo fai un giro a Ostia? […] Un’altra notte è iniziata».
          (Insomma, anche L’Aspra Stagione è un gran bel libro!)

  12. Ho regalato una copia di Point Lenana a mio padre (che è un lettore “forte”, uno da 30 libri all’anno). A parte i giudizi positivi sulla leggibilità del libro è rimasto fortemente impressionato da tutti i racconti sul colonialismo.
    Ieri sera è arrivato da me e mi ha detto: “Certo che gli italiani sono stati veramente terribili, hanno fatto delle cose brutali, non lo sapevo proprio”, per poi aggiungere “tutta l’idea degli italiani bonaccioni, beh, ce la siamo inventata noi”.
    Credo che gli abbiate condizionato fortemente la visione nazionalista (per chiarire, non è mai stato nemmeno simpatizzante di certe esperienze storiche) e gli avete opportunamente smontato il mito degli “italiani brava gente”, in fondo è quello che speravate, no?

  13. oggi a trst c’e’ un caldo etiopico. la temperatura e’ quella giusta per ascoltare mulatu astatke:

    http://www.youtube.com/watch?v=WpvQbcemMvA&list=PLC6895E0F9015E1DB