Speciale “L’Eroe imperfetto”: L’Unità, Valter Binaghi, Roberta Borsani

[Su L’Unità di oggi compare una recensione de L’eroe imperfetto a firma di Roberto Arduini. Ne pubblichiamo qui la versione integrale.
A seguire la recensione pubblicata dallo scrittore Valter Binaghi sul suo blog. E’ strano, frastagliato, conflittuale e segnato da reciproco rispetto il nostro confronto a distanza con Binaghi. Quando recensì Altai, scrivemmo di lui:
«Binaghi il convertito, per il quale Dio è voragine che ti si apre sotto i piedi; Binaghi il cattolico, il “tradizionalista” che lamenta la scomparsa del futuro, Binaghi in febbrile e autentica ricerca del trascendente, interlocutore spesso prezioso proprio per la radicale differenza tra le nostre impostazioni, differenza che rende tanto più rimarchevoli i momenti di convergenza…»
Queste parole introducevano però l’esposizione di una divergenza (su femminile, femminismo etc.) e si finì per fare a cornate. Capita sovente. Tuttavia, certe cornate aiutano a pensare, insegnano qualcosa.
Infine (sempre dal blog di Binaghi) una nota sull’eroismo al femminile della scrittrice e poetessa Roberta Borsani.]
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Lawrence d’Arabia? A lezione da Borges

di Roberto Arduini | Tutti gli articoli di Arduini su unita.it

Cosa succede se un personaggio di un racconto prende il sopravvento sullo scrittore? Succede che la sua storia e i suoi stimoli traboccano al di fuori del romanzo stesso e si dividono in mille rivoli, seguendo strade a volte parallele, a volte intersecanti, ma producendo in ogni caso altre storie. È il caso di “Lawrence d’Arabia”, al secolo Thomas Edward Lawrence, che fu soldato, agente segreto, archeologo e scrittore, il cui mito è soprattutto legato alla rivolta araba contro il dominio turco durante la Prima Guerra Mondiale. Personaggio già nelle sue memorie, è stato il protagonista di Stella del Mattino (Einaudi, 2008) di Wu Ming 4. Ora lo scrittore, di nuovo in solitaria rispetto ai suoi soci, dà alla stampe un trittico di saggi, raccolti sotto il nome collettivo L’Eroe imperfetto (Bompiani, p. 174 – euro 10), in cui Lawrence d’Arabia è sempre presente, in maniera più o meno palese. Perché nello sfortunato ufficiale britannico si riassumono tutte le caratteristiche di un certo tipo d’eroe, quello che deve sopravvivere al sé stesso e al proprio mito, l’anti-eroe già descritto dai classici e tramandato dalla notte dei tempi.

Il sentiero di riletture prova a ragionare sulla crisi e la possibile sopravvivenza nel presente di questo archetipo letterario e culturale. Nel Secolo XX – che per un certo periodo ha esaltato l’eroe tutto d’un pezzo, sempre perfetto e pieno di medaglie, che ha lasciato poco spazio a quello imperfetto, pieno di contraddizioni e di errori, sempre in conflitto con sé stesso – Lawrence si staglia come un gigante, come il prodotto di un intreccio tra storia e mito trattato fin dalla Poetica di Aristotele: guerriero e letterato, traduttore dell’Odissea di Omero e autore di un memoriale che viene considerato un poema epico in prosa moderna. Si tratta di un eroe in collisione frontale con quello classico fin da quando Ulisse contese ad Aiace le armi di Achille.

Il secondo, incarnazione degli antichi ideali aristocratici, coraggioso, ma anche superbo e sempre alla ricerca della “bella morte”, non può che soccombere. Per lui, malato di hybris, non è concepile una macchia nella vita, un’esistenza post-eroica. Il primo, astuto ma ambiguo, aggira lo scontro anziché cercarlo, sfrutta il vuoto anziché il tutto-pieno. Proprio a questo modello guarda Lawrence, quello post-eroico dell’ultima fase della vita con la sua capacità di introiettare la sconfitta. È il punto focale delle riflessioni di un altro scrittore del Novecento, anch’egli autore di un poema epico in prosa moderna, J.R.R. Tolkien. Qui il richiamo è doppio, se non triplo: è chiamato in causa come autore del Signore degli Anelli, come autore di saggi su poemi medievali come Sir Gawain e La Battaglia di Maldon e come protagonista di Stella del Mattino. Il professore di Oxford torna più volte nella riflessione di Wu Ming 4 in queste vesti diverse, ma sempre seguendo il filo conduttore dell’eroe. Tolkien mette profondamente in discussione la “teoria del coraggio”. Lo fa con Frodo e Sam nel suo capolavoro, ma anche con la sua critica al conte anglosassone Byrhtnoth che a Maldon mostra un “eccesso” di eroismo. Il lavoro filologico del professore sulla parola “ofermod” (parola simile a hybris), è in grado di cambiare radicalmente l’interpretazione del tema centrale del poema: non d’audacia, ma d’orgoglio si tratta, con una sfumatura negativa. Questa «aspirazione a onore e gloria, in vita e dopo la morte, tende a dilatarsi, a divenire un movente fondamentale», inducendo il protagonista all’eccesso cavalleresco che causa di rovina per tutti i suoi guerrieri e per il Paese. Già Ulisse non era nuovo a gesti avventati per il proprio orgoglio (anche lui lascia massacrare i compagni in alcune occasioni), ma qui Tolkien e con lui Wu Ming 4, sottolineano come il perseguimento cieco della gloria fine a se stessa causino danni irreparabili. Ecco perché nel Signore degli Anelli Aragorn, l’eroe di un canone ben consolidato, sia accanto a Frodo, ma sempre sullo sfondo: la vicenda centrale è quella dell’antieroe, di colui che si deve sacrificare, arriva a perdere tutto, in senso materiale e psichico, per il bene della comunità. Il Lawrence di Stella del Mattino non è troppo distante da Frodo. In quest’ottica, Maldon diventa quasi un luogo simbolico, un paradigma di come lo scontro sul campo si trasforma in scontro di narrazioni, di parole. Tolkien e Borges hanno addirittura pensato a finali alternativi del poema. E lo stesso fa qui Wu Ming 4. Quest’ultimo aspetto è molto intrigante perché è la concretizzazione delle potenzialità narrative delle storie, attraverso cui il nostro retaggio letterario è giunto fino a noi. Un poema dell’anno mille che stimola due scrittori del XX secolo. Quel “riempire i buchi” è una delle caratteristiche dello Homo Fabulans.

Ecco implicitamente introdotto il terzo e ultimo elemento del volume, già presente in Stella del Mattino, con Robert Graves che ne è l’incarnazione. Durante la Prima Guerra Mondiale, il war poet sperimentò sulla pelle le conseguenze estreme dell’ideale dell’eroismo classico, tanto da rigettarlo totalmente in Addio a tutto questo. Il poeta e scrittore inglese sapeva – lo scrisse in La Dea Bianca – che quel modello eroico ereditava una tradizione più antica, quella propria del mito primigenio, dove l’eroe aveva una funzione comunitaria imprescindibile e la cui avventura, che poteva includere anche la morte, era un passaggio che garantiva la ciclicità della vita, un atto collettivo, ciclico e rivitalizzante. Così l’ultimo saggio prende questa strada nuova, che porta fino a John Steinbeck e a Christa Wolf, sulle tracce del “femminino” (i temi poetici connessi alle figure femminili nella mitologia e nella letteratura) nel tema dell’eroe. Se Joseph Campbell concludeva che l’uomo moderno dovesse ripartire dal singolo, ma sempre come modello d’umanità, come “uomo sociale”, Wu Ming 4 giunge a rintracciare una versione dell’eroismo più antica di quella monolitica virile che, senza escludere il sacrificio per il bene comune, contrappone al fascino della morte il legame irrinunciabile alla vita, agli affetti, alla natura. È una strada che forse porterà l’autore a nuovi saggi o romanzi. Sicuramente a nuove storie.

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Mito-poiesi e mito-logia

di Valter Binaghi

Per una fenomenologia dell’immaginario

Valter Binaghi

Il saggio di Wu Ming 4, che l’autore definisce modestamente un “esercizio di lettura”, richiede a mio avviso una duplice attenzione. In primo luogo, ovviamente, per quanto concerne la lettura dei materiali mitologici e letterari che percorre e per ciò che ne risulta. In secondo luogo, per la collocazione di questo lavoro, che io definirei un contributo a una fenomenologia dell’immaginario.
Con questa espressione intendo qualche cosa che è moderno eppure già molto antico: l’atteggiamento di chi, collocatosi in posizione trasversale rispetto alla mitopoiesi pura e semplice del raccontare, prova a leggere nelle figure del mito e nella loro evoluzione l’accadere del divino nella coscienza umana storicamente intesa, senza far ricorso a uno schema teologico o psicologico pregiudiziale, ma semmai tentando di trarre proprio da esse le indicazioni di un sentiero teofanico che non si distingue dall’e-vento dell’umano. Nel primo caso, infatti, avremmo una sorta di allegorismo che consiste nel trattare le figure del mito come simboli “a chiave”, cioè decifrabili a priori: questo avviene già nell’antichità con la lettura “platonica” della Genesi ad opera del filosofo ebreo Filone Alessandrino e con l’interpretazione che la Patristica cristiana fornisce di miti e misteri greci, considerandoli anticipazioni della rivelazione cristiana. La fascinazione che il mito produce nel lettore “colto” prosegue per tutto il medioevo e l’epoca moderna, raggiungendo la massima espressione nella cultura romantica, dove però emerge in tutta chiarezza l’egemonia di uno schema preconcetto (si pensi alle grandi costruzioni dell’idealismo tedesco) in cui la materia mitologica viene costretta, chiamata com’è a illustrarne e verificarne la capacità onnicomprensiva. E’ certo che questa metafisica del mito ci ha lasciato suggestioni potenti e tassonomie indimenticabili, grazie a uomini di straordinaria erudizione e spirito speculativo come A. Kircher, G.B. Vico, F. J. Schelling, J.J. Bachofen, C.G. Jung; è altrettanto certo però che lo sgretolamento dell’umanesimo moderno e della sua attrezzatura metafisica lascia non solo di queste geniali costruzioni le rovine fumanti, ma anche la doverosa eredità di un approccio inedito, che provi ad ascoltare il mito come rivelazione primigenia, Ursage (“dire originario”), uno sguardo appunto fenomenologico che sarebbe anche per la prima volta genuinamente mito-logico. In questa direzione si è mosso certamente Heidegger nelle sue letture della parola poetica (di Holderlin soprattutto), ma se vogliamo riferirci specificamente all’ambito mitologico, i nomi sono quelli di W.Otto, K.Kerenyi e, in Italia, Furio Jesi. E’ a quest’ultimo studioso che esplicitamente si richiama Wu Ming4, potendo però vantare oltre a una conoscenza erudita della materia mitica ed epica, una frequentazione profonda di quello che resta l’unico grande mito-poeta del XX secolo, cioè R.R. Tolkien, la cui duplice opera di storico della letteratura e grande narratore è in effetti oggetto di dialogo e materia di ricerca in due dei tre saggi che compongono “L’eroe imperfetto”.

Wu Ming tra mito-poiesi e mito-logia

La medesima duplice vocazione caratterizza il collettivo di scrittura cui Wu Ming 4 appartiene: se negli ultimi dieci anni la maggior parte dei loro lavori hanno puntato al romanzo storico prediligendo personaggi che emergono dalle rovine di un mondo alla ricerca di un approdo ancora sconosciuto (Q, Manituana, Altai), è evidente che negli ultimi tempi la consapevolezza mito-logica è cresciuta al punto da fare oggetto di riflessione non solo le produzioni narrative proprie e quelle sentite in qualche modo come affini (si veda la raccolta di testi sul “New Italian Epic” di cui si è molto parlato in Rete, ora pubblicata in volume da Einaudi Stile Libero), ma anche i monumenti dell’immaginario mitico e letterario di un passato remoto e recente, come avviene in questo libro piccolo ma meritevole.
Il tentativo, esplicitamente formulato in quasi tutte le loro comunicazioni pubbliche, è quello di fare di una crisi di civiltà e di linguaggio l’occasione per una ri-fondazione che trovi nel vigore della narrazione le proprie figure profetiche, scegliendo tra le molte possibilità dei percorsi letterari quello di una narrativa che è popolare nella materia ma colta nelle occasioni ermeneutiche che la materia stessa fornisce: mito-poietica e mito-logica, appunto. Questa è la ragione per cui sono personalmente molto interessato al loro lavoro: nel declino del moderno e dei suoi modelli teorici, è di nuovo all’immaginazione creativa del narratore che si deve chiedere, come un tempo, la visione oracolare di un futuro ancora inconcepibile se non nel profilo incerto del simbolo, meglio ancora se decontestualizzato dalla contemporaneità e dall’antropologia estenuata della vita corrente (e in questo senso darò, spero, il mio contributo in un romanzo storico di prossima pubblicazione). Questa, però, è anche la ragione per cui i Wu Ming si sono attirati gli strali della Critica patentata. Quella accademica, impersonata da Andrea Cortellessa (si veda la recente polemica sulla “Letterarietà”, svoltasi originariamente sul blog di Loredana Lipperini e ora scaricabile in pdf), perchè colpevoli di usurpare il “canone” che essa difende strenuamente, costruito sull’idolatria dello stile che ha fatto la grandezza della letteratura del XX secolo, contrapposto alla narrativa “di genere e di consumo”. Quella giornalistica, impersonata da Antonio D’Orrico, che giunge addirittura a “vietare” la lettura de L’eroe imperfetto, colpevole ai suoi occhi di esaltare uno sperimentalismo ad oltranza (D’Orrico è quello che ha proposto come grande romanzo italiano l’esordio di maniera di un dandy fuori tempo massimo, tale Alessandro Piperno, in seguito segnalando all’attenzione dei lettori capolavori indiscussi come Ci vediamo al Bar Biturico). (—> continua sul blog di Valter Binaghi)

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Roberta Borsani

Eroismo al femminile

di Roberta Borsani

Una riflessione innescata dalla lettura de L’eroe imperfetto di Wu Ming 4.

Di eroismo femminile e di eroine si parla poco, e quasi sempre in modo scontato, facendo riferimento sempre alle stesse figure dell’epica classica: Pentesilea, Camilla, Clorinda, personaggi che in un modo o nell’altro ricalcano un modello di eroismo maschile, per lo più combattendo in guerra e sacrificando la propria femminilità. Delle Amazzoni ad esempio (che i greci cercarono in tutti i modi di screditare a vantaggio della pregiudiziale superiorità maschile) si dice che per usare meglio l’arco, fossero disposte a mutilarsi il seno, rinunciando a una mammella. Sono figure affascinanti, nelle quali si incarna un’immagine della femminilità preadolescenziale e verginale che ha una sua intima consistenza e una sua verità. Ma non possono certo pretendere di riassumere in sé la complessità dell’eroismo femminile. Lo dimostra la loro labilità: Pentesilea alla fine si sottomette alla superiorità del maschio, Camilla e Clorinda muoiono entrambe giovanissime.
L’eroe imperfetto di Wu Ming 4 non si addentra nella questione e preferisce soffermarsi sull’importanza che il femminile riveste in relazione al cammino esistenziale dell’eroe, come elemento iniziatico. Il femminile è soprattutto la Grande Madre, tradita, ferita, cercata e subita.
Noi invece, che il tema dell’eroismo femminile abbiamo particolarmente a cuore, proviamo a soffermarci sulla figura dell’eroina, più complessa, densa, sfumata, di quella dell’eroe cui l’epica antica e cavalleresca ci ha abituato. La domanda è: che cosa qualifica in maniera essenziale l’archetipo dell’eroina, quale si presenta nella letteratura e nel folclore? (—> continua sul blog di Valter Binaghi)

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6 commenti su “Speciale “L’Eroe imperfetto”: L’Unità, Valter Binaghi, Roberta Borsani

  1. @ Wu ming 4: Riflessione veloce, veloce da parte mia, un semplice spunto forse anche poco interessante. Una cosa mi è piaciuta nell’Eroe Imperfetto ed è il modo in cui hai affrontato la questione *cambiamento/assenza di cambiamento*. Mi riferisco alla terza parte del libro che, non a caso, inizia con Aiace per poi terminare, sempre non a caso, con Eowyn.
    Da un lato c’è Aiace, tutto muscoli e onore ferito che incarna una tipologia di eroe, quello omerico, cristallizzato (sempre uguale a se stesso) e fuori tempo massimo; perché, correggimi se sbaglio, è l’età in cui Sofocle scrive che irrompe (forse in modo non esplicito) nella tragedia, ovvero l’età in cui si diffonde la sofistica, corrente filosofica che reclama la pratica del duello intellettuale a suon di sottigliezze: l’eroe più adatto a questi tempi è l’astuto Ulisse e non il possente Aiace. Sofocle smantella i valori eroici tradizionali e suggerisce l’immagine di un uomo nuovo, Odisseo, più adatto alla temperie culturale del V secolo. Dall’altro lato abbiamo Eowyn che incarna, solo temporaneamente, il ruolo virile tradizionale per poi allontanarsene. In sintesi: eroe statico versus eroe (in questo caso declinato al femminile) dinamico, incline al cambiamento, alla modificazione.
    Ecco, il tema della trasformazione l’ho apprezzato moltissimo e, stando alle parole conclusive del libro, mi è sembrato essere uno degli assunti centrali della tua riflessione.

  2. @ Anna Luisa: la necessità della trasformazione di sé è senz’altro uno dei temi centrali, sì. L’idea che l’eroe debba contrapporre la propria identità all’avvento delle trasformazioni, al decadimento dei tempi, è il fulcro della visione eroica reazionaria.
    Trasformazione ovviamente non è sinonimo di decadenza; così come identità non è sinonimo di coerenza con la funzione eroica. Quest’ultima infatti non può non essere rivolta alla comunità, ovvero alla diversità che la compone. La pretesa di rimanere uguali a se stessi fa il paio con quella di bloccare il mutamento o riportare in auge il passato. Tolkien, per altro, ce l’aveva ben presente, e proprio questo fa di lui un “reazionario” davvero sui generis…

  3. Una nota divertente: da notare come nella home page de l’Unità (www.unita.it) è stato illustrato il banner su “L’eroe imperfetto”… con il bicipiotoso Brad Pitt nei panni di Achille/manzo americano! Non credo che l’ironia si involontaria. Un colpo di genio!

  4. Sì, un colpo di genio… gli adetti alla grafica sembrano fare a gara con i titolisti ;-)

  5. Ho apprezzato molto la definizione di WM4: esercizio di lettura, perché questo libro accompagna il lettore porgendo dei suggerimenti per una riflessione senza tanti intralci. Cioè è utile. E’ utile perché il senso della misura, del ridicolo, la forza del principio femminile, il ricordo del bene sono contenuti delle narrazioni cui fa riferimento l’Eroe imperfetto al pari di altri temi, ma non sempre siamo in grado di accorgercene.
    Anche in questo caso la chiarezza e la linearità dell’esposizione rendono omaggio alla vera comunità dei lettori. Se qualcuno ha da dire qualcosa di istruttivo, e costruttivo, questo è il modo, secondo me. L’eroe imperfetto è un personaggio le cui sfaccettature permettono l’identificazione del lettore in un confronto aperto e in evoluzione, perché a che diavolo serve se non a permettere e promettere una identificazione e un riconoscersi? Insomma, è un eroe che è in grado di mostrare vie di fuga, forse perseguendo un cammino che finalmente compone le contraddizioni e si svela come l’unico percorribile, cioè è un eroe che non si arrende.
    Lawrence d’Arabia in particolare è un ‘eroe’ che poi però si mette a raccontare un’altra storia, togliendosi bruscamente dal ruolo che aveva contribuito a creare. Qui da noi è quasi impossibile avvicinarsi a questa figura se non nel suo ruolo di animatore della rivolta araba, il ché è efficace per l’eroe perfetto, mentre le sue ‘imperfezioni ‘ sono percepite e risolte frettolosamente come nevrosi e contraddizioni borderline. Ok.
    In realtà esaurita la spinta propulsiva l’eroe è in grado di lavorare su se stesso e sugli altri, anzi, con gli altri: l’ultimo periodo della vita di Lawrence sarà infatti una narrazione portata avanti in maniera molto diversa, se così posso dire. Dopo il libro di WM4, mi chiedo se e quanto i miti che Lawrence conosceva così bene abbiano avuto un peso, siano stati ‘riletti’ e abbiano in qualche modo influenzato (o ispirato) le sue vicende umane e professionali dell’ultimo periodo… E questa ‘rilettura’, spero, è una possibilità che è offerta a tutt*, come lett*** dei miti e delle storie.

  6. […] Abbiamo aggiunto alla pagina “Download” un titolo sinora latitante. Si era dato alla macchia, come il leggendario personaggio che appare in copertina. L’eroe imperfetto è un trittico di saggi – o meglio: “esercizi di lettura” – a firma Wu Ming 4 pubblicato da Bompiani nel 2010. […]