Il #Giornodelricordo: dieci anni di medaglificio fascista. Un bilancio agghiacciante.

Collage tratto da eQual.

Collage tratto da eQual.

di Nicoletta Bourbaki (*)

1. Un presidente piccolo piccolo

Quest’anno il Giorno del Ricordo non è passato proprio liscio liscio.
Prima, la campagna sui falsi fotografici che abbiamo lanciato su Giap è arrivata sui media mainstream sia in Italia (L’Espresso) sia in Slovenia (Mladina).
In seguito, la notizia del conferimento dell’onorificenza ai congiunti del volontario del Battaglione «Mussolini» Paride Mori  ha scoperchiato un vaso di Pandora. Poche settimane dopo il 10 febbraio, il Corriere ha pubblicato un articolo a firma di Alessandro Fulloni («Foibe, 300 fascisti di Salò ricevono la medaglia per il Giorno del Ricordo»), in cui si parla di ben trecento onorificenze – sulle mille assegnate a partire dal 2005 – attribuite a militari inquadrati nelle formazioni collaborazioniste della RSI.
A livello nazionale la notizia ha destato un certo scalpore, ma chi ha la memoria lunga e l’abitudine a guardare oltre il cortile di casa propria, ricorda bene che già nel 2007 era successo un discreto casino.
All’epoca Napolitano pronunciò un discorso passato alla storia, o perlomeno alla cronaca. Discorso che, tra le altre cose, conteneva la plateale manipolazione di un passo dello storico Raoul Pupo:

Pupo: «Il quadro che si offre all’analisi storica è dunque decisamente articolato, perché nei fatti dell’autunno del 1943 sembrano intrecciarsi più logiche: giustizialismo sommario e tumultuoso, parossismo nazionalista, rivalse sociali e faide paesane, oltre a un disegno di sradicamento del potere italiano – attraverso la decimazione e l’intimidazione della classe dirigente – come precondizione per spianare la via a un contropotere partigiano che si presentasse in primo luogo come vendicatore dei torti, individuali e storici, subiti dai croati dell’Istria.»

Napolitano: «Così, si è scritto, in uno sforzo di analisi più distaccata, che già nello scatenarsi della prima ondata di cieca violenza in quelle terre, nell’autunno del 1943, si intrecciarono “giustizialismo sommario e tumultuoso, parossismo nazionalista, rivalse sociali e un disegno di sradicamento” della presenza italiana da quella che era, e cessò di essere, la Venezia Giulia.»

Lo sradicamento del potere italiano diventava tout court sradicamento della presenza italiana; l’Istria diventava l’intera Venezia Giulia; scomparivano il contropotere partigiano e, soprattutto, i torti subiti dai croati.

Dopodiché, Napolitano consegnò la medaglia di acciaio brunito con la scritta «La Repubblica italiana ricorda» al figlio o al nipote di Vincenzo Serrentino, ultimo prefetto di Zara.

Il Presidente croato Stjepan Mesić non prese bene né il discorso di Napolitano (soprattutto per il revanscismo che traspariva da un passaggio sul confine del ’47) né l’onorificenza consegnata a Serrentino.
Infatti, chi è ‘sto Serrentino, che su Wikipedia, fino a stamane, era catalogato tra le “vittime delle dittature comuniste”?

Durante l’occupazione nazifascista della Jugoslavia, Serrentino fu uno dei tre componenti del Tribunale Straordinario della Dalmazia, un organo “giudiziario” alle dirette dipendenze del Governatore Bastianini, creato a scopo repressivo per terrorizzare la popolazione civile in funzione antipartigiana.

Il tribunale comminò decine di condanne a morte, eseguite seduta stante, dopo processi lampo indiscriminati, basati sul principio della responsabilità collettiva. Per tale motivo Serrentino venne catturato a Trieste dai partigiani jugoslavi nel 1945, processato come criminale di guerra, e fucilato a Sebenico nel 1947.

Non solo: persino la commissione italiana per i crimini di guerra, istituita con lo scopo preciso di insabbiare, insabbiare, insabbiare, nel 1946 inserì Serrentino nella lista dei (pochi) criminali deferiti all’autorità militare.

Fucilazione del segretario del Partito comunista croato Rade Končar e di altri antifascisti, il 22 maggio 1942 a Sebenico, in seguito alla condanna a morte emessa dal Tribunale Speciale del Governatorato di Dalmazia.

Fucilazione di antifascisti, tra i quali il segretario del Partito comunista croato Rade Končar, il 22 maggio 1942 a Sebenico, in seguito alla condanna a morte emessa dal Tribunale Speciale del Governatorato di Dalmazia.

Ma come, si chiederanno i meno informati, le medaglie non devono andare ai parenti degli “infoibati”? Serrentino non è mica finito in una foiba…

Beata ingenuità. Il termine “foibe”, come scrivono Pupo & Spazzali in un loro rinomato libro (Foibe, Bruno Mondadori, Milano 2003), «va accolto, purché si tenga conto del suo significato simbolico e non letterale». Si usa “foibe” per intendere «le violenze di massa a danni di militari e civili, in larga prevalenza italiani, scatenatasi nell’autunno del 1943 e nella primavera del 1945 in diverse aree della Venezia Giulia e che nel loro insieme procurarono alcune migliaia di vittime.» E anche se a parere dei due storici «sarebbe più appropriato parlare di “deportati” e “uccisi” per indicare tutte le vittime della repressione», ormai tutti parlano di “foibe” e “infoibati”, e quindi pure loro si adeguano.
Anche Gianni Oliva dice che il termine ha «un carattere simbolico» e il suo uso «va accompagnato dall’avvertenza che buona parte delle vittime (probabilmente la maggior parte) non è stata eliminata nelle foibe» (Foibe, Mondadori, Milano 2002).

A questo punto, un lettore attento potrebbe domandarsi:
«Ma se persino gli storici più citati nel dibattito mainstream, quelli ospitati da Vespa, dicono che le vittime sono alcune migliaia di cui la maggior parte è morta in altre circostanze, dove vanno a finire gli italiani gettati “a decine di migliaia” nelle foibe ancora vivi e legati l’uno all’altro con fil di ferro di cui ho letto su Facebook e/o sentito dire da Giorgia Meloni?»

Bella domanda, sarebbe bello sentirla fare più spesso. Quando la sentono, i fascisti “sopperiscono” alla mancanza di fonti e di prove… urlando. E qui vale la pena ripescare un epigramma di Beppe Fenoglio:

[LXIV] A BALBO
Balbo oratore, delle due l’una:
o rinforzi il concetto o indebolisci la voce.

2. Aguzzini nella nebbia

Il caso di Serrentino non è certo stato l’unico prima di Mori. Nonostante la fitta nebbia che circonda l’edificio del GdR (una via di mezzo tra la nebbia di The others di Amenabar e quella di The mist di Stephen King), alcuni storici come Sandi Volk e Milovan Pisarri sono riusciti, negli anni, a recuperare i nomi di decine di “decorati” e hanno scoperto parecchie cose. Tre esempi di decorati:

Luciani Bruno, riconoscimento ricevuto nel 2007. Dal suo dossier (AJ, fondo 110, busta 231, f. br. 24206):
«[…] Il giorno 27 novembre 1944 venne arrestata Varich Wilma dagli agenti Ciarlenco e Luciani, membri della polizia di Collotti, e venne portata nel carcere in via Bellosguardo. Qui venne interrogata. Venne legata al tavolo, picchiata e presa a pugni; questo venne fatto dal brigadiere Ciarlenco. Vedendo i torturatori che non aveva intenzione di dire nulla, cominciarono a bruciarle le mani, le gambe e le guance con l’elettricità. Dopo un’ora fu portata in cella. Il giorno successivo fu trasportata nel carcere presso i Gesuiti. Dopo ottanta giorni fu nuovamente interrogata e torturata nel carcere in via Cologna, poi trasferita al Coroneo e dopo due mesi fu internata in Germania.»

Privileggi Iginio, riconoscimento ricevuto nel 2007. Dal suo dossier (AJ, fondo 110, busta 214, f. br. 21168):
«[…] Il giorno 2 febbraio 1944 arrestarono Pribetić Ivan, che venne portato in carcere, maltrattato e picchiato; venne picchiato in particolare dal fascista Privileggi. Lo stresso giorno si recarono a Nova Vasi e arrestarono Viggintin Petar, che venne portato a Parenzo e ucciso con una mitragliatrice poco distante dall’abitazione di Mate Vlašić. Nel corso di questa esecuzione vennero riconosciuti i fascisti Kovačič Mario e Destilatis Ennio. In quell’occasione diedero fuoco alla casa di Vlašić Mate, e quando Vlašić Petar tentò di spegnere l’incendio, i fascisti lo presero e lo portarono al cimitero, dove venne ucciso con una raffica di mitragliatrice. A quest’esecuzione parteciparono Privileggi Iginio e Ramarro Luigi. Allo stesso modo uccisero sempre a Nova Vasi Brnobić Ivan e sua moglie Vitkorija, Orahovac Antun, Jerovac Mate, Radin Gašpare, Sorčič Bruno (…).
Il criminale sopraindicato è stato liquidato dalle nostre autorità come risulta dal rapporto della Commissione per i crimini di guerra in Istria numero 389.»

Stefanutti Romeo, riconoscimento ricevuto nel 2006 e nel 2007. Dal suo dossier (AJ, fondo 110, busta 230, f. br. 24016):
«I fascisti di diverse guarnigioni, e in particolare di quella di Oprtalj, commisero nel corso del 1944 nel territorio di Buzet una serie di crimini nei confronti della pacifica popolazione locale, con lo scopo di annientarla e di appropriarsi dei loro beni. La Commissione per i crimini di guerra in Istria ha accertato che in quel periodo critico, il milite Stefanutti Romeo partecipò personalmente ai crimini di seguito descritti […] Dalla fine del gennaio 1944 fino alla fine del giugno dello stesso anno, nel territorio di Buzet, senza alcun motivo vennero uccisi i seguenti civili: Grizančić Mate, Grizančić Andjelo (questi venne portato al cimitero nel paese di Salež dove gli vennero cavati gli occhi, tagliate le orecchie, mentre il suo corpo venne martoriato con il coltello; poi fu fucilato), Zonta Miha, Zonta Antun, una certa Ana di Zrenja il cui cognome non si conosce (venne sgozzata), Pruhar Ivan, Mušković Antuna (venne ucciso mentre badava ai suoi tacchini, che vennero poi rubati dai fascisti), Kodelij Antun e Prodan Antun; inoltre, saccheggiarono e incendiarono 14 abitazioni, mentre arrestarono due persone e li mandarono nei campi in Germania.»

La lista più completa e aggiornata dei decorati si trova sul sito «10 Febbraio 1947» (pdf).

Eppure il testo della legge istitutiva del Giorno del Ricordo sembra chiaro:

«Sono esclusi dal riconoscimento coloro che sono stati soppressi nei modi e nelle zone di cui ai commi 1 e 2 mentre facevano volontariamente parte di formazioni non a servizio dell’Italia.»

Com’è possibile che i militari della RSI, collaborazionisti degli occupatori nazisti, ricevano l’onorificenza? Vuoi vedere che…

3. Salvate il camerata Barbagli

Inopinatamente, una traccia ce la dà l’uomo che si fa chiamare Presbite, che si è più volte dichiarato persona informata dei fatti, in una discussione avvenuta nei meandri di Wikipedia:

«La prima formulazione era già contenuta all’interno del primissimo progetto di legge (quello presentato solo da aennini). La finalità era quella di evitare che si presentasse a chiedere la decorazione uno che era morto mentre combatteva per le formazioni inquadrate nell’EPLJ! E allora hanno messo questa formula “a fisarmonica”, presa paro paro dal primo progetto. In questa maniera è vero che non possono essere premiati quelli – per esempio – delle SS italiane, ma quelli sono già dannati e stradannati e gli ex missini tutto sommato sapevano benissimo che fin lì non potevano spingersi. Loro volevano proprio cercare di “salvare” quelli dalla RSI morti infoibati (quelli in combattimento non possono essere decorati).»

Roberto Menia, braccio destro di FIni

Il braccio destro di Fini. Roberto Menia, ex-deputato del PdL e poi di FLI, ex-sottosegretario all’ambiente, autore della legge che ha istituito il «Giorno del Ricordo». Attualmente è segretario generale del Comitato Tricolore per gli Italiani nel Mondo. Per un esempio di brillante azione a tutela degli italiani nel mondo, clicca sulla foto e leggi l’articolo «Blitz missino a Belgrado».

E in effetti, leggendo gli atti del dibattito parlamentare sulla legge istitutiva del Giorno del Ricordo, il punto di maggior contrasto tra coloro che votarono a favore risulta essere stato proprio quello riguardante la possibilità di conferire la decorazione ai repubblichini. Nella sua relazione introduttiva, Roberto Menia disse esplicitamente che si sarebbe dovuto dare un riconoscimento ai volontari del Btg. “Mussolini” e della X Mas. Tale possibilità fu contestata dall’ Ulivo, che però non riuscì a far passare i propri emendamenti. L’ultimo intervento al Senato fu quello di Marcello Basso, che disse:

«[…] intervengo sul provvedimento “Istituzione del «Giorno del ricordo» in memoria delle vittime delle foibe, dell’esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale e concessione di un riconoscimento ai congiunti degli infoibati”, perché turbato dalla lettura dei Resoconti pervenutici dalla Camera dei deputati; perché scosso dal fatto che negli interventi dei deputati, ma anche dei senatori, della destra non ci sia alcun riferimento alla guerra di aggressione dell’Italia fascista e della Germania nazista alle popolazioni della Iugoslavia, anche da parte di chi, lo voglio dire, autorevole rappresentante della Lega, andava in tempi assolutamente recenti in pellegrinaggio da Milošević; perché scandalizzato dal fatto che nella relazione al provvedimento l’onorevole Menia citi in positivo l’opera dei reparti della X MAS e del Battaglione bersaglieri Mussolini sul confine orientale; scorato, altresì, dal fatto che non emerga sforzo alcuno per capire il contesto storico che ha originato la grande tragedia delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata; preoccupato – anche questo voglio dire – da talune recrudescenze irredentiste. Si parte, magari come fa il senatore Servello, dalla richiesta della restituzione dei beni agli esuli, per poi magari pretendere la restituzione dei territori.»

Oggi sappiamo che i timori espressi da Basso erano più che fondati. Lo sapevamo già allora, a dire il vero. Lo sapevamo fin dal 1996, quando Menia, presentando la sua primissima proposta di legge, disse in aula:

«I partigiani titini, a seguito dell’8 settembre 1943, per circa sessanta giorni infierirono su quanto d’italiano vi era in quella terra della frontiera orientale. Ributtati nelle loro zone di origine dalle armi tedesche e da quelle della Repubblica sociale italiana, tornarono con la fine della guerra e, dal maggio 1945 – padroni incontrastati della situazione – completarono le loro vendette con altri massacri, con altre stragi.»

Ci chiediamo allora perché a suo tempo Basso e altri dubbiosi avessero comunque votato a favore. La risposta probabilmente è: ordine di scuderia. Perché il Giorno del Ricordo è stato il punto d’arrivo di un progetto di lungo corso, di un patteggiamento di Fassino e Violante direttamente con Fini e Menia.

Gli “ex comunisti” del PDS volevano costruire nientemeno che la “memoria condivisa”.
I “post fascisti” volevano semplicemente riabilitare i repubblichini.

E’ del tutto evidente che la posizione dei primi fosse perdente, oltre che stupida, sbagliata e incompatibile con i principi dell’antifascismo, e quindi coi fondamenti stessi della Repubblica. La posizione dei secondi invece è del tutto coerente con la storia da cui provengono. Solo l’ottusità – o il cinismo – della classe politica del centrosinistra può spiegare la decisione di svendere in quel modo i principi dell’antifascismo, calpestando il buon senso e qualunque serietà nell’approccio al tema del rapporto storia-memoria: la memoria non è e non può essere condivisa, è un fatto individuale o di gruppo. Solo nei regimi totalitari c’è una memoria condivisa di stato.

Il tentativo di imporre una memoria condivisa ha avuto effetti devastanti su tutta la vita del Paese, a cominciare dal mondo della scuola. Grazie al Giorno del Ricordo, scuole e musei sono obbligati per legge – e da pressioni politiche – a organizzare iniziative con associazioni di esuli come l’ANVGD e l’Unione degli Istriani. In questa intervista al gruppo musicale neofascista La Compagnia dell’anello, il frontman Bortoluzzi racconta che nelle scuole si fanno cantare ai bambini le canzoni revansciste della band:

«Una delle più grosse soddisfazioni rimane però il ricevere le richieste dello spartito di Di là dall’acqua da parte di insegnanti che fanno cantare ai cori delle scuole la nostra canzone.»

Insomma si sono fatti passare come sacerdoti di una verità “di tutti” i detentori di una memoria che fino a pochi anni fa era confinata all’estrema destra.

Ricordiamo che, come non manca di far notare Bortoluzzi, un verso di Di là dall’acqua – «Perché in Dalmazia non ti sembri strano / anche le pietre parlano italiano» – è usato da Simone Cristicchi nel suo spettacolo Magazzino 18.

Simone Cristicchi in Magazzino 18

4. The mist

Ma torniamo alle onorificenze ai repubblichini. Chi ne ha deciso concretamente l’assegnazione? La legge affida questo compito a una commissione formata da 10 persone:
– quattro sono militari degli uffici storici degli stati maggiori delle forze armate (esercito, marina, aeronautica, arma dei carabinieri);
– quattro sono rappresentanti delle associazioni degli esuli;
– uno è nominato dalla presidenza del consiglio;
– uno è nominato dal ministero degli interni.
Pare che sia prassi consolidata che i due membri di nomina politica siano anch’essi dei militari.
I nomi dei membri della commissione non sono di pubblico dominio. Nemmeno i nomi dei decorati lo sono. Scartabellando sul sito del Ministero della Difesa, si possono comunque trovare i nomi dei militari degli uffici storici (aggiornati al 15-3-2012):
Col. Antonio Zarcone, C.V. Francesco Loriga, Col. Vittorio Cencini e Col. Paolo Aceto, come si può vedere da qui.
Invece qui scopriamo che nel 2012 il presidente della commissione era l’Ammiraglio di Squadra Alessandro Picchio, e qui che il Gen. Riccardo Basile è stato membro della commissione fino alla sua morte nel 2014.
Dal sito dell’ ANVGD veniamo a sapere il nome di uno dei rappresentanti degli esuli: Marino Micich.
Sugli altri nomi nebbia fitta. C’è un’interrogazione parlamentare in corso, a cui finora non è stata data risposta. Nebbia ancora più fitta avvolge i lavori di questa commissione e le procedure di conferimento delle insegne. Tutte le richieste sono state accolte? Come si è deciso quali accogliere? Come sono avvenute le verifiche?
Inoltre, secondo la legge, le richieste sarebbero dovute arrivare entro dieci anni dall’entrata in vigore della legge stessa (quindi entro aprile del 2014). Le insegne e i diplomi consegnati lo scorso febbraio in occasione del Giorno del Ricordo dovrebbero dunque essere stati gli ultimi. Allora la commissione è sciolta? E la documentazione, come previsto, è stata già versata all’Archivio di Stato?

5. Ritorneremo!

La medaglia e la pergamena invece sono questi:

Come si può notare, nella pergamena compaiono anche i nomi delle “province perdute”: Pola, Fiume, Zara. È come se un’onorificenza britannica riportasse Dublin, Bombay, Rhodesia. Anche questo aspetto revanscista era ampiamente prevedibile e previsto. Nel 2003 Menia, presentando la sua terza proposta di legge, disse in aula:

«Ci sono pagine, nella storia dei popoli e degli uomini, che grondano di dolore e di ingiustizia. Oltre cinquant’anni fa con il Trattato di pace firmato a Parigi il 10 febbraio 1947, reso esecutivo dal decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato n. 1430 del 1947, si scrisse una di quelle pagine. Essa sancì la mutilazione territoriale delle terre orientali d’Italia e la perdita della gran parte della Venezia Giulia e della Dalmazia […]»

Concetto peraltro ribadito anche da Napolitano nel suo discorso del 2007:

«Vi fu dunque un moto di odio e di furia sanguinaria, e un disegno annessionistico slavo, che prevalse innanzitutto nel Trattato di pace del 1947, e che assunse i sinistri contorni di una “pulizia etnica”»

Per uno di quei giochi strani che fa la vita, mentre gli “ex comunisti” del PDS si appiattivano completamente sulla vulgata della propaganda neofascista triestina, elaborata a partire dagli anni Quaranta e sdoganata a livello nazionale a partire dagli anni novanta, per ascoltare qualcosa di ragionevole in quegli anni bisognava rivolgersi a uno storico come Galliano Fogar, partigiano azionista, e senza dubbio oppositore della Jugoslavia di Tito (sottolineatura nostra):

«Non è un caso che il 10 febbraio preso dalla destra come simbolo della tragedia (ma foibe ed esodo sono due cose distinte) è la data della sigla del Trattato di Pace di Parigi. Ma questi signori non spiegano che l’Italia era sul banco degli imputati e che la gran parte dell’Istria e Fiume furono perdute non certo per colpa dei partigiani ma per le precise colpe del fascismo e della sua violenta opera snazionalizzatrice prima e per l’invasione della Jugoslavia poi.»

6. The end

E oggi? Il bilancio, a dieci anni dall’istituzione del Giorno del Ricordo, è agghiacciante. Tra foto farlocche, onorificenze a nazifascisti assortiti, e discorsi ufficiali privi di qualunque fondamento storico, il GdR sembra essere diventato uno dei pilastri dell’identità nazionale italiana, a suggello di un ripugnante “patteggiamento della memoria” tra “ex comunisti” e “post fascisti”. L’epitome perfetta del paese reale.

L'italia invitta

Nicoletta Bourbaki è il nome usato da un gruppo di inchiesta su Wikipedia e le manipolazioni storiche in rete, formatosi nel 2012 durante una discussione su Giap. Con questa scelta, il gruppo omaggia Nicolas Bourbaki, collettivo di matematici attivo in Francia dal 1935 al 1983.

***

Se a questo punto avete l’impressione che molte cose non tornino nella narrazione sulle foibe imperversante nei media, consigliamo la lettura di:

FOIBE O ESODO? 24 FAQ PER IL «GIORNO DEL RICORDO» – di Lorenzo Filipaz

e, a seguire, del nostro dossier sui falsi fotografici in tema di foibe:

COME SI MANIPOLA LA STORIA ATTRAVERSO LE IMMAGINI: IL GIORNO DEL RICORDO E I FALSI FOTOGRAFICI SULLE FOIBE – di Piero Purini e Nicoletta Bourbaki.

Dopodiché, avrete gli elementi per capire la portata delle distorsioni e manipolazioni compiute sulla Wikipedia in lingua italiana, raccontate in:

WIKIPEDIA E LA STORIA DETURPATA: IL CASO PRESBITE – di Nicoletta Bourbaki

E anche quale operazione ideologica sia stata fatta per il tramite di Cristicchi e del suo spettacolo Magazzino 18, come spiegato in:

QUELLO CHE CRISTICCHI DIMENTICA. MAGAZZINO 18, GLI «ITALIANI BRAVA GENTE» E LE VERE LARGHE INTESE – di Piero Purini

Più in generale, si tratta di capire quale velenosa funzione abbia avuto e continui ad avere il vittimismo nella formazione e nel mantenimento dell’ideologia nazionale italiana. Primi elementi di riflessione su questo li trovate in:

TERRORISMO, MIGRANTI, FOIBE, MARO’… APPUNTI SUL VITTIMISMO ITALIANO – di Wu Ming 1

NOTA BENE: tutti questi testi, compreso quello qui sopra, sono disponibili in ePub, in formato Mobi per Kindle, in versione ottimizzata per la stampa e in PDF. I link sono subito sotto i post: quello per l’ePub a sinistra, quello per stampa/PDF a destra.

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30 commenti su “Il #Giornodelricordo: dieci anni di medaglificio fascista. Un bilancio agghiacciante.

  1. Questo è un post prezioso, soprattutto se messo in fila con i post precedenti a firma Nicoletta Bourbaki. Anche la tempistica della sua pubblicazione è azzeccata: come è scritto nel post i dieci anni entro cui andavano presentate le domande per i riconoscimenti sono scaduti nel 2014, quindi con il passato 10 febbraio si sono chiuse le assegnazioni dei riconoscimenti. Potrebbe però non essere finita qui, dal parlamento potremmo ritrovarci qualche sorpresa, come ad esempio – una delle peggiori ipotesi – l’approvazione della Proposta di Legge a firma Fabio Rampelli-Giorgia Meloni presentata il 31 ottobre 2014 (attualmente assegnata e giacente presso la I Commissione Affari Costituzionali). 

    Cosa chiedono i due primi firmatari con questa proposta di legge? Innanzitutto la proroga della scadenza prevista per la concessione dei riconoscimenti «in favore delle vittime degli infobiati» (sì, sarebbe “in favore delle vittime infoibate” se proprio, ma così è riportato nel testo presentato dai Deputati Rampelli-Meloni…), proroga di cui non è specificata la dilazione temporale. 

    Allo stesso tempo chiedono che venga esteso «il diritto di richiesta di tali riconoscimenti – oggi previsto per i soli parenti delle vittime [n.d.a. fino al sesto grado attualmente] – ai diversi enti pubblici e privati che posseggano informazioni sufficienti a ricostruire le vicende dei martiri di quelle tragedie». La conseguenza di questa modifica, venisse approvata, potrebbe comportare che a presentare le richieste siano direttamente le varie associazioni nostalgico/reducistiche della R.S.I., aprendo una nuova corsia che faciliterebbe la riabilitazione dei loro camerati. Oppure enti come l’Archivio-Museo storico di Fiume (con sede a Roma) che – come si può leggere sul proprio sito – svolge «attività di studio e di promozione culturale, nel campo delle ricerche storiche, sociali, economiche, artistiche e letterarie», oltre ad «attività di ricerca e di promozione culturale presso accademie, enti e associazioni, università e scuole di ogni ordine e grado» e che – sarà casualmente… – ha come presidente Marino Micich, lo stesso che viene indicato nel post come componente della commissione giudicatrice delle richieste di riconoscimento in veste di rappresentante degli esuli. 

    Sarà sempre per caso, ma la terza richiesta che Rampelli-Meloni propongono attraverso la loro proposta di legge è una «congrua dotazione finanziaria» proprio per l’Archivio-Museo storico di Fiume, che – tra le altre cose – si presta come esempio nel mostrare gli intrecci tra “ex comunisti” e “post-fascisti” (e non solo) impegnati nella narrazione tossica della “memoria condivisa”, giacché fra i suoi soci onorari ci sono Roberto Menia, Fabio Rampelli, Luciano Violante, Maurizio Gasparri, Carlo Giovanardi, Lucio Toth. 

    Che questo post serva quindi anche per tenere alta l’attenzione su possibili manovre parlamentari che potrebbero aprirsi ora che i dieci anni previsti dalla legge 30 sono passati.

    • Correggo una mia imprecisione nel commento qui sopra: la proroga dei tempi per la presentazione delle richieste per la concessione dei riconoscimenti, nella proposta di legge Rampelli-Meloni, è di ulteriori 10 anni.

    • Aggiungiamo che la legge n. 92 del 2004 che istituiva il GdR prevedeva già (Art. 2, comma 1) la concessione di un contributo annuale di 100.000 euro a decorrere dal 2004 alla Società di studi fiumani che rappresenta l’Archivio-Museo storico di Fiume. Non si capisce se l’erogazione del finanziamento dovesse finire con il termine dei dieci anni.

      Nella proposta di legge Rampelli-Meloni si avanza la richiesta di un contributo integrativo pari a 70.000 euro annui a decorrere dal 2014.

  2. Mi “delurko” (credo si scriva così nel gergo di noi GGiovani) per complimentarmi. Post epocale e articolo encomiabile per la capacità di sintetizzare i punti più importanti intorno al “Giorno del ricordo”.

  3. Continua la ricerca dell’infoibato che non c’è. Una proposta di legge che proroga i termini e non solo
    http://www.agoravox.it/Continua-la-ricerca-dell-infoibato.html
    la cosa la denunciavo a gennaio, e purtroppo vi è stata una “reazione” a dir poco inquietante all’articolo che ho pubblicato su agorà vox, ma i “velati” messaggi da parte di persone che hanno avuto un certo ruolo in questo paese non ci fermerà mica,anzi, significa che quando alcune persone si scomodano è perchè sono stati toccati tasti dolenti che forse dovevano rimanere celati…

  4. Complimenti per il post, interessante e, lo spero davvero, utile per fare chiarezza a molti.
    Permettetemi solo una piccola digressione personale: a volte mi prende un irrefrenabile desiderio di essere l’analista di Violante e di provare a capire se le sue numerose scelte poco lucide, definiamole così, siano frutto di malafede, arroganza intellettuale, ignoranza, sincera convinzione di apportare benefici al proprio paese, superficialità, disinteresse. Davvero, nutro una curiosità che definirei quasi morbosa. Non mica per giudicare, eh! No, no, solo per provare a comprendere l’uomo politico Violante che, per limiti miei, appare come un soggetto “misterioso” nelle sue decisioni. Capita solo a me?

  5. Questa è la relazione di Menia che accompagna la proposta di legge (26 ottobre 2001).

    http://www.camera.it/_dati/leg14/lavori/stampati/pdf/14PDL0020510.pdf

    Vi si legge testualmente:

    Alla prima «ondata» di infoibamenti e massacri, terminata grazie al ristabilirsi di presidi italiani e con la difesa del confine orientale ad opera di reparti come la X MAS o il battaglione bersaglieri Mussolini, ne seguì una seconda, alla fine della guerra, quando, dal maggio 1945, i « titini » padroni incontrastati della situazione da Trieste (con i famigerati 40 giorni) a Fiume, da Gorizia a Pola e Zara, completarono le loro vendette con altri massacri, con altre stragi.

    Come si può vedere, rispetto alla relazione del ’96 citata nel post sparisce il riferimento alle “armi tedesche e della RSI” e compare un riferimento esplicito a X Mas e Btl. “Mussolini”.

    Si passa quindi da un’aperta rivalutazione delle truppe di occupazione naziste a un più “prudente” recupero dei reparti collaborazionisti alla “storia patria”. In mezzo c’è stato l’incontro Violante-Fini a Triste nel 1998…

    Quando si parla di “memoria condivisa” si parla esattamente di questo.

    • E sempre a proposito di Menia. Nel 2008, presentando la sua proposta di legge per il conferimento della medaglia d’oro al “Libero comune di Zara in esilio”, scrive:

      Il 4 novembre 1918, Zara redenta – unica fra tutte le città della Dalmazia – divenne italiana. Non le altre città, perdute nel naufragio della diplomazia italiana durante la Conferenza della pace. A Versailles, Roma non seppe farsi riconoscere dai suoi stessi alleati i diritti che le derivavano dalla cambiale sottoscritta nel 1915 con il Patto di Londra e che aveva onorato con 680.000 morti. La diplomazia italiana naufragò ancora nei negoziati diretti con i rappresentanti del nuovo Stato dei serbi-croati-sloveni, e venne firmato il Trattato di Rapallo.
      Zara, che per secoli era stata la capitale della Dalmazia, ora redenta, veniva avulsa dal suo naturale circondario, ristretta in un territorio che superava appena la cinta delle mura. Rimase fedele alla propria storica tradizione e, fra le due guerre mondiali, proseguì nella missione di guida e di riferimento per gli italiani di Dalmazia rimasti al di là della sua breve frontiera.
      Provincia d’Italia, partecipò fattivamente alla vita della nazione. Sentì, come impegno morale verso quei 680.000 fratelli che vent’anni prima avevano sacrificato la loro giovinezza per redimerla, di dover rispondere all’appello quando la Patria fu nuovamente in armi. Sei furono i suoi caduti nella campagna d’Etiopia; tre medaglie d’argento e cinque di bronzo le ricompense conquistate. Altri sei zaratini caddero sui campi di Spagna, nella crociata per la difesa della civiltà europea; cinque le medaglie d’argento, due quelle di bronzo.

    • Ed ecco come il legame “vittoria mutilata – esodo” entra nelle scuole attraverso ANVGD, MIUR e “Giorno del Ricordo”

      http://hubmiur.pubblica.istruzione.it/web/istruzione/prot6044_14

      Concorso nazionale 10 febbraio

      La Direzione Generale per gli ordinamenti scolastici e la valutazione del sistema nazionale di istruzione e le Associazioni degli Esuli Istriani, Fiumani e Dalmati, nell’ambito delle iniziative del Gruppo di lavoro composto da rappresentanti delle diverse Direzioni Generali del MIUR e da rappresentanti delle Associazioni degli Esuli, bandiscono la quinta edizione del concorso nazionale rivolto alle scuole primarie, secondarie di I grado e secondarie di II grado volto a promuovere l’educazione alla cittadinanza europea e alla storia italiana attraverso la conoscenza e l’approfondimento dei rapporti storici e culturali nell’area dell’Adriatico orientale. La premiazione del concorso avverrà nel corso delle manifestazioni legate al Giorno del Ricordo 2015.

      Titolo del tema:

      “La Grande Guerra e le terre irredente dell’Adriatico orientale nella memoria degli italiani”

    • Poi capita di leggere questa lettera di Napolitano sul centenario della Grande Guerra.

      La prima guerra mondiale divenne “la prima grande esperienza collettiva del popolo italiano”. L’Italia ne uscì non solo riunita – con il ricongiungimento di Trento e Trieste – entro i confini sognati dai patrioti del Risorgimento, ma cambiata moralmente perché forte di una nuova e più vasta consapevolezza del proprio essere nazione.
      Potranno queste fondamentali acquisizioni storiche rivivere e trasmettersi alle generazioni più giovani attraverso un programma di attività già delineato in sede di governo per il centenario della prima guerra mondiale, di quella drammatica esperienza che, con sue motivazioni e suoi peculiari percorsi, l’Italia attraversò da non secondaria protagonista? Credo che sia uno sforzo da compiere, anche se è difficile immaginare un flusso di iniziative e di partecipazione simile a quello che suscitò, nel 2010-11, il centocinquantenario dell’Unità d’Italia.
      Ma si può anche in questa nuova occasione fare non poco: e ne vale la pena, per quanto l’attenzione delle istituzioni e del paese sia oggi concentrata su pressanti sfide politiche, economiche e sociali. Resto infatti convinto di quanto dissi alle Camere, nel giorno anniversario della nascita del nostro Stato: dinanzi alle prove più difficili che l’Italia, a partire da allora, abbia dovuto affrontare, “ha operato, e ha deciso a favore del successo, un forte cemento unitario, impensabile senza identità nazionale condivisa”. E questo è vero anche oggi dinanzi alle nuove prove che ci attendono, incalzanti e complesse come non mai.

      E la prima cosa che viene in mente è la risonanza con questo:

      http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=20833&cpage=1#comment-26914

      Echi e risonanze della “memoria condivisa”.

  6. Il riferimento occasionale alla Rhodesia mi fa venire in mente una storia interessante, che in Italia non ha avuto molta eco.

    Chiaramente sarebbe sbagliato pensare che certe cose succedano solo in Italia. Anzi, per certi versi l’apologia del colonialismo e dell’imperialismo in Italia è stata fatta in modo più timido, e proprio per questo più cialtronesco, rispetto ai colonialismi e agli imperialismi più grossi. Il fatto che il “nostro” colonialismo sia impastato, in parte, di fascismo, è una variante minore che rende il tutto più squallido, ma dal punto di vista dei colonizzati il colonialismo fascista e quello “democratico” sono molto simili.
    Come è noto, Cecil John Rhodes è l’imprenditore e politico inglese che colonizzò e diede il nome alla Rhodesia, oggi divisa tra Zambia e Zimbabwe. Questo tizio non era fatto di una pasta molto migliore di Graziani, dal punto di vista dell’avidità e della mancanza di scrupoli; era una spanna sopra dal punto di vista dei risultati, visto che riuscì ad annettere all’impero britannico un territorio amplissimo, ma questo per me non è un merito.
    Non lo è neanche per gli studenti della South Africa’s University a Città del Capo, aizzati da un nuovo partito di estrema sinistra che si chiama Economic Freedom Fighters (“Partigiani dell’Economia”?), che hanno fatto partire una campagna di massa per la rimozione di una statua di Cecil Rhodes che era ancora presente nel campus. La campagna si chiama #RhodesMustFall e trovo delle somiglianze con la vicenda del vespasiano di Affile; anche quella statua è stata imbrattata all’inverosimile come il monumento revisionista a Graziani. Ci sono state continue manifestazioni di massa, a cui ha preso parte anche la minoranza bianca, dentro il campus.
    Le argomentazioni usate da chi voleva mantenere la statua non erano dissimili da quelle di chi chiede una memoria condivisa, e anche nei confronti di Rhodes e dell’imperialismo britannico si fanno tentativi di rivalutazione basati sulle violenze vere o presunte subite dai possidenti bianchi durante e dopo la liberazione dello Zimbabwe; del resto i militanti anti-apartheid sudafricani erano costantemente accusati di terrorismo e i giovani conservatori britannici in epoca Thatcher avevano prodotto un manifesto che invocava la pena di morte per Mandela…

    La statua di Rhodes nel campus è stata alla fine rimossa, e ora è partita una campagna simile, #VerwoerdMustFall, che ha come bersaglio un razzista boero, in un’altra università.
    Anche la memoria è sempre un territorio conteso.

    • Che la categoria di colonialismo si applichi anche alla politica di occupazione italiana in Jugoslavia del resto lo dicono i documenti. Nella famosa circolare 3C di Roatta c’è scritto testualmente:

      «La lotta che conduciamo non è un duello […], è una lotta paragonabile invece a quella coloniale, in cui conviene dare all’avversario la sensazione netta ed immediata della nostra schiacciante superiorità»

      (si veda qui a pag. 12)

      E per quanto riguarda il Tribunale Straordinario della Dalmazia:

      Questo tribunale doveva essere mobile, ovvero di spostarsi nei vari luoghi dove occorreva processare dei sospetti ribelli, in modo da svolgere i procedimenti giudiziari ed emettere le sentenze in tempi brevissimi.
      Un precedente lo si può trovare nel corso della campagna di riconquista della Cirenaica una decina di anni prima. Lo stesso gen. Graziani ricordava come “la Giustizia scende dal cielo”, quando atterrava l’aereo che trasportava il tribunale volante pronto a giudicare sommariamente i cittadini libici colpevoli di non accettare l’occupazione italiana.

      • Aggiungo che attribuire caterve di medaglie a gentaglia come Serrentino & co. finisce per perpetuare lo stereotipo italiano=fascista (imposto dal fascismo stesso), che è stato una delle cause della pressione ambientale che poi nel dopoguerra ha provocato l’esodo. Quindi questo medaglificio fascista non fa un buon servizio in primis a quelli che vogliono contrastare questo stereotipo .

  7. […] Oppure, sempre in nome nome di una malintesa «unità nazionale» i collaborazionisti al servizio dell’occupante nazista uccisi dai partigiani vengono decorati dalla Repubblica Italiana in quanto «martiri delle foibe». […]

  8. Beh che dire? oltre ai complimenti per il bell’articolo voglio contribuire con una nota autobiografica. Mio nonno materno era un irredentista italiano d’Istria (lessi nel suo diario che era addiritura andato ai colloqui con De Gasperi ecc per sostenere la necessità dell’Istria italiana) anche se non era mai stato fascista e nella mia famiglia si è sempre parlato di queste cose dal punto di vista che voi (e anch’io dopo che lessi “operazione foibe” della Kersevan) criticate. In gita al liceo feci in modo che la classe andasse a Basovizza per informarsi sulla “verità”, mannaggia a me…Ricordo bene come i pisonoti, amici di mio nonno, parlavano di “odio antitaliano” “infoibati con il fildiferro” ecc.
    Ma la cosa più “divertente” è che nella narrazione familiare c’erano i miei bisnonni, genitori di mio nonno, che erano stati fra gli infoibati in quanto italiani anche se, essendo socialisti, avevano aiutato un sacco di slavi a scappare falsificando documenti (erano impiegati comunali a Pola o Pisino) durante l’occupazione fascista… Qualche anno fa mia madre e mio zio sono andati nei luoghi del fattaccio per mettere una croce e già che c’erano hanno parlato con alcune persone. Per farla breve venne fuori che fuorono fatti fuori a pistolettate da due ragazzi, dei balordi probabilmente, per fare i fighi, per sentirsi ganzi e bullarsi con le ragazze. Insomma niente a che vedere con odio antitaliano o foibe ma per “semplice” ignoranza, cattiveria, superomismo ecc. Sicuramente il fatto che abbiano scelto loro era legato a un clima di ostilità verso gli italiani (nei diari del nonno narra di aver subito forti pressioni, anche non gentili, affinchè si dimettesse dal ruolo di preside che ricopriva finita la guerra e sicuramente il torto ce l’hanno i titini in quel caso, almeno secondo me). Insomma sicuramente i miei avi hanno subìto la più grande delle ingiustizie ma non credo sia imputabile al comunismo, ai titini, ai partigiani o allo “spirito slavo” e altre cavolate ma casomai all’occupazione fascista che ci ha reso un po’ antipatici ai locali ed è su questo che dovremmo riflettere un po’ di più tutti noi “italiani brava gente”. Oggi, da comunista, penso che se anche la mia famiglia ha subito dei torti questi non sono assolutamente imputabili al comunismo o ai partigiani. Purtroppo, dopo tutto quello che noi italiani abbiamo fatto loro durante l’occupazione, credo che un sentimento di rabbia si sfoghi anche in modi sbagliati verso bersagli sbagliati e questo credo sia quello che avvenne all’epoca alla mia famiglia.
    Ovviamente questo il nazionalismo italiano non potrà mai ammetterlo ma penso che non potrà nemmeno fare molti adepti perchè ormai francamente chi ci crede più che noi siamo sempre le vittime? Come faranno a convincerci che siamo vittime di “altri” esterni quando sono i nostri dirigenti nazionali che ci impoversicono, ammazzano, precarizzano, licenziano ecc…
    Saluti e continuate così compagni!

  9. Grazie di aver condiviso la tua storia.
    Io tempo fa sul blog “Avanguardie della storia” scrissi della vicenda di mia zia maestra (trentina) mandata dalle parti di Fiume durante l’occupazione fascista, per fortuna lei venne risparmiata dai partigiani. https://avanguardiedellastoria.wordpress.com/2015/03/02/una-zia-quasi-infoibata/#more-218
    Aggiungerei che alla fine di una guerra con milioni di morti la gente acquisisce un’abitudine alla violenza che noi facciamo fatica ad immaginare. Ieri ero alla presentazione di “Storie di Gap” di Santo Peli e l’autore ha fatto un discorso di questo tipo: “negli ultimi mesi di guerra l’ordine pubblico a Torino, Milano e Genova era una cosa ingestibile. C’erano decine di attentati tutti i giorni. Se all’inizio della guerra partigiana era difficile trovare chi fosse disposto ad uccidere un tedesco o un fascista per strada, dopo un anno e più di occupazione nazifascista la violenza era diventata una cosa “normale”. Gli attentati erano fatti dai GAP, dalle SAP e magari anche dal vicino incazzato. Insomma era diventato normale suonare alla porta di uno e sparargli quando apriva”.
    Insomma occorre studiare il contesto e ricostruire la realtà di un periodo storico. Invece in Italia si preferisce trovare un “cattivo” slavo o comunista cui dare tutta la colpa.
    Sarebbe bello raccogliere le memorie di esuli e discendenti di esuli che mettono in dubbio la narrazione nazionalista della storia sul confine orientale.

    • Tempo fa la ex presidente dell’ANPI di TS mi raccontava che a Opicina, sopra Trieste, alla fine della guerra un tedesco venne ucciso da un pazzo, quello che potremmo chiamare lo “scemo del villaggio”, che aveva trovato un arma e con quella aveva sparato al tedesco che si era arreso e aveva le mani alzate. Di queste cose credo ce ne siano state molte. Quanto alle memorie degli esuli ce ne sono anche in rete che smentiscono le “versioni ufficiali”. Ma poi, se le leggi con attenzione, quasi tutte smentiscono qualcuno degli stereotipi, anche quelle dei più “irregimentati”. E non mi sembra per nulla un caso che le loro memorie non siano state raccolte in maniera sistematica e a tappeto in questi lunghi anni, come è avvenuto ad esempio per i profughi tedeschi cacciati da cecoslovacchia, Polonia, Jugoslavia, Unione Sovietica ecc…. Così a parlare erano sempre i loro “rappresentanti” che raccontavano la narrazione canonica. Se vuoi un racconto un po diverso, in forma narrativa, di un “esule” molto atipico prova a cercare i due volumi scritti da Vinicio Scomersich, che parlano uno del periodo della guerra in Istria ed il secondo dell’esperienza di profughi (tra l’altro mi pare di ricordare che la loro profuganza sia iniziata proprio in Trentino).

    • Caro Tom,
      anche mio nonno ha subito un simile “scherzo” come tua zia che ho appreso anche leggendo i suoi diari. Finita la guerra le autorità gli chiesero di tornare a fare il preside della scuola e lui accettò ma poi, vista la sua posizione irredentista, gli fecero molte pressioni per dimettersi cosa che lui non fece. Un giorno lo portarono nella sede credo del commissariato politico o qualcosa del genere e gli dissero che lo avrebbero ammazzato puntandogli più volte una pistola alla testa e poi se ne andarono. Nei suoi diari dice che è scappato perchè ingannò il piantone. Personalmente penso che lo fecero apposta e che il loro scopo fosse che si levasse dalle palle, cosa che lui fece scappando in Italia. Insomma una storia molto simile a quella di tua zia. Anche se penso che, a boccie ferme, siano stati “cattivi” se faccio lo sforzo di contestualizzare il tutto penso che, tutto sommato, la cosa ci stia: un popolo si libera dai fascisti e cerca di fare pulizia nelle istituzioni e nei posti di potere; con chi fascista non era ha usato le maniere spicce per liberarsene. A me dispiace per mio nonno che sicuramente si è spaventato e ha subito molto anche perchè lui fascista non fu ma militare si e i nazisti dopo l’8settembre gli portarono via una mano e un occhio oltre che a deportarlo e tornato in “patria” subì il trattamento che ho descritto. Penso però che era dalla parte sbagliata della barricata e che, alla fine, la pelle non gliela fecero. insomma sono solidale con l’uomo ma c’è anche la storia…Ahinoi la vita a volte va un po’ così.

      • Visto che siamo in tema di racconti familiari posso raccontare la storia di mio nonno, preside di una scuola elementare di Trieste (e dunque sicuramente tesserato PNF, altrimenti non avrebbe potuto mantenere l’incarico. Credo anzi che per poter essere preside fosse addirittura necessario far parte della Milizia Fascista, ma non ne sono sicuro). All’arrivo delle truppe jugoslave venne arrestato e portato nella caserma a pochi passi dalla scuola. Lì passò la notte e poi alla mattina venne rilasciato, spiegandogli che cercavano un fascista che si chiamava Spinelli (mio nonno di cognome faceva Spinetti).
        Io credo che questa storia smentisca il fatto che i partigiani di Tito liquidassero le persone in quanto italiane: anzi addirittura (almeno a Trieste nel ’45) non liquidarono nemmeno le persone in quanto fasciste. Come dimostra questo piccolo esempio, gli arresti erano decisamente mirati a fascisti che si erano macchiati di crimini. Se non fosse stato così, credo che non si sarebbero fatti grossi problema a infoibare anche mio nonno.

  10. sulle motivazioni di violante e anche su quelle di napolitano credo sia facile sostenere che – come è affermato nel post stesso, essendo l’opera di condividere la memoria funzionale al pensiero unico, al nazionalismo e quindi a una democrazia svuotata di significato e ideologicamente pronta alla guerra – sostengono precise indicazioni in ambito di alleanze internazionali al fine anche di usare le ali estreme in casi di necessità, vedi lo scenario ucraino oltre quanto avvenuto proprio nella ex jugoslavia negli anni 90

    • Credo proprio che non ci siano “precise indicazioni in ambito di alleanze internazionali”. Questa roba è 100% made in Italy. La “costruzione di una memoria condivisa” risponde a logiche interne alla società e alla classe politica italiana. Se nell’immediato dopoguerra la rimozione dei crimini di guerra italiani poteva rispondere anche (ma non solo) a logiche geopolitiche, la scelta del confine orientale come luogo di ridefinizione dell’identità nazionale a partire dagli anni novanta è invece una questione tutta interna. Nasce dall’incontro tra la presunta necessità dell’ ex-PCI di rilegittimarsi come forza nazionale e la vorace volontà di rivalsa degli ex fascisti del MSI, galvanizzati dall’endorsement berlusconiano. Partendo da questo “compromesso” – già squallido in partenza – non si è fatto altro che scendere sempre più in basso. Anche perché questo compromesso si è incanalato in modo naturale nella ben nota tendenza al vittimismo e all’autoindulgenza che caratterizza l’autopercezione degli italiani.

      • per essere chiaro le precise indicazioni in ambito di alleanze internazionali sono quelle che indicano come necessario alimentare un nazionalismo necessario a costruire consenso alla partecipazione dell’italia alle guerre che verranno, il resto è dialettica italiana al 100 per cento se vuoi

  11. […] D’altronde, come potevamo aspettarci qualcosa di diverso? Sono anni che quello stesso Stato, a chi di quell’imperialismo si rese complice consapevole, conferisce medaglie ed onorificenze. […]

  12. Con una mossa a effetto, oggi 25 aprile il governo rende noto che è stata revocata la medaglia a Paride Mori. In realtà la decisione risale al 17 aprile.

    Ok, qualcosa si è mosso. Ma…

    1) la medaglia è stata revocata non perchè Mori era un repubblichino, ma “perchè morì in combattimento e non in un agguato”.

    2) ci sono altri 300 casi quantomeno da riconsiderare, su 5 dei quali i dubbi sembrano essere veramente pochi.

    3) se la commissione ha fatto certe scelte nei 10 anni trascorsi dal 2004 è perché la legge era stata scritta esattamente con quello spirito. Non sembra che la questione *politica* sottesa al caso Mori sia stata minimamente affrontata.

    La revoca della medaglia a Mori quindi non deve essere considerata un risultato raggiunto, ma solo un punto di partenza per un ripensamento generale dell’intera questione.

    • Non è stata ancora reovocata la medaglia a Mori. La commissione ha deliberato di revocarla perché Mori cadde in combattimento, ha inviato la decisione ai famigliari di Mori, che ora hanno un tot di tempo per ricorrere contro tale decisione. Quindi per ora si è in attesa del ricorso e del suo eventuale esito, solo dopo il riconoscimento verrà eventualmente revocato.Completamente d’accordo per il resto.
      Aggiungerei una cosa oltre ai circa 300 appartenenti a formazioni armate al servizio dei nazi ci sono altri alla cui memoria è stato attribuito il riconoscimento i cui casi sono quantomeno “strani”. Ad esempio Pescatori Giuseppe, di cui nella “Bibbia” della Commissione, l’Albo d’Oro” di Papo, si dice solo “partito per Racia (Monte Maggiore) e scomparso il 16 gennaio 1944” – quindi non si sa se e chi lo avrebbe ucciso; Cavazzon Ferruccio, che Papo inserisce tra le “Vittime di guerra per cause varie” e di cui scrive semplicemente “scomparso presso la Cava Faccanoni (Trieste) il 12.2.1945” – valgono le consiedrazioni di sopra. Ci sono altri casi del genere, per i quali non si sa per quale motivo sarebbero scomparsi, con due casi eclatanti: Fortunato Mattiassi, per il quale la motivazione ufficiale per la concessione del riconoscimento recita: “Residente a Pisino fu li fucilato il 4 ottobre dalle truppe tedesche per rappresaglia sulla popolazione a seguito della precedente occupazione titina” – quindi, ucciso dai nazi, ma per colpa dei titini! E poi c’è il caso di Antonio Ruffini, a cui nel 2009 è stato attribuito il riconoscimento come infoibato, mentre in realtà è morto come partigiano ucciso dai nazisti, come ha riconosciuto la Regione Molise (di cui era originario), che gli ha attribuito una medaglia d’oro come partigiano!

  13. […] fieri ancora oggi, e le pongono a modello per il domani. Non si contano i solenni encomii e le onorificenze. Voi la comprereste una memoria usata da una […]

  14. […] Il Giorno del ricordo: dieci anni di medaglificio fascista. Un bilancio agghiacciante […]

  15. […] È più o meno l’ideologia del famoso discorso di Napolitano del 2007 il quale, con l’aggiunta dei «contorni della pulizia etnica», sarà motivo di tensione diplomatica con la Croazia, anche per l’onorificenza postuma conferita al criminale di guerra Vincenzo Serrentino. […]

  16. […] va da operazioni di marketing come l’assegnazione di medaglie a militi dell’RSI fatti passare per “vittime” o “eroi”  nonostante si siano macchiati di crimini gravissimi  allo sdoganamento di calcoli assolutamente […]

  17. […] In quella data, ogni anno, vengono consegnate ‘medagliette’ dorate (non sono d’oro, bensì in acciaio brunito e smaltato e recano la scritta “la Repubblica Italiana ricorda”) ai parenti degli ‘infoibati’ ma, tra i riconosciuti come vittime delle doline carsiche, ci sono anche caduti in combattimento (quindi non ‘infoibati’), ex-repubblichini2 e criminali di guerra3 . Un vero e proprio medaglificio fascista.4 […]