Non c’è nessun post-terremoto. Rapporto dalle Marche che non fanno più notizia

Monte Vettore visto da Castelluccio di Norcia.

Monte Vettore visto da Castelluccio di Norcia.

di @inpuntadisella
(con fotografie di Michele Massetani)

«Sotto a Vetore v’ha un piccol castello
Da zencari fonnato senza fallo,
Che de neve continua gli ha un mantello
E manco a Agosto ce se sente callo;
Da man destra e sinistra è un piano bello
Che quanto val nessun po’ mai stimallo;
Solo ci manca il diletto d’Apollo
Perché ce passa il sole a rompicollo.

Se quivi sgrassatore ovver bandito,
Fosse pure a le forche condannato,
Toccar potesse un albero co’ un dito,
Siria rimesso da colpa o peccato:
Chè un altro luogo sì raso e pulito
Neppur l’avrebbe Bèbbeco fondato
Io te lo lodo e non te lo divieto:
Non l’avria fatto Bèbbeco d’Orvieto.»

(Da La Battaglia di Pian perduto, Berrettaccia di Castelsantangelo, XVI sec.)

La descrizione di Castelluccio di Norcia e del suo altipiano fornita nel XVI secolo da tal Berrettaccia – pastore e poeta del quale non si hanno altre informazioni certe – è probabilmente la più esaustiva e affascinante che sia mai stata realizzata. Nel poema il pastore narra le vicende della battaglia combattuta tra Norcini e Vissani all’ombra del Vettore (1522). Oggi quelle popolazioni sono unite dalla stessa tragedia.

Dal 24 agosto il Monte Vettore con le sue crepe e spaccature è divenuto, suo malgrado, uno dei simboli del terremoto che da quasi tre mesi sta scuotendo le regioni dell’Appennino Centrale. È importante parlare dei simboli utilizzati nel racconto del sisma, perché mai come in questo caso l’aspetto mediatico comporta risultati ed elementi reali. A partire dal 24 agosto e dalla scelta dell’infausto nome «Terremoto Centro Italia» con cui è stato battezzato il sisma, sono stati commessi errori ed imprecisioni che hanno contribuito a confondere le idee su quanto stava accadendo.

A proposito del Vettore e di errori, ecco l’immagine di un articolo del 30 ottobre, piuttosto eloquente. In poche righe possiamo notare che:

1. Si afferma che il Vettore domina Norcia, affermazione errata in quanto semmai domina il piccol castello di Castelluccio di Norcia;

2. La foto ritrae una crepa apertasi sul Monte Porche e non sul Vettore.

Articolo de Il Giornale pieno di sfondoni

Dopo le imprecisioni è arrivato l’oblio. Dal 24 agosto a oggi l’attenzione dei media è andata via via scemando, e neanche le violente scosse del 26 e 30 ottobre – che, fortunatamente, non hanno causato vittime – hanno riacceso a dovere le luci su una situazione invece fortemente aggravata. Situazione che ad oggi coinvolge decine di migliaia di persone su un territorio molto vasto. Sono state messe in onda fino allo sfinimento le immagini del crollo della cattedrale di Norcia, ma non si è mai fatto un quadro realmente esaustivo dello stato delle cose. Con questo non si vuole sminuire l’importanza del crollo della Cattedrale o delle crepe che squarciano la montagna, ma quanto fatto dai media rischia di far diventare quelle immagini dei feticci della situazione reale.

Campane della chiesa di Bolognola (MC), sullo sfondo la valle del Fagno.

Campane della chiesa di Bolognola (MC), sullo sfondo la valle del Fargno.

L’attenzione reclamata, per lo più dai piccoli centri, non nasce dalla narcisistica voglia di apparire in televisione. Ci si è invece accorti in fretta che dove non arriva la copertura mediatica non arrivano gli aiuti, neanche a livello minimo. Se non si emerge dalla coltre che copre le zone colpite, si scompare. E questo può capitare anche ad intere aree: basti pensare che del versante abruzzese, meno colpito rispetto ad altri ma comunque fortemente interessato, non v’è quasi traccia da nessuna parte.

Il racconto si fa sempre più saltuario e scarno e si concentra sui sensazionalismi delle strade spaccate e sulle news acchiappa-click dei gattini senza casa. A parte qualche rara eccezione, come lo straordinario lavoro che Loredana Lipperini sta facendo su Radio Tre, non si parla mai della moltitudine dei paesi interessati e delle problematiche quotidiane che vengono lasciate all’autogestione della cittadinanza e ai numerosi volontari. Basta aprire un qualsiasi quotidiano online per notare che il sisma non esiste più o, se esiste, assume toni assurdi: su Repubblica.it mentre sto scrivendo appare solo tra i tag ed esclusivamente come «Sisma Norcia».

Repubblica

Il terremoto ad oggi è ancora ben presente sia perché le scosse cosiddette «di assestamento» si susseguono al ritmo di circa una ogni dieci minuti, sia perché la vita di intere comunità è cambiata radicalmente e in alcune aree è mutata la morfologia stessa del territorio.

A fronte di questo quadro la risposta messa in campo dal governo Renzi è del tutto insufficiente e l’impostazione generale degli interventi lascia quantomeno perplessi. Non ci sono abbastanza tecnici per effettuare i sopralluoghi sulle agibilità degli edifici e c’è chi ancora li aspetta dal primo sisma del 24 agosto. Interi paesi hanno visto la presenza dello «Stato» solo dopo giorni dalle scosse di ottobre.

Al momento il problema vero, sia nell’immediato che in prospettiva, è il rischio dello spopolamento delle zone montane. Questo naturalmente chiama in causa problemi non più eludibili o rinviabili, come quelli del reddito e di un welfare adeguato, che avrebbero consentito alle persone colpite di gestire l’immediato con maggiore serenità e più libertà di scegliere.

Anche nella fase emergenziale attuale, tuttavia, c’è una macroscopica carenza di interventi. Un caso emblematico è la mancanza  di moduli per far proseguire l’attività scolastica nei paesi. Questo comporta l’iscrizione degli studenti nelle aree marittime con conseguenti problemi delle famiglie costrette a un pellegrinaggio giornaliero di decine e decine di chilometri. Quanto potranno resistere i nuclei familiari in queste condizioni? Chi ha, ad esempio, un attività commerciale a Camerino e un figlio a scuola a Porto Recanati (circa 80 km di distanza) viene messo di fronte ad una scelta inammissibile. Anche laddove le scuole sono state garantite con dei moduli, i problemi derivanti dalla mancata messa in sicurezza delle strade hanno fatto sì che gli studenti alla fine siano stati trasferiti in blocco altrove. Ricordate la scuola vanto «ricostruita a tempo di record» di Amatrice? Il sindaco alla fine ha desistito, in quanto l’edificio non era raggiungibile da gran parte del territorio comunale e gli studenti sono finiti a San Benedetto del Tronto. E in questo caso si parla di problemi derivati in gran parte dalle scosse di quasi tre mesi fa.

La mancanza di infrastrutture per rimanere nei paesi di origine non vale solo per gli edifici scolastici ma anche per i nuclei abitativi. A chi ha la possibilità di organizzarsi autonomamente acquistando una casetta di legno per rimanere vicino al proprio bestiame, al proprio negozio, o più semplicemente per rimanere «in zona» viene vietata l’operazione, perché la competenza è unicamente della Protezione Civile. Per contro la stessa Protezione Civile non consegna i moduli. Verrebbe da chiedersi se questa situazione sia frutto solamente della disorganizzazione o di una  precisa strategia. Sicuramente in paesi abbandonati gli interventi potranno essere meno rapidi e puntuali e la rottura dei legami sociali delle comunità renderà eventuali proteste e pressioni più difficilmente organizzabili. Inoltre emerge chiara una contraddizione: quando Diego Della Valle ha proposto di costruire una fabbrica di scarpe ad Arquata del Tronto in poche ore si è trovato un terreno da 5.000 mq dove effettuare l’insediamento. Come mai viene invece negata la posa di una casetta in legno (anche su ruote)? Così si esprime Della Valle il 5 novembre: «Oggi per le persone, per la disperazione che hanno, che è palpabile, aprire fabbriche è la medicina migliore. Dobbiamo farlo, facciamolo in fretta».

Ti è crollato il mondo addosso (nel vero senso della parola)? Secondo Della Valle la risposta è un insediamento industriale!

Casa colonica crollata, sullo sfondo Camerino (MC) (Foto di Michele Massetani)

Casa colonica crollata. Sullo sfondo, Camerino (MC).

Una carenza nell’intervento da parte del governo traspare anche dalla miriade di crowdfunding comparsi per necessità nel giro di poche settimane, per acquistare articoli per la scuola o altro. Ma se può essere comprensibile quando a farlo sono piccole associazioni o la raccolta è per necessità immediate e mirate, la cosa lascia piuttosto perplessi quando la raccolta fondi nasce dai Comuni o addirittura dal Parco Nazionale dei Monti Sibillini. Qui non si critica naturalmente chi lancia la campagna, piuttosto si vuole sottolineare l’assurdità del fatto che un Comune o un Parco Nazionale siano costretti a chiedere fondi a semplici cittadini per affrontare spese e necessità di cui dovrebbe farsi carico lo Stato. Ma come, non va tutto bene? Il governo non ha varato un decreto che fornirà a tutti…? No.

Infatti se c’è al momento una cosa che sta funzionando è proprio l’autogestione dell’emergenza: non c’è paese o frazione dove la cittadinanza non si sia adoperata per raccogliere fondi, costituire associazioni, organizzare attività per i più piccoli o per gli anziani, aiutare le piccole imprese in difficoltà. Da questo punto di vista la scommessa che il territorio si troverà davanti nell’immediato è quella relativa alla creazione di una rete, una comunità che travalichi i singoli confini comunali. In un’area che per secoli si è affidata alle comunanze agrarie occorre tornare a fare del territorio bene comune, gli elementi per farlo ci sono. In questo senso sarà basilare il supporto dal basso dal resto del paese.

Una domanda che rimbalza sul web, e fortunatamente non solo, a partire dal 24 agosto è: cosa può fare chi si trova lontano dai luoghi del sisma? La solidarietà dal resto d’Italia sia sta concentrando al momento principalmente sulla raccolta di materiale e sull’acquisto di prodotti enogastronomici delle aziende in difficoltà, è sicuramente un segnale importante ma nel lungo periodo non sarà (solo) questo l’aspetto centrale. Mantenere l’attenzione alta e continuare a parlare di quanto sta accadendo facendo circolare informazioni “di prima mano”. Questa sarà la base per la costruzione di qualcosa di importante.

Foto 4 – Casa di Pievetorina (MC) (Foto di Michele Massetani)

Casa di Pievetorina (MC).

Nel corso della recente Leopolda renziana a Firenze, attivisti e semplici cittadini sono arrivati dalle Marche dietro allo striscione «Terre in moto» per chiedere uno stop immediato alle grandi opere, la messa in sicurezza del territorio e la ricostruzione rapida e immediata delle zone devastate dal sisma. Anche in questo caso la risposta è stata all’insegna di cariche e manganelli, prova evidente del fatto che non puoi permetterti di dire che le cose non vanno. Neanche se sei un terremotato.

Questo è un altro aspetto fondamentale: passato lo spaesamento e la paura iniziale occorre che la popolazione locale sia pronta a fronteggiare le scelte calate dall’alto, se scellerate o contro il territorio. E vista l’impostazione iniziale è molto probabile che ce ne sarà bisogno. Perché, al di la degli spot televisivi che vengono mandati in onda nei tg con inaugurazioni e strette di mano, il quadro si tinge sempre di più di tinte fosche. Basta allargare appena lo sguardo per capire che tipo di gestione del territorio ha in mente il Capitale. Quando viene chiesto di abbandonare le grandi opere per dedicare risorse alla ricostruzione rapida e degna dei territori lo si fa sulla base di dati reali e per evitare pericoli incombenti. Tra Castelraimondo e Selvalagli (in provincia di Macerata, aree colpite dall’ultimo sisma, a pochi chilometri dai Sibillini) c’è il serio rischio che venga costruito un megainceneritore con tanto di camino alto 70 metri nell’area dove sorgeva un cementificio, progetto folle a prescindere, ma che diventa grottesco vista la situazione attuale. E come non pensare al gasdotto Snam di 687 km che dovrebbe attraversare l’Appennino scorrendo sotto – attenzione attenzione – L’Aquila, Norcia, Visso?

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Il tracciato del gasdotto e la pericolosità sismica delle zone attraversate. Clicca per ingrandire.

È questo quello che si vuole «donare» alle terre già stravolte dal sisma? La strategia sarà quella classica del voler portare lavoro cercando di speculare sull’insicurezza e la paura di chi ha già perso tutto? Al momento – parafrasando 54 – «non c’è nessun post terremoto».

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8 commenti su “Non c’è nessun post-terremoto. Rapporto dalle Marche che non fanno più notizia

  1. Grazie infinite per questo intervento. La situazione è questa ed è desolante: nel terremoto del 1997 le tappe seguite furono: tende subito, roulotte dopo un mese, mav (container) a dicembre (il sisma fu a fine settembre). Questo ha permesso alle comunità di restare unite negli anni della ricostruzione. Oggi la deportazione forzata sulle coste, la mancanza di certezze sugli alloggi provvisori (erano stati promessi i container, non mi sembra che se ne parli. E chi lo fa parla di container senza bagno e cucina) e sui tempi sta sgretolando anche la resistenza di chi intende rimanere. Nessuno ne parla, se non sui gruppi facebook dei singoli paesi e borghi. Dovrebbe invece essere impegno politico e culturale di tutti la narrazione continua di quel che sta o non sta avvenendo. Insomma, gratitudine infinita a inpuntadisella e Wu Ming.

  2. Le Marche non fanno più notizia. L’Abruzzo non ha mai fatto notizia (vero!) e l’Umbria le notizie se ce le ha non le comunica. Una delle realtà è che nei palazzi delle Regioni, lontani dal cuore degli eventi, si attendono i soldi per cominciare il banchetto, più o meno lauto, vedremo. Si può solo sperare che una parte arrivi anche ai progetti degni di questo nome. Manca un coordinamento e molti uffici semplicemente non funzionano. La mentalità nei palazzi è vecchia, ed è giusto sapere che casomai è propensa all’abbandono delle aree terremotate o almeno le aree più disperse. Questo si pensa in realtà, fuori dal ‘cratere’, tra privati cittadini e autorità. Dentro al cratere inoltre non ci sono tutti, e forse alcuni non dovrebbero esserci. La selezione innaturale ha una propria opinione sulla geografia. E non si sa assolutamente cosa fare per quanto riguarda una delle fonti più importanti dell’economia di queste zone, ovvero il turismo. Un turismo che già faticava perché non tutti lo vogliono (ebbene sì, non tutti lo vogliono, il turismo. Anche – forse specialmente – quello non di massa, che obbliga ad una gestione del territorio e delle attività, dei parchi e delle aree naturali, che non è affatto benvista a livello delle regioni e delle amministrazioni locali). Cerchiamo almeno di non allentare il ritmo delle informazioni.

  3. Uno dei pregi dell’articolo è aver evidenziato come la dinamica di classe si mostri nella sua nudità di fronte ad un evento inatteso e catastrofico quale la sequenza sismica delle ultime settimane. La libertà di scegliere è ad oggi solo un privilegio di chi ha possibilità economiche per decidere cosa fare, nell’immediato come nel futuro prossimo: ad esempio la possibilità di mettere in sicurezza o acquistare una nuova casa, di scegliere se restare o partire. La carenza di interventi immediati è ancor più grave se si pensa che sarebbero “solo” misure scontate, dovute e preliminari: le fondamenta vere da ricostruire, come quelle di una casa finalmente solida e sicura, partono da un nuovo sistema di welfare adeguato alla fase di precarietà generale che il terremoto ha mostrato in tutta la sua drammaticità. Il reddito di esistenza ad esempio (che oltre a remunerare la vita lavorativa è anche una misura di “assicurazione” in caso di perdita del lavoro e di eventi straordinari come le conseguenze di questo sisma) diventa una scelta ancor più imprescindibile in un paese a rischio sismico ed idrogeologico come l’Italia, mentre l’unica risposta data finora sembra essere il lavoro, anzi solo la promessa del lavoro che potrebbero portare ipotetiche fabbriche, gasdotti, inceneritori. In un territorio che oltretutto stava mostrando grande vitalità e crescita dal punto di vista turistico, enogastronomico, culturale: un modello di sviluppo adatto a questi luoghi e fortunatamente lontano da grandi insediamenti industriali e grandi opere. La natura, che ci ha mostrato quanto stabilità e normalità siano concetti a lei sconosciuti, ci ha dato la possibilità di capire che è ora anche per noi di cambiare rotta. Fare purtroppo esperienza di cosa vuol dire vivere in un territorio devastato, non avere più una casa: una condizione comune a migliaia di persone che ogni giorno scappano da guerre e povertà, quei migranti di cui oggi (e solo in parte) possiamo intuire il dramma quotidiano. Alla domanda “cosa può fare chi si trova lontano dai luoghi del sisma”, un’altra risposta possibile sarebbe questa: lottare per far emergere le contraddizioni di un sistema di governo che ha preso totalmente le distanze dagli ultimi, per il diritto per tutti ad una casa sicura e ad una vita dignitosa, esigere meccanismi di redistribuzione della ricchezza slegati dalla condizione lavorativa, costruire comunità dal basso per respingere i tentativi di sfruttamento delle risorse del territorio.

  4. Bella scrittura e buona lettura non ricostruiscono case, ma dal terremoto ci si rialza anche sentendosi comunità e restando assieme. I libri servono anche a questo.
    #FuturoInfinito è un progetto (presentato anche a Fahrenheit con la stessa, appassionata, Loredana Lipperini) con le radici a Visso, i rami a Matelica e le foglie sulla costa adriatica per non dimenticare le nostre terre devastate dal sisma: partecipare è alla portata di tutti, basta regalare un libro e si sarà poggiato uno dei mattoni con cui vogliamo ricostruire la biblioteca di Visso.
    Info qui: http://www.bellascrittura.eu/terremoto-futuro-infinito/

  5. […] nei luoghi del terremoto. Ieri, in una delle tante condivisioni all'articolo di @inpuntadisella su Giap, ho letto per esempio  un commento di Silvia, di Ussita: "Non ce ne siamo andati, ci hanno mandato […]

  6. […] dove eravamo rimasti? Ah sì, circa due mesi fa eravamo rimasti che non ci sarebbe stato nessun post terremoto. Questa previsione si è rivelata esatta, non solo perché il terremoto non ha mai smesso di […]

  7. […] pubblicato due report dal cratere: Non c’è nessun post-terremoto (novembre 2016) e Terremoto, un viaggio che non promettiamo breve (gennaio 2017). Abbiamo anche […]

  8. […] Non era la prima volta che ci occupavamo del devastante sisma noto ormai con il nome vuoto «Terremoto Centro Italia»: a poche settimane dalle scosse di ottobre 2016 avevamo già pubblicato un pezzo tristemente premonitore: «Non c’è nessun post-terremoto. Rapporto dalle Marche che non fanno più notizia». […]