Prologo

La linea dell’orizzonte, netta come un taglio di spada, divide la terra dal blu viscoso che la sovrasta. A perdita d’occhio, pura assenza. Di cose, piante, animali. Un nulla uniforme, senza barriere per lo sguardo. Muoversi o restare fermi non sembra fare differenza. Eppure le ombre cortissime precedono i dromedari, che avanzano sulla superficie lattea con passo inesorabile. Gli esseri umani siedono in bilico, fluttuanti, i volti bendati perché il riverbero non bruci gli occhi. Procedono in fila, muti e ciechi, affidati all’istinto del cammino, lo stesso da mille anni, da quando il primo pellegrino attraversò quella distesa, percependo la propria finitezza, insieme alla sofferenza fisica che lo avvicinava a Dio, il Clemente e Misericordioso.
Soltanto quando il sole abbandona lo zenit appare il profilo delle colline e le distanze riacquistano proporzione. I monti galleggiano su un lago d’acqua che pian piano si dissolve al passaggio, un gioco di rifrazioni e calore per tentare lo spirito degli uomini, che possono soltanto implorare un rapido tramonto.
La prima stella è già sopra di loro quando la marcia si arresta ai bordi di un pozzo. Dopo l’isolamento imposto dalla fatica del giorno, sul suolo freddo e inospitale si accende una parvenza di vita comune. Qualcuno intona una preghiera, gli uomini scoprono il volto e si genuflettono sulle stuoie, a lungo, quasi fossero troppo stanchi per rialzarsi e piegarsi ancora, bere, nutrirsi, perfino troppo stanchi per dormire. Mentre gli ultimi bocconi di farina abbrustoliscono sul fuoco, si può ancora interpellare qualcuno, chiedere la consolazione di una storia. Gli occhi si volgono verso il più anziano, la barba striata di grigio, il volto arrossato dal sole. La voce vibra sul ritmo di una litania. Racconta della guerra santa degli arabi contro i loro padroni turchi, sotto la guida luminosa dell’emiro Feisal, la benedizione di Dio scenda su di lui e sui suoi comandanti. Combattenti leggendari i cui nomi fanno tremare i nemici. Lo sceriffo Ali Ibn El Hussein. Lo sceriffo Nasir. L’emiro Nuri Shaalan. Auda Abu Tayi, il più grande guerriero d’Arabia. El Urens, che ha portato agli arabi il Dono di Nobel, un’arma che rende invincibili, tanto potente da piegare il ferro e frantumare la roccia. I turchi non hanno tregua, i loro treni blindati, carichi di cannoni e mitragliatrici, non possono nulla contro quella forza che li schianta e li decapita, trasformandoli in ammassi di ferraglia, dove vanno a farsi la tana gli sciacalli.
Le fiamme del falò prendono le forme di cavalieri al galoppo, avvolti in una nube di polvere e fumo. Gli uomini scrutano l’oscurità che li circonda, le orecchie tese, come per cogliere l’eco delle esplosioni attraverso il deserto.
Quando tornano a guardarlo, il vecchio si è già coricato su un fianco, lasciandoli preda di quelle visioni di vittoria. Uno dopo l’altro si rassegnano a imitarlo, consapevoli che il sonno sarà lieve sotto le stelle.

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